STORIA ROMANA


I DUE DESTINI DELL'IMPERO ROMANO

Antefatto

A partire dal II secolo a.C. Roma aveva intrapreso un’opera di conquista e incorporamento nei propri domini delle regioni greco-macedoni e di quelle vicino-orientali (queste ultime peraltro, da secoli oramai ellenizzate) che aveva determinato l’incontro di due tradizioni molto differenti tra loro:

  • quella occidentale o latina, caratterizzata da una sostanziale frammentazione politica, ovvero da centri politici indipendenti (municipia), eredi e prosecutori della tradizione delle città-stato classiche (poleis) e gravitanti attorno a un potere statale che col tempo, per forza di cose, divenne sempre più forte;
  • e quella asiatica (già ellenistica e, prima, vicino-orientale) fondamentalmente basata su un governo regio dispotico esercitato ai danni di centri produttivi locali di natura essenzialmente agricola (villaggi) attraverso apparati amministrativi e coercitivi dislocati di solito nei centri urbani.

La società antica era essenzialmente agricola, in quanto priva di una vera e propria produzione industriale, ragion per cui le città vi svolgevano funzioni o amministrative e politiche, o commerciali, legate alla presenza di grandi mercati. Nonostante dunque esse avessero effettivamente anche un ruolo economico, in quanto centri di smistamento delle merci e sedi di quell’insieme di attività (bancarie, creditizie, ecc.) che a esse sono intimamente connesse, rimanevano pur sempre delle realtà fondamentalmente improduttive, data l’esiguità della produzione artigianale e manifatturiera che vi aveva luogo rispetto al volume della produzione complessiva. 1

I centri urbani ebbero un ruolo essenziale nel determinare il destino dell’Impero romano e la differenza tra città occidentali e città orientali fu forse – come presto vedremo – il fattore alla base della diversa evoluzione conosciuta dalle due metà dell’impero a partire dalla crisi del terzo secolo. Proprio per questo è bene soffermarsi preliminarmente sulla differenza di fondo esistente tra Occidente latino e Oriente greco-ellenistico per quanto concerne i centri urbani.

Città latine e città asiatiche

La principale differenza tra città latine e asiatiche fu il fatto che, mentre nelle prime era molto forte la tradizione politica, le altre avevano invece – come già  abbiamo accennato – una natura essenzialmente amministrativa.

I municipi (e prima di essi, le poleis classiche) erano infatti organismi in gran parte autogestiti, nei quali aveva luogo una spietata lotta politica tra fazioni rivali che necessitavano dell’appoggio di una parte quanto più cospicua possibile della popolazione urbana. In ciò si deve vedere la radice del fenomeno (molto diffuso nel mondo occidentale antico) del clientelismo, fenomeno che comportò inevitabilmente la formazione di una vasta classe parassitaria che viveva dei favori di uomini ricchi e potenti, che ricompensava appunto con la propria fedeltà politica.

Le città occidentali ebbero quindi, sin dal periodo tardo-repubblicano, un carattere spiccatamente parassitario rispetto alle campagne, essendo abitate sia da rentier (proprietari terrieri) più o meno ricchi, sia da una plebe senza proprietà e senza lavoro, la cui vita dipendeva in gran parte dalla munificenza interessata dei primi. Tutto ciò gravava ovviamente sulle spalle delle campagne circostanti e quindi indirettamente degli schiavi che vi lavoravano, cui era in sostanza delegato il compito di alimentare tanto la massa dei liberi cittadini (patrizi e plebei) quanto l’esosa macchina dello stato.

È anche vero, d’altra parte, che la formazione (anche attraverso tali meccanismi di carattere clientelare) di una vasta classe media di piccoli e medi proprietari terrieri, liberi dal bisogno di lavorare e dediti ad attività ‘superiori’, costituì uno degli aspetti più interessanti e peculiari del mondo latino – e, prima che di esso, di quello greco classico. Proprio in tali classi medie infatti si può trovare una, se non la principale scaturigine di fenomeni culturali tipicamente europei come la filosofia e il teatro.

Al contrario in Oriente (ovvero nelle regioni del mondo ellenistico: dalla Macedonia fino agli estremi limiti orientali dell’Impero) la vita civile ebbe, da molto prima peraltro della conquista romana, un carattere molto meno dispersivo e anarchico, in quanto fu maggiormente disciplinata dall’alto, dai poteri del sovrano e della corte. La vita dei centri urbani ebbe qui, più che un carattere politico, un carattere amministrativo, oltre che chiaramente (come del resto nelle regioni occidentali, seppure con maggiore intensità) commerciale e in parte produttivo (a volte addirittura semi-industriale).

Insomma, la vita urbana delle regioni orientali fu caratterizzata da maggiore morigeratezza ed efficienza, nonché da maggiore laboriosità, mentre d’altro canto la gran parte della popolazione di tali zone viveva in condizione semi-servile nelle campagne dove era impiegata nei lavori agricoli. 2

Queste due diverse e opposte tradizioni urbane (e non solo) costituiscono forse la chiave – senza dubbio una delle chiavi – per comprendere i due diversi destini dell’Impero romano, laddove l’Occidente conobbe una trasformazione in senso sempre più feudale e politicamente anarchico a causa del graduale smantellamento degli apparati statali, mentre l’Oriente bizantino mantenne più solide le proprie fondamenta amministrative e in un grado notevole la propria prosperità economica.

Le due “strade”

a) l’Occidente

Come si è detto, la parte occidentale dell’Impero, conquistando quella orientale, era riuscita a costituire (nonostante le diversità strutturali appena delineate) una entità politica ed economica vastissima e fortemente interconnessa. L’impero era insomma un super-stato composto da regioni differenti per clima e tradizioni, ma accomunate tra loro da un destino pressoché unitario.

Le guerre erano la vera fonte di ricchezza di questo super-stato: ciò attraverso cui esso si arricchiva sia di nuove terre che – e forse soprattutto – di nuovi schiavi, risorse indispensabili per l’incremento o comunque il mantenimento dei suoi alti livelli di produzione e di benessere. Soprattutto in conseguenza delle guerre difatti, gli schiavi affluivano in grande quantità entro i confini dell’Impero, sui cui mercati potevano essere poi smerciati a prezzi contenuti, diventando così – soprattutto nelle regioni occidentali – il principale strumento produttivo un po’ in tutti i settori economici, e prima di tutto in quello agricolo. L’economia imperiale fu quindi –  in particolare, è bene ripeterlo, nelle zone occidentali – un’economia fondamentalmente schiavile!

Proprio per questo la tendenza – avviatasi già sotto Augusto e consolidatasi col tempo per ragioni di forza maggiore – a frenare il processo di espansione territoriale ebbe effetti devastanti sull’economia dell’Impero. Il fatto che esso non avesse più le energie materiali necessarie a portare avanti all’infinito la propria opera di espansione difatti, determinò una carenza sempre maggiore di forza-lavoro schiavile, con conseguenze sempre più pesanti sia sul benessere dell’economia complessiva dell’Impero che su quello di quei ceti relativamente ristretti (i ceti “politici” e urbani di cui si è parlato prima) che da esso traevano i maggiori vantaggi.

In sovramercato poi, col tempo si accrebbero anche le esigenze dello stato centrale, a causa della crescita costante sia degli eserciti (la cui funzione però divenne vieppiù il mantenimento anziché l’espansione dei confini) che di apparati burocratici sempre più articolati e onerosi.

Insomma, lo stato aveva sempre maggiore bisogno di soldi per mantenere se stesso, essendo costretto al tempo stesso a rinunciare in maniera crescente a quelle attività espansive che ne garantivano la prosperità. Da tali fattori ebbe avvio quel lungo processo di decadenza che secoli più tardi sarebbe in buona sostanza culminato, almeno in Occidente, nella scomparsa delle città e dello stato, ovvero nella ruralizzazione della vita economica e sociale.

Difatti, le realtà che risentirono maggiormente di questo andamento negativo furono proprio le città. Ciò perché esso rese sempre più difficile alle campagne la produzione del surplus necessario a mantenerne il dispendioso stile di vita e ad alimentarne i commerci. I centri urbani tuttavia, come si è già detto, oltre che organismi sostanzialmente improduttivi, in quanto sede di quelle classi che dall’Impero traevano i maggiori vantaggi, ne erano anche il principale sostegno politico e ideologico.

Presto divenne chiara la tendenza allo spopolamento dei centri urbani, spopolamento dovuto sia al declino dei traffici e delle attività a essi connesse sia, più in generale, alla maggiore difficoltà di gran parte dei loro abitanti (dal popolino alle classi medie) a mantenere i propri precedenti standard di vita. Sempre più persone fuggivano ora verso le campagne, in particolare nelle tenute dei grandi proprietari terrieri, alla ricerca di protezione e sostegno contro una dilagante povertà, alimentata peraltro non solo dalla penuria di beni ma anche da una pressione fiscale sempre più spietata (in gran parte conseguenza della prima).

A tutto ciò cercarono ovviamente di opporsi gli imperatori. Ma l’unico rimedio che riuscirono a escogitare, fu quello di inaugurare una serie di misure restrittive delle tradizionali libertà civiche occidentali (delle quali i popoli latini andavano peraltro fieri, in quanto elementi di distinzione rispetto agli stili di vita delle popolazioni orientali) quali l’obbligo per gli abitanti delle città di trasmettere il mestiere di padre in figlio (sistema delle caste).

È tuttavia chiaro come tali misure, lungi dal costituire una vera e propria soluzione del problema di fondo che affliggeva l’Impero, in particolare la sua metà occidentale, fossero un maldestro tentativo di tamponarne gli effetti.

Non basta quindi osservare come l’evoluzione di natura dispotica del mondo latino avvicinasse sempre di più quest’ultimo al suoi vicini asiatici. Vi era difatti tra queste due compagini anche una profonda differenza: in Occidente, tali misure autoritarie erano essenzialmente il frutto della disperazione e del bisogno e non erano inoltre supportate da una cultura e da un’organizzazione economico-politica (quale quella delle zone orientali) atte a sostenerle. Esse furono insomma un tentativo estremo e, almeno sui tempi lunghi, del tutto inefficace, di dare una risposta alle contraddizioni profonde e inguaribili del sistema.

b) l’Oriente

Differente era la situazione delle regioni orientali. In esse infatti l’economia aveva da sempre un carattere prevalentemente servile, piuttosto che schiavile. Ciò perché la maggior parte della popolazione non solo era impiegata in attività agricole ma viveva anche in condizioni estremamente dure, che potremmo definire un po’ enfaticamente “servaggio di stato”, mentre d’altra parte le fasce improduttive ovvero urbane della popolazione (funzionari, mercanti, ecc.) erano decisamente meno cospicue rispetto al mondo occidentale. Gli asiatici non vivevano insomma, come invece la gran massa dei cittadini latini, del lavoro dei propri schiavi (quando non addirittura di quello degli schiavi dei loro patroni). Molto più frequentemente invece essi vivevano del proprio lavoro. 3

Il calo del numero degli schiavi quindi, non ebbe nelle zone orientali conseguenze altrettanto drammatiche. Qui perciò l’economia resse meglio il contraccolpo di una tale tendenza.

In più, mentre l’evoluzione dispotica dell’Impero aveva preso in contropiede i cittadini occidentali, incapaci anche per ragioni di ordine psicologico di accettarla, non aveva invece leso a fondo né gli animi né il sistema di vita delle popolazioni asiatiche, abituate da secoli a simili sistemi di governo.

Sia sul piano economico che su quello culturale e politico quindi, queste ultime sopportarono decisamente meglio le conseguenze della trasformazione dell’Impero appena descritta. Già con Diocleziano iniziò allora a delinearsi una divisione istituzionale dell’Impero in due parti di eguale dignità, l’una asiatica e l’altra occidentale, che preludeva al processo di ascesa politica e militare della prima a spese della sua antica dominatrice.

La maggiore solidità della parte orientale dell’Impero infine, permise spesso a essa di neutralizzare gli attacchi delle tribù barbare confinanti (soprattutto gote), cosa che fece alle volte assorbendole all’interno dei quadri della propria ancora solida compagine istituzionale, altre volte deviandone con danaro e favori le razzie e le mire espansionistiche verso l’Occidente. I barbari quindi, pur entrando effettivamente a fare parte (anche ad altissimi livelli) dello stato romano orientale (ora bizantino), non sortirono comunque l’effetto di indebolirlo sensibilmente. Più semplicemente, spesso, si sostituirono o si affiancarono alle classi di potere più antiche condividendone le prerogative, ma rispettando fondamentalmente le leggi dello stato ospitante.

Il destino dell’Europa

Nel quinto secolo oramai la differenza era palese. Se l’Oriente era ancora padrone di se stesso, essendo in gran parte riuscito ad assimilare i barbari al proprio interno, l’Occidente invece era diviso tra diversi regni romano-barbarici: era cioè caduto nelle mani di orde barbariche che lo avevano invaso e se lo erano “spartito”. Lo stato occidentale infatti non aveva avuto la forza di opporsi efficacemente alla loro opera di razzia e di conquista, perché troppo indebolito dalla mancanza dei mezzi necessari a sostenere i suoi eserciti e i suoi apparati. I barbari avevano così inferto un ulteriore colpo all’organismo già vacillante e debilitato dell’Impero occidentale.

Ma sarebbe davvero troppo semplicistico credere che l’apporto dato da tali popolazioni alla vita della società romana fosse puramente negativo, soprattutto qualora si considerino zone come l’Italia o la Francia. I barbari infatti, consapevoli di essere portatori di una civiltà più primitiva, cercarono in qualche modo – seppure da conquistatori e con profonde cautele – di conservare le strutture portanti dell’antica civiltà romana. Certo, essi sconvolsero e indebolirono tale società. Basti pensare, a questo riguardo, al fatto che sotto la loro amministrazione essa fu divisa in due settori: quello delle popolazioni conquistatrici e dominatrici, che vivevano ancora in base ai loro codici tribali (del tutto estranei alla tradizione civica romana), e quello delle popolazioni latine sottomesse, cui fu invece concesso di governarsi secondo le proprie tradizioni giuridiche.

Ma non bisogna nemmeno dimenticare che la maggior parte dei nuovi sovrani giurarono fedeltà all’Imperatore di Bisanzio e soprattutto che, almeno in un certo grado, cercarono di mantenere vive le relazioni politiche e commerciali con la metà orientale dell’Impero, attraverso la grande via del Mediterraneo. Per merito loro, quindi, lo stato e le città conobbero spesso tra quinto e ottavo secolo una sorta di ripresa, o comunque una breve dilazione rispetto al tracollo che sarebbe avvenuto poco più tardi, con la nascita della società feudale vera e propria.

In alcune regioni in effetti, in particolare in quelle più settentrionali e periferiche dell’Impero, i barbari tesero a distruggere i centri urbani e a ripristinare la vita rurale (e tribale) dei periodi precedenti alla conquista romana. Né la cosa deve stupire. Tali zone difatti erano state strappate loro dai romani con la forza. In questo modo dunque, essi non facevano che riportarle alle loro antiche origini. Ma in Italia, ad esempio, il “barbaro” Teodorico istituì uno stato misto romano-barbarico che brillò per efficienza amministrativa, per una brillante vita intellettuale e per una rinascita dei traffici commerciali (dovuta al mantenimento da parte della nuova amministrazione di vie di transito più sicure). E lo stesso si può dire della monarchia capetingia in Francia.

Come ricorda lo storico belga Henri Pirenne nel suo libro Maometto e Carlomagno, per molto tempo anche sotto i Barbari, fino cioè al dilagare della marea musulmana, l’antica unità mediterranea che era stata alla base dell’Impero romano e che si era tradotta in una notevole facilità di spostamento delle merci e di comunicazione tra diverse regioni e culture, continuò a sussistere – e tutto ciò paradossalmente, almeno in Occidente, più per merito dei conquistatori che degli antichi abitanti latini!

Sempre secondo Pirenne, la vera e propria rottura dell’unità mediterranea e il conseguente ripiegamento della vita sociale dell’Europa all’interno dei propri confini, avvenne solo tra il settimo e l’ottavo secolo, periodo nel quale i musulmani resero impossibile, con la propria presenza in molte regioni prima cristiane, una comunicazione costante tra la metà occidentale (da essi in gran parte occupata) e la metà asiatica (essenzialmente bizantina) del mondo Mediterraneo.

Secondo lo storico belga, fu proprio una tale rottura a determinare in Occidente il collasso definitivo dei traffici e delle città, un fatto che diede al processo di contrazione latifondistica dell’economia, già in avanzamento da alcuni secoli, un’ulteriore e potente spinta in avanti. Fu difatti in tale periodo – simbolicamente inaugurato dall’incoronazione nell’anno 800 di Carlo Magno a sacro-romano imperatore – che ebbe inizio il Medioevo propriamente detto. Ma se le città europee scomparirono definitivamente come sedi dei mercati e delle attività amministrative solo in tali anni, le tradizioni civiche del periodo latino classico erano pressoché scomparse oramai da tempo, da quando cioè nel terzo secolo dopo Cristo lo stato romano aveva iniziato a stringere la sua morsa dispotica sulla vita della società civile.

Alcune date

  • 146 a.C. - Distruzione di Cartagine – Roma scioglie le Leghe greche e rade al suolo Corinto: inizio dell’espansione mediterranea
  • 58 a.C. - Cesare dà inizio alla conquista della Gallia (terminata nel 51 a.C.): unendo per la prima volta Europa mediterranea e Europa continentale, egli pone i semi della moderna civiltà europea
  • 31 a.C. - Vittoria di Ottaviano su Antonio ad Azio: nascita ‘ufficiale’ dell’Impero romano e inizio dell’espansione di Roma nel mondo ellenistico
  • 285 d.C. - Diocleziano divide l’Impero tra una zona orientale (la sua) e una occidentale (affidata al suo vice, Massimino): una separazione che col tempo diventerà sempre più radicale
  • 313 d.C. - Costantino promulga l’Editto di Milano, con cui concede la libertà di culto ai cristiani e più in generale afferma la neutralità dell'Impero nei confronti di ogni fede
  • 380 d.C. - Teodosio promulga l’Editto di Tessalonica, con cui il cristianesimo diventa religione di stato
  • 476 d.C. - Il generale barbaro Odoacre depone Romolo Augusto, ultimo imperatore romano d’Occidente
  • 493-526 d.C. - Il generale ostrogoto Teodorico è re d’Italia

Bibliografia

Note

1 La produzione artigiana non era esclusiva delle città, al contrario essa era praticata anche nelle campagne, dove era parte di una diffusa tendenza all’autoconsumo. Le manifatture invece furono effettivamente diffuse soprattutto nelle città, in particolare in quelle dell’area vicino-orientale, nella quale erano state introdotte dai sovrani dell’Egitto tolemaico (periodo ellenistico).

2 La laboriosità tipica delle popolazioni vicino-orientali, che agli occhi di noi moderni non può che suscitare ammirazione, fu invece oggetto di profondo disprezzo da parte dei latini, che difatti consideravano tali popoli servili e inferiori. Un tale sentimento di superiorità del resto, aveva radici molto antiche, nel periodo cioè delle Guerre persiane, a partire dalle quali nacque e si consolidò la contrapposizione ideologica tra libere città-stato (greche) e grandi regni orientali.

3 Piuttosto, è da notare come l’economia di alcune importanti città orientali, come ad esempio Cherson (sul Mar Nero), si basasse in gran parte sull’approvvigionamento di manodopera schiavile destinata ai mercati delle regioni occidentali.

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Adriano Torricelli


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014