STORIA ROMANA


Esercito e Generali al tempo della Roma antica

Al tempo dei primi grandi generali romani, come Mario, Silla, Pompeo e Cesare, l'esercito continuava a essere riservato ai cittadini, ma, a partire dalla seconda guerra punica, fu abbattuto in misura consistente il livello minimo di censo necessario per essere arruolati nelle legioni: da 11.000 a 4.000 assi, praticamente potevano arruolarsi anche i cittadini quasi poveri.

A dir il vero già Gaio Mario, in occasione della guerra giugurtina (111-105 a.C.), aveva deciso di arruolare nella legione anche i volontari di estrazione proletaria.

D'altra parte le continue guerre avevano prodotto una crescente proletarizzazione dei ceti contadini tradizionali e una loro conseguente urbanizzazione, senza considerare che i ceti più abbienti tendevano a sottrarsi alla leva, in quanto le esigenze della politica estera prevedevano sui campi di battaglia decine di migliaia di uomini per molti anni di seguito.

Gruppo di pretoriani (Museo del Louvre, Parigi)

Già ai tempi di Mario e Silla era apparso molto chiaro che eserciti di grandi dimensioni avevano bisogno di comandanti sperimentati, mossi da ambizioni non solo militari ma anche politiche. E questa esigenza determinerà, con Cesare e soprattutto con Augusto, la nascita di istituzioni politiche propriamente imperiali.

Lo stesso soldato, non potendo contare su fortune personali, tendeva progressivamente a fare della guerra una professione e a considerare come punto di riferimento il proprio generale e non più il governo cittadino, ovviamente sempre nella speranza di poter un giorno tornare a vivere su un pezzo di terra godendosi la meritata pensione.

Gli stessi generali favorirono così tanto i loro veterani da finire col rompere i rapporti col senato. Cesare arrivò persino a insediarli stabilmente nelle province e anche Ottaviano sfruttò nella stessa maniera le terre conquistate in Egitto.

Fu soprattutto la concessione della cittadinanza agli italici dopo la guerra sociale del 90-88 a.C. che permise di soddisfare tutte le maggiori esigenze delle grandi compagne militari di Silla, Pompeo, Cesare, Antonio e Ottaviano. Alla fine delle guerre civili le legioni erano diventate più di 50 e ognuna di esse disponeva di circa 6.000 uomini (praticamente il 10% della popolazione italiana, al tempo di Augusto, era sotto le armi).

A partire da Augusto l'imperatore era diventato il capo supremo di tutti gli eserciti e ben difficilmente un generale vittorioso avrebbe potuto aspirare a un dominio anche politico.

Senonché proprio sotto Augusto si abbandonò la politica di conquista, preferendo fare dell'impero un organismo chiuso da frontiere, diviso dal mondo esterno.

Quanto, in questa decisione di Augusto, di limitarsi a consolidare le conquiste già realizzate, contribuì la disfatta di alcune sue legioni nelle campagne germaniche, è facile capirlo, e la storia politico-militare dell'impero, d'altra parte, gli dette ragione, visto che il suo ordinamento rimase in vigore sino al III secolo.

Egli, nello stesso tempo, ridusse le legioni a 28 (divenute poi 25 dopo la disfatta di Teutoburgo), le stanziò stabilmente nelle province e istituì un tesoro militare con cui pagare, in denaro o in terre, i premi di congedo.

L'area geografica di reclutamento delle legioni si era estesa alle stesse province, tanto che alla fine del II sec. solo una minoranza di legionari proveniva dall'Italia.

E il legionario, considerando la precarietà in cui vivevano tanti strati sociali nell'Italia imperiale, non se la passava male: è vero che doveva restare sotto le armi per un periodo molto lungo (anche fino a 28 anni), ma è pur vero che percepiva una paga annuale di 200 denari, godeva di un prestigio sociale indiscusso e di una sicurezza che andava ben oltre il periodo di leva.

Di regola non poteva sposarsi, però poteva vivere con una o più donne (almeno a partire da Settimio Severo), da cui poteva avere dei figli, benché solo il legionario fruiva della cittadinanza romana. I figli di queste unioni di fatto potevano essere legittimati secondo il "diritto delle genti", per cui potevano anche ereditare, se pagavano una tassa del 5% sull'eredità.

In ogni caso, una volta andato in congedo, al legionario veniva data facoltà di legittimare una delle unioni contratte durante il servizio militare. In tal caso i figli ricevevano la cittadinanza romana, ma solo se nati dopo il riconoscimento. Gli stessi soldati, privi di tale cittadinanza, l'acquistavano in automatico al momento del congedo.

Nei primi secoli dell'impero i legionari erano almeno 160.000, e altrettanti gli ausiliari, su una popolazione di circa 50 milioni di abitanti.

Ogni soldato, a qualunque grado appartenesse, era libero di venerare i propri dèi, specie a partire dal momento in cui il reclutamento avveniva su base locale, per aree geografiche (da Adriano in poi), e il soldato poteva vivere, di regola, là dove era stato arruolato.

Tuttavia, ogni soldato era tenuto a prestare un certo culto anche all'imperatore, il che era un ostacolo insormontabile a quanti professavano religioni ebraico-cristiane. Solo nel 314 il concilio di Arles tolse ufficialmente ai cristiani il divieto di servizio nell'esercito pagano.


L'epoca della falange
La struttura tattica manipolare
Le truppe ausiliarie
L'esercito barbarico
La disfatta di Teutoburgo
L'accampamento militare
Enrico Galavotti

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014