L'EPOPEA DI GILGAMESH
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Gilgamesh-Iliade ParallelismiUn ottimo studio comparato tra l'Epopea di Gilgamesh e l'Iliade è stato affrontato da Vincenzo di Benedetto (parte IV, cap. VIII Ben 94). Ecco i punti salienti di questa analisi più alcune mie considerazioni.
Cominciamo con due semplici accostamenti tra i due poemi:
Interessante, vero? Questi sono solo alcuni parallelismi evidenti tra le due opere (per approfondimenti vedi la bibliografia a p. 315 Ben 94). Certamente il parallelismo più evidente ed importante è dato dal rapporto tra il protagonista (Achille / Gilgamesh) ed un suo compagno (Patroclo / Enkidu). Il motivo della coppia trova del resto numerosi esempi sia nell'Antico Testamento che nell'epica greca e germanica: Eracle e Iolao, Teseo e Piritoo, Castore e Polluce, Eteocle e Polinice (i figli di Edipo), Oreste e Pilade, Atreo e Tieste, Hagen e Gunther (1). Rimanendo sul piano prettamente epico-letterario, il tema della coppia diviene nei due poemi pretesto per sviluppare contenuti universali. Per esempio il tema della morte e di come il protagonista si ponga di fronte ad essa prende avvio dalla perdita del compagno di avventure (di rango inferiore) in entrambi i poemi. Sono numerosi i punti di contatto, non solo nel contenuto ma anche nella forma (Ben 94, p. 313-315):
Nel Gilgamesh si dà largo spazio alle avventure dei due eroi (da t. II fino a t. VI) mentre nell'Iliade alle avventure di Achille e Patroclo si fa solo cenno (le peripezie di Odisseo sono ovviamente un termine di paragone più apprezzato). Essenziale è però un punto di contatto tra i due poemi: la morte del compagno svuota di valore tutto il complesso di vicende che aveva caratterizzato in modo assai rilevante la parte antecedente del poema. Naturalmente che l'autore dell'Iliade conoscesse e presupponesse nel suo poema la Saga di Gilgamesh è cosa ardua da dimostrare. Volta per volta infatti si potrà supporre che i contatti tra i due poemi siano dovuti a coincidenze occasionali, sulla base di similarità di situazioni. Tuttavia (p. 317, Ben 94) l'utilizzazione da parte del poeta dell'Iliade di motivi e formulazioni propri del poema babilonese appare molto probabile. I contatti tra l'Iliade e il Gilgamesh, non sono isolati ma riguardano un insieme di motivi collegati tra loro. Soprattutto colpisce che l'essenziale tema della coppia sia strettamente concomitante col tema - altrettanto fondamentale in entrambi i poemi - della morte. D'altra parte il poema di Gilgamesh era largamente diffuso in molte culture dell'area medio-orientale, per la quale scambi e contatti con il mondo greco sono, nell'età omerica - teatro di colonizzazioni a est e a ovest dell'ellade - positivamente documentati. Anche assumendo che le "coincidenze" di situazioni e formulazioni tra i due poemi debbano essere interpretate come frutto di percorsi creativi indipendenti, il confronto tra i poemi risulta ugualmente produttivo per capirne le specificità (2). Di fronte alla morte di Enkidu, Gilgamesh è ripetutamente preso dalla paura della morte (t. IX 5; X 66, X 139, X 238-39; X 74-75, X 145, X 247-48) ed è per questo che intraprende il viaggio verso il lontano Utnapishtim per interrogarlo sul significato della vita e cercare il segreto dell’immortalità. In tal modo la morte del compagno dà all’eroe l’impulso per una sequenza di nuovi episodi (gli uomini-scorpione, la taverniera, la traversata del mare della morte, l’incontro con il Noè babilonese con il racconto - anche - del diluvio) fino a una conclusione del poema che evidenzia l’inevitabile destino comune agli uomini e l’acquisto della responsabilità sociale di sovrano (tesi fortemente accolta anche in Pet 92). Nell’Iliade, invece Achille, di fronte alla morte di Patroclo non è preso dalla paura, bensì rivela (fin dall’inizio del poema ma in particolare dopo lo snodo della scomparsa di Patroclo) un atteggiamento di consapevole accettazione. È come se Achille raccogliesse l’eredità esistenziale frutto del lungo e faticoso percorso che Gilgamesh aveva compiuto nella parte finale della sua saga. L’eroe omerico, così smisurato nelle azioni e nelle emozioni, acquista grazie al taglio che l’autore dell’Iliade ha voluto dare alla parte finale del poema, un equilibrio sociale che ne dilata fortemente l’attualità. Gilgamesh è così umano per la sua paura della morte e per il suo disperato tentativo di rigetto: non permette che l’amico venga seppellito per giorni e giorni fino a quando con orrore non ne osserva il corpo divorato dai vermi, e successivamente sconvolto e in solitudine inizia il suo lungo viaggio dominato da interrogativi sull’esistenza. Achille accetta la morte di Patroclo bruciandolo su una pira pochissimi giorni dopo la sua morte. Egli poi celebra i giochi funebri e restituisce il corpo di Ettore al padre Priamo (fatto rilevantissimo sul piano ideologico e religioso - vedi Antigone di Euripide - che elimina temporaneamente divisioni tra i greci e i troiani). La consapevolezza della morte dei compagni di Achille diventa consapevolezza della propria morte e volontà di vivere la vita per quanto ricca di drammi possa essere (per esempio Achille accetta l’invito di Theti di tornare ai piaceri mentre quest’invito rivolto da Siduri a Gilgamesh verrà disatteso, almeno nel poema). Gilgamesh acquisterà questa consapevolezza solo alla fine del suo lungo e doloroso cammino.
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