STORIA ROMANA


La nuova Roma imperiale

parte seconda - parte prima
3) La seconda guerra punica (219-202) e la guerra macedone (200-188)
La seconda guerra punica è caratterizzata, rispetto alla prima, da uno spostamento del conflitto verso la Spagna e l'Italia settentrionale (e anche verso quella meridionale).

Rispetto ad essa inoltre, è più chiaro che l'intento dei due avversari è oramai la distruzione reciproca.

Questa guerra si concluderà con la sconfitta definitiva di Cartagine, ridotta ormai rispetto a quella romana a una potenza subordinata.

Annibale

Ma questo conflitto risveglia anche i vecchi attriti tra Roma e l'impero Macedone di Filippo V, il quale - non a caso - si alleerà con Cartagine in funzione anti-romana.

Roma risponderà a tale alleanza prendendo le difese delle città greche, che lottano per preservare la propria indipendenza da Filippo V. Aiutando l'insurrezione greca, Roma ottiene inoltre il vantaggio di impegnare la Macedonia su un altro fronte e di renderla innocua su quello Mediterraneo.

Scipione detto l'Africano

Subito dopo la fine del conflitto contro Cartagine (202), il senato romano decide di attaccare (200) la Macedonia, coinvolgendo in questa nuova guerra tutta la compagine dei regni ellenistici.

Al termine di questa seconda impresa, Roma si troverà a essere così 'padrona' anche sull'Oriente, diventando un Impero a tutti gli effetti.

a) Gli eventi della seconda guerra punica

  • Nel 219, Annibale (generale cartaginese) pone l'assedio a Sagunto, città sotto il protettorato di Roma, determinando così il casus belli; anche nel caso di questo conflitto però, non tutti a Roma sono favorevoli.
    Il piano di Annibale e di Cartagine è quello di portare la guerra in Italia attraverso le Alpi (come effettivamente farà), e lì di scardinare la compagine romana (cosa che sui tempi lunghi riuscirà in parte a fare) per limitare la potenza di Roma sul piano internazionale, riacquisendo il ruolo di potenza egemone.
    Roma invece imposta la guerra su due fronti: in Spagna e in Italia. Suo obiettivo è di tagliare le gambe al nemico sul territorio iberico (da dove provengono tutte le sue risorse militari) e fare quadrato di fronte alle invasioni italiche.
    Col tempo Annibale arriverà fino nel sud d'Italia, ma la guerra in Spagna sarà fondamentale per vincere il conflitto!
  • Annibale in Italia: sconfitta del 217 dei Romani sul lago Trasimeno e dilagare del nemico nella penisola.
    A Roma viene instaurata la dittatura di Fabio Massimo (senatore di parte aristocratica), il quale elabora e mette in atto la strategia bellica che sarà utilizzata sul fronte italico, strategia consistente - più che in scontri frontali col nemico - in lunghe manovre di logoramento. Tale strategia verrà seguita nel corso di tutto il conflitto in Italia.
    In questo periodo inoltre il Senato, approfittando della situazione particolarmente difficile, riuscirà a prendere in mano le redini della guerra, ponendo così i presupposti del suo futuro monopolio politico-militare.
    A questo punto però, le risorse dello Stato già non bastano più a finanziare la guerra, e si è perciò costretti a ricorrere ai finanziamenti di alcuni privati cittadini particolarmente ricchi, ovvero di alcuni esponenti della prima classe di censo: inizia così, in questi anni, l'affermazione a livello finanziario della classe dei cavalieri, i quali col tempo acquisiranno pressoché totalmente il monopolio sugli appalti statali.
  • 215: Viene stipulata un'alleanza tra l'Impero cartaginese e la Macedonia di Filippo V in funzione anti-romana. Filippo attacca i territori balcanici (l'Illiria) di Roma, mentre quest'ultima reagisce alleandosi con la lega Etolica, in rivolta da tempo contro la dominazione politica macedone.
    Roma dunque combatte ora addirittura su due fronti. In tal modo tuttavia, essa allontana il pericolo di un attacco congiunto di Cartaginesi e Macedoni.
    Nel frattempo in Spagna i due Scipioni portano avanti un'opera di indebolimento del fronte cartaginese. Verranno uccisi entrambi dal nemico nel 211.
  • 211: Sulla scia dell'indignazione popolare viene eletto proconsole della Spagna Publio Cornelio Scipione, che presto diverrà (dopo l'ormai vecchissimo Fabio Massimo) il nuovo leader della guerra, portandola a compimento in favore di Roma. In pochi anni il giovane generale risolverà la situazione in Spagna, mettendo i nemici con le spalle al muro.
  • 205: Roma stipula una pace con la Macedonia.
  • 204: Publio C. Scipione detto Africano porta la guerra fino in Africa, dove nel 202 porta a termine la guerra, decretando inoltre la fine di Cartagine come stato autonomo e il ridimensionamento drastico dei suoi territori.
    Quella portata avanti dagli Scipioni - come quella di Appio Claudio o di Gaio Flaminio prima di loro - è e sarà sempre una politica aperta e protesa verso il futuro, disposta ad assecondare i cambiamenti strutturali, sociali e culturali in atto (celebre ad esempio è la diffusione, dovuta agli ambienti degli Scipioni, della cultura greca in Roma). Ma come tale essa sarà anche fortemente invisa ai senatori.
    Così gli Scipioni, pur guadagnandosi il plauso generale della plebe, accumuleranno nei propri confronti anche l'ostilità degli ambienti nobiliari più tradizionalisti, un'ostilità che esploderà alla fine della guerra macedone. Vedremo tra poco più in dettaglio questo episodio, assieme a ciò che esso nasconde.

b) Gli eventi della guerra macedone

La guerra macedone è il primo vero atto imperialistico di Roma: essa non nasce difatti solo da necessità di difesa e consolidamento dei propri territori, trovando la propria origine e la propria giustificazione anche nelle ambizioni di natura espansionistica della classe dirigente romana.

Vedremo meglio più avanti quali siano le ragioni della scelta espansiva sistematica di Roma.

Questi i fatti essenziali della guerra contro Filippo V:

  • 200: il Senato decide di attaccare la Macedonia. La ragione di tale decisione sta, oltre che nelle nuove ambizioni territoriali romane, anche in un rimescolamento delle sfere d'influenza tra gli stati ellenistici, rimescolamento dovuto a una temporanea debolezza dell'Egitto dopo la morte del sovrano. Con ogni probabilità, si teme un crollo di quel sistema di alleanze che è stato favorito con la pace del 205, e sul quale dovrebbe fondarsi la sicurezza dei possedimenti orientali di Roma.
    Gaio Quinzio Flaminino sarà il protagonista della politica orientale di questi anni. Imbevuto di cultura greca, il suo obiettivo è quello di tutelare l'indipendenza delle città-stato greche, esercitando però allo stesso tempo un protettorato romano sull'area interessata, ricavandone ovviamente anche dei vantaggi di carattere economico-politico!
    Flaminino rappresenta, al pari di Scipione, la Roma 'nuova' dei cavalieri, interessati fondamentalmente a sviluppare e a estendere una vasta rete commerciale e favorevoli a instaurare dei rapporti di collaborazione con gli altri Stati: insomma una Roma aperta al nuovo e propensa più a una politica basata su equilibri e mediazioni, che non su un imperio di tipo tradizionale.

Una tale politica, seppure basata anche su considerazioni di natura pragmatica, non è comunque scevra di un certo idealismo di fondo, legato soprattutto al fascino esercitato su Roma dalla più antica e superiore cultura greco-orientale. Forte è dunque, come già si diceva prima, l'affinità tra Flaminio e il circolo degli Scipioni.
Ma Roma ha anche, nella Macedonia, un grande nemico, il quale tende a ostacolare i suoi interessi espansionistici in quelle zone, mostrandosi riluttante a piegarsi al suo predominio.

  • 196: Flaminino sconfigge l'esercito macedone nella battaglia di Cinoscefale, costringendo Filippo a rispettare l'indipendenza greca. Una tale azione è un chiaro esempio del tipo di progetto che Flaminino vuole portare avanti, progetto che coniuga le istanze autonomistiche greche con quelle di dominio e di protettorato di Roma sulle regioni orientali.
    Ma i veri problemi per Roma iniziano proprio a partire da tale successo militare. Per essere coerente con il suo programma, infatti, Flaminio vuole una Grecia libera, guidata diplomaticamente da Roma, senza che alcun esercito si insedi sul suo territorio.
    Attraverso questo piano però (pur per certi versi economicamente molto vantaggioso) non sarà possibile tenere la situazione realmente sotto controllo.
  • Il 194 dimostra la precarietà della situazione orientale: la lega Etolica chiama Antioco (re di Siria) in aiuto contro quella Achea.
    A sedare quest'ennesima rivolta verrà mandato perciò non più Flaminino ma Scipione l'Africano, nelle cui capacità tutti ripongono fiducia. Questi, con una campagna militare conclusa nel 188, ridimensiona la potenza siriaca trovando in Rodi e Pergamo (due piccoli regni ellenistici) gli alleati della propria politica d'espansione.
    Egli avrà inoltre un'idea di dominio un po' diversa rispetto a quella di Flaminino: il suo progetto infatti non consisterà tanto nel sorvegliare e controllare l'intera compagine ellenistica esercitando un semplice protettorato sulle città greche. Egli sceglierà piuttosto di intrattenere dei rapporti diretti e quasi personali con i regni orientali [si vedrà, nei prossimi anni, come i poteri personalistici e clientelari trovino, anche al livello dei rapporti internazionali, un grande rigoglio e un notevole ampliamento], sviluppando in tal modo un complesso sistema di alleanze internazionali.
    Tuttavia, pochi anni dopo quest'ennesimo successo politico e militare e il successivo glorioso ritorno in patria, Publio Scipione Africano verrà destituito dal Senato: un evento questo apparentemente inspiegabile, le cui ragioni sono in realtà da ricercare - come si vedrà qui di seguito - nell'inizio di un nuovo tipo di politica da parte di quest'ultimo, tutta tesa ad accentrare attorno a sè i poteri dello Stato.

4) Sviluppi interni: il monopolio politico del Senato

La trasformazione di Roma da semplice città-stato egemone in vero e proprio impero mondiale comporta inevitabilmente tutta una serie di stravolgimenti all'interno della sua struttura sociale, stravolgimenti che cercheremo di delineare qui avanti.

Diciamo subito che tali cambiamenti rendono sempre più obsolete le antiche concezioni politiche dei 'patres', e con esse il Senato come istituzione guida di Roma. Ma notiamo anche come proprio in questi anni si consolidi la supremazia e diremmo anche l'egemonia senatoria su Roma, e ciò ovviamente a prezzo di un inevitabile scollamento tra le forze politiche e il resto della popolazione.

Vediamo ora di riassumere per punti tali interne trasformazioni sociali:

  • ingigantirsi del ruolo del commercio (in gran parte schiavile), dovuto alle guerre;
  • importanza dei ceti alto-plebei (cavalieri) come sostegno finanziario dello Stato nelle guerre;
  • tendenza verso la trasformazione dell'esercito da realtà cittadina (diritto/dovere comune) a realtà professionale (non è infatti possibile essere buoni cittadini e contemporaneamente affrontare guerre che durano magari degli anni lontano da casa);
  • nuovo rapporto tra masse e potere: non si può più governare in modo diretto l'intera cittadinanza romana (sia interna che esterna), dal momento che il suo numero è divenuto ormai enorme;
  • crescita dei poveri e dei diseredati, ovvero di un problema che trova una risposta solo nelle ricchezze provenienti dalle conquiste esterne.

Riguardo a quest'ultimo punto, sta proprio qui la ragione della crescita imperialistica a oltranza: nel fatto che questa sia l'unica possibile soluzione per far fronte al problema del costante aumento delle masse dei poveri, aumento dovuto tra l'altro alle molte guerre e a una distribuzione alquanto diseguale delle ricchezze!

Anche il reclutamento nell'esercito sarà poi uno strumento di impiego per le masse degli emarginati.

Ma la crescita territoriale e quella finanziaria concorrono anche a creare una realtà più mobile e più dinamica, che mal si adatta alle concezioni oligarchiche patrizie.

E da una tale trasformazione si deve partire per capire la reazione 'anti-borghese' del Senato romano, che lo porta ad azioni eclatanti come le accuse di immoralità e di frode fiscale ai danni dello Stato rivolte contro l'Africano, accuse in seguito alle quali quest'ultimo sceglierà di ritirarsi a vita privata abbandonando la politica attiva (184).

Se, insomma, questi anni vedono una espansione territoriale verso l'esterno davvero impressionante, vedono anche all'interno dello Stato l'accentramento dei poteri politici attorno al Senato. Un ripiegamento questo, che ci ricorda l'originaria condizione di quest'ultimo di casta al di sopra di ogni potere particolaristico che possa metterla in discussione. (Un tale strapotere senatorio non tarderà ad avere poi delle ripercussioni anche sulla politica estera, come vedremo nel prossimo paragrafo).

Oltre all'azione giudiziaria contro gli Scipioni - nonché implicitamente contro tutta la classe politica alto-plebea - avranno luogo in questi anni:

  • un provvedimento per immoralità contro i culti dionisiaci (colpevoli in realtà di esprimere e dare sfogo allo scontento delle classi povere e di essere quindi pericolosi focolai di rivolta sociale), banditi e repressi per legge;
  • la legge Bebia (179) che concilia l'esigenza di avere una costituzione maggiormente articolata (in particolare per governare le nuove regioni-province: Spagna [divisa in due parti], Sardegna e Sicilia) con quella senatoria di accentramento del potere, attraverso il principio della rotazione delle cariche.

In conclusione, possiamo dunque riassumere come segue l'evoluzione interna di Roma dopo la vittoria contro la Macedonia di Filippo V:

  • Si assiste in questi anni a una prima forma di imperialismo consapevole di Roma, dettata dalla volontà di estendere il proprio potere e i propri territori: un proposito che trova origine nella "volontà di potenza romana" (esaltata dalle recenti vittorie) ma anche nel bisogno di rispondere alla crisi sociale, e negli interessi economici delle classi alte, soprattutto in quelli della classe commerciale dei cavalieri.
  • La classe patrizia diviene egemone in politica (ne è esempio il modo in cui essa si disfa di Scipione Africano), pur non rispecchiando più al tempo stesso da sola tutti gli interessi e le pulsioni della società romana: in questi anni avviene sì il suo trionfo, ma vi sono anche i primi segni di un suo scollamento politico dal tessuto sociale!
    Il Senato resterà dunque un'indiscussa autorità politica che, arroccata sui suoi privilegi, governerà con pugno di ferro sia Roma che le sue province.
    Sarà la nascita dell'Impero sotto Ottaviano a segnare la sconfitta di questo tipo di politica e dei suoi ideali, oramai palesemente inadatti a gestire la nuova situazione, caratterizzata da un numero sempre maggiore di territori e di persone da amministrare, da una maggiore mobilità a livello commerciale… dall'impossibilità insomma di un dominio - in stile nobiliare-arcaico - a senso unico e senza mediazioni (adatto invece a governare una regione più piccola e con un'economia fondamentalmente agricola).

5) L'oriente secondo il Senato, la guerra conclusiva contro Cartagine (146)

- Il dominio diretto del senato sulle colonie-regioni

Abbiamo già visto la linea 'morbida' di governatorato usata dai romani, al tempo di Flaminino e Scipione, sulle regioni conquistate.

In Africa ci si appoggia al re di Numidia Massinissa: 'gendarme' della potenza cartaginese per conto di quella italica.

In Asia invece Scipione ha posto le basi per un governatorato indiretto, fondato essenzialmente sulle alleanze e sull'influenza esercitata dai generali romani sui vari regni ellenistici.

Ma questi metodi 'aperti' non si confanno alla mentalità senatoria, poco incline alle novità o ai patteggiamenti e diffidente nei confronti delle altre culture (una delle principali ragioni di ostilità verso gli Scipioni è infatti la corruzione dei costumi antichi, il fascino 'esterofilo' e filo-greco che essi esercitano).

Per questa ragione, la fine di Scipione Africano come leader asiatico decreterà anche una decisa svolta a livello di politica estera.

Inizierà così una fase politica alquanto reazionaria, basata sulla spietata repressione militare dei territori conquistati e sulla pratica antica dell'alleanza del governo di Roma con le classi nobiliari locali, in funzione ovviamente anti-popolare e anti-democratica; ed infine, sullo sfruttamento economico e politico delle colonie.

Una tale politica autoritaria del 'pugno di ferro' si esplicherà poi in tutte le direzioni:

  • a nord, verso le zone incolte dei Celti (che verranno forzatamente urbanizzate e romanizzate);
  • a sud, in Africa, dove la città di Cartagine nel 146 verrà bruciata distrutta e maledetta;
  • a est, dove nel 171 i tentativi di ribellione della Macedonia verranno stroncati da Emilio Paolo, e quest'ultima successivamente ridotta prima a potenza autonoma ma divisa in quattro regioni indipendenti, poi ricompresa sotto il dominio diretto di Roma.
  • Infine, come atto conclusivo, anche la Grecia riceverà il suo avvertimento: sempre nel 146, la città ribelle di Corinto sarà assediata e distrutta dalle truppe imperiali, un chiaro segnale lanciato ai particolarismi e alla varie Leghe che si contendono la Grecia.

CONCLUSIONI

A seguito della poderosa estensione territoriale e delle trasformazioni sociali che ne derivano, si sviluppano in questi anni delle nuove forze sociali, alternative ai tradizionali ceti di governo nobiliari (politicamente rappresentati dal Senato). Parliamo ovviamente dei ceti commerciali e finanziari, oltre che di quelli militari.

Tali forze - i cui interessi si distinguono sempre di più da quelli del Senato e della nobiltà terriera (pur senza entrare ancora con essi in un rapporto di vera e propria contrapposizione) e che trasformano lo Stato arcaico 'di contadini e di guerrieri' in una struttura socialmente più complessa e stratificata (comprendente ad esempio i ceti medi e bassi, il proletariato urbano e quello rurale…) - finiscono inevitabilmente per minare quell'assoluto predominio nobiliare che aveva caratterizzato i decenni precedenti.

L'insorgere di nuovi problemi, di nuovi risvolti sociali e di nuove tendenze culturali e politiche, che cadono al di fuori degli orizzonti dei ceti di potere più tradizionali, tende difatti ad offuscare l'egemonia politica ed istituzionale di questi ultimi.

Tale tendenza sarà alla base della reazione posta in atto dal Senato - soprattutto negli anni che seguiranno la fine della seconda guerra punica - attraverso l'accentramento dei poteri dello Stato a scapito delle forze sociali emergenti.

Assistiamo inoltre, in questo periodo, all'affermarsi di nuove attitudini in campo politico, che si contrappongono evidentemente a quelle proprie dell'oligarchia senatoria, e che rispecchiano una visione decisamente più aperta, favorevole cioè - oltre che all'esercizio di un dominio a senso unico nei confronti dei territori assoggettati e alleati - anche al consolidamento dei poteri attraverso l'instaurazione di alleanze e di equilibri politici.

Anche questo secondo aspetto, di carattere anzitutto culturale, costituirà un elemento di tensione e di contrasto all'interno della società romana.


Cfr L'agricoltura romana fra Catone e Varrone
Basil Liddell Hart, Scipione Africano, ed. BUR, Milano 2002
G.P. Baker, Annibale, Dall'Oglio Editore, Milano 1968
B.H. Warmington, Storia di Cartagine, Torino 1968
A. Momigliano, Annibale politico, in Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1975
G. Brizzi, Studi di storia annibalica, Faenza 1984
S. Moscati, Il tramonto di Cartagine, ed SEI, Torino
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014