STORIA ROMANA


Il principato di Augusto

Introduzione

Come già è accaduto a Giulio Cesare, anche Ottaviano si trova (una volta divenuto l'uomo più potente di Roma) nell'imbarazzante condizione di dover giustificare la propria posizione di preminenza nello Stato e nell'Impero.

Rispetto a Cesare però, egli gode di un appoggio e di una fiducia molto maggiori da parte delle autorità repubblicane, con le quali ha precedentemente stretto un'alleanza - nata dalla necessità di sostenere una decisa politica anti-orientale - finalizzata alla restaurazione e al consolidamento delle antiche istituzioni patrie contro i venti di rinnovamento che percorrono l'Impero.

Augusto da giovane

Ottaviano tuttavia si trova in una posizione ancora più ambigua rispetto al suo predecessore: se da una parte infatti egli si pone formalmente come il restauratore dell'antica oligarchia senatoria e della tradizione repubblicana, dall'altra e nella sostanza egli inaugura invece una politica radicalmente nuova: una politica che si adatta alla realtà di un Impero divenuto oramai virtualmente universale.

Quest'ultimo si è difatti col tempo trasformato in un'ecumene di popoli e di tradizioni diverse, che trovano in Roma e nell'Italia il proprio centro direttivo, e che comprendono praticamente tutto il mondo civile conosciuto (ad eccezione dei territori partici).

E' appunto in questa mutata situazione che si radicano le ragioni fondamentali della politica esterna e interna di Ottaviano Augusto, politica consistente in:

  • azioni militari di mero consolidamento territoriale;
  • la rinuncia (o quasi) a qualsiasi velleità espansionistica;
  • e l'inaugurazione di un lungo periodo di pace interna (Pax augusta), dopo i molti decenni dominati da guerre civili e da lotte intestine.

L'Impero - oramai virtualmente universale - non ha difatti più né l'interesse né le risorse (economiche e militari) necessarie e sufficienti per portare avanti un processo di estensione territoriale.

Al contrario, diviene per esso una necessità primaria garantire al proprio interno la sicurezza degli spostamenti, e con essa la facilità degli scambi commerciali (oltre che culturali); e ciò appunto attraverso il mantenimento della pace e dell'ordine all'interno dei suoi confini.

Ma Ottaviano si impegna anche in un'opera di trasformazione e di rinnovamento delle cariche statali.

E' ammirevole come egli riesca - attraverso degli abili equilibrismi politici - a rivoluzionare il sistema delle cariche costituzionali, pur restando formalmente fedele (quantomeno il più possibile) alla vecchia organizzazione repubblicana.

Se da un lato egli si pone come un 'princeps', ovvero come il primo nello Stato, dall'altra però rifiuta più volte il titolo di dittatore e di imperatore, ovvero di capo assoluto.

Il termine 'princeps' sta difatti a significare 'primo tra individui di pari dignità' e sanziona contemporaneamente la sua posizione di privilegio rispetto agli altri senatori, ma anche la sua condizione d'eguaglianza rispetto a essi dal punto di vista costituzionale. Nelle proprie memorie (Res gestae) egli potrà così vantarsi di non aver rivestito mai alcuna magistratura contraria al costume degli avi.

Tuttavia, oltre ai vantaggi che gli derivano dal titolo di Augusto (titolo conferitogli dal Senato stesso, e che ne decreta in buona sostanza l'autorità somma in Roma), Ottaviano riuscirà anche a istituire una serie di magistrature - dette 'imperiali' - attraverso le quali potrà controllare praticamente tutti i territori dell'Impero oltre a quello della stessa capitale.

Anche se in modo non scoperto, cioè forzando il ruolo delle più antiche istituzioni repubblicane e cittadine, egli riuscirà così a detenere un dominio pressoché incontrastato su Roma fino alla propria morte.

Tuttavia (lo si è già visto nei precedenti articoli) i poteri politici interni all'Impero si basano in gran parte sul fattore clientelare, data l'inadeguatezza strutturale delle istituzioni repubblicane (ancora essenzialmente legate a un contesto di potere di tipo cittadino) ad assolvere un compito vasto come quello di governare l'Impero. Tali poteri sono perciò di natura essenzialmente personalistica.

E nonostante Ottaviano tenti - come ovvio - di far convergere questi due opposti poli (istituendo appunto nuove magistrature e nuove strutture politico-amministrative), un'ambiguità tanto radicata a livello storico non può certo essere estirpata in pochi anni. Ed è per questo che i poteri economici politici e militari del princeps tendono, ora più che mai, a confondersi con quelli stessi dello Stato.

Ne è un esempio la nuova amministrazione finanziaria dell'Impero, il fisco, all'interno della quale rimane incerta la distinzione tra ricchezza di Augusto e ricchezza di Roma.

Anche le tradizionali istituzioni cittadine inoltre, usciranno profondamente trasformate nei loro effettivi attributi: il Senato, riformato da Augusto, tenderà a divenire sempre di più un organo consultivo (laddove invece i singoli senatori diverranno spesso degli 'emissari' che agiscono per conto del princeps); i comizi centuriati invece - da sempre voce dei desideri della plebe urbana - perderanno gradualmente i propri poteri decisionali.

Non può infatti, la plebe della sola città di Roma, interpretare e promuovere gli interessi di tutto il popolo romano, la cui estensione va ormai ben oltre l'Italia e la stessa Europa!

La società romana sotto Augusto (27 a.C. - 14 d.C.)

1. La nuova organizzazione dello Stato

Alla base della trasformazione di Roma operata da Augusto sta l'instaurazione di un nuovo assetto amministrativo, attraverso una più ampia distribuzione delle cariche statali. Proviamo brevemente a delineare questa nuova conformazione.

Per comprenderla, bisogna innanzi tutto tenere presente il fatto che Roma, negli anni del principato di Ottaviano, si avvia a diventare il punto dell'Impero dal quale si irraggiano le decisioni concernenti tutte le province: sempre di meno quindi una città egemone e sempre più il centro amministrativo di una vastissima compagine politica e sociale.

Conseguenza di un tale processo è che i vecchi istituti repubblicani e cittadini decadono gradualmente a organismi consultivi quando non, addirittura, meramente rappresentativi (ovvero privi di reali funzioni amministrative).

Il potere amministrativo effettivo, invece, si concentra sempre di più nelle mani dello stesso Augusto, dal momento che le antiche cariche repubblicane - assieme alle nuove da lui stesso istituite - tendono a diventare fondamentalmente strumenti di dominio dell'imperatore.

Nonostante ciò, Augusto rifiuta con decisione ogni attribuzione esplicita di predominio. Il suo potere si basa in sostanza sull'attribuzione da parte del Senato di alcune cariche permanenti (cioè a vita), ovvero su poteri di tipo straordinario (contemplati per altro già dai tempi della Respublica, come dimostrano ad esempio le vicende di Silla e Cesare) ritenuti giustificati in situazioni eccezionali.

Oltre che di tali attribuzioni, egli gode poi delle enormi influenze politiche accumulate negli anni della guerra civile contro Antonio. Tra di esse spiccano sia la fedeltà degli eserciti (di cui inoltre egli detiene anche ufficialmente il comando) sia gli enormi capitali finanziari.

Oltre a ciò, tra il 27 a.C. (anno dell'incoronazione ad Augusto) e il 14 d.C. (anno della morte) Ottaviano riceverà più volte magistrature di primissimo piano, tra cui: il consolato (che dal 19 a.C. diventerà carica a vita), la censura (con la quale potrà ricomporre il Senato), la carica di sovrintendente dei costumi, il Pontificato Massimo, e altre ancora.

E tuttavia egli fonderà la propria auctoritas essenzialmente su due attribuzioni stabili: la potestà tribunizia e l'imperium proconsolare - cariche che, data la loro importanza, è necessario ora analizzare più in dettaglio.

- La potestà tribunizia

Tale prerogativa istituzionale - già conferita negli anni passati a Giulio Cesare - dà a colui che la detiene il controllo virtuale della vita politica della città di Roma.

Non è un caso quindi che su di essa Ottaviano basi gran parte del proprio potere sulla capitale dell'Impero, e non solo su essa… (si ricordi che Roma è, tra le altre cose, anche il centro di irraggiamento delle decisioni politiche riguardanti tutto l'Impero.)

Sicuro, attraverso una tale carica, delle proprie prerogative, egli potrà così lasciare ai senatori molte delle altre magistrature fondamentali (tra le quali il consolato) e salvare così le apparenze dello stato repubblicano.

Tuttavia Ottaviano non si limiterà a occupare un posto istituzionale di prestigio: attraverso la propria opera difatti (e servendosi dei propri poteri 'eccezionali') egli amplierà notevolmente il raggio d'azione delle antiche cariche amministrative, sia di quelle urbane sia di quelle concernenti l'intera penisola, introducendone poi delle nuove, gravitanti ovviamente nell'orbita dei suoi poteri.

Tra queste ultime vi sono principalmente le cariche prefettizie, con le quali il princeps può controllare i vari aspetti della vita politica dell'Urbe, a partire da quelli giudiziari per giungere sino a quelli amministrativi.

Ad occuparle inoltre sono spesso non esponenti dell'antica oligarchia senatoria, bensì della classe equestre! (E infatti uno dei punti forti del programma augusteo è quello del rinnovamento della classe dirigente di Roma, attraverso l'inclusione di quelle classi commerciali e finanziarie che già in passato avevano avuto un ruolo di primo piano nel finanziamento degli appalti pubblici).

Introduce inoltre il corpo dei vigili, una sorta di polizia di Stato, guidata da un apposito prefetto; e infine crea la guardia pretoriana, l'unico esercito presente sul suolo italico, a sua volta comandata da un prefetto (prefetto del pretorio).

- L'Imperium proconsolare

Al predominio istituzionale su Roma, Ottaviano assomma poi quello su gran parte delle province.

Mentre difatti al Senato spetteranno quelle più tranquille e più facilmente governabili, chiamate appunto province senatorie, il suo imperium si estenderà invece sulle zone di più recente acquisizione o comunque più difficili da gestire. In tali zone vengono accampati stabilmente dei presidi militari, costituiti da truppe imperiali il cui compito è la difesa dei territori.

Augusto delega il comando militare delle proprie province a uomini che godono della sua fiducia. Tali uomini rientrano essenzialmente in due categorie: da una parte i legati, esponenti dell'aristocrazia senatoria; dall'altra i procuratori, esponenti dell'ordine equestre.

Questi ultimi, all'inizio solo una minoranza, aumenteranno molto con gli anni. Ciò perché, non avendo alle spalle altra autorità che li sostenga (quale ad esempio quella del Senato) oltre a quella del princeps, sono da quest'ultimo ritenuti più affidabili e preferiti perciò ai legati senatori.

All'Egitto infine, il paese che Cleopatra ha lasciato in eredità a Roma, verrà riconosciuta una particolare dignità, rientrando nel dominio romano come possesso personale di Augusto, ed essendo governato (seppure con notevoli difficoltà) da un apposito prefetto.

Altre innovazioni nell'organizzazione dello Stato dovute a Ottaviano saranno la definitiva trasformazione dell'esercito da mercenario a professionale (cioè stabile), e la nascita del fisco.

Questo secondo punto è di particolare rilevanza. Accanto all'erario difatti, che fino ad ora è rimasto l'unica base dell'amministrazione finanziaria della Res-publica, egli crea una nuova cassa, un tesoro statale parallelo. Mentre i proventi dell'erario derivano dalle province senatorie, quelli del fisco provengono da quelle imperiali.

E' da notare come questi ultimi vengano gestiti direttamente da Ottaviano, e che come tali essi sono una via di mezzo tra una proprietà privata dell'imperatore e un possesso dello Stato romano. Ciò mostra chiaramente come lo Stato repubblicano sia oramai sorpassato, e come dietro la sua apparenza si celino in realtà gli interessi personalistici del principe, oltre che i suoi poteri clientelari e le sue enormi ricchezze.

Prova ulteriore di ciò sarà il fatto che con la morte di Ottaviano - nel passaggio dei poteri politici a un altro individuo - tutto il patrimonio privato dell'Imperatore, che è poi una delle basi del governo, verrà trasferito nelle mani del suo successore, anche se questi non sarà nemmeno un suo parente diretto.

La gestione della domus imperiale si confonde dunque con quella della stessa cosa pubblica, fatto molto eloquente sullo stato delle istituzioni romane.

Ma l'ascesa politica di Ottaviano - pur impetuosa e inarrestabile - non è del tutto priva di ostacoli. Tra di essi troviamo l'opposizione di molti senatori, rimasti legati ancora a una vecchia visione di Stato, e con i quali spesso egli si dovrà scontrare.

Nonostante ciò, il movimento di graduale dissoluzione delle istituzioni repubblicane è inarrestabile, come prova il fatto che lo stesso Senato diviene sempre di più un organo fondamentalmente consultivo, per quanto estremamente prestigioso, mentre i singoli senatori (in special misura quelli di nomina imperiale) tendono a trasformarsi in 'clientes' del principe, essendo da lui favoriti - o meno - nel proprio avanzamento politico.

Anche il popolo infine perde i suoi poteri originari, con la trasformazione dei Comizi della plebe in istituti virtualmente insignificanti, divenendo così sempre di più una massa indistinta, definibile come 'plebe urbana', la quale dipende dal principe - cui deve viveri, spettacoli e danaro - in tutto e per tutto.

E' chiaramente visibile dunque, come il potere di Ottaviano Augusto si ponga in sostanza al vertice di una vastissima piramide di poteri clientelari e di interessi privati, che su di esso si sostengono al tempo stesso sostenendolo.

Le antiche istituzioni urbane, viceversa, affondando il proprio reale ambito di influenza poco oltre la città di Roma (divenuta ormai un piccolo frammento di un territorio molto più vasto) sono poste come tali di fronte a un'alternativa: o rinnovarsi entrando a fare parte di tale piramide di poteri, oppure rassegnarsi a occupare un ruolo di mera rappresentanza politica rimanendo, almeno in una prospettiva imperiale, prive di poteri effettivi.

2. La politica estera e le imprese belliche di Augusto

L'idea guida della politica di Augusto è essenzialmente quella di consolidare l'Impero sia rispetto ai suoi nemici interni (in relazione ai focolai di rivolta che covano soprattutto nei territori assoggettati più di recente) sia rispetto a quelli esterni (i popoli barbari, cioè non romanizzati).

Una tale politica viene da lui perseguita da una parte attraverso il vastissimo programma di riassetto istituzionale che abbiamo appena visto, dall'altra attraverso azioni militari finalizzate a rafforzare la compagine imperiale.

Proprio per tale motivo la sua non sarà più - come lo era stata prima - una politica 'avventurosa', tesa ad estendere ancora di più i territori imperiali. Essendo difatti l'Impero ormai virtualmente completo dal punto di vista territoriale, la missione che esso dovrà assolvere non potrà che essere fondamentalmente di natura civilizzatrice, volta cioè alla 'romanizzazione' dei popoli testé sottomessi.

In generale Ottaviano, alla cultura romana di questi anni, appare come l'erede delle aspirazioni universalistiche di Alessandro Magno nonché del suo tentativo di costruire un Impero mondiale attraverso la pacificazione universale dei popoli sotto un unico dominio.

Le campagne militari indette da Augusto, infatti, si muovono nel solco di un tale programma 'universalizzante', oltre che di quello - ben più pratico e concreto - di consolidamento e di difesa territoriale dei territori dell'Impero.

Le azioni belliche di Augusto sono divisibili in tre diversi tipi: un primo finalizzato al ristabilimento dell'ordine interno, in special modo laddove siano presenti ormai da tempo semi di rivolta contro l'autorità centrale (è il caso ad esempio della Spagna); un secondo tipo finalizzato invece a rinsaldare la sicurezza dei territori imperiali con azioni di natura militare nei territori di confine, azioni che spesso si concludono inoltre con nuove acquisizioni (come ad esempio la conquista della Rezia e del Norico e, nei territori danubiani, della Pannonia); e infine un terzo tipo, che viene portato avanti più per motivi di prestigio e di propaganda che non di difesa (ne sono un esempio le guerre contro i Parti o contro le tribù germaniche).

Queste ultime, conclusesi fondamentalmente con un fallimento (seppure dissimulato dalla propaganda augustea, che domina l'Impero e ne costituisce in più un notevole fattore di unificazione), sono in realtà quelle di minore importanza.

Gli altri conflitti si concluderanno invece positivamente e contribuiranno quindi a rafforzare effettivamente la compagine imperiale.

Le campagne militari di Augusto sono:

  • la campagna di Spagna, volta a estirpare i semi di rivolta che vi aleggiano fin dai tempi di Pompeo (Ottaviano combatte qui una guerra lunghissima e logorante, che durerà fino al 19 a.C.);
  • la campagna nel Nord Europa, combattuta nella zona alpina, per la sicurezza della penisola italiana, conclusa nel 15 d.C. con l'annessione di Rezia e Norico per mano di Druso e Tiberio;
  • la campagna nell'Oriente danubiano, terminata nel 9 a.C. con l'occupazione della Pannonia;
  • infine le campagne (decisamente più lunghe e impegnative, e i cui esiti sono essenzialmente negativi) contro Germani e Parti.

Le guerre contro le tribù germaniche hanno inizio nel 10 a.C. e vengono combattute a più riprese. Ma i continui insuccessi e i rari e precari episodi positivi convinceranno la classe dirigente di Roma della necessità di frenare la spinta espansiva verso il nord: dal 9 d.C. circa, in concomitanza con una rivolta in Pannonia, diverrà chiaro infatti come tali guerre di logoramento costino troppo all'Impero (le cui risorse non sono per altro illimitate).

Da tale data in poi, quindi, le guerre contro i popoli germanici saranno intese più che altro come guerre di contenimento, nonostante la propaganda imperiale si sforzi di farle apparire come atti di conquista.

L'altro grande conflitto in atto riguarda poi i territori partici. L'Impero dei Parti è la sola realtà antagonistica che Roma conosca. Anche per questo è costante il motivo della lotta contro di essa. Come noto, Marco Antonio era arrivato nelle sue campagne a formare uno stato cuscinetto, l'Armenia, ma non ad attaccare direttamente la potenza nemica.

La soluzione di Ottaviano e dei suoi generali non si distanzierà molto in realtà da quella del loro predecessore. Nonostante i ripetuti tentativi di assoggettare l'Armenia, essi riusciranno al massimo a insediarvi dei sovrani (come Filarete II e IV) di orientamento filoromano, e il cui dominio per altro non avrà mai vita né facile né lunga.

Inoltre, nel 4 d. C. l'erede designato di Augusto, il figlio adottivo Gaio, morirà proprio in uno scontro con elementi filopartici.

Anche in questo settore dunque, Roma si vedrà costretta a rinunciare alle proprie mire espansionistiche (e ciò, di nuovo, avverrà in modo non conclamato).

I veri successi di Ottaviano riguardano dunque, fondamentalmente, le azioni di consolidamento territoriale (talvolta comprendenti anche l'annessione di nuovi territori, come Pannonia e Rezia) di quel vasto Impero da lui ricevuto in eredità dai suoi predecessori, ma non certamente le azioni espansive.

3. La questione della successione imperiale

Un problema che percorre tutta la vicenda di Ottaviano, almeno da che egli diviene princeps e Augusto (e che si ripresenterà spesso nella storia a venire), è quello della successione.

Non essendo infatti ufficialmente imperatore, egli non ha nemmeno diritto legalmente a designare un successore. Tuttavia, trasferendo i propri poteri nelle mani di qualcuno, può fare in modo che, alla propria morte, questi si trovi virtualmente in una situazione identica alla sua.

Si è visto inoltre come, in Roma, la soluzione imperiale sia quella nettamente prevalente, nonostante si tenga a conservare una facciata repubblicana. Non dovrebbe perciò essere difficile per l'Imperatore predisporre la propria successione.

Il vero ostacolo a tale impresa sarà costituito tuttavia dalle molte guerre, che causeranno la morte di tutti gli eredi putativi di Ottaviano, a partire da Gaio per arrivare a Lucio e ad Agrippa (quest'ultimo da sempre uno degli uomini di spicco del suo regime).

La loro morte, assieme agli scandali che coinvolgeranno la figlia Giulia (e successivamente anche la nipote Giulia Minore) allontaneranno e renderanno sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica, che egli ha progettato.

Sarà infatti Tiberio alla fine - uno dei suoi più validi generali - a ricevere dallo stesso Augusto (anche se per motivi di mera necessità politica, non per scelta) i poteri imperiali, nel 13 d.C.

In tal modo l'Impero passerà nelle mani di un'altra famiglia di nobili romani: la dinastia Claudia.

L'instaurazione nel 14 (alla morte di Ottaviano) di un nuovo sovrano, sarà segnata subito dall'eliminazione dei molti rivali nella successione al trono; e prima di tutto a morire sarà Agrippa Postumo, il figlio (a sua volta candidato alla successione) del primo Agrippa.

L'Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite perché vi si rinunci facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la conquista delle cariche più prestigiose dell'Impero, lotta che è già di per sé il segno di quella nuova temperie - assolutistica, appunto - che cova sotto l'immagine illusoria dell'antica Repubblica.

CONCLUSIONI

Merito e abilità fondamentale di Ottaviano, subito dopo la proclamazione a Imperatore e Augusto, è l'aver avuto la capacità di comprendere lucidamente da una parte le reali esigenze (tanto quelle organizzative e istituzionali quanto quelle militari) della compagine romana, dall'altra quella di essere stato capace di rispettare le apparenze repubblicane, conservando così l'approvazione dei ceti più tradizionalisti e del Senato.
In una tale ottica si giustificano la scelta di non estendere ulteriormente (e significativamente) i confini imperiali, come quella di cercare di creare un nuovo apparato istituzionale (pur il più possibile 'mascherato' sotto le vesti dell'antico ordine) che abbia un raggio d'azione molto più vasto di quello repubblicano e sanzioni a livello politico e burocratico l'esistenza consolidata dei poteri clientelari del princeps.

Il consolato di Augusto, inoltre, prefigura chiaramente molti dei futuri problemi dell'Impero: primo tra tutti quello della successione e della corsa sfrenata al potere da parte dei generali e dei potentiores dell'Impero; ma anche i problemi di carattere finanziario e quelli inerenti la gestione degli apparati imperiali.


L'impero romano
Ottaviano
La congiura del 22 a.C.
Livia Drusilla Claudia
Schema riassuntivo dei poteri di Augusto
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014