STORIA ROMANA


Il grande Theodor Mommsen

Dario Lodi

Chi ama storia e letteratura con le iniziali maiuscole, non può fare a meno di leggere Theodor Mommsen (1817-1903). La sua monumentale Storia di Roma è un capolavoro scientifico assoluto, ma è anche un esercizio letterario difficilmente eguagliabile. L’acribia filologica dello studioso tedesco è resa magnifica da un’esposizione semplice, diretta, animata in modo magistrale: si avverte nelle pagine di Mommsen un amore infinito per il sapere. Lo studioso è abbagliato dalla ricerca, dalla possibilità di indagare. S’impegna molto seriamente nel rispetto delle difficoltà nelle conquiste razionali. Del suo capolavoro, la Storia di Roma appunto, esiste un’edizione speciale del Club degli Editori su licenza della Dall’Oglio Editore (1966) curata da Ettore Lepore e tradotta da Luciano Canfora: è un volume, contenuto, di grande fascino per la riproduzione di capitoli essenziali alla comprensione del lavoro mirabile di Mommsen. In particolare, brani capitali dal Disegno del diritto pubblico romano e il Codicillo testamentario che vale la pena riscrivere:

Chiedo ai miei d’impedire dopo la mia morte, per quanto è possibile, la pubblicazione d biografie estese, e particolarmente di non fornire documenti a questo fine. Io nella vita nonostante i miei successi esterni non ho raggiunto quel che avrei dovuto. Casi esterni mi hanno trasferito fra gli storici e i filologi, sebbene la mia preparazione e certo mio ingegno non bastassero per queste due discipline, e il sentimento doloroso dell’insufficienza della mia opera, d sembrare più che di essere, non mi ha abbandonato per tutta la vita, e in una biografia non deve essere velato né messo in evidenza. S’aggiunga un’altra considerazione. Io non ho mai avuto e mai agognato posizione e influenza politica; ma nel mio intimo e, credo, con ciò che in me è meglio, sono sempre stato un animal politicum e desideravo di essere un cittadino. Questo non è possibile nella nostra nazione nella quale il singolo, e sia pure il migliore, non trascende il servizio nelle file e il feticismo politico. Questo straniamento interno dal popolo a cui appartengo, mi ha indotto, in tutto e per tutto a non presentarmi con la mia personalità, per quanto mi fosse in qualsiasi modo possibile, dinanzi al popolo tedesco, che non stimo. Io desidero che anche dopo la mia morte questo non si dia da fare con la mia individualità. Si leggano pure i miei libri, finché durano; quello che io sono stato o sarei dovuto essere, non riguarda la gente.  

Questo testo è un gioiello di umiltà e modestia. Mommsen fugge da ogni protagonismo e raccomanda il solo valore dello scritto, dello studio, e questo a favore di una speculazione che coinvolge l‘intero genere umano: il singolo conta, e conta solo nello specifico, in quanto raccoglitore e sistematore della materia secondo il suo massimo sentire e il suo massimo impegno intellettuale e sentimentale. Lo studioso pesa ogni parola, ma non la fa pesare (un rarità fra i tedeschi) e vive con passione controllata le vicende che narra, come se uscissero dalla viva voce degli attori e dagli scritti, in essere, delle istituzioni. Roma rifulge quale potenziale civiltà perfetta, grazie alla creazione del diritto, ma Mommsen non fa certo mancare alla sua disamina la notazione di carenze pratiche dovute alla fallibilità umana. Verso l’uomo, il grande studioso ha una certa indulgenza, ma non ce l’ha per il critico delle azioni umane una volta rese formalmente civili dalla legge. Lo studioso, secondo Mommsen, non può mai giustificare, ma può tentare di spiegare: più la spiegazione è convincente e meno si deve ricorrere a giustificazioni. Il progresso storico sta nella comprensione degli errori e in quella dei comportamenti giusti da ribadire. Fra gli errori, Mommsen mette appunto il divismo caro anche ai Tedeschi: semplice amore per il “capo” e relativa sottomissione paralizzante, e in modo grave, la maturazione della personalità individuale. La sua disistima verso il popolo tedesco è paradigma di disistima verso il popolo in genere, massa indistinta e priva di orgoglio intellettuale. Ma, stranamente, qui, egli non tiene conto dei condizionamenti storici, grazie ai quali si sono formate sia la massa che l’elite. La disistima dovrebbe essere, quindi, relativizzata, mentre Mommsen tende, forse inconsciamente, a generalizzarla.

Certo  che la sua opera vale molto più di questi innocenti” contrattempi. Probabilmente Mommsen avvertiva come poco adeguata l’attenzione verso le sue puntualizzazioni storiche e letterarie: ma non è un difetto che riguarda la sua persona, quanto una lacuna che di fatto umilia il grande sapere che, tramite lui (“semplice fornitore di notizie”), ha modo di manifestarsi nel modo forse più splendido possibile.


Dello stesso autore:

Testi di Mommsen


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 11/09/2014