PROMETEO INCATENATO OVVERO LA COSCIENZA DI SE'
Commento psicopolitico alla tragedia di Eschilo


La personalità di Efesto che incatena Prometeo fa da ponte tra l'umanità di Prometeo e la disumanità o antiumanità di Zeus.

Ovviamente bisogna intendersi sulla disumanità di Zeus, poiché qui si ha a che fare con una divinità che presume di compiere un atto di giustizia nei confronti del consesso divino, cioè nei confronti delle esigenze di un ordine superiore, sovratemporale, a quello umano, come può essere superiore, nell'etica hegeliana, lo Stato alla società civile o all'individuo singolo (quest'ultimo, al di fuori della società, veniva addirittura considerato da Hegel come una mera astrazione).

Efesto incatena Prometeo alla rupe caucasica con la consapevolezza che non si può violare l'ordine costituito, cioè incatena in quanto politico conservatore, anche se non vorrebbe farlo come uomo. Egli quindi rispetta la ragion di stato. Sarà poi la stesura del Prometeo liberato, andata perduta, che indurrà Eschilo (525-456 a.C.) a fare di Efesto il liberatore di Prometeo con la conseguente riconciliazione di quest'ultimo con Zeus e l'accesso all'Olimpo.

L'accusa che nel Prometeo incatenato Efesto muove a Prometeo è quella ufficiale per cui questi è stato da Zeus condannato e che si pone a un duplice livello, politico e culturale: ha diffuso la conoscenza scientifica tra gli uomini, mettendoli in condizione di pervenire all'ateismo. Tale conoscenza peraltro aumenta la democrazia sociale e quindi la possibile contestazione dell'aristocrazia guerriera e latifondista rappresentata da Zeus, il quale è "dio" della classe nobiliare, la quale appunto si serve della religione come di uno strumento di potere.

Prometeo in origine era un ateo naturalistico, un uomo primitivo del tutto dipendente dalle forze della natura. Qui invece appare come un uomo civilizzato dalla cultura greca, che vuol far diventare gli uomini irreligiosi, diffondendo loro una conoscenza scientifica e tecnologica. E' odiato da Zeus due volte, come primitivo conforme a natura e come civilizzato "borghese". Ruba il fuoco perché ateo e vuole promuovere l'ateismo proprio rubando il fuoco. Il segreto della metallurgia viene equiparato a una minaccia di insubordinazione antipolitica e quindi antireligiosa.

Potere (servo di Zeus) afferma chiaramente che l'esistenza degli dèi suppone l'assenza di libertà per gli uomini, in quanto la libertà è strettamente connessa al potere e solo chi ne dispone al massimo livello è davvero libero, quindi solo Zeus lo è. Tutti gli altri sono liberi in quanto si riconoscono in questa situazione e la accettano come un destino o una necessità che li sovrasta.

Il dono che Prometeo fece agli uomini fu quello che avrebbe permesso loro di rendersi autonomi dalla dipendenza economica e insieme da quella religiosa, che le è strettamente correlata: il dono del fuoco, cioè il dono del lavoro autonomo, indipendente, poiché il fuoco è fonte di trasformazione della materia prima (del ferro in particolare, fonte di supremazia militare e quindi di ricchezza).

D'altra parte sono proprio le caratteristiche degli dèi dell'Olimpo, assai diverse da quelle delle divinità precedenti, che rendono quasi dovuto il sentimento di emancipazione degli uomini. Gli dèi sono tanto più autoritari quanto più gli uomini vorrebbero porsi in maniera autonoma.

Prometeo non fece altro che tirare delle conseguenze logiche. Gli uomini, per potersi difendere da queste divinità bellicose hanno bisogno di maggiori poteri. "Zeus domina con nuovi poteri, oltre ogni legge", canta il coro delle Oceanine. Cioè il suo dominio somiglia molto da vicino a quello di una monarchia assoluta, che non deve rendere conto ai suoi pari né ad alcuna legge scritta; solo al fato deve sottomettersi, ma il fato è imperscrutabile, inaccessibile, totalmente indipendente dalla volontà di chicchessia. In una situazione così "bloccata" agli uomini privi di potere non resta che credere nel fato o nel destino, nella speranza che le sue ragioni siano migliori di quelle dei potenti, uomini o dèi che siano, proiezioni consapevoli, quest'ultimi, della volontà umana di dominio (le classi egemoni) e dell'illusione di potervisi emancipare (classi subordinate), secondo la funzione ambivalente, tipica di ogni religione.

Eschilo infatti fa dire a un Prometeo illuso che il destino di Zeus è segnato: verrà sconfitto da un altro (un suo figlio) più potente di lui. "Un giorno egli sarà spezzato e ammansito... vorrà con me legarsi d'amicizia".

Molto interessante è la descrizione della lotta tra Zeus e i Titani. Da questa lotta non emerse un vincitore soltanto, ma ben tre: Zeus dominava il cielo, Poseidone il mare e Ade l'aldilà. Mare e terra venivano distinti, per cui Zeus non aveva potere sugli uomini quando costoro si avventuravano sul mare.

Una lotta che presumibilmente rifletteva un periodo in cui le polis si combattevano tra loro, qui simboleggiato dalla contesa tra i monti Olimpo e Otride, finché una triade ebbe la meglio, e di queste polis una, è da presumere, doveva essere posta ai confini dell'impero, l'altra dominava la terra e la terza il mare.

Prometeo fa chiaramente capire che alla fine di questa lotta fratricida vinsero non i più forti (i Titani), ma i più astuti (i figli di Crono). E' dunque probabile che le prime civiltà si basassero unicamente sul concetto di forza militare, senza possedere elevata cultura o capacità commerciale. E non è da escludere che la forza di queste civiltà sia stata esagerata dalle civiltà successive, risultate vincenti.

Sotto questo aspetto è anche possibile che la lotta tra gli dèi sia il riflesso di una lotta tra civiltà molto diverse nell'uso degli strumenti di lavoro (da quelli tecnologici fino alle forze schiavili, inclusa ovviamente la lavorazione della terra), e che alla fine siano risultate vincenti quelle capaci di piegare meglio le esigenze della morale a quelle della forza e del potere politico. In questa capacità di strumentalizzazione, di manipolazione ideologica, in questa progressiva falsificazione delle cose è emersa la superiorità della civiltà greca (minoico-micenea).

Non sarebbe quindi strano pensare che in origine la guerra fosse p.es. tra popoli mediterranei e popoli di origine asiatica o caucasica (sciti, sarmati...), oppure, più semplicemente, tra la civiltà cretese e quella micenea. E' lo stesso Eschilo (vissuto tra il 525 e il 456 a.C.) che, per bocca di Prometeo, fa l'elenco delle popolazioni sconfitte dai greci: gli uomini dell'occidente (in riferimento alla parte ovest del Mediterraneo, quindi in sostanza all'Africa, ma anche alle popolazioni italiche preromane), l'Asia santa (dal fiume Don all'Indo e al Nilo (1)), la società matriarcale o delle "guerriere vergini" della Colchide (antica regione sul mar Nero, tra il Caucaso e l'Armenia), la schiera scita, nomade, delle lagune di Meotide (antico nome del mar d'Azov, dunque golfo della Sarmazia a nord del Ponto Eusino o mar Nero, abitato dalle Amazzoni), gli Arabi lungo il Caucaso, i selvaggi Calibi (popolo dell'Asia Minore).

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Prometeo, in questa lotta, pur essendo inizialmente schierato, per ragioni di appartenenza etnica, con i Titani (2), comprese che costoro non sarebbero mai riusciti a vincere, semplicemente perché la loro organizzazione intorno al concetto di "forza" era troppo primitiva, troppo estranea al concetto di "astuzia intelligente" (metis), per cui lui scelse di stare dalla parte di Zeus.

La differenza che Prometeo pone tra sé e Zeus è che questi, dopo la vittoria, non voleva riconoscere alcun diritto agli uomini, cioè al popolo lavoratore (barbaro), che era stato ereditato vincendo i Titani e che Zeus avrebbe voluto - dice Prometeo con enfasi - sterminare o schiavizzare.

Prometeo sembra riferirsi a una volontà egemonica che gli appariva eccessiva, ingiustificata. In quanto titano egli sembra esprimere un senso di umanità superiore a quello di Zeus, probabilmente perché più originario, meno contaminato dai conflitti di classe, dallo sviluppo della proprietà privata terriera. Dal rapporto di compromesso tra Titani e la triade di Zeus, Poseidone e Ade, Prometeo finisce col distribuire, col consenso degli dèi dell'Olimpo, le risorse e i privilegi tra i vincitori e i perdenti, un tempo, prima della guerra, uniti attorno a una stessa mensa imbandita. Questo viene confermato nella Teogonia di Esiodo.

Dopo la vittoria di Zeus (il greco), Prometeo (il barbaro scita) fu costretto ad adeguarsi alla sua volontà, nella speranza che i Titani e i popoli che vivevano con loro potessero un giorno emanciparsi. Tuttavia i vincitori della guerra preferivano usarli come soggetti colonizzati, senza alcun diritto, e fu a questo punto che Prometeo ricusò il patto stipulato con Zeus, aiutando i mortali a rendersi indipendenti, dapprima infondendo loro l'esigenza di un riscatto, poi organizzandoli attorno all'idea di edificare una civiltà con gli stessi mezzi della civiltà che li aveva sconfitti e che li teneva oppressi. E diede loro le conoscenze per usare al meglio il fuoco, cioè diede loro i segreti dell'artigianato più avanzato, che avrebbe garantito il benessere economico e la liberazione da ogni servitù, inclusa quella religiosa.

Oceano è l'altro Titano che, dopo la fine della guerra, comprese le ragioni di Prometeo. Ora però gli chiede di adattarsi alla nuova monarchia, prendendo atto della mutata situazione. Si ricordi che il primo forte accentramento di carattere fondiario a favore della nobiltà si verifica nel mondo ellenico tra l'VIII e il VII secolo.

Poiché si sente tradito dalle promesse di Zeus, Prometeo declina l'offerta, nella convinzione che la sconfitta è solo temporanea e che un giorno la nuova monarchia verrà abbattuta.

D'altra parte - egli spiega a Oceano - non è possibile una riconciliazione con Zeus e le altre divinità alleate, poiché tutti l'avevano tradito assicurandogli all'inizio che le popolazioni sconfitte avrebbero avuto un trattamento equo.

Prometeo ebbe pietà dei mortali perché li vedeva vittime delle circostanze, soggetti a eventi non decisi da loro e ai quali, per incoscienza o inettitudine, non avevano saputo reagire. A questa gente egli volle dare "pensiero e coscienza" e anche la capacità di vivere una vita più dignitosa, più produttiva, insegnando loro le arti e i mestieri che lui aveva appreso dalla civiltà greca.

Prometeo aveva dovuto riconoscere che la civiltà ellenica era tecnologicamente, culturalmente di molto superiore a quelle civiltà che vivevano ai confini del Mediterraneo. Ma aveva anche capito che questa superiorità non si traduceva, di per sé, in un'occasione di crescita per le popolazioni sottomesse o sconfitte.

Dunque Prometeo è colui che ama sì i mortali "oltre misura", ma solo per farli diventare come i dominatori. Lui offre loro la civiltà mercantile-artigianale che vuole emanciparsi da quella terriera dei nobili latifondisti. Si tratta di una forma di ricchezza materiale contro un'altra forma: non è un ritorno alla natura e al comunismo primordiale. D'altra parte se ci fosse stato questo ritorno, la trilogia non avrebbe potuto concludersi con la liberazione di Prometeo, previa la riconciliazione con Zeus, il quale forse aveva bisogno delle forze d'origine barbarica per combattere i Persiani di Serse.

Tra queste popolazioni le donne (rappresentate qui da Io) risultavano le più oppresse, perché se gli uomini erano schiavizzati da altri uomini, le donne lo erano due volte. Zeus, anche in questo caso, rappresenta il potere che vuole strumentalizzare a suo piacere la figura femminile.

Prometeo non vede un futuro, nel Mediterraneo, per le donne e consiglia a Io di andare o verso oriente, verso l'Asia, oltre il Bosforo (lontane anche dalle civiltà mediorientali), oppure in Africa, oltre il Nilo, cioè di là dalla civiltà egizia.

Prometeo cerca di spiegare, con linguaggio oscuro, a Io che il potere di Zeus verrà superato e sarà ripristinato il senso di umanità solo quando i valori femminili prevarranno sull'antagonismo maschile. Solo così Zeus capirà la differenza tra "servire" e "regnare".

E' a questo punto che entra in scena Ermes, messaggero di Zeus, che annuncia a Prometeo una ulteriore sevizia da parte di Zeus: un rapace, figlio di Tifone, verrà a rodergli il fegato (sede del coraggio) in eterno, finché un altro dio non vorrà sostituirlo o lui non vorrà scendere nell'Ade per essere definitivamente dimenticato.

Una leggenda posteriore permetterà anche a Zeus di fare un dono agli uomini: quello del vaso di Pandora, pieno di sventure, eccetto una, simboleggiata dalla speranza. In questa maniera gli uomini dovranno credere che le disgrazie della loro vita non dipendono da loro stessi, ma dal destino e quindi esse sono inevitabili, e nel contempo dovranno limitarsi a sopportarle, illudendosi di poter migliorare nel futuro la loro condizione.


1 L'Asia interna, la Siberia, la Cina e l'estremo oriente furono ignote all'Europa fino al Medioevo. Asia è anche il nome di una provincia romana costituitasi intorno al 133 a.C. in un'area dell'odierna Turchia.

2 Prometeo era di stirpe regale o aristocratica, un uranide, figlio del titano Giapeto (a sua volta figlio di Urano e di Gea), gettato nel Tartaro da Zeus, e di Asia o Climene (a sua volta figlia di Oceano e di Teti). Prometeo aveva dunque Crono come zio e Zeus come cugino. I suoi fratelli erano:

La leggenda che vede in Prometeo il creatore del primo essere umano, con l'aiuto di Pallade Atena, va considerata come un tentativo mistificatorio compiuto dalle classi aristocratiche per rabbonirsi quelle marginali.

Figli di Prometeo furono Asia e Deucalione, quest'ultimo re della Tessaglia, l'unico che insieme alla moglie Pirra meritarono, secondo Zeus, d'essere salvati dal diluvio universale.


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Prometeo

 Prometeo legato alla colonna con Atlante che regge il cielo (VI sec. a.C., Musei Vaticani) Prometeo, di Piero di Cosimo (Alte Pinakothek di Monaco) Prometeo che modello l'uomo di creta (III sec. a.C.)

Zeus

Zeus o Poseidone dell'Artemision (Museo Nazionale di Atene) Testa di Giove, divinità di origine etrusca identificata dai romani con Zeus Moneta d'argento con testa di Giove, fatta coniare da Pirro Zeus con attributo dell'aquila (IV sec. a.C., museo del Louvre)

Lavoratori, schiavi e donne

Fucina di fabbro (vaso greco del VI sec. a.C.) Schiavi impiegati nelle miniere Donne che prendono acqua a una fonte


Commento storico-esoterico di derivazione islamica all'Agamennone e al Prometeo di Eschilo


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 17/11/2012