LA STORIA ANTICA
dal comunismo primitivo alla fine dello schiavismo


L'ANALISI MARXISTA SULLO STATO ASIATICO

Vi è un modo d'impostare l'analisi dello "Stato asiatico" (quello relativo, secondo l'interpretazione marxista, al cosiddetto "modo di produzione asiatico") abbastanza curioso. Da un lato infatti si sostiene che la proprietà della terra era comune alle comunità di villaggio, anche se l'appropriazione delle eccedenze era privata (da parte delle caste); dall'altro si sostiene che il pluslavoro (per le eccedenze) era estorto a contadini liberi, mentre quello schiavile restava del tutto marginale; dall'altro ancora si precisa che senza una gestione delle terre collettive da parte della casta di amministratori-sacerdoti, e senza la difesa militare di tali proprietà, da parte della relativa casta, non sarebbe stato possibile alcuno Stato di tipo "asiatico".

Cosa c'è che non quadra in questa analisi? È l'idea che davvero possano esistere dei contadini giuridicamente "liberi" a fronte di due caste che li sfruttano economicamente. Con ciò non si vuole semplicemente sostenere che, in presenza di caste sociali, la libertà dei lavoratori è sempre molto relativa, ma anche che il concetto giuridico di "libertà formale" è moderno, cioè tipico della società borghese, la quale, a sua volta, presuppone una tradizione culturale di tipo cristiano.

La libertà dell'individuo singolo, inteso come persona, è sempre stata sconosciuta alle civiltà non-cristiane, proprio in quanto queste civiltà non riuscivano a vedere il singolo in maniera estrapolata dal contesto sociale di riferimento. Le civiltà non-cristiane non hanno mai sviluppato i diritti dei singoli cittadini, proprio perché non potevano concepire i cittadini come "singoli".

In Europa occidentale, durante il Medioevo, si sarebbe potuto sviluppare lo Stato asiatico, visto che le cosiddette popolazioni barbariche provenivano tutte dall'Europa orientale se non addirittura dall'Asia, rendendo tutta la terra di proprietà del sovrano. I fatti però andarono nella direzione opposta. I componenti della società medievale, dai grandi feudatari ai piccoli coltivatori, han sempre cercato di ottenere la terra in proprietà privata, ed erano tutti cristiani (ortodossi, ariani o cattolici che fossero). Sicuramente questo lo si può verificare molto bene proprio nell'area occidentale dell'Europa, dove già nell'877, col Capitolare di Quierzy, tutti i feudi maggiori erano stati privatizzati, e nel 1037 lo saranno anche quelli minori. Entrando nell'impero romano i barbari si erano, per così dire, "occidentalizzati".

Quindi delle due l'una: o i contadini degli Stati asiatici non-cristiani non erano così "liberi" (in senso giuridico) come ci si vuol far credere, oppure non fruivano di un'effettiva proprietà della terra. La terra veniva semplicemente data in concessione, persino nel caso in cui appartenesse a un determinato collettivo (comunità di villaggio). Cioè, in sostanza, le autorità dovevano aver convinto i proprietari terrieri che per un migliore sfruttamento delle risorse prodotte dai grandi fiumi (Nilo, Tigri, Eufrate...) era preferibile una gestione centralizzata delle terre, sicché i contadini continuavano a possedere le stesse terre di prima, ma su di esse avevano perso la proprietà, la quale, evidentemente, proprio per i nuovi legami di tipo tribale-statuale, non veniva considerata indispensabile per sopravvivere, anche perché la conduzione dei lavori agricoli non era più la stessa, dovendo essere coordinata tra le varie comunità.

Si arrivò insomma (in Egitto e in Mesopotamia) a un processo inverso rispetto a quello che avvenne nel Medioevo europeo, in cui tutti rivendicavano la proprietà privata della terra, in funzione anti-imperiale. Da noi si pensò che sulla base della privatizzazione sarebbe aumentato il benessere individuale o quello di piccoli gruppi (famiglia, parentado, clan, gens, stirpe, casato...); negli Stati asiatici invece si pensò che solo unendo le forze si sarebbero potute affrontare meglio le difficoltà di ambienti naturali ostili. In un caso la cultura cristiana esaltava l'individuo; nell'altro la cultura pagana esaltava il centralismo statuale della polis.

Quello che la scienza marxista non comprende, nell'analisi del modo di produzione asiatico, è che non è possibile la nascita dell'idea di "casta" semplicemente in forza della necessità di affrontare la produzione economica in ambienti particolarmente ostili. Non possono essere state soltanto delle difficili circostanze ambientali a far nascere una centralizzazione così innaturale rispetto al senso del collettivo egualitario che avevano le tribù del comunismo primitivo.

Quindi o le caste erano già patrimonio di queste tribù quando si sono trasferite in quegli ambienti, ma allora non possono essere state le specifiche esigenze di questi ambienti a produrre quelle caste; oppure, se la tribù trasferitasi in quelle zone impervie e difficili da gestire, era ferma ancora allo stadio del comunismo primitivo, devono per forza essere intervenuti fattori di tipo ideologico, che hanno sì fatto leva sulle esigenze dettate dall'ambiente ostile, ma sfruttandole come un pretesto per acquisire un potere autoritario. E tali fattori non potevano essere soltanto quelli inerenti alle previsioni delle piene (cioè le conoscenze astronomiche) o alla costruzione dei canali (cioè le conoscenze ingegneristiche): conoscenze di questo genere non possono essersi formate prima che le tribù si recassero in quegli ambienti. Dovevano esserci piuttosto delle suggestioni di tipo mistico-religioso, da divulgarsi in maniera relativamente facile, in modo che avessero effetti abbastanza immediati e di vasto raggio. Suggestioni di questo genere sono rinvenibili nei miti, che non possono essere stati prodotti dopo che si erano acquisite le nozioni tecnico-scientifiche per affrontare in maniera razionale le difficoltà di quegli ambienti. Come noto, il prototipo di qualunque narrazione mitica è il Gilgamesh mesopotamico, dove appare chiaramente l'enorme importanza del fattore religioso e la contrapposizione tra nomadismo e stanzialità, tra comunismo primitivo e urbanizzazione di casta.

Il fatto stesso che all'inizio le due funzioni di amministrazione economica e religiosa fossero unite nella stessa persona, lascia pensare che l'aspetto ideologico venisse tenuto in grande considerazione, o comunque non avesse un'importanza inferiore a quello dell'organizzazione della vita economica. Noi tendiamo a sottovalutare l'importanza della religione semplicemente perché oggi viviamo in condizioni molto laicizzate, senza peraltro renderci conto che una grande parte del nostro stile di vita non è altro che una religiosità laicizzata, cioè una forma illusoria di esistenza che lo sviluppo tecnico-scientifico ha reso appunto più disincantata.

Qui tuttavia non è da escludere che la decisione, da parte della tribù, di andare a vivere in zone così impervie, possa essere nata all'interno di rapporti già conflittuali con altre tribù maggiormente legate al comunismo primitivo; e che tali rapporti abbiano costituito la premessa per la futura nascita delle caste, una volta giunti in quegli ambienti.

La stessa trasformazione delle città-stato in imperi non si spiega dicendo che la crescita territoriale era l'unico strumento di sviluppo di forze produttive di basso livello. Se il problema fondamentale di queste comunità di villaggio fosse stato solamente quello di sopravvivere in un ambiente ostile, una volta organizzata la produzione, sfruttando al massimo le esondazioni periodiche dei fiumi, non ci sarebbe stata alcuna ragione di trasformare le città-stato in imperi unificati, centralizzati e militarmente molto aggressivi. Peraltro si parla di "basso livello delle forze produttive" quando questo livello era molto più alto di quello delle tribù rimaste al comunismo primitivo, non ancora urbanizzate.

In realtà la trasformazione della polis in impero era dettata da contraddizioni riguardanti il regime basato sulle caste improduttive e fiscalmente esose, sempre più abituate ai lussi e sempre più in stato di competizione tra loro: di qui peraltro la separazione delle funzioni civili, politiche, amministrative da quelle religiose. Saranno proprio queste caste a indurre i contadini e gli artigiani a trasformarsi in manovalanza a basso costo per gli eserciti, come già, in periodo di pace, avevano fatto per costruire i grandi edifici del potere politico e religioso.

Parlare quindi di fusione del "comunismo rurale" con una struttura politica centralizzata di carattere statale, è quanto meno improprio. Là dove esiste uno "Stato" non ci può essere alcun "comunismo", ma sempre "lavoro coatto". Che poi a questo lavoro ci si senta indotti più per motivazioni di ordine economico che non per motivazioni di ordine ideologico, non cambia la sostanza delle cose. Nel modo di produzione asiatico non solo non esiste il concetto di "persona", ma neppure quello di "collettivo libero".

E se da un lato si deve ritenere lo Stato asiatico qualitativamente inferiore a quello del "collettivo libero, in quanto privo di caratteristiche davvero umanitarie; dall'altro non lo si deve ritenere inferiore a quello basato sulla proprietà privata delle classi sociali, che è il modo di produzione di noi occidentali. Noi misuriamo l'efficacia del nostro sistema sulla base dello sviluppo tecnico-scientifico, ma se andiamo a guardare la durata complessiva dei nostri sistemi sociali basati sulla proprietà privata (schiavismo e feudalesimo), si noterà facilmente che è di molto inferiore a quella dei sistemi basati sul modo di produzione asiatico, che è poi, in fondo, una sorta di "socialismo di stato e di mercato".

Questo perché le contraddizioni sociali inerenti alla proprietà privata dei mezzi produttivi sono inevitabilmente molto più forti, e siccome la concorrenza tra le classi è sempre molto acuta, è facile che si sviluppino mezzi e strumenti sempre più perfezionati, con cui una classe vuole dominare su tutte le altre. È evidente quindi che le civiltà basate sulle classi tendono a prevalere su quelle dominate dalle caste, a meno che quest'ultime non riescano ad appropriarsi delle conoscenze, abilità e competenze per poter avviare una rivoluzione tecnico-scientifiche, senza dover sottostare ai difetti prodotti dalle classi sociali contrapposte.

Tuttavia per poter ottenere un vantaggio del genere, la casta dominante deve concedere alla società non soltanto l'utilizzo delle medesime tecnologie, ma anche l'acquisizione di un certo stile di vita, che necessariamente sarà più individualistico. Non avrebbe senso infatti permettere una maggiore ricchezza generale senza offrire la possibilità di una maggiore personalizzazione del benessere. Questo è appunto ciò che sta avvenendo oggi in Cina, che si appresta a ereditare i processi dello sviluppo capitalistico, che nei paesi occidentali, dominati dall'individualismo delle classi sociali, hanno già incontrato due gravi battute d'arresto nelle ultime guerre mondiali e che continuano a produrre crisi laceranti per la gran parte della popolazione, nei confronti delle quali non si vede all'orizzonte una sicura via d'uscita.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 01/05/2015