STORIA ROMANA


IL TRAMONTO DELL'OLIGARCHIA SENATORIA

a) Introduzione

Erede immediato della politica dei Gracchi e del loro partito è Gaio Mario, un uomo la cui figura pubblica è indissolubilmente legata a quella dell'esercito.

La sua vicenda politica è densa di incoerenze. Egli è infatti fondamentalmente un demagogo, un uomo che 'si è fatto da sé' (da cui l'espressione, che lo stigmatizza, di 'homo novus'), sfruttando ogni occasione buona per elevarsi, attraverso i propri meriti militari, fino al rango senatorio e diventare - lui, che pure proviene da una famiglia equestre - il politico più in vista di Roma.

Rispetto ai Gracchi (figure di impronta rivoluzionaria e idealista) egli ci appare decisamente più pragmatico e realista.

Mario, Museo Vaticano

D'altronde il suo rapporto con le masse popolari è più che altro strumentale, come dimostra il fatto che quando avrà bisogno di farlo, non tarderà a tradire la loro causa!

Nonostante ciò, Mario è comunque un uomo ostile al Senato e alle vecchie istituzioni politiche, che come tale darà un grosso contributo al loro indebolimento.

Per questa ragione può essere considerato un democratico, erede della linea ideologica e politica dei Gracchi.

b) La guerra numidica e la conquista del potere

La carriera politica di Mario ha inizio nel 107, quando egli viene eletto console e trasferito in Numidia, per portare avanti la guerra contro Giugurta, al posto del patrizio Metello.

Giugurta è il re della Numidia, lo stato a cui Roma, alla fine della guerra contro Cartagine, aveva assegnato il compito di presidiare le sue nuove conquiste africane, ed è figlio di Massinissa, il precedente sovrano.

Appare necessario ora riassumere brevemente gli eventi che precedono l'azione di Mario.

Le ragioni della ritrosia del Senato a impegnarsi direttamente in Africa stanno probabilmente nella decisa volontà senatoria di non ampliare i confini territoriali dell'impero, volontà la cui origine sta nella paura di perdere il controllo della situazione a vantaggio delle nuove forze sociali emergenti, quali ad esempio i ceti finanziari e borghesi.

Pur essendo Roma difatti 'padrona' di tali territori, ha preferito affidarne la difesa a Giugurta, uomo di cui si fida (anche per una precedente partecipazione alle campagne romane in Spagna, accanto a Scipione Africano).

Tuttavia nel 112 il sovrano numidico si ribella alla potenza dominante, assediando e distruggendo Cirta, una città abitata da cittadini italici e adibita a scopi commerciali.

A questo punto l'intervento è d'obbligo, anche per la reazione indignata dell'opinione pubblica di Roma. Nel 111 il Senato manda un suo uomo, Metello, a condurre il conflitto. Questi ottiene in due anni dei buoni risultati, ma insufficienti comunque a concludere il conflitto.

Nel 107 l'opposizione anti-senatoria scaglia perciò l'offensiva, proponendo Mario (uomo di origini equestri, anche se vicino agli ambienti nobiliari) come console e generale della guerra in Numidia.

La sequenza di vittorie di Mario - per la verità preparate dalla campagna precedentemente condotta da Metello - è impressionante: in due anni egli riesce a chiudere favorevolmente il conflitto.

Sarà l'inizio della sua brillante carriera politica, alla cui base stanno appunto la gloria militare e il prestigio che ne deriva.

E' d'obbligo a questo punto fare alcune osservazioni su Mario e su Roma.

Prima di tutto bisogna osservare quali sono le innovazioni militari introdotte da Mario, e in secondo luogo le implicazioni di queste sulla struttura sociale romana.

Sul piano militare, Mario dà inizio a una pratica di arruolamento basata, anziché sulle classi di censo (in uso sin dai tempi della monarchia, anche se progressivamente la fascia di censo ammessa nell'esercito si era sempre più estesa includendo un sempre maggior numero di plebei), sulla leva volontaria.

Ad entrare nell'esercito sono principalmente i proletari, e soprattutto i proletari rurali: la maggior parte della plebe urbana infatti sopravvive, come si è detto, attraverso quei rapporti clientelari che sono attuabili soltanto in un contesto cittadino!

Ma lo svilupparsi degli eserciti mercenari o professionali ha anche implicazioni enormi sulla struttura sociale e democratica di Roma.

Se infatti la partecipazione attiva alla guerra era stata salutata dalla plebe del VI secolo come una grande conquista politica, essendo essa segno di considerazione sociale e di partecipazione alla vita della collettività, ora al contrario la riduzione dell'esercito a una mera classe di volontari/mercenari, interessata più che alle implicazioni politiche del proprio ruolo alla semplice paga ricevuta per le proprie prestazioni, è segno (e al tempo stesso determina) di un notevole scollamento di gran parte della popolazione romana dai problemi riguardanti la gestione dello Stato e della collettività.

Insomma, il formarsi di eserciti professionali legati - anche psicologicamente - più al proprio generale che alla collettività, sarà alla base dei futuri sviluppi autoritari della politica repubblicana, che diventerà col tempo sempre più scontro tra poteri personalistici armati!

Sono evidenti in questo i segni della fine imminente della Res-publica, intesa non soltanto come dominio del Senato, ma anche come dimensione cittadina e democratica, quindi popolare.

c) Le guerre contro Teutoni e Cimbri e la politica di Saturnino

Subito dopo la guerra numidica, che gli ha fruttato moltissimi consensi politici, Mario è impegnato in un nuovo conflitto in Provenza e nel nord Italia, per fermare l'avanzata di due popolazioni germaniche: i Teutoni e i Cimbri.

Questa guerra, durata ben 4 anni (dal 104 al 101), vede un ulteriore affermazione del condottiero romano (chiamato tra l'altro dal Senato stesso, vista l'incapacità dei precedenti generali a risolvere la situazione) cui viene riconfermato il consolato per quattro anni di seguito.

Sulla scia dei successi politico-militari di Mario, il tribuno della plebe Lucio Saturnino tenta - tra il 103 e il 100 - un attacco contro l'autorità costituita.

Saturnino propone varie leggi, tutte di matrice popolare e populista, in funzione anti-senatoria:

  • una legge giudiziaria che istituisce un tribunale permanente contro i crimini di tradimento verso lo Stato;
  • una legge frumentaria (per la distribuzione dei viveri nella città) volta a cattivarsi le simpatie della popolazione cittadina;
  • e ben due leggi agrarie (103, 100) per l'assegnazione di terre ai veterani delle campagne di Mario, nei luoghi dove essi hanno combattuto: in Gallia e in Numidia.

Si noti come questo progetto richiami la proposta di Gaio Gracco di fondare colonie romane fuori d'Italia, e costituisca quindi una chiara provocazione per il Senato.

Ma Saturnino commette errori imperdonabili nel valutare la reale disponibilità dei suoi alleati a seguirlo.

La plebe urbana difatti, non contenta perché gelosa dei favori dispensati all'esercito (che si identifica in gran parte con la plebe rurale, spesso italica), non appoggia con eccessivo calore il progetto di assegnazione delle colonie.

Il Senato invece - messo in allarme dalla violenza dei tumulti popolari, alimentati in realtà dallo stesso Saturnino - si affretta a correre ai ripari con misure repressive.

I cavalieri infine, a loro volta in allarme per il timore di una deriva rivoluzionaria che sarebbe destabilizzante per lo Stato e per i loro stessi interessi, abbandonano il partito popolare e si schierano coi senatori.

E sarà proprio Mario - ispiratore della riforma, ma anche figura profondamente ambigua - ad accettare di guidare, su richiesta del Senato, la repressione dei moti popolari, eliminando inoltre lo stesso Saturnino e il suo alleato Glaucia.

d) La questione italica e le guerre sociali

Tuttavia i problemi di Roma non riguardano soltanto la città, ma anche i rapporti con gli alleati (socii) italici.

L'unità politica e militare della penisola ha infatti favorito con gli anni uno sviluppo notevole delle forze produttive e di quelle commerciali, grazie alle guerre ma anche grazie alle opere pubbliche (ad esempio la rete stradale). Accanto agli equestri romani si sviluppa così un ceto equestre italico, che ha stretto spesso col primo rapporti affaristici o ha comunque affinità di vedute e di interessi.

Ma parallelamente cresce anche l'esosità della macchina statale, ovvero le richieste finanziarie e militari della capitale ai centri municipali italici.

Roma in più perdura in un atteggiamento di netta superiorità rispetto ai propri alleati, non concedendo loro - con la sola eccezione della classe nobiliare, alleata nella gestione dei territori sottomessi - molti diritti politici, tra cui la cittadinanza e i vari privilegi a essa legati.

Questa situazione crea profondi attriti, rimasti però fino ad ora (con la sola eccezione di Flegelle, nel 125) ancora inesplosi.

Se il Senato può usare la demagogia nei confronti delle masse romane (le cui aspirazioni politiche non possono oramai più essere ignorate) per allontanare la rivolta sociale, sarebbe costretto a fare concessioni anche alle popolazioni italiche per calmarne gli animi.

Non sempre però vi è tra i senatori una lungimiranza sufficiente per seguire una tale politica. Ne sono esempio le riforme di Licino e Crasso del 95, che ostacolano, anziché agevolarlo, l'accesso degli italici alla cittadinanza romana.

Sulla scia opposta si colloca la riforma di Druso, senatore moderato e illuminato, favorevole a fare concessioni alle nuove classi al fine di rafforzare e conservare il potere senatorio.

Druso propone essenzialmente due riforme:

  • la concessione della cittadinanza agli italici;
  • e l'allargamento del Senato da 300 a 600 membri, con l'inclusione in esso dei ranghi più alti della classe equestre (quelli la cui politica entra meno in dissidio con quella del patriziato romano).

Questa proposta verrà tuttavia bocciata, anche per l'opposizione di molti esponenti della classe dei cavalieri, per nulla favorevoli all'idea di dare voce soltanto a quelli tra loro che abbiano il censo più alto.

Druso viene assassinato nel 91, l'anno stesso della sua tentata riforma.

Ma le sue proposte non hanno mancato di risvegliare le aspirazioni politiche degli italici, i quali l'anno seguente (90) si armano contro la potenza di Roma. E' l'inizio della guerra sociale o guerra italica.

Essa costituisce la terza impresa bellica di Mario, il quale viene chiamato nel 90 per piegare la Federazione italica.

E anche se la sua vittoria non segna la fine del conflitto, che verrà portato a termine da Pompeo Strabone (padre del futuro Pompeo Magno), dal momento che il Senato non gli rinnova l'incarico militare, costituisce comunque il passo decisivo di Roma verso la vittoria.

Al termine della guerra gli Italici saranno costretti ad arrendersi e a consegnare le armi, con la promessa in cambio della cittadinanza romana.

Gli effetti di questa guerra saranno devastanti per Roma per svariati ordini di motivi:

  • le conseguenze destabilizzanti che avrà sulla classe dirigente;
  • i disastrosi riflessi economici (tra l'altro perché - oltre a portare ovunque devastazioni - non comporta, a differenza delle precedenti, alcun bottino e quindi non si autofinanzia) sull'economia della penisola italiana;
  • il momento stesso in cui essa viene combattuta. (Proprio in questo periodo infatti è iniziato il conflitto ai confini orientali dell'impero contro il sovrano del Ponto Mitridate).

1- Il riformismo dei Gracchi
3- Silla, il difensore dell'oligarchia senatoria

Vedi anche Caio Mario

Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014