STORIA ROMANA


Roma, l'apogeo della forma statale schiavile

I - II - III - IV
Le due vie della nascita dello Stato nelle società antiche

2. Il modo di produzione asiatico. Storia e caratteristiche essenziali

Con la differenziazione sociale nasce la necessità di difendere le proprietà di alcuni, i loro privilegi, escludendone tutti gli altri: nasce lo Stato, nascono la legge, i tribunali, gli eserciti. La divisione del lavoro pone anche la necessità di un coordinamento mediato del lavoro sociale: la moneta, i prezzi, il mercato. Questo è quello che accade in occidente. Ma il surplus precede la nascita delle classi. E, in realtà, non sempre la generazione di surplus è indice di sfruttamento. Può ben darsi una società in cui il plusprodotto è gestito dalla comunità a fini sociali.

Agamennone. Maschera d'oro proveniente da Micene

Ma, allo stesso tempo, lo sfruttamento non è necessariamente innestato sui rapporti di produzione; può invece derivare dal ruolo politico, dal "potere funzionale" di una casta. Si può dare sfruttamento al di fuori dei rapporti di produzione (o meglio lo sfruttamento nasce al di fuori dei rapporti di produzione, che contribuisce a creare).

Questa è la base del modo di produzione asiatico. Qui lo Stato nasce da una funzione produttiva o da una conquista militare: la difesa delle terre coltivate dalle tribù gentilizie, la difesa dell’ager publicus (difesa militare ma anche sviluppo produttivo con i lavori pubblici). In occidente, accanto all’ager publicus si sviluppano rapporti di produzione basati sulla proprietà individuale, mentre in oriente l’attività individuale rimane marginale rispetto alla proprietà fondiaria collettiva. In definitiva, il modo di produzione asiatico nasce su villaggi pressoché gentilizi, ma sulla base dello sfruttamento politico di questi villaggi da parte della burocrazia statale. Le comunità primitive, insieme unità di produzione e di consumo, sono tutte uguali. Per questo lo scambio, la divisione del lavoro e la moneta restano insignificanti. Il lavoro astratto e concreto non si distinguono, dato che non c’è compravendita di forza-lavoro e il lavoro è immediatamente sociale. D’altra parte la proprietà fondiaria comune, base della produzione asiatica, è costitutiva del modo di produzione asiatico: il divieto di compravendita della terra rigoroso. Quando inizia, lo scambio è tra famiglie, tribù, non tra individui, l’accumulazione non è privata. La forma "naturale" di esistenza dell’uomo è nella sua comunità immediata. Lo Stato requisisce il pluslavoro e lo trasforma in palazzi, piramidi, canali. Il modo di produzione asiatico è la trasformazione qualitativa del comunismo rurale in una società di classe.

La storia del concetto di modo di produzione asiatico nasce da alcune considerazioni di Marx sulle riflessioni che la cultura europea, da Hegel ai filosofi francesi e inglesi, facevano sull’asiatismo come forma congenita e arretrata di esistenza dei popoli orientali.

In un primo periodo, come si è accennato, gli stessi fondatori della concezione materialistica della storia svilupparono una analisi storica abbastanza lineare. Alcuni passi di Marx potrebbero essere ascritti a questa visione, come il famoso brano della Prefazione a Per la critica dell’economia politica in cui Marx enumera i modi di produzione come una sequenza lineare[8]. Ma già negli anni ’50 gli studi antropologici permettono a Marx ed Engels di fare passi avanti. Marx è particolarmente interessato a stabilire come in occidente si è giunti dalla proprietà collettiva al capitalismo attraverso i diversi modi di produzione. Il modo di produzione asiatico appare a Marx come una delle vie per cui la società gentilizia viene dissolta e la studia soprattutto "per differenza", per capire perché non ha dato luogo al capitalismo. Così facendo scopre che non esiste una sequenza lineare di stadi storici (anche per via della legge dello sviluppo diseguale e combinato) e che la storia dei diversi modi di produzione è assai più dialettica di quanto quell’elenco potrebbe dire. Scopre anche che il modo di produzione asiatico si estese ben oltre quanto si era supposto in precedenza:

"è una menzogna storica che questa proprietà collettiva sia mongolica. Come accennai diverse volte nei miei scritti, essa è di origine indiana e si riscontra perciò presso tutti i popoli civili europei all’inizio del loro sviluppo. La forma specificamente slava (non mongolica) di essa in Russia (e che si ripete anche presso degli slavi meridionali non russi) ha anzi la maggiore somiglianza, mutatis mutandis, con la variante antico-tedesca della proprietà collettiva indiana."[9]

Ma questo approfondimento non rispondeva solo a finalità teoriche ma era, come sempre nella storia del marxismo, strettamente intrecciato a questioni di scottante attualità politica. I populisti russi ritenevano possibile, per la Russia, evitare il capitalismo, passando dalla comunità rurale al socialismo. Marx ed Engels non esclusero che ciò fosse possibile a patto che si desse come condizione preliminare la vittoria della rivoluzione socialista in occidente. La vittoria della classe operaia tedesca, inglese, francese, avrebbe evitato le "gioie" del capitalismo ai popoli orientali. Approfondendo la situazione russa, Marx ed Engels conobbero la natura e l’estensione del modo di produzione asiatico. Abbiamo tracce di questo lavoro teorico sia nelle opere di Marx (tra cui, soprattutto, le Forme) sia nella loro corrispondenza. In uno scambio di vedute sulla proprietà fondiaria del giugno 1853, Marx sostiene che per capire l’arcano delle società orientali occorre partire dal fatto che non vi esisteva proprietà privata della terra e Engels risponde:

"l’assenza della proprietà fondiaria è in realtà la chiave per tutto l’Oriente; qui risiede la storia politica e religiosa. Ma per quale motivo gli orientali non arrivano ad avere una proprietà fondiaria, neanche quella feudale? Io credo che la ragione risieda soprattutto nel clima, assieme con le condizioni del suolo…l’irrigazione artificiale è la prima condizione dell’agricoltura, e questa è cosa o dei comuni o delle province o del governo centrale[10]

e Marx a sua volta osserva:

"Ciò che spiega completamente il carattere stazionario di questa parte dell’Asia…sono le due condizioni che si sostengono a vicenda: 1) i public works come cosa del governo centrale; 2) accanto ad essi tutto l’impero, escluse le poche città maggiori, dissolte in villages, che possedevano una completa organizzazione a sé e costituivano un piccolo mondo a sé"[11]

I tratti fondamentali del modo di produzione asiatico sono già delineati in questo scambio. Ma successivamente, del modo di produzione asiatico si parlò poco. Engels non lo discusse ne l’origine della famiglia, Plechanov ne negò l’esistenza. Il concetto di modo di produzione asiatico "passò di moda" dopo la morte di Marx soprattutto per ragioni politiche. Ai teorici della Seconda internazionale, filocolonialisti, faceva comodo asserire che tutti i paesi si dovevano sviluppare come l’Inghilterra. Per molto tempo, la Seconda internazionale adottò, seppure implicitamente, la famosa politica coloniale socialista, che era una giustificazione integrale delle politiche imperialiste europee. Solo dopo aspre battaglie queste posizioni vennero respinte.

La Terza internazionale, la cui nascita si accompagnò al risveglio delle masse dei paesi coloniali, si occupò ampiamente del problema. Alcuni studiosi (Rjazanov, Varga) diedero interessanti contributi sul tema. Purtroppo, questo, come ogni altro dibattito teorico, si spense con la stalinizzazione dell’Internazionale. Il concetto di modo di produzione asiatico cadde in disgrazia per due ragioni: innanzitutto Stalin voleva giustificare l’alleanza con il Kuomintang (e dunque aveva interesse a che la Cina fosse equiparata a un paese feudale); in secondo luogo, la discussione di uno Stato di casta faceva in qualche modo risaltare la natura della stessa Russia stalinista. Ad esempio nel 1930 Rakovskij, dirigente dell’opposizione di sinistra, paragonò apertamente la burocrazia sovietica e il funzionariato asiatico. Da lì in poi i sostenitori del modo di produzione asiatico vennero identificati con i trotskisti e con ciò bollati di infamia.

In seguito, lo studio del modo di produzione asiatico venne affrontato, come in origine, in relazione alla stagnazione economica e sociale. Ad esempio in La formazione del pensiero economico di Marx, Mandel, che confina la formazione asiatica all’India e della Cina, lo caratterizza con lo strapotere dello Stato che impedisce lo sviluppo del capitalismo. Seppure in questa società vi sono delle classi ("accanto ai contadini esistono non solo i funzionari pubblici ma anche dei proprietari fondiari che s’appropriano illegalmente della proprietà del suolo, dei mercanti e dei banchieri"[12]) queste classi sono troppo deboli di fronte allo Stato per permettere uno sviluppo indipendente.

La sintesi del dibattito sul modo di produzione asiatico è dunque: perché questa formazione resiste per millenni ad oriente mentre in Grecia e a Roma entra ben presto in crisi? La risposta è connessa allo sviluppo delle forze produttive: in Attica e nel Lazio, l’esplosione demografica condusse rapidamente alla proprietà privata delle terre. E una volta che in una zona il modo di produzione asiatico è stato superato, non può più tornare. Così, quando i barbari eliminano la carcassa dell’impero romano ormai agonizzante non si ricrea un modo di produzione asiatico perché i capi guerrieri anziché rioccupare i palazzi si dividono le terre vincolandovi i contadini. Il genio del valore di scambio e del denaro, una volta uscito dalla bottiglia dei rapporti interpersonali di divisione del lavoro, non vi tornerà più. La proprietà feudale è esercitata da una classe che ha ancora alcuni caratteri della casta (il cavaliere "vince" la terra grazie al sovrano), ma nel complesso è proprietaria dei mezzi di produzione (i contadini e la terra); il modo di produzione asiatico è finito per sempre.

Le caratteristiche essenziali del modo di produzione asiatico, già delineate da Marx, possono riassumersi come segue:

a) esiste un sovrano assoluto la cui autorità promana direttamente dal cielo. È il capo dell’esercito e della burocrazia. Esercita la giustizia, nomina i governatori, tramanda il potere ai propri eredi. Per certi versi è proprietario dei mezzi di produzione (il che significa, della terra), ma solo nel senso che incarna il vertice della casta che collettivamente se ne è appropriata;

b) le classi sono appena all’inizio: "le caste, embrione di una differenziazione in classi, sono il prodotto delle antiche funzioni pubbliche esercitate da alcune persone mantenute a carico di tutta la comunità"[13]. La casta dominante sorge dunque dal seno della proprietà fondiaria collettiva, tende a divenire una classe, ma non lo è ancora. Trae il suo dominio economico dal potere politico. I funzionari sono numerosi e onnipotenti. Hanno due compiti fondamentali: sono sacerdoti e scribi. In quanto sacerdoti, attendono ai culti di Stato, interpretano i voleri degli dei e così via. In quanto scribi sono i depositari del sapere (essenzialmente astronomico e matematico) che gli consente di gestire la produzione e lo Stato. Al loro interno vi è una gerarchia necessaria anche per i culti (la gerarchia celeste è lo specchio della gerarchia terrestre). Gli scribi gestiscono la proprietà fondiaria sia direttamente (le terre dei templi) che indirettamente. A volte, il re è il capo degli scribi. Altre volte, questi hanno una relativa indipendenza. Si può anzi affermare che soprattutto i governatori tendono inesorabilmente a distaccarsi dal potere centrale e per questo vanno cambiati spesso. La classe dominante del modo di produzione asiatico si formerà partendo dalla casta dei sacerdoti piuttosto che dai capi militari perché i sacerdoti hanno accumulato le conoscenze decisive: astronomiche e matematiche, per prevedere lo sviluppo delle piene e per costruire i canali, due prerequisiti chiave per la produzione. La casta sacerdotale è poi depositaria dell’ideologia dominante[14];

c) la gran massa della popolazione vive in villaggi indipendenti ed autarchici, in cui vi è una piena fusione di agricoltura e industria, dove non si conosce la proprietà fondiaria individuale e vi permane la proprietà comune tribale. Così, tutta la terra è formalmente del re, dello Stato, ma è posseduta in concreto dalle comunità di villaggio. Per sopravvivere questa produzione abbisogna di imponenti lavori idraulici, forniti centralmente;

d) in cambio di questi lavori, lo Stato si appropria di tutto il surplus creato dalle comunità di villaggio e lo concentra al vertice per opere tecnicamente improduttive, ma essenziali per la persistenza della società (come piramidi, valli difensivi, ecc.);

e) il surplus accumulato non è capitale se non accidentalmente, poiché la produzione rimane orientata ai valori d’uso, il mercato e la moneta sussistono ai margini della società[15];

f) ai confini degli Stati "asiatici" vi sono territori di conquista abitati da nomadi o popolazioni neolitiche che a volte, sospinte da modificazioni ambientali o da invasioni, si avvicinano minacciosamente (si tratta pur sempre di tribù guerriere). Spesso queste tribù vengono gradualmente inglobate, arrivando addirittura al vertice dell’apparato statale. Altre volte sono distrutte. Altre ancora, approfittando della crisi di un regno, calano dalle montagne e mettono a ferro e fuoco la città;

g) vi è una distinzione tra classi politiche e classi in senso economico. Mentre nel capitalismo la sovrapposizione è di norma totale, nel modo di produzione asiatico la classe produttivamente dominante (la comunità di villaggio) politicamente non ha neppure un’esistenza vera e propria.

2.1. Alcuni casi specifici di modo di produzione asiatico

I primi Stati asiatici sorgono in Medio Oriente:

"A partire dalla seconda metà del IV millennio sorgono, fra la Mesopotamia e l’Egitto, le prime società che sembrano richiamarsi alla forma asiatica. I caratteri essenziali sono la monarchia…l’amministrazione retta da funzionari, la direzione accentrata dell’economia, l’invenzione della scrittura."[16]

Nel quadro di queste caratteristiche generali, il modo di produzione asiatico si sviluppa, come ogni altra formazione sociale, in forme storicamente specifiche, sulla base di fattori ambientali, dell’interazione con altri modi di produzione, dello sviluppo diseguale e combinato e così via.

Alcuni regni (come quello persiano) avevano un più spiccato carattere feudale, con una casta di veri e propri vassalli (i satrapi), seppure anche in tal caso vi era un’importanza decisiva delle opere pubbliche.

In India gli Arya invasori imposero la loro struttura: una tribù retta da un re (rajan) coadiuvato dal consiglio (nobili e "monaci"). Il re era essenzialmente il capo militare. L’assetto dell’esercito era, come sempre, fortemente gerarchico: la fanteria appiedata e armata alla leggera, il re e nobili con i carri da guerra. Poco sappiamo sulla proprietà della terra anche se sembra che i pascoli fossero comuni. D’altra parte, formalmente, nella civiltà Mogol indiana il re era l’unico proprietario, come sempre in ogni modo di produzione asiatico. Nota Rosa Luxemburg:

"L’antichissima organizzazione economica degli indiani - la comunità di villaggio di tipo comunista - si era conservata per millenni in diverse forme e aveva compiuto una lunga parabola storica interna nonostante le tempeste politiche."[17]

Per trasformare l’India in qualcosa di appetibile gli Inglesi "regalarono" la terra al Gran Mogol e costrinsero alla vendita i campi comunali, dopo di che se la presero tutta. Così si passò dalla terra collettiva al latifondismo in pochi anni. Ma a differenza di tutti i conquistatori precedenti "gli inglesi furono i primi…a mostrare una completa indifferenza per le opere pubbliche di carattere economico", come è ovvio, per la classe capitalista. Ne seguirono carestie a non finire, un efficace strumento per creare un consistente proletariato urbano.

Gli Arya trattarono i popoli preesistenti come iloti, senza mai fondersi con essi, tanto da dare origine al sistema delle caste che, col passare del tempo, ebbe carattere sempre più chiuso (endogamia, ecc.). Il potere dei sacerdoti era enorme e produceva, come ovunque si dia luogo alla separazione tra lavoro manuale e intellettuale, ad un’ontologia idealista:

"Il sole non sorgerebbe se il sacerdote non offrisse di buon’ora il sacrificio del fuoco"[18]

La storia di questa casta è analoga a quella di tutti questi gruppi: in origine il brahamano era lo sciamano della tribù, col tempo viene a far parte di una casta chiusa (si pensi ai Leviti di cui parla l’Esodo).

Per la Cina sembrerebbe effettivamente esserci un’epoca feudale prima del sorgere dell’Impero, come dimostrerebbero le continue rivolte contadine contro i nobili. Il feudalesimo era però combinato con elementi precedenti (clan gentilizi su base religiosa). Solo gli appartenenti al clan (nobili) potevano avere proprietà feudale e cariche pubbliche. Questo dimostrerebbe che il feudalesimo era in realtà una forma estrema di dominazione di tipo spartano, con gli invasori che soggiogano le popolazioni precedenti togliendogli la proprietà della terra e costringendoli a lavorare per loro. I nobili erano anche gli unici cavalieri e aurighi dato che, come sempre, la struttura militare ricalca quella sociale.

La cosa interessante è che in Cina sembra essersi avuto un passaggio inverso: dall’essere "veri" feudatari, i nobili diventarono col tempo semplici funzionari imperiali, gestori del fondo del "principe". Per la massa della popolazione formata da contadini che lavorano terra di cui hanno il possesso ma non la proprietà, non mutò nulla di sostanziale. Il potere centrale cercò di sostenere la classe contadina arginando la concentrazione fondiaria e impedendo addirittura la compravendita di terra. Ma come in situazioni analoghe a Roma o in Grecia, senza successo. Allo Stato i contadini dovevano: varie tasse, il servizio militare, il lavoro coatto in opere pubbliche. Gli schiavi erano per lo più pubblici (minatori, lavoratori dei monopoli statali, ma anche impiegati), e costituivano forse l’1-2% della forza-lavoro. Come per gli imperi mesopotamici o per Roma, vi era un continuo attrito con le popolazioni nomadi (qui gli Unni) che accelerano la necessità di un esercito permanente di opere pubbliche, ecc.

Gli Etruschi rappresentano per certi versi una situazione intermedia tra oriente ed occidente. Anche storicamente essi presentano un misto di elementi italici con influssi esterni orientali. Creano una struttura di città Stato aristocratiche, non estranee a continui influssi greci, ma allo stesso tempo con notevoli residui asiatici.

L’Italia etrusca emerge dall’età del bronzo con la civiltà villanoviana, villaggi collinari fortificati dominati da una tribù, con una società ancora gentilizia e la proprietà comune delle terre. Ad essa segue una fase di dissoluzione dei rapporti tribali con il sorgere del pater familias padrone di tutto, con gruppi aristocratici che dominano la proprietà fondiaria e schiere di clientes (quasi servitori, residui di strutture gentilizie). I palazzi ricchi e maestosi, le tombe opulente sono classiche caratteristiche "orientali". Così come in città, sul campo di battaglia vediamo elementi misti. Si usa la tattica oplitica, ma a capo della falange c’è il ricco sul carro. In sintesi:

"La società arcaica, formatasi lentamente nella "grande Etruria" sulla distruzione dell’economia di villaggio avviata all’indomani dell’appropriazione privata della terra tra X e IX secolo a.C., ha trovato già nell’VIII secolo a.C. nella servitus di larghi strati contadini lo strumento economico e il rapporto sociale di produzione ideale…l’elemento dominante della produzione era rappresentato dal lavoro involontario non schiavile: ciò che ha reso peculiare l’area etrusca è stata la capacità di riproduzione del sistema fino alla piena età ellenistica, laddove nel resto del Mediterraneo più civilizzato era da tempo scomparso."[19]

Quanto all’America, quando arrivarono gli spagnoli, il regno azteco attraversava la fase di declino del modo di produzione asiatico. Gli Aztechi, come molte altre popolazioni nomadi, giunsero a occupare la terra di altre popolazioni più evolute e le sottomisero con la forza. Ne emerse un’ideologia della violenza che in questo caso si incentrava sui sacrifici umani rituali. Come è normale in queste formazioni, non si dava proprietà privata fondiaria:

"Nel dominio fondiario, la società azteca non conosce il diritto di proprietà. Le terre possono appartenere allo Stato che le gestisce sia direttamente, sia per il tramite di istituzioni pubbliche. Oppure appartengono a comunità, le città stesse…"[20]

Ogni cittadino aveva il diritto-dovere trasmissibile di coltivare un lotto di terra "naturalmente inalienabile" (l’ager publicus né più né meno). Il signore, che è un guerriero, veniva premiato dall’imperatore con il diritto di usufrutto di un dominio imperiale. In questa società si conosceva la schiavitù di guerra, per debiti, per punizione e anche volontaria (la più frequente). In pratica un povero si rivolgeva ad un signore, stipulando un contratto con cui otteneva subito il pagamento del proprio lavoro di una vita e viveva di quello. Finito di spendere andava a servire il padrone. Se si mostrava pigro veniva "sacrificato". A dominare lo Stato vi sono le classiche due figure: guerrieri e sacerdoti:

"Due caste dominanti si spartiscono il terribile compito di governare: i preti e i guerrieri"[21]

I guerrieri avevano in realtà un compito non troppo difficile. Le guerre di conquista erano per lo più battaglie diplomatiche, gli scontri armati si risolvevano in brevi scaramucce quasi rituali in cui si mirava a catturare gente da sacrificare. Gli armamenti erano del tutto inefficienti. I preti gestivano il vero apparato repressivo: la morte rituale sull’altare per mezzo di pratiche raffinate e spaventose. Il legame tra economia e religione era qui ancor più organico che in altri casi di società "asiatica":

"Per la classe dirigente, l’economia non può dissociarsi dal servizio religioso e comunitario; per essa, la vera ricchezza consiste dunque nel merito e nei vantaggi che dal merito derivano, vale a dire, essenzialmente, nel diritto d’usufrutto di certe terre."[22]

All’arrivo degli spagnoli il commercio e il denaro erano già presenti, seppur ancora in posizione secondaria.

Come detto, il sacrificio costituiva un elemento essenziale della vita pubblica azteca. Si sacrificavano quasi esclusivamente prigionieri di guerra come monito per tutti gli oppressi. Il prigioniero veniva drogato, ubriacato e poi spesso fatto faticare fino allo sfinimento e infine ucciso in vari modi (scuoiato, accoltellato, decapitato, buttato in una pentola ecc.), i teschi esposti in lugubri monumenti. Sebbene alcuni abbiano voluto vedere in questo un’usanza "tribale" o legata all’innato sadismo umano, la realtà è che si trattava di pratiche aventi una ben precisa connotazione sociale:

"La presenza perpetua e pletorica di questi trofei, visi suppliziati ben presto ridotti allo stato di crani perforati, ispira al popolo un rispetto misto a terrore…il sacrificio si impone come strumento di dominio; esso instaura, tramite il superamento che esso stesso promuove, una legge "soprannaturale" che conferisce potenza al suo detentore."[23]

Questo vale anche per l’antropofagia, che non serviva certo a sfamare:

"l’antropofagia appare chiaramente come una cerimonia di casta: bisogna essere nobili, militari o negozianti per avere il diritto di mangiare la carne umana; quanto alla gente comune e ai contadini, essi ne sono privi."[24]

E' l’estremo sacrificio e l’estremo monito: la ribellione conduce all’annientamento, addirittura all’assorbimento dello schiavo nel ventre del suo padrone. Anche in questa società gran parte del sovrappiù è sperperata in modi che sembrano a prima vista improduttivi (le feste sacrificali), che però hanno un ruolo di primo piano nel mantenere il dominio sociale. Inoltre, si trattava di società molto repressive anche in materia sessuale. Come al solito, la repressione sessuale è parte del più generale clima oppressivo all’interno di una società.

Infine, il modo di produzione asiatico prevaleva anche in Africa, laddove la società aveva superato il livello gentilizio:

"Quando i francesi conquistarono l’Algeria…dominavano le antichissime istituzioni sociali ed economiche…se nelle città…dominava la proprietà privata e, nelle campagne, già grandi estensioni di terra erano state usurpate come demanio statale dai vassalli turchi, tuttavia, quasi la metà della terra coltivata continuava ad appartenere in proprietà indivisa alle tribù arabo-cabile; e qui vigevano ancora secolari, patriarcali costumi"[25]

Cioè dominava una struttura semigentilizia simile alla zadruga slava. I francesi distrussero questa proprietà collettiva.

Lo stesso fecero gli europei nel Transvaal, dove in più si ebbe lo scontro tra la la piccola economia schiavile boera e le necessità dell’imperialismo britannico che condusse alle guerre anglo-boere. Gli inglesi distrussero l’economia dei Boeri trasformando i capitribù in proprietari terrieri:

"Ciò urtava in pieno con la tradizione e coi rapporti sociali dei negri, giacché la terra era possesso collettivo delle tribù indigene, e perfino i capi più crudeli e dispotici…avevano soltanto il diritto e il dovere di assegnare ad ogni famiglia un appezzamento, che però rimaneva in suo possesso solo finché effettivamente coltivato."[26]

La stessa situazione si trova in Egitto, dove le terre dei villaggi furono privatizzate con gravi problemi (a nessuno conveniva più lavorare per il sistema di irrigazione, le dighe, ecc., che erano comuni).

Le fonti storiche dimostrano dunque che il modo di produzione asiatico lungi dall’essere confinato in Medio oriente, è la forma storicamente "ordinaria" in cui viene ad esaurirsi la società gentilizia.


[8]"A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società.", Prefazione a per la critica dell’economia politica, p. 6. (torna su)
[9]Marx K., Lettere a Kugelmann, lettera del 17-2-1870. (torna su)
[10]Engels F., Marx K., Carteggio, vol. I, lettera del 6-6-1853. (torna su)
[11]Cit., lettera del 14-6-1853. (torna su)
[12]Mandel E., La formazione del pensiero economico di Marx, p. 141. (torna su)
[13]Sofri G., Il modo di produzione asiatico, p. 152. (torna su)
[14]Esemplare a questo proposito è l’epopea di Gilgamesh, una delle leggende più antiche della Mesopotamia, forse il prototipo stesso di narrazione mitica. Questo racconto ci parla di Gilgamesh, re di Uruk, figlio di semidei, in un’epoca risalente a circa 4500 anni fa dove: "Serviva i templi una casta sacerdotale nelle cui mani era una volta accentrata quasi tutta la ricchezza dello stato e dalla quale provenivano archivisti e maestri, studiosi e matematici. Nei primissimi tempi costoro erano stati i depositari di tutto il potere temporale in qualità di servitori del dio di cui amministravano i beni. In seguito, fu un singolo individuo a divenire ‘agricoltore affittuario e custode; poi ‘la sovranità discese dal cielo’, il potere venne secolarizzato e sorsero le dinastie regali" (introduzione di N.K. Sandars). La dimostrazione del pieno carattere asiatico di questa storia la troviamo nel fatto che nel pantheon, accanto a dei "classici" (il sole, la luna, la terra, il cielo, il creatore degli uomini ecc.) c’è anche il dio "Ennugi, guardiano dei canali". L’epopea di Gilgamesh ci racconta di tre popoli: quello urbano di Gilgamesh, i nomadi confinanti con cui i Sumeri vengono a patti, e tribù gentilizie irriducibili con cui devono combattere per avere il diritto di prendere le risorse dei loro territori. La narrazione di come le tribù nomadi vengano sottomesse alle città, esempio chiarissimo di sviluppo del modo di produzione asiatico, racconta di quali novità comportò questo sviluppo. Così, tra le altre cose che Enkidu, l’amico di Gilgamesh che rappresenta i nomadi, ottiene con l’urbanizzazione vi sono nuovi cibi: "davanti a lui posero il pane, ma Enkidu sapeva solo suggere il latte degli animali selvatici. Annaspò maldestro, stette a bocca aperta, e non sapeva cosa fare o come dovesse mangiare il pane e bere il vino forte." (cit., p. 92). Questo perché, come si è osservato, l’uomo prima dei Sumeri non conosceva i cereali. D’altra parte, il modo di produzione asiatico è basato su una densità della popolazione che senza cereali non sarebbe possibile.
Si noti poi che questi culti siano strettamente intrecciati con il potere politico e con i compiti produttivi della casta sacerdotale. Una classica invocazione dell’epoca recita: "Ahuramazda, che ha creato questa terra/ che ha creato quel cielo/ che ha creato gli uomini/ che ha dato agli uomini la ricchezza delle messi/ che ha posto Dario sul trono" , cit. in AA VV, Propilei, vol. 2, p. 164. (torna su)
[15]Come nota Marx: "La purezza (l’astratta determinatezza) con la quale i popoli commerciali - fenici, cartaginesi - apparvero nel mondo antico, è data precisamente dal predominio dei popoli agricoli" (Introduzione a per la critica dell’economia politica). Ovvero il loro ruolo era insieme marginale e necessario, il capitale nasce come capitale commerciale. (torna su)
[16]A. Carandini, L’anatomia della scimmia, p. 108. (torna su)
[17]R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, p. 359. (torna su)
[18]Shatapatra B., cit. in Propilei, vol. 2, p. 439. (torna su)
[19]Torelli M., Storia degli Etruschi, p. 280. (torna su)
[20]Duverger C., Il fiore letale. Il sacrificio nella civiltà azteca, p. 56. (torna su)
[21]Cit., p. 87. (torna su)
[22]Cit., p. 99. (torna su)
[23]Cit., p. 166. (torna su)
[24]Cit., p. 178. (torna su)
[25]R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, pp. 364-5. (torna su)
[26]Cit., p. 403. (torna su)


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Introduzione
1. L’umanità prima del modo di produzione asiatico
3. L’origine dello stato nella Grecia classica
4. Roma, l’apogeo della forma statale schiavile
Interpretazioni storiche

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014