LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


LA CINA CONTRO L'OPPRESSIONE COLONIALE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO

Nell’ultimo trentennio del XIX sec. l’espansione delle potenze capitalistiche e le nuove forme di sfruttamento coloniale si scontrarono con una crescente resistenza dei popoli dell’Oriente.

Le potenze europee, gli Stati Uniti e il Giappone capitalistico intensificarono le azioni aggressive contro la Cina. I trattati e gli accordi-capestro imposti alla Cina assicuravano condizioni vantaggiose per l’esportazione delle loro merci nelle stesse zone interne del paese, mentre il soffocamento dell’insurrezione dei Taiping (1) apriva nuove possibilità di espansione economica e politica.

Nelle grandi città della Cina sorsero decine di aziende, banche, ditte straniere (nel 1883 esistevano a Shanghai quindici aziende straniere; nel 1884 nelle città portuali cinesi aperte al commercio con l’estero vivevano circa 4 mila stranieri, che gestivano 450 ditte commerciali).

Gli stranieri non potevano essere giudicati dai tribunali cinesi e avevano propri quartieri riservati nelle città commerciali. La corte dei Manciù (2) e il governo non prendevano nessuna misura per tutelare gli interessi nazionali della Cina dagli attentati compiuti dai colonialisti, anzi li consideravano loro alleati nella lotta contro il popolo cinese, per conservare il proprio potere nel paese.

Nel 1875 salì sul trono cinese l’imperatore minorenne Tsai T’ien, più noto, come “Kuang Hsü”. Ma tutti gli affari di governo rimasero nelle mani di sua zia, l’imperatrice vedova Tzu Hsi, alla cui corte regnavano l’arbitrio, la corruzione, la malversazione. I manciù, pur non superando il numero di 300 mila, costituivano sempre lo strato privilegiato della popolazione e dirigevano i principali organi civili e militari. Aiutati dai collaborazionisti cinesi, essi rintuzzavano qualsiasi attacco rivolto al loro dominio, esigevano che i cinesi portassero il codino e si sottomettessero ad altri atti umilianti di servitù.

LO SVILUPPO DEI RAPPORTI CAPITALISTICI

La penetrazione del capitale straniero accelerò la disgregazione dell’economia naturale. Nel paese si formò gradualmente un mercato di sbocco delle merci e un mercato di forza-lavoro. Tuttavia il capitale straniero frenava lo sviluppo del capitalismo nazionale cinese più che aiutarlo: la produzione industriale capitalistica era ancora molto debole: nel 1861 i mercanti di Fuchow acquistarono in Inghilterra attrezzature tecniche e aprirono tre fabbriche per la lavorazione del tè; nel 1863 entrò in esercizio a Shanghai il primo impianto per la pilatura del riso; dal 1865 comincia la costruzione di arsenali a Shanghai e in alcune altre città, di cantieri navali a Shanghai e a Fuchow, attrezzati con macchine giunte dall’Europa; nel 1872 fu fondata la prima compagnia di navigazione cinese, e quattro anni dopo venne costruita la prima linea ferroviaria, che collegava Shanghai a Paoshan; nel 1877 furono aperte le miniere di carbone a Kaiping; nel 1882 entrò in attività una cartiera meccanizzata; nel 1883 sorse la prima fabbrica metallurgica; nel 1890 si aprì la prima grande fabbrica tessile; negli anni 1890-91 venne costruita la fabbrica metallurgica di Hanian, e cominciò l’estrazione del ferro nelle miniere di Dai; nel 1896 esistevano nel paese sette grandi fabbriche tessili cinesi dotate di macchine moderne; nel periodo 1896-98 sorsero nuove fabbriche tessili nella Cina orientale; nel 1898 venne aperta al traffico la ferrovia Shanghai-Wusung.

A prendere l’iniziativa della costruzione delle prime grandi aziende industriali furono, assieme ai mercanti, alcuni esponenti della burocrazia feudale cinese, che si servirono non solo dei loro propri mezzi, ma anche di quelli dello Stato. Ma in generale lo Stato feudale ostacolava lo sviluppo del capitalismo cinese e creava difficoltà di ogni genere alla costruzione di fabbriche, imponendo onerose tasse agli imprenditori cinesi.

Nelle campagne dominava la proprietà feudale della terra. Il sistema della grande proprietà terriera e dell’usura, la fame e la povertà dei contadini, le numerose tasse, le barriere doganali interne, assieme all’assenza di un sistema unico di misure e di pesi e di un unico sistema monetario, ostacolavano seriamente lo sviluppo dei rapporti mercantili-monetari e la formazione di un mercato interno capitalistico.

LA FORMAZIONE DI NUOVE CLASSI SOCIALI

Nonostante tutti questi ostacoli sorsero nel paese nuove classi sociali: dagli strati sociali dei mercanti, dei proprietari terrieri e della burocrazia si formò la borghesia cinese, e dai contadini senza terra e dagli operai artigiani poveri si formò il proletariato cinese. Quest'ultimo aveva iniziato la sua formazione nelle aziende industriali straniere e perciò comparve prima della borghesia industriale nazionale.

Nell’ultimo trentennio del XIX sec. si rafforzò notevolmente lo strato sociale della borghesia dei compradores, asserviti agli interessi dei capitalisti stranieri e loro collaboratori nel saccheggio dei beni del popolo cinese. Anche molti alti funzionari feudali partecipavano alla loro attività.

Nelle aziende industriali straniere e cinesi era praticato un intenso sfruttamento degli operai. La presenza di un esercito di riserva di lavoratori permetteva di pagare un salario misero, di non porre nessun limite alla giornata lavorativa, d’ignorare completamente ogni tecnica antinfortunistica, di praticare largamente punizioni di ogni tipo e imporre multe illegali. Non meno sfruttate erano le donne e i bambini, pagati con un salario assai misero.

Le condizioni sfavorevoli allo sviluppo del capitalismo nazionale costringevano non solo molti contadini senza terra, braccianti, artigiani impoveriti, a emigrare, ma anche taluni esponenti della nascente borghesia cinese, specie della Cina meridionale. Generalmente si andava in Indonesia, in Malesia, nelle isole Hawaii, nelle Filippine, nel Siam e persino nell’America del Sud, dove il lavoro dei “coolies” cinesi veniva sfruttato nelle piantagioni e nelle miniere. Alla fine del sec. XIX il numero degli emigrati raggiunse la cifra di alcuni milioni di persone.

LA LOTTA DELLE MASSE POPOLARI CONTRO IL CAPITALE STRANIERO

Lo spadroneggiare dei capitalisti stranieri in Cina causò profonda indignazione nel popolo cinese: il paese era teatro di manifestazioni sempre più frequenti contro il governo e gli stranieri.

Particolarmente odiosi al popolo erano i missionari stranieri, che infrangevano le usanze secolari dei cinesi, si dedicavano all'usura, affittavano terre a condizioni-capestro e s’intromettevano negli affari interni della Cina.

Nel 1869-70 nella Cina del nord si scatenò un’ondata di agitazioni contro i missionari stranieri; nell’agosto 1883 ad Hangchow si svolsero grandi manifestazioni antibritanniche; durante la guerra franco-cinese del 1884-85 gli operai cinesi dei cantieri navali di Hong Kong - colonia britannica - si rifiutarono di riparare le navi da guerra francesi; nel febbraio 1889 la popolazione di Ch’ienshan, indignata per i soprusi dei mercanti e dei missionari francesi, distrusse gli edifici dei consolati inglese e americano; nel 1891 in varie località si ebbero nuove manifestazioni contro i missionari, dirette dalla società segreta dei “Fratelli maggiori”, alla quale aderivano contadini, artigiani e piccoli commercianti; nel 1892-93 altre organizzazioni segrete popolari diressero manifestazioni contro gli stranieri in molte città delle province dell’Hunan, dell’Hopei e dello Szechwan. Questi scoppi di collera popolare erano spontanei, disorganizzati, ed erano perciò rapidamente soffocati dalle autorità.

NUOVE TENDENZE NELLA VITA POLITICA E SOCIALE

Le trasformazioni nell’economia e la formazione di nuove classi sociali generarono nuove tendenze nella vita politica e sociale della Cina: alcuni esponenti della burocrazia feudale propugnavano l'"imitazione degli stranieri" e proponevano un rafforzamento dell’impero mediante l’acquisto dagli stranieri di navi da guerra e cannoni, l’addestramento dell’esercito e della flotta secondo l’arte militare dei colonialisti, per impedire la spartizione della Cina da parte loro e per soffocare le agitazioni contadine. Essi erano però decisamente contrari all’importazione delle idee politiche borghesi occidentali. Per loro iniziativa vennero tradotti in questi anni in lingua cinese manuali e libri europei di tecnica, di matematica, di cantieristica, di geografia, di economia ecc. I figli dei proprietari terrieri e dei funzionari cinesi e manciù furono inviati all’estero per compiere studi tecnici.

Nel 1888 il giovane scienziato del Kwantung, Kang Yu-wei, presentò alla corte un memorandum nel quale si criticavano i rapporti esistenti nel paese e si denunciava la politica aggressiva delle potenze capitalistiche nei confronti della Cina. Per impedire la spartizione della Cina da parte delle potenze straniere, Kang Yu-wei proponeva di operare trasformazioni profonde nella politica, nell’economia, nel diritto e nella cultura. Questo memorandum, che rispecchiava le aspirazioni della borghesia, non portò però ad alcun risultato concreto.

L’INIZIO DEL MOVIMENTO PER LE RIFORME

La dura guerra del 1894-95 contro il Giappone, conclusasi con l’umiliante trattato di Shimonoseki, causò in Cina una violenta ondata di malcontento popolare. La popolazione di Taiwan insorse contro la decisione del governo manciù di cedere l’isola ai giapponesi e nel maggio 1895 venne proclamata a Taiwan la repubblica. L’insurrezione popolare venne soffocata e le truppe giapponesi occuparono l’isola.

La sconfitta fu motivo occasionale anche per il sorgere in Cina di un movimento organizzato per l’attuazione delle riforme: il 15 aprile 1895, appena giunta a Pechino la notizia delle condizioni del trattato, gli studenti delle province del Kwantung e dell’Hunan, giunti nella capitale per sostenere gli esami di stato, si riunirono per esprimere una vigorosa protesta contro la conclusione del vergognoso trattato di pace.

Kang Yu-wei e i suoi discepoli, Liang Chi-chao e Mai Meng-hwa, stilarono una petizione da inviare alla corte manciù, entusiasticamente sottoscritta da oltre 1.200 studenti di tutte le province del paese, e presto diffusa in tutta la Cina.

La “petizione collettiva” condannava aspramente l’incapacità del governo a opporsi all’aggressione giapponese, respingeva gli argomenti dei fautori della conclusione della pace e faceva appello alla mobilitazione di tutte le forze del paese per continuare la guerra, proponendo all’imperatore il trasferimento della capitale da Pechino all’interno della Cina e il passaggio all’attuazione delle più urgenti riforme nel campo dell’economia, dell’amministrazione e della cultura. La petizione chiedeva inoltre la difesa degli interessi degli imprenditori cinesi dalla concorrenza del capitale straniero; la creazione di condizioni favorevoli all’impresa privata, allo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria, dei trasporti; la difesa degli emigrati cinesi dalla discriminazione da parte delle autorità straniere; una seria attenzione alla formazione di tecnici nazionali, alla diffusione dell’istruzione e alla riforma del sistema degli esami di stato, affinché le cariche amministrative venissero occupate da persone intelligenti, indipendentemente dall’età e dalla posizione sociale. La principale richiesta politica era la concessione di una Costituzione e l’istituzione di un Parlamento.

Nel documento traspariva tuttavia la paura di una nuova sollevazione contadina, simile alla insurrezione dei Taiping e si poneva quindi ogni speranza nelle riforme da attuarsi “dall’alto” con la forza e l’autorità della corte manciù.

Alla fine dell’agosto 1895 si formò nella capitale l'"Associazione per il consolidamento dello Stato", che divenne il quartier generale del movimento per le riforme. In precedenza era uscito un organo di stampa ad opera di Kang Yu-wei e dei suoi seguaci. Tanto il giornale che il circolo dei riformatori si pronunciavano contro la spartizione della Cina da parte degli Stati stranieri e lottavano per consolidare la potenza economica e militare del paese. Nello stesso tempo essi diffondevano le idee politiche borghesi occidentali e sostenevano la necessità di trasformazioni in direzione borghese in campo politico e sociale.

Nonostante il governo manciù avesse proibito, nel dicembre 1895, l’Associazione e avesse chiuso le sue sezioni di Shanghai e di Nanchino e il suo giornale, il movimento ebbe vaste ripercussioni in tutte le province della Cina. Gli studenti, che avevano partecipato agli esami di stato a Pechino, ritornati alle loro case, costituirono ovunque, sull’esempio dell'"Associazione per il consolidamento dello Stato”, unioni patriottiche, società, club, scuole ecc. Nel periodo dal 1895 al 1898 uscirono in Cina molti giornali e riviste e vennero pubblicati molti libri d’indirizzo liberale.

LA "SOCIETÀ PER IL RINNOVAMENTO DELLA CINA". L’INIZIO DELL’ATTIVITÀ DI SUN YAT-SEN

Contemporaneamente all’attività del movimento per le riforme sorse anche la prima organizzazione politica rivoluzionaria, la “Società per il rinnovamento della Cina”, che univa rappresentanti della borghesia nazionale e intellettuali borghesi della Cina meridionale, dove i rapporti capitalistici erano più sviluppati che al nord.

A differenza dei riformatori, questa organizzazione si poneva il compito dell’abbattimento violento della monarchia manciù. Suo leader principale era Sun Yat-sen, proveniente da una famiglia contadina del villaggio di Tsuiweng, nella provincia del Kwantung.

Da studente Sun Yat-sen aveva conosciuto le idee e l’attività della società segreta anti-manciù “Cielo e Terra” e aveva riunito attorno a sé un gruppo di studenti animati da idee patriottiche. Egli aveva scelto la professione del medico, perché pensava ch'essa gli avrebbe offerto la possibilità di mascherare l’attività rivoluzionaria.

Nell’estate 1894 Sun Yat-sen compì un viaggio a Tientsin nella speranza d’incontrare personalmente il governatore della provincia di Pechino, Li Hung-Chang, al quale egli aveva inviato un progetto di riforme economiche, politiche e culturali. L’attuazione di queste riforme avrebbe permesso, secondo Sun Yat-sen, di trasformare la Cina in uno Stato forte e indipendente dagli stranieri.

Tuttavia durante il suo viaggio al nord egli sperimentò di persona la venalità e la corruzione dell’apparato governativo e si convinse che Li Hung-chang e gli altri dignitari di corte erano nemici di ogni progresso.

Nell’autunno 1894 Sun Yat-sen si recò ad Honolulu, dove sviluppò la sua attività tra gli emigrati cinesi e costituì la “Società per il rinnovamento della Cina”; all’inizio del 1895 ritornò in patria con la profonda convinzione della necessità della lotta armata per l’abbattimento della monarchia manciù e lavorò nella Cina meridionale per la costituzione di sezioni della “Società per il rinnovamento della Cina”.

Tuttavia Sun Yat-sen riuscì ad attrarre nella sua organizzazione solo pochi aderenti combattivi. Non riusciva a capire l’importanza della partecipazione delle larghe masse popolari all’insurrezione e riteneva che il popolo avrebbe aderito spontaneamente a qualsiasi azione antimanciù. Di conseguenza la Società concentrò tutta la propria attenzione soltanto nella lotta contro il governo manciù, senza chiamare il popolo alla lotta contro tutte le forze feudali e contro i capitalisti stranieri che li sostenevano. Inoltre egli coltivava illusioni sull’atteggiamento delle potenze capitalistiche verso la Cina.

Per questi motivi la prima insurrezione preparata dalla Società e scoppiata il 26 ottobre 1895 a Kwangchow, fallì e Sun Yat-sen, assieme ad alcuni altri militanti della Società, fu costretto a emigrare. all’estero. Le autorità manciù promisero un grosso premio per la sua cattura.

L’INASPRIMENTO DELL’AGGRESSIONE ECONOMICA DELLE POTENZE IMPERIALISTE

La guerra nippo-cinese e il trattato di Shimonoseki intensificarono la lotta fra le potenze imperialiste per la spartizione della Cina (Inghilterra, Germania, Francia, Russia e Italia). Infatti le condizioni del trattato nippo-cinese facilitarono l’esportazione del capitale straniero in Cina. Crebbero dapprima gli investimenti di capitale straniero nelle aziende dell’industria leggera e nella costruzione di ferrovie.

Nel 1897 si contavano in Cina circa 600 ditte straniere e circa 10 mila stranieri. Il volume del commercio estero della Cina aumentò da 252 milioni di dollari nel 1895 a 336 milioni 200 mila dollari nel 1899, e il deficit della bilancia del commercio estero salì nel 1899 a 50 milioni 300 mila dollari.

Un posto importantissimo tra le merci importate avevano i tessuti di cotone, i filati, i prodotti del petrolio, quelli metallurgici e anche l’oppio. Sotto la minaccia delle potenze capitalistiche, la Cina fu costretta nel 1897 ad aprire al commercio straniero 34 porti marittimi e fluviali.

Oltre all’Inghilterra e alla Francia, dal 1897 al 1898 intensificarono la loro attività in Cina anche la Germania, il Giappone e gli Stati Uniti. La Cina era meta di un sempre maggior numero di finanzieri, concessionari e avventurieri stranieri. Con l’appoggio dei diplomatici dei propri paesi essi acquistavano dal governo manciù diverse concessioni, concludendo con le autorità centrali e provinciali affari svantaggiosi per la Cina.

Al saccheggio coloniale della Cina non mancò la Russia zarista: nel 1896 il governo russo otteneva il consenso alla costruzione della ferrovia della Cina orientale, che giungeva a Vladivostok, proponendosi di servirsene per impossessarsi delle ricche province nord-orientali.

Aumentò anche la dipendenza finanziaria del governo manciù dalle banche straniere. I prestiti per le spese militari e per pagare ai giapponesi le indennità di guerra furono ottenuti alle peggiori condizioni e la loro somma globale salì nel 1898 a oltre 250 milioni di dollari. La sottomissione al capitale straniero portò a un peggioramento della situazione economica e finanziaria del paese, al suo asservimento e alla rapina da parte dei monopoli stranieri.

NUOVE CONQUISTE TERRITORIALI DEGLI IMPERIALISTI

Nel novembre 1897 la Germania, che da tempo cercava un pretesto per attuare i propri piani di conquista in Cina, trasse motivo dall'uccisione, nella provincia dello Shantung, di due missionari tedeschi, e inviò la flotta dell’Oceano Pacifico nella baia cinese di Kiaochow, nella penisola dello Shantung. Un distaccamento militare tedesco occupò il porto e le fortificazioni.

Il governo tedesco inviò poi in Cina una grande spedizione militare comandata dal fratello del kaiser, il principe Enrico. Intavolate le trattative, la Germania richiese alla Cina la concessione “in affitto” per 99 anni della baia di Kiaochow per organizzarvi una base della propria marina da guerra; il diritto esclusivo alla costruzione di una ferrovia nello Shantung e allo sfruttamento del sottosuolo per una zona larga 15 chilometri da una parte e dall’altra della ferrovia; il permesso di occupare con proprie truppe i territori adiacenti alla baia di Kiaochow e altri diritti e privilegi. Convintisi che l’Inghilterra e la Russia approvavano tacitamente la politica della Germania, i governanti manciù approvarono le richieste tedesche.

Queste azioni brigantesche dell’imperialismo tedesco diedero inizio alla cosiddetta “battaglia per le concessioni”, cioè per la spartizione territoriale della Cina tra le potenze imperialiste. Subito dopo infatti la Russia impose alla Cina trattati di “affitto” per Port Arthur e Dalni e per la costruzione del ramo meridionale della ferrovia della Cina orientale; l’Inghilterra occupò il porto di Weihaiwei e parte della penisola del Kaolung e ottenne di sviluppare i suoi traffici in tutto il bacino del fiume Yangtze; la Francia prese in “affitto” il golfo di Kwangchow; il Giappone costrinse la Cina a riconoscere i suoi “interessi particolari” nella provincia del Fukien. Alla fine del XIX sec. la Cina era ormai divisa in sfere d’influenza delle diverse potenze imperialiste.

Nei 1899 gli Stati Uniti, nel tentativo di assicurare al loro capitale monopolistico (giunto in ritardo nel continente asiatico rispetto ai propri concorrenti europei) ampie possibilità di rapina coloniale in Cina e libertà d’azione all’interno delle già esistenti sfere d’influenza, proclamarono la cosidetta dottrina della “porta aperta”, mirando a cacciare gradualmente i propri concorrenti e a trasformare la Cina in una propria colonia.

I “CENTO GIORNI DELLE RIFORME”

L’inizio della spartizione della Cina da parte delle potenze imperialiste diede nuovo slancio al movimento riformatore tra la borghesia e i proprietari terrieri liberali, che, nel 1898, costituirono nella capitale varie unioni e associazioni. Nell’aprile si tenne a Pechino, sotto la direzione di Kang Yu-wei, l’assemblea costitutiva di una nuova organizzazione patriottica cinese di fautori delle riforme, la “Società per la difesa dello Stato”, che era di fatto un partito di borghesi e proprietari liberali, che volevano ottenere, mediante riforme “dall’alto”, un rafforzamento della Cina, l’attuazione di ordinamenti borghesi e la cacciata dei colonialisti stranieri.

Il partito delle riforme ottenne l’appoggio del giovane imperatore Kuang Hsü, che mirava a liberarsi della tutela dell’imperatrice Tzu Hsi e dei dignitari da lei nominati, per impadronirsi di tutto il potere. Su consiglio di Kang Yu-wei, il giovane imperatore emanò l’11 giugno 1898 un decreto, che aprì un periodo di breve durata - 102 giorni - in cui si cercò d'introdurre riforme borghesi moderate in Cina (i “cento giorni delle riforme”).

Al primo decreto ne seguirono altri 70, per incoraggiare lo sviluppo dell’industria, dell’agricoltura e del commercio, per aprire università e scuole, per incrementare l’attività mineraria, la costruzione di ferrovie, la modernizzazione dell’esercito, la traduzione di libri scientifici stranieri, la promozione delle invenzioni tecniche, la costruzione di arsenali, la liquidazione delle malversazioni nell’apparato statale ecc.

Dalle province vennero indirizzati al governo numerosi progetti e proposte per la democratizzazione del regime sociale, per la lotta contro la corruzione e l’arbitrio delle autorità e per altre riforme. Gli autori di questi progetti insistevano sulla immediata instaurazione di un governo costituzionale e sulla convocazione di un’Assemblea costituente per dar vita a un regime parlamentare.

Il partito delle riforme era però troppo debole per vincere la resistenza del campo reazionario feudale, che godeva dell’appoggio dell’imperatrice e d’influenti dignitari di corte. E neppure osava appellarsi al popolo.

Nella speranza di realizzare i propri obiettivi con un colpo di stato, i suoi leader decisero di arrestare i reazionari più in vista, ma il generate Yuan Shihkai, al quale Kuang Hsü e i riformatori avevano affidato l’esecuzione dell’ordine d’arresto, li tradì. Il 21 settembre 1898 Tzu Hsi, con l’appoggio della Guardia di palazzo, fece arrestare Kuang Hsü ed emanò un decreto, che ripristinava la reggenza e abrogava le riforme. Alcuni giorni dopo vennero giustiziati a Pechino sei dirigenti del partito delle riforme; decine di altri esponenti vennero perseguitati. Kang Yu-wei e Liang Chi-chao riuscirono a salvarsi all’estero.

Il movimento per le riforme ebbe complessivamente un carattere progressista, ma rimase un movimento di borghesi e di proprietari terrieri in maggioranza ostili all’idea di una azione popolare rivoluzionaria contro gli occupanti stranieri e il dispotismo manciù, poiché temevano che il popolo avrebbe risolto “dal basso” i problemi che turbavano la Cina.

L’INSURREZIONE DEI BOXERS

Verso la fine del XIX sec. l’oppressione feudale imperialistica s’aggravò per l’aumento delle tasse imposto dalle necessità di raccogliere l’ingente somma chiesta dal Giappone a titolo di riparazioni di guerra e per affrontare i disastri causati dalle alluvioni nelle province della Cina settentrionale nel 1898-99.

Il malcontento popolare aumentò e sempre più frequente risuonava la parola d’ordine: “Morte agli invasori stranieri e ai funzionari venduti!”. Il punto di partenza dell’insurrezione popolare fu la provincia della Shantung, che gli imperialisti tedeschi, dopo la conquista di Kiaochow, avevano trasformato in un vero e proprio possedimento coloniale. Negli anni 1898-99 si rafforzarono in questa provincia le tendenze antimperialiste e antigovernative.

Molto attiva fu la società segreta “Il pugno alzato in nome della giustizia e della pace”, una diramazione della società segreta del “Loto bianco”. Questa associazione, nota in occidente con l’appellativo di “Boxers”, costituì dei reparti militari e sviluppò un’attiva propaganda. I suoi aderenti giuravano solennemente fedeltà alla società, obbedienza completa ai superiori, e osservavano una disciplina ferrea. Loro compito era l’organizzazione di azioni contro i missionari, i militari, i rappresentanti consolari e commerciali stranieri e contro i cinesi legati allo straniero. Credevano nell’aiuto “miracoloso” di forze soprannaturali, di talismani ecc. La popolazione nutriva una profonda simpatia per questo movimento. Oltre a contadini, artigiani, piccoli borghesi, vi partecipavano anche diversi proprietari terrieri e funzionari governativi, che soffrivano direttamente o indirettamente per gli arbitri degli imperialisti tedeschi nello Shantung. Capi del movimento erano il veterano dell’insurrezione dei Taiping, Li Lai-chung, il barcaiolo Chang Te-cheng, il popolano Ts’ao Fu-tien ecc.

Poiché l’oppressione imperialistica suscitava la resistenza di tutta la popolazione dello Shantung, il governatore Yü Hsien fu costretto a venire a un compromesso con i dirigenti dei Boxers. Le autorità locali decisero di riconoscere la società, e questa rinunciò a sua volta alle manifestazioni antimanciù, caratteristiche del primo periodo del movimento, e proclamò la parola d’ordine dell’appoggio alla dinastia Manciù e della distruzione degli stranieri. Fu cambiato anche il nome in “Reparti per la giustizia e la pace”.

Nell’inverno 1899 una missione tedesco-americana a Pechino otteneva la sostituzione di Yü Hsien da governatore dello Shantung per l’appoggio dato ai Boxers e la nomina di una loro creatura, Yuan Shih-kai, che, appena giunto nello Shantung, cercò assieme alle truppe tedesche di soffocare il movimento dei Boxers; ma questi, sebbene possedessero solo armi bianche, opposero una resistenza eroica e non solo respinsero l’attacco delle truppe tedesche e governative, ma allargarono la sfera della loro attività al nord, nella provincia di Pechino.

Lo sviluppo del movimento spaventò gli imperialisti: nell’aprile del 1900 l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Germania, l’Italia, la Francia e la Russia zarista effettuarono una dimostrazione della loro forza navale nel porto di Taku, vicino a Tientsin, esigendo dal governo manciù una lotta più energica contro i Boxers.

Il 21 maggio il corpo diplomatico presente a Pechino indirizzò una nota ufficiale al governo chiedendo severe repressioni contro il movimento dei Boxers, e minacciando in caso contrario un intervento armato.

Il 31 maggio le stesse potenze, alle quali si era unito anche il Giappone, inviarono a Pechino rinforzi militari, mentre 16 navi da guerra di sette potenze compivano una nuova dimostrazione militare nel golfo del Chihli; il 6 giugno sbarcava a Taku un forte contingente di truppe straniere; il 10 giugno il vice-ammiraglio inglese Seymour, alla testa di un distaccamento di 2.000 soldati con cannoni e mitragliatrici, partì da Tientsin verso Pechino, ma dovette tornare a Tientsin per l’accanita resistenza dei Boxers; il 17 giugno le truppe interventiste occupavano il forte di Taku.

Mentre il movimento dei Boxers si estendeva e ingrossava le proprie file, scoppiarono agitazioni di contadini nelle campagne della Cina settentrionale.
I contadini si rifiutavano di pagare le tasse, manifestavano apertamente contro le imposizioni dei proprietari terrieri e contro gli arbitri delle autorità. In tal modo l’insurrezione dei Boxers dava alla resistenza del popolo cinese una triplice finalità di lotta antimperialista, antimanciù e antifeudale, ma, trovandosi allora la Cina sotto la minaccia di una spartizione imperialistica, le rivendicazioni antimanciù e antifeudali passarono in secondo piano e i Boxers concentrarono tutte le proprie forze nella lotta contro l’aggressione imperialista. Mutamenti nella politica del governo manciù facilitarono loro questo compito.

L’incapacità delle truppe governative e straniere a sconfiggere i reparti militari dei Boxers, che marciavano su Pechino, e la presenza nel governo di un forte gruppo ostile agli stranieri, determinarono, nell’estate 1900. un nuovo atteggiamento politico del governo nei confronti dei Boxers. I manciù decisero di servirsi dei Boxers contro i colonialisti stranieri per conservare il proprio dominio nel paese.

All’inizio del mese di giugno l’imperatrice Tzu Hsi inviò l’ordine segreto ai comandanti delle truppe e ai governatori delle province di cessare temporaneamente le operazioni contro i Boxers, e il 21 giugno, subito dopo l’entrata di un forte distaccamento di Boxers a Pechino, dichiarò guerra alle potenze penetrate in Cina, ordinando ai governatori delle province di organizzare volontari e di costituire reparti “per la difesa dalle offese straniere”.

Il governo manciù tuttavia frenò con ogni mezzo l’attività militare dei Boxers e in particolare vietò l’impiego dell’artiglieria contro le ambasciate straniere e contro le loro truppe presenti a Pechino.

Il decreto della dichiarazione di guerra incontrò la disapprovazione di alcuni alti dignitari, i quali speravano nella caduta del governo manciù in seguito all’intervento straniero, per cui  svolsero nelle proprie province trattative con i rappresentanti delle potenze imperialiste.

Gli ambienti borghesi condannavano l’insurrezione dei Boxers, giudicandola uno scoppio di collera di contadini e di artigiani arretrati. Kang Yu-wei, Liang Chi-chao e altri leader della “Società per la difesa dell’imperatore”, da essi costituita nell’emigrazione, invitarono le potenze straniere a soffocare celermente l’insurrezione dei Boxers, ad allontanare Tzu Hsi e a rimettere Kuang Hsü sul trono.

Le potenze imperialiste, col pretesto di liberare le ambasciate straniere assediate a Pechino, inviarono nuove truppe. Il 14 luglio gli interventisti occupavano Tientsin, il 2 agosto un esercito formato da truppe di sei potenze, Giappone, Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Russia, Francia, complessivamente di 40 mila uomini (in seguito si unirono reparti militari inviati anche dall’Austria-Ungheria e dall’Italia), marciò da Tientsin verso Pechino, depredando e bruciando lungo il cammino villaggi e città. Il 14 agosto occupò la capitale della Cina, sottoponendola a un mostruoso saccheggio, e massacrando con i cannoni e le mitragliatrici i suoi cittadini inermi.

Il feldmaresciallo Waldersee, ch'era sbarcato in Cina alla testa di un contingente tedesco di 20.000 uomini, assunse, nel settembre 1900, il comando dell’esercito alleato degli interventisti e compì feroci repressioni.

Le operazioni militari contro i Boxers erano già concluse, ma le truppe interventiste continuavano le loro spedizioni punitive contro la popolazione civile inerme, i saccheggi, il furto di preziosi monumenti dell’antica cultura e arte cinese. Le potenze imperialistiche speravano di attuare finalmente il loro progetto di spartizione della Cina: la Russia zarista occupò le province nordoccidentali e cercò di legittimare il loro distacco dalla Cina; l’Inghilterra mirava a distaccare dalla Cina le regioni meridionali e la zona del bacino del fiume Yangtze per farne una sua colonia; la Germania pretendeva la penisola dello Shantung e le province sulla riva settentrionale del fiume Yangtze; la Francia esigeva la provincia dello Hunan e si opponeva alle pretese inglesi su tutta la Cina meridionale; il Giappone aspirava alla provincia del Fukien e si opponeva alla conquista tedesca dello Shantung.

All’avvicinarsi delle truppe straniere a Pechino, la corte manciù era fuggita dapprima a T’aiyuan e poi a Sian, dando ordine alle truppe governative di collaborare con gli interventisti stranieri nell’opera di soffocamento dell’insurrezione popolare. Nonostante le repressioni atroci e gli enormi sacrifici, i Boxers continuarono la loro eroica resistenza. Passarono alla guerra partigiana e compirono coraggiosi attacchi contro le forze del nemico e contro le roccheforti degli interventisti, compresa Pechino e Tientsin. Molto attive furono le azioni militari dei Boxers nella Cina nordorientale. Loro proclami apparvero in estate e in autunno 1900 nelle città e nelle località agricole della Cina settentrionale e nel bacino dello Yangtze. S’intensificarono le agitazioni armate antigovernative e antinterventiste in diverse province: la “Società per il rinnovamento della Cina”, diretta da Sun Yat-sen, cercò nell’ottobre 1900 di organizzare una spedizione armata anti-francese nella provincia del Kwantung. Ma l’insurrezione falli perché la Società non seppe ottenere l’unità d’azione con le società segrete locali e perché le armi acquistate all’estero non vennero acquisite.

La resistenza del popolo cinese fece fallire i progetti di spartizione della Cina da parte degli imperialisti e li costrinse a giungere a un accordo con i manciù per conservare le loro posizioni in Cina. Il 7 settembre 1901 Li Hung Chang firmava a nome del governo manciù con i rappresentanti di undici Stati (Germania, Austria-Ungheria, Belgio, Spagna, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Italia, Giappone, Olanda e Russia zarista) un protocollo conclusivo noto anche come “protocollo dei Boxers”.

La Cina s’impegnava a pagare in rate annuali, per la durata di 39 anni, l’enorme indennizzo di 980 milioni di liang d’argento; il gettito di tutte le tasse del paese, esclusa l’imposta agraria, passava sotto l’amministrazione straniera; il governo manciù era tenuto a soffocare qualsiasi agitazione antimperialista del popolo cinese; gli stranieri ottenevano il diritto di permanenza delle proprie truppe in Cina. All’inizio del XX sec. era ormai compiuto il processo di trasformazione della Cina in semi-colonia delle potenze imperialiste.

Note

(1) La rivolta dei Taiping fu un conflitto civile che agitò l'impero cinese tra il 1851 e il 1864. Essa identifica un movimento rivoluzionario cinese che interessò l'area di Nanchino, per poi espandersi nel sud dell'Impero cinese, tra il 1851, anno della fondazione del "Regno Celeste della Grande Pace" per opera dell'ispiratore della rivolta, Hong Xiuquan, e il 1864, anno della sua soppressione. Nata come reazione al regime corrotto dei Qing-Manciù e subito degenerata in guerra civile, fu repressa dall'esercito imperiale col supporto inglese nel 1864.

(2) La dinastia Qing o Ch'ing, a volte nota anche come dinastia Manciù, fu fondata dal clan semi-nomade degli Aisin Gioro nell'attuale Manciuria (Cina nord-orientale). Tale dinastia, traendo vantaggio dall'instabilità politica e dalle ribellioni popolari che sconvolgevano la dinastia Ming, si espanse in tutta la Cina e nei territori circostanti dell'Asia interna, costituendo così l'Impero del grande Qing. Dichiarata nel 1616 come "Recente dinastia Jin", cambiò il suo nome nel 1636 in "Qing" e conquistò l'intera Cina nel 1644, governandola fino alla detronizzazione della dinastia Qing nel corso della Rivoluzione Xinhai del 1911, quando l'ultimo imperatore abdicò all'inizio del 1912. (La denominazione "Jin" non è da confondersi con la dinastia "Jin" del periodo tra il 936 e il 946.)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 23/09/2014