https://t.me/multipolare

Edizione dicembre 2022

Pubblicizza questo libro come credi, anche facendone oggetto di commercio, ma se lo modifichi non attribuire a me cose che non ho mai detto, a meno che tu non pensi di contribuire alla causa di un socialismo davvero democratico.

MIKOS TARSIS

MULTIPOLARE 2022

(luglio-dicembre 2022)

Quando perdiamo il diritto a essere diversi,
perdiamo il privilegio d’esser liberi.

Charles Evans Hughes

Amazon

Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977,

già docente di storia e filosofia, Mikos Tarsis (alias di Enrico Galavotti) si è interessato per tutta la vita a due principali argomenti:

Umanesimo Laico e Socialismo Democratico, che ha trattato in www.homolaicus.com

Per contattarlo:

info@homolaicus.com

 

Sue pubblicazioni su Amazon.it

Premessa

È la prima volta che a un medesimo argomento dedico ben quattro libri. Spero che questo sia l’ultimo. Lo spero soprattutto per la popolazione ucraina, costretta a pagare, per colpa di un governo scriteriato, appoggiato da un occidente del tutto irresponsabile, un prezzo altissimo.

Praticamente a partire dal 28 gennaio fino alla fine del mese di giugno quasi tutti i post messi in Facebook han finito per riempire i seguenti volumi, pubblicati in Amazon (come tutti gli altri, del resto): La truffa ucraina (28 gennaio-31 marzo), Il signore del gas (1 aprile-9 maggio), La guerra totale (10 maggio-24 giugno). Di questi il secondo ha incontrato una resistenza accanita da parte dello staff di Amazon, arrivata persino a farmi cambiare la copertina. Qui invece vi sono i post che vanno da luglio a dicembre.

Fino alla fine di giugno tutti i post sono stati messi, oltre che in Facebook, anche nel blog diariofacebook.it. Poi è avvenuta un’importante svolta nella mia vita.

Siccome venivo periodicamente censurato e bannato su Facebook per i post e i video filo-russi, ho aperto un canale su Telegram (Multipolare), invitando amici conosciuti su Facebook a prendere gli articoli da qui, oppure li inviavo tramite Messenger e loro li rigiravano sul social network.

Quando ho pubblicato l’ultimo articolo sulla guerra, utilizzando il mio vero nominativo, ho chiuso il rapporto con Facebook, scrivendo questa motivazione:

“Dopo 14 anni di presenza in Facebook ho deciso di andarmene perché non sopporto più le ripetute censure relative alle news sul conflitto ucraino.

Lo staff si è schierato apertamente con la narrativa occidentale, che ci sta portando a una guerra mondiale, e quindi col governo di Kiev, che per me è neonazista.

Per un qualunque social è un errore madornale schierarsi apertamente, bannando o discriminando o punendo in varie maniere il pensiero altrui.

Sono gli utenti che si devono autoregolamentare, confrontandosi liberamente, e Facebook, col suo fare autoritario, non lo permette. Coi suoi fact-checker paternalistici rifiuta persino i post ironici.

Prendere lezioni da chi ha avuto problemi di non poco conto per violazione della proprietà intellettuale, violazione della privacy ed evasione fiscale, per me è inaccettabile. Per fortuna il mondo è multipolare.”

Ho dovuto rinunciare anche a Messenger, altrimenti il canale di Facebook sarebbe rimasto attivo.

Ho iniziato a interagire con Quora (multipolare.quora.com), che naturalmente non ha le stesse potenzialità di Facebook, ma almeno non fa venire l’ansia tutte le volte che si posta qualcosa.

Fenomenale comunque è il social Telegram, pieno di canali di buona controinformazione. Le fonti russe censurate dal mainstream occidentale sono state qui facilmente sostituite.

Naturalmente ho aperto un nuovo blog, chiamato multipolare.it.

Siccome però non riuscivo più a utilizzare Messenger né a interagire con gli amici più significativi di Facebook, ho deciso di reiscrivermi utilizzando lo pseudonimo di Mikos Tarsis, senza offrire nulla di identificativo, se non il fatto che mi ponevo chiaramente dalla parte della Russia. Gli stessi post si possono trovare anche nel sito multipolare.it, in cui Google ha accettato di collocare i propri ad-sense, mentre ha sempre rifiutato di farlo nel sito diariofacebook.it, che alla scadenza del contratto verrà definitivamente chiuso. Tutti gli articoli di diariofacebook.it sono stati trasferiti in multipolare.it.

Mi ha stupito molto il fatto che da quando ho aperto il nuovo profilo a favore della Russia, le richieste di amicizia sono piovute copiose da tutto il mondo. Ad un certo punto ho dovuto rifiutarle per non sforare il massimo consentito gratuitamente.

Ho voluto far capire ai filorussi che non devono sentirsi isolati e che in Italia non pochi stanno dalla loro parte, anche se ovviamente il dialogo nella loro lingua è quasi impossibile. Ci si deve accontentare delle traduzioni minimaliste della stessa Facebook, il cui staff continua peraltro a boicottarmi in varie maniere.

 

p.s.

 

Il pensiero russo ha qualcosa di straordinario: è in grado di dare un significato politico a parole molte semplici del linguaggio quotidiano. Per es. se in un motore di ricerca digitiamo la parola “multipolare”, ci rimanda a qualcosa di elettrico. Oggi invece con la nuova accezione russa si è cercato di spiegare il significato di un nuovo ordine mondiale.


Luglio

 

 

 

[1] Qual è la filosofia politica di Putin?

 

Il presidente di uno Stato multietnico e pluriconfessionale non dovrebbe schierarsi apertamente a favore di nessuna religione, e Putin purtroppo lo fa. La sua mancanza di laicità fa venire in mente il periodo zarista, quando si univa la religione ortodossa al nazionalismo patriottico, e con fare paternalistico si tolleravano le etnie non russe e le religioni non ortodosse, a condizione che non rivendicassero alcunché di politico.

L’ideologia politica di Putin appare sicuramente migliore del neonazismo banderista e del neoliberismo filoamericano professati dal governo di Kiev. Ma questo non vuol dire che non presentino aspetti che con la democrazia nulla hanno a che fare. Il putinismo è una filosofia politica che non può apparire più democratica solo perché è favorevole a una dimensione multipolare della geopolitica.

Di fatto la Russia resta uno Stato capitalista, controllato da un governo autoritario, in cui l’elemento russo gioca un ruolo egemonico. Non è che un capitalismo di matrice asiatica, nella fattispecie slava (che in sostanza vuol dire appunto “ortodossia cristiana” e “nazionalismo patriottico”), in cui l’elemento collettivistico tende a prevalere su quello individualistico. La Russia di Putin sembra aver sottomesso lo stile di vita individualistico, che nella sua area europea è stato sempre prevalente, sulla base dello stile di vita collettivistico, più presente nell’area asiatica della Federazione. Ma si tratta di un’operazione forzata, condotta come reazione all’atteggiamento prevaricatore dell’occidente, che si è schierato apertamente dalla parte del neonazismo e neoliberismo del governo di Kiev. L’occidente a trazione statunitense, dove la UE, il Canada, l’Australia, il Giappone ecc. rappresentano solo dei Paesi a sovranità limitata, esprime quella forma di capitalismo privato, monopolistico, neocolonialista, che ha pretese egemoniche sul mondo intero.

 

Tragica prospettiva per l’Ucraina

 

Ha dichiarato Ella Libanova, direttrice dell’Istituto di demografia e ricerca sociale dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Ucraina: “Il fattore principale è la durata della fase calda della guerra. Se questa finirà entro la fine dell’anno, penso che perderemo circa 500-600 mila abitanti. È molto, ma non è una catastrofe. Se la fase calda dovesse invece durare 2 anni, potremo perdere fino a 5 milioni di persone. In secondo luogo, quando le restrizioni all’uscita dal Paese degli uomini tra i 18 e i 60 anni finiranno, il ricongiungimento familiare avverrà non in Ucraina ma all’estero”.

 

[2] La contesa isola dei Serpenti

 

La consegna di nuovi missili antinave di produzione americana Agm-84 Harpoon (120 chilometri di gittata) alle forze armate ucraine di stanza a Odessa ha trasformato l’Isola dei Serpenti, il conteso scoglio eusino, in un grande bersaglio. I russi han deciso di andarsene. Anche il trasferimento dei cannoni semoventi francesi Caesar e Tochka-U nella regione di Odessa ha fatto aumentare di molto la densità del fuoco di artiglieria. Controllare fisicamente l’isola equivale al suicidio.

Kiev ha salutato l’annuncio russo come una grande vittoria ottenuta dalle forze armate ucraine impegnate nella battaglia missilistica costiera nella notte del 29-30 giugno.

In realtà il ripiegamento è stato presentato da Mosca come un gesto di buona volontà, volto a dimostrare che la Russia non sta ostacolando gli sforzi dell’ONU di organizzare un corridoio umanitario per l’esportazione dei prodotti agricoli dall’Ucraina. Questa soluzione impedirà a Kiev di speculare su un’imminente crisi alimentare, adducendo l’impossibilità di esportare grano a causa del controllo totale dell’area nord-occidentale del Mar Nero da parte della Russia. Ora tocca all’Ucraina dare il buon esempio, partendo dalla decisione di liberare dalle mine le coste del Mar Nero, comprese le acque del porto di Odessa.

Con la cessazione delle ostilità attorno all’Isola dei Serpenti diviene praticabile l’esportazione di cereali attraverso la logistica dei 5 porti fluviali del basso Danubio: Brăila e Galați (Romania), Giurgiulești (Moldova), Reni e Izmail nel Budžak (Ucraina). Tutti i canali navigabili del grande delta possono ora essere imboccati con maggiore sicurezza dalle navi mercantili di piccola-media stazza.

Non si può nemmeno escludere che sottobanco sia avvenuta una contrattazione coronata da successo tra Mosca, Kiev e le cancellerie occidentali. Lo scambio alla pari di prigionieri di guerra (144 per 144 per lo più feriti e mutilati, anche membri del Reggimento Azov), e soprattutto la volontà manifesta ad aprire i corridoi del grano suggeriscono una qualche relazione con la mediazione della UE per la rimozione del blocco selettivo alle merci russe applicato dalla Lituania contro l’exclave russa di Kaliningrad.

L’isola era davvero d’importanza strategica, perché ha svolto il suo ruolo di controllo dello spazio aereo, ma è un’isola di tipo vulcanico, priva di vegetazione e riparo, difficile da mantenere in condizioni di aperto confronto.

In ogni caso la guarnigione russa ha resistito con successo a diversi attacchi. Non solo, ma i periodici bombardamenti missilistici su Odessa lasciano pensare che i russi abbiano intenzione di unire il Donbass alla Transnistria.

 

[3] Provocazione antirussa dalla Norvegia

 

La Federazione Russa ha accusato la Norvegia d’impedire, dal 15 giugno, attraverso l’unico valico di frontiera terrestre legale tra Norvegia e Russia, Storskog, il transito di navi mercantili russe verso l’insediamento di Barentsburg, dell’arcipelago delle Svalbard, composto quasi integralmente da russi e ucraini etnici. Secondo il ministero degli Esteri di Mosca a rischio vi sarebbe anche l’approvvigionamento alimentare per i minatori russi (e ucraini) che lavorano nel villaggio.

Il ministero degli Esteri norvegese ha ribadito che lo stop al trasporto merci avviene in ottemperanza alle sanzioni occidentali anti-russe. È una decisione immotivata, anzi immorale.

La provocazione norvegese avviene a pochi giorni dal blocco economico selettivo applicato dalla Lituania verso l’exclave russa di Kaliningrad, in violazione di un trattato del 2004 tra Russia, Lituania e Unione Europea.

I rifornimenti e lo sfruttamento delle risorse dell’arcipelago artico sotto sovranità norvegese sono assicurati dal Trattato di Parigi del 1920, firmato da rappresentanti di 46 Paesi, tra cui l’URSS (nel 1935) e la Norvegia. La Russia, divenuta successore dell’URSS, ha riconosciuto la sovranità della Norvegia sull’arcipelago delle Svalbard, ma a condizione che non vi fossero ostacoli nella consegna delle merci ai cittadini che lavoravano nell’arcipelago.

Sul piano giuridico tali obblighi non possono essere derogati da norme secondarie.

Queste sono tutte provocazioni che vogliono portare a una guerra esplicita tra Russia e NATO. Infatti è stato anche introdotto il divieto per le navi russe di entrare nei porti norvegesi, ad eccezione di quelli da pesca. Il ministero degli Esteri norvegese aveva però affermato che sarebbe stata fatta un’eccezione per le Svalbard.

Le Isole Svalbard costituiscono la piattaforma essenziale per il futuro dominio militare nell’Artico. Questo spiega la presenza di numerose stazioni di ricerca di vari Paesi, anche esterni alla regione. Non a caso gli Stati Uniti hanno esteso il fronte del contenimento della Russia anche nelle acque artiche tra le Svalbard, l’Isola degli Orsi e Capo Nord, al fine di monitorare con maggiore accuratezza i movimenti dei sottomarini nucleari russi.

 

I Paesi Bassi in rivolta

 

I Paesi Bassi saranno presto completamente paralizzati. Gli agricoltori olandesi han lanciato un ultimatum al governo e minacciano di bloccare gli aeroporti, i porti e tutti i centri di distribuzione del Paese.

La coalizione di governo ha chiesto, con un decreto del 10 giugno, di ridurre le emissioni di inquinanti (principalmente ossido di azoto e ammoniaca) del 50% entro il 2030 (persino dal 70 al 95% in varie zone del Paese): questo avrebbe come obiettivo la riduzione di carne bovina e suina, di pollame e di latticini destinati al consumo umano. Praticamente 1/3 delle 50.000 aziende agricole rischiano di chiudere. Chi non si adegua, avrà i terreni confiscati. Il governo ha previsto 24 miliardi di euro di sussidi, ma non serviranno a fermare le proteste, poiché il settore ne fattura a decine ogni anno.

C’è da dire che il governo sembra essere al colmo della ridicolaggine: infatti ha rifiutato il gas russo, puntando su quello americano da fracking, con un aumento esponenziale delle dispersioni di metano, che hanno un effetto serra 300 volte superiore a quello dell’azoto. Alla fine un carico di gas liquefatto – tutto compreso – ha lo stesso impatto ambientale di un milione di mucche. Anche la produzione dei fertilizzanti naturali derivati dal letame è nel mirino delle aziende che vogliono vendere i fertilizzanti chimici.

Si ha la netta impressione che il piano sia quello di rovinare gli agricoltori e allevatori locali in maniera che le terre e le attività possano essere rilevate dalle grandi multinazionali, che poi man mano si mangeranno tutto il settore primario europeo.

In fondo è naturale che si cominci dall’Olanda, grande esportatrice di carne, fra la prima al mondo, ma anche Paese dove per esempio Bill Gates, noto fautore di ogni tipo di OGM, ha investito per la creazione di carne sintetica, dopo essere diventato anche il maggior proprietario terriero degli USA.

La UE è sempre più una colonia americana e, andando avanti, non potrà più contare sulle proprie aziende. Ecco a cosa è servita la guerra in Ucraina.

Fonte: thegatewaypundit.com

 

[4] Prigionieri del Donbass torturati

 

Daria Morozova, difensore dei diritti umani della Repubblica del Donetsk, ha dichiarato che tra i 144 militari della DPR scambiati il 29 giugno con prigionieri ucraini, il 95% è stato torturato con la corrente elettrica o con l’acqua (waterboarding), oppure è stato picchiato, subendo fratture o amputazione degli arti.

Adesso qualcuno dirà che anche i russi fan le stesse cose. Sbagliato! Ai russi interessa vincere e non hanno bisogno di ricorrere a queste metodi disumani e assolutamente gratuiti per riuscirvi.

Gli ucraini sono ricorsi a trattamenti del genere sin dall’inizio del conflitto, proprio perché sono mentalmente neonazisti. In molti video si è vista questa cosa e anche di peggio (crocifissioni, sotterramenti da vivi, marchiamenti con svastiche e scritte SEPR, cioè separatista, lame roventi sul petto o sulle natiche, soffocamento con sacchi di plastica, somministrazione di psicotropi letali, unghie strappate e ossa frantumate, strangolamenti tramite garrota, detta la “garrota banderista”, prigionieri spinti sui campi minati o stritolati da carri armati). Hanno usato persino l’evirazione e la mutilazione delle dita delle mani per impedirgli di sparare. Tutte cose che se si fanno vedere su Facebook, si rischia d’essere bannati per mesi, in quanto non “politicamente corrette”.

Ora che tutta la Repubblica popolare di Lugansk è liberata dal terrorismo ucraino, la popolazione locale è finalmente libera di dire come le forze ucraine le abbiano torturate, affamate, usate come scudi umani, uccise se cercavano di fuggire o di usare i corridoi umanitari, per non parlare di come hanno distrutto le loro case o allestito l’equipaggiamento militare dentro o a fianco delle strutture civili.

 

Che cos’è il metaverso?

 

Che cos’è il metaverso, in cui dall’ottobre 2021 Mark Zuckerberg vorrebbe trasferire nei prossimi anni un pezzo importante della vita delle persone? È un nuovo tipo di piattaforma networking, che sarà gestita da Facebook e da diverse altre aziende di tecnologia.

La parola è stata inventata negli anni ’90 e successivamente usata in riferimento a spazi tridimensionali e virtuali in cui è possibile fare molte cose, tra cui chattare, fare acquisti, imparare qualcosa, assistere a un concerto, ecc. È una sorta di evoluzione di quello che fu Second Life o che ancora è GTA Online, qualcosa di simile alla realtà virtuale del libro e del film “Ready Player One”. C’è del metaverso anche in piattaforme come SuperWorld, Sandbox o Decentraland.

Ci sono persone che comprano a caro prezzo spazi (virtualmente illimitati) e costruzioni digitali, p.es. sul piano immobiliare, sotto forma di NFT, cioè con un certificato che ne garantisce l’autenticità e la proprietà, pagandoli in criptovalute.

Prendiamo p.es. Decentraland. È un mondo virtuale accessibile solo dal febbraio 2020, ma i cui lotti sono in vendita dal 2017. La criptovaluta con cui li si compra si chiama “mana”, una sidechain (una valuta derivata e parallela, molto volatile) di ethereum: al momento vale circa tre euro, ma a inizio 2021 ci voleva una decina di mana per fare un euro.

Decentraland è fatto da poco più di 90.000 appezzamenti (cioè rettangolini di una grande mappa, identificati da specifiche coordinate). Agli inizi della piattaforma se ne poteva comprare uno per una ventina di euro (con le criptovalute), magari partecipando a un’asta. Ora quelli che costano meno sono venduti a 12.000 euro, e c’è un’azienda che ha pagato quasi un milione di euro per 259 pezzettini su cui fare un centro commerciale virtuale. In Decentraland ci sono aree dedicate allo shopping, all’arte, al gioco d’azzardo, ecc.

Il valore dei terreni è dato dall’importanza della piattaforma su cui si trovano, ma anche dalla loro rilevanza all’interno della mappa: un terreno in centro costa in genere più di uno in periferia. Dopo aver comprato un lotto, ci si possono costruire o far succedere cose nel tentativo di accrescerne il valore (p.es. comprare quadri, investire nel mattone, nell’oro o nella moda). Più lotti vicini si comprano, più grandi sono le cose che si possono fare. Ed è anche possibile affittare lotti o comprarne altri con sopra edifici già costruiti. Anche per i metaversi esistono già agenzie immobiliari, una delle quali si chiama Metaverse Properties. La metà di quest’ultima azienda è stata comprata per 1,5 milioni di dollari dalla Tokens.com, che si occupa di criptovalute.

Insomma siamo su un altro pianeta, in cui i rapporti umani sono del tutto virtuali e naturalmente molto artificiosi, con tutte le inevitabili e inaspettate conseguenze che ciò potrà creare.

 

*

 

All’inizio di dicembre 2021 Meta di Mark Zuckerberg ha aperto la piattaforma di realtà virtuale Horizon Worlds a tutte le persone che hanno più di 18 anni negli Stati Uniti e in Canada.

Il proprio avatar se ne può andare in giro insieme a un massimo di altre 20 persone con cui è possibile giocare, intrattenersi e costruire ambienti digitali su misura. E anche molestare le persone. Il mese scorso una beta tester ha riferito a Meta d’essere stata palpeggiata casualmente da uno sconosciuto su Horizon Worlds. Ha poi postato su Facebook l’esperienza vissuta virtualmente.

E qual è stata la risposta di Meta? La beta tester avrebbe dovuto usare uno strumento chiamato “Zona sicura” che gli utenti possono attivare se si sentono minacciati. Lo strumento di fatto ti relega in una bolla protettiva e impedisce alle persone d’interagire con te finché non esci dalla bolla. È l’equivalente digitale di dire alle donne che se non vogliono essere molestate mentre camminano per strada dovrebbero restarsene a casa.

 

[5] Socialismo di ieri e di oggi

 

Durante la II guerra mondiale i socialisti italiani mettevano Hitler e Stalin sullo stesso piano, nel senso che il primo aveva scatenato la guerra con la complicità del secondo (così s’interpretava il Patto Molotov-Ribbentrop). Una guerra di Stati totalitari contro “popoli liberi”. Come se i popoli delle democrazie liberistiche (euroamericane) di quel tempo potessero definirsi “liberi”! Come se le dittature fasciste, presenti in larga parte d’Europa, non avessero favorito l’ascesa del nazismo e la sua direzione militare verso l’occupazione dell’URSS!

Ma oggi è peggio. Gli ultimi rimasugli di socialismo rimasti in occidente non hanno dubbi nel considerare “democratico” il regime neonazista di Kiev e assolutamente “autocratico” quello di Mosca. Cioè oggi il nazifascismo, riveduto e corretto, è stato sdoganato nell’intero occidente. E questo neonazismo, in nome della democrazia parlamentare, si è posto l’obiettivo, usando la NATO come braccio militare a livello internazionale, di sottomettere i due principali pericoli che minano i suoi interessi, la sua sicurezza e i suoi valori: Cina e Russia.

 

Gli attacchi informatici degli hacker

 

Secondo i risultati del rapporto Clusit 2021, gli attacchi informatici di pubblico dominio tra 2018 e 2020 sono aumentati del 20,55%. Un’enormità.

Abbiamo a che fare non solo con crimini comuni compiuti con l’ausilio di strumenti cibernetici, ma anche con attacchi di spionaggio o sabotaggio (quest’ultimi sono aumentati addirittura del 30,4%). L’ultimo quello alle infrastrutture sanitarie della regione Lazio nel 2021.

Il problema è diventato così grave che col governo Draghi si è deciso di dar vita a un’Agenzia super specializzata (posta sotto il diretto controllo della presidenza del Consiglio), in grado di accentrare su di sé tutti i problemi della sicurezza digitale e che si ponga fuori dal comparto dell’Intelligence (che invece deve sottostare al controllo parlamentare). Le si garantisce autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. A partire dal 2022 il bilancio assegnatole passerà da 2 a 41 milioni di euro, per poi arrivare a 122 milioni fino al 2027.

Non si è mai visto un accentramento del genere nelle mani di così poche persone che governano legittimamente il Paese. Prima o poi diverrà forte la tentazione di usarlo contro non solo gli hacker.

 

Gli esperti UE dicono no al nucleare e al gas

 

Prima dello scoppio della guerra russo-ucraina, dopo che la Commissione UE aveva inserito l’energia dell’atomo e il gas naturale nella bozza della nuova Tassonomia verde, gli esperti UE avevano invece detto no al nucleare come fonte energetica sostenibile e avevano aggiunto che il gas potrebbe rientrare solo a condizione di un radicale abbattimento delle emissioni.

Questo in aperta contestazione a ciò che aveva detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, secondo cui gas e nucleare sono “necessari alla transizione”.

La bocciatura al nucleare derivava dal fatto che, pur avendo emissioni pari quasi a zero, non rispetta il principio cardine del “non nuocere significativamente” agli obiettivi individuati dalla tassonomia, che sono la protezione delle risorse idriche e marine, la transizione verso un’economia circolare, la prevenzione e il controllo dell’inquinamento, la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Inoltre, anche se il gas emette meno del carbone, non può essere considerato un’attività sostenibile e allineata agli obiettivi dell’Accordo di Parigi se supera il tetto dei 100 grammi di CO2 equivalenti per kilowattora. La Commissione infatti, dopo due anni di discussioni, proponeva un limite di emissioni di 270 grammi.

Austria, Danimarca, Lussemburgo, Spagna e Germania avevano ribadito il loro rifiuto al nucleare. La Francia si opponeva a questi Paesi, ma era anche l’unico Paese UE a non aver centrato l’obiettivo al 2020 per le fonti rinnovabili fissato dalla direttiva 2009/28. Quanto all’Italia, noi viviamo sempre a rimorchio degli altri: non abbiamo mai le idee chiare su nulla.

 

[6] Moriremo di debiti

 

La globalizzazione è nata con l’accordo di Marrakech del 1994 e la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), che aveva eliminato le regole commerciali del GATT di Bretton Woods. L’industria manifatturiera avanzata dell’occidente cominciò a delocalizzare all’estero (esternalizzare) la produzione in Paesi con salari estremamente bassi.

Alla fine degli anni ’90 nessun Paese offriva più vantaggi della Cina, che aveva aderito al WTO nel 2001. Da allora i flussi di capitale dall’occidente verso la Cina manifatturiera sono stati impressionanti.

La Cina è diventata la prima potenza commerciale del mondo grazie all’ipersfruttamento della propria manodopera da parte delle filiali delle multinazionali occidentali. Le borse asiatiche garantivano rendite enormi e la Cina poteva comprarsi il debito americano. Ora la struttura finanziaria mondiale basata sul debito record sta iniziando a crollare.

Asia, Africa e America Latina producono beni materiali (e anche il Medioriente per quanto riguarda gli idrocarburi), mentre l’occidente si limita a offrire servizi, a trasformare le materie prime altrui e soprattutto a speculare in borsa. E vuol vivere ben al di sopra delle proprie possibilità, senza preoccuparsi minimamente dei debiti che accumula, delle emissioni incontrollate di banconote da parte delle banche centrali, delle spese folli per gli armamenti, degli abusi finanziari che provocano crolli spaventosi, come quello dei subprime del 2008, quando si pensava che certe banche americane fossero troppo grandi per fallire, poi però ci vollero centinaia di miliardi di dollari dei contribuenti per salvarle. E oggi gli Stati occidentali sono così indebitati che il default è dietro l’angolo.

Dalla Fed, dalla Banca del Giappone, dalla BCE e dalla Banca d’Inghilterra, negli ultimi 14 anni sono stati iniettati complessivamente 25.000 miliardi di dollari nel sistema bancario attraverso l’acquisto di obbligazioni e di attività dubbie, come i titoli garantiti da ipoteca. Si sta di nuovo creando un’enorme bolla obbligazionaria.

Le maggiori banche di Wall Street e di Londra hanno prestato miliardi ai loro principali clienti aziendali, che però hanno utilizzato la liquidità solo per gonfiare il valore delle azioni delle loro società, cioè per aumentare i dividendi a favore dei propri azionisti.

Noi moriremo sommersi dai debiti. Non ce ne accorgiamo perché se guardiamo le nostre finanze domestiche non ci sembra affatto di essere così enormemente indebitati. Tuttavia come apparato statale lo siamo e lo Stato è un organismo che la società civile non è minimamente in grado di controllare. E le banche centrali non riusciranno più a salvare le principali borse mondiali né a impedire la crescente inflazione con l’aumento dei tassi d’interesse.

In questo momento il debito pubblico degli italiani ammonta a circa 2.755 miliardi di euro, in crescita di 18,9 miliardi rispetto al mese precedente. Quindi se lo dividiamo per circa 59 milioni di abitanti, abbiamo 47.000 euro a testa di debito. Un neonato si trova in una famiglia che ha già, con lui, 141.000 euro da pagare. Peggio di noi ci sono solo Giappone e USA.

Il valore del denaro, che in sé è solo carta straccia, si basa sulla fiducia (nelle istituzioni, nel progresso tenico-scientifico e nel benessere materiale più o meno continui, nelle risorse umane e naturali a disposizione, nell’allargamento dei mercati...). Oggi tutto questo sta venendo meno. I governi sciagurati degli statisti occidentali saranno costretti a ricorrere a dittature militari e a guerre in varie parti del mondo per nascondere il fallimento del selvaggio neoliberismo.

 

Lo scioglimento del permafrost

 

Si sta sempre più sciogliendo il permafrost nelle zone attorno all’Artico. Conseguenze drammatiche: a rischio tra il 30 e il 70% delle infrastrutture (case, città, strade, oleodotti e industrie sprofonderanno), danni quantificabili per decine di miliardi di dollari. Solo in Russia entro il 2050 i danni dovuti alla degradazione del terreno a causa dello scongelamento degli strati più profondi avrà un costo di 7 miliardi di dollari (decine di miliardi includendo anche Canada e Stati Uniti). Lo dice “Nature Reviews Earth & Enviroment”.

Particolarmente pericoloso è lo scioglimento del permafrost, un materiale composto da rocce, suolo, sabbia e ghiaccio e materiale organico, piante, animali e microbi che da oltre seimila anni vivono in quelle terre, rimasti ibernati. Man mano che le temperature si riscaldano e gli organismi tornano in vita, rilasciano anidride carbonica e metano, producendo gas serra e contribuendo ancora di più al surriscaldamento del clima.

Il permafrost è esteso 18 milioni di kmq, coprendo un’area grande quanto Canada, Stati Uniti e Cina. Intrappola 1.700 miliardi di tonnellate di carbonio, vale a dire due volte quello che è contenuto in atmosfera e tre volte la quantità emessa dall’uomo dagli inizi dell’industrializzazione.

Gli scienziati dicono che se l’umanità riuscisse a stare entro i 2 gradi di rialzo, il permafrost si ridurrebbe del 24% entro il 2100. Ma se le emissioni continuassero a crescere, come adesso, il 70% scomparirebbe.

Cosa penso? Che il pianeta non ha futuro, proprio perché gli uomini, distruggendo l’ambiente con la loro tecnoscienza connessa al profitto economico, finiscono con l’annientare se stessi, come mai era successo prima. Certo, da quando sono nate le civiltà schiavistiche l’ambiente ha patito le conseguenze delle guerre tra gli Stati, ma ora tutto è enormemente accelerato. E chi vuole passare dal fossile al nucleare a fusione non fa che accelerare l’irreversibilità di questa tragedia. Noi abbiamo bisogno di chiederci se davvero si può ipotizzare uno stile di vita alternativo a quello energivoro delle nostre società. Ma sappiamo cercare solo palliativi.

 

[7] Palese doppiezza occidentale

 

La Turchia ha ritirato il veto all’adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO, firmata il 5 luglio a Bruxelles. D’altra parte non si sarebbe mai assunta la responsabilità di un’esclusione tanto clamorosa. L’opportunista Erdoğan ha semplicemente approfittato della querelle non solo per ottenere l’estradizione di oltre 20 curdi del PKK, rivali storici del suo governo, rifugiatisi in quei due Paesi scandinavi, ma anche per riavvicinarsi a Washington, ottenendo l’acquisto dei caccia F-16 e l’annullamento delle sanzioni per avere acquistato il sistema missilistico S-400 russo.

La Turchia non è un Paese così forte come vuol far credere, anche perché ha quasi l’80% d’inflazione e una moneta che vale assai poco, benché con questa operazione diplomatica abbia potuto mettere un’ipoteca sullo sfruttamento energetico di una parte del Mediterraneo (coi suoi giacimenti di gas), mirando a diventare non solo una potenza continentale ma anche marittima, contro gli interessi greco-italici.

I curdi, abbandonati per l’ennesima volta dalla NATO, dopo che avevano cercato di destabilizzare la Siria di Assad e di combattere l’ISIS, ora pensano che l’unica fonte di protezione contro i turchi, che han di nuovo occupato una parte della Siria settentrionale, sia proprio quella di riconoscere Assad come presidente della Repubblica, unendo i rispettivi eserciti e sperando d’ottenere una forma di autonomia differenziata, che ovviamente non potrà tradursi nella creazione di uno Stato indipendente vero e proprio. Dietro quest’intesa vi sarebbero ovviamente le manovre di Russia e Iran.

Certo è che il comportamento degli USA, della UE e della NATO è stato piuttosto vergognoso: han trasformato i curdi, in men che non si dica, da eroi a terroristi. D’altronde li avevano già venduti ai turchi nelle zone di confine tra Turchia, Siria e Iraq, dove Ankara ha scatenato una brutale operazione militare nel silenzio assordante di tutto l’occidente. Che ora naturalmente gongola ancora di più, convinto di poter isolare e intimidire maggiormente la Russia di Putin.

Quando una giornalista ha chiesto a Draghi cosa ne pensasse di questo ignobile scambio, in un primo momento ha evitato di rispondere, poi, da ipocrita qual è, ha detto che la domanda andava rivolta ai governi di Svezia e Finlandia (peraltro guidati da donne di sinistra femministe!). Come se questi due Paesi abbiano potuto decidere senza subire forti pressioni da parte della NATO!

Ricordiamo tutti quando Draghi, un anno fa, aveva definito Erdogan un “dittatore” per una sedia rifiutata alla von der Leyen, facendo saltare una commessa di elicotteri Leonardo. Oggi invece lo troviamo alla corte del “sultano” con mezzo governo a firmare accordi commerciali. C’è però da dire che l’Italia è sempre stata storicamente a favore dell’ingresso della Turchia nella UE, soprassedendo bellamente alle questioni curda, armena e cipriota.

 

Il Copasir e l’energia come problema di sicurezza nazionale

 

Il Copasir, lo speciale comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ha votato all’unanimità una Relazione sulla sicurezza energetica nel contesto della transizione ecologica. Come mai? È la prima volta che una questione energetica diventa un problema di sicurezza. Ci deve essere qualcosa che le istituzioni avvertono in maniera piuttosto drammatica. Che cos’è?

È che si ha paura di un replay del 1973, quando l’embargo petrolifero da parte dei Paesi mediorientali contro l’occidente, portò l’Italia a una forte inflazione, al crollo dell’export, a scioperi e continue manifestazioni di protesta anche per la crescente disoccupazione. Adesso il nemico non è più l’OPEC ma, stando a quanto dicono gli americani, la Russia, che può usare le sue immense risorse energetiche come arma di ricatto politico (come se non fosse la Russia ad essere accerchiata dalle basi NATO, ma gli USA a esserlo da parte delle basi russe!).

Il Copasir in sostanza chiede che l’Italia realizzi un piano nazionale di sicurezza nazionale che preveda nel lungo termine un’autonomia tecnologica e produttiva sul piano energetico, in collaborazione coi partner europei e occidentali, in considerazione della nostra collocazione geopolitica a livello mondiale. Che, tradotto in altre parole, vuol dire: allontanarsi dalla Russia il più possibile, anche perché potrebbe da un momento all’altro scoppiare una guerra nucleare; oppure la Russia, sottoposta a sanzioni durissime da parte degli USA per la questione ucraina, potrebbe reagire in maniera tale che diverrebbe sconveniente sul piano finanziario acquistare le sue fonti energetiche.

È noto infatti che dalla Russia ci arriva il 42% dell’approvvigionamento estero, seguita da Algeria (14%), Qatar (11%), Norvegia (9%), Libia (8%) e Olanda (2%). In sostanza siamo troppo dipendenti da un Paese che gli americani considerano nemico. E siccome noi siamo loro “servi”, è evidente che i loro nemici devono diventare anche i nostri.

Questo vuol dire anche un’altra cosa. Siccome le fonti di energia rinnovabile da sole non sono sufficienti, in quanto coprono solo il 20,2% del nostro mercato nazionale, contro il 40,6% del gas naturale e il 33,1% del petrolio, il ricorso al nucleare a fusione diventa inevitabile. Peraltro bisogna smetterla di comprare pannelli fotovoltaici dalla Cina, perché anche questo Paese è un nemico giurato degli USA.

Chiaro il discorso?

 

[8] Il disarmo nucleare mondiale è utopico

 

Dalla fine della II guerra mondiale sono stati firmati numerosi trattati multilaterali con l’obiettivo di regolamentare e arginare la proliferazione nucleare. L’ultimo è il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), entrato in vigore nel gennaio 2021, ma la prima riunione è stata fatta solo a giugno di quest’anno a Vienna.

A causa della guerra ucraina in corso vi è stata una larga partecipazione. Ed è stato redatto il Vienna Action Plan.

Il TPNW impegna i suoi Stati membri a non sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere, stoccare, usare, minacciare di usare armi nucleari o fornire assistenza a qualsiasi altro Stato impegnato in tale attività.

Per la prima volta è stato ammesso che l’assistenza a cui sono chiamati gli Stati membri deve essere fornita “con particolare attenzione verso donne e ragazze”, riconosciute come bersaglio colpito in modo sproporzionato dalle radiazioni ionizzanti. Per questo motivo sulla non proliferazione le donne devono contare molto di più.

Tuttavia nella lista dei 65 Stati membri non compaiono Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina, riconosciuti ufficialmente nel Trattato come detentori di armi nucleari. Non compaiono neanche India, Pakistan e Corea del Nord, che hanno condotto test nucleari dichiarandone pubblicamente il possesso. E neppure Israele e Iran, generalmente considerati in possesso di armi nucleari, pur non avendolo mai pubblicamente riconosciuto. E neppure gli Stati che hanno basi NATO con ordigni nucleari.

Il TPNW prevede la designazione di un meccanismo di controllo sotto forma di una o più autorità internazionali con particolari mandati di negoziazione e verifica. Però durante la prima riunione non è stata designata nessuna autorità. Ciò che gli Stati hanno semplicemente concordato è di proseguire le discussioni e posticipare la decisione a data da destinarsi.

Non è incredibile che sulla questione dei controlli non si siano messi d’accordo neppure gli Stati denuclearizzati? Ecco, se una qualche sanzione avesse senso, dovrebbe essere applicata a chi è potenzialmente in grado di distruggere parte del genere umano.

Fonte: affarinternazionali.it

 

Ci stiamo armando troppo

 

50 premi Nobel e scienziati di ogni Paese hanno rivolto un appello ai governi del mondo per una riduzione concordata della spesa militare del 2% ogni anno, per 5 anni.

Questa news non è stata presa in considerazione dalla politica italiana. D’altra parte nessuno mette in discussione l’aumento delle spese militari. Già Draghi aveva detto che per avere una difesa davvero efficiente e autonoma, sarebbe stato necessario spendere molto di più.

Infatti il bilancio del ministero della Difesa per il 2022 sfiora i 26 miliardi di euro, con un aumento di 1,35 miliardi, cui vanno aggiunti gli stanziamenti di altri ministeri. È un record storico. È dal 2017 che la spesa militare italiana continua a crescere, soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti.

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo: 23, facendo fare all’Aeronautica la parte del leone.

Perché tutte queste armi? Lo spiega il nuovo concetto di sicurezza: non è più questione di difesa dei confini nazionali (geografici), ma di difesa degli interessi economici e geopolitici, che vanno ben oltre i suddetti confini.

Ovunque l’interesse nazionale possa essere in qualche modo minacciato, lì sorge un problema di tipo militare. E sorge anche un’opportunità di tipo economico, in quanto il nostro Paese ha le potenzialità per competere anche sul piano industriale-militare a livello internazionale. Questo rapporto tra industria e forze armate è piuttosto singolare, in quanto ci permette di pensare a una “proiezione di potenza sui mercati esteri” cui non eravamo abituati dai tempi del fascismo. Il ministero della Difesa viene messo al servizio dell’industria degli armamenti. È normale per la nostra Costituzione?

Inoltre l’Italia è in procinto di raddoppiare il contingente militare in Iraq per poter assumere il comando della missione della NATO: trasformerà la nostra presenza per la difesa di aree sensibili e per l’addestramento dell’esercito iracheno in una vera e propria operazione di combattimento. Motivo di ciò? Proteggere gli interessi delle multinazionali del petrolio e del gas. D’altra parte 2/3 delle spese delle operazioni militari all’estero dei Paesi europei riguardano la difesa di fonti fossili: l’Italia negli ultimi 4 anni ha speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti che riguardano l’ENI.

Tratto, in sintesi, da un art. apparso su “MicroMega” del 12 gennaio.

 

[9] Davvero era da osannare Shinzo Abe?

 

Mentre teneva un comizio elettorale, è stato assassinato il liberaldemocratico Shinzo Abe, due volte premier nipponico (2006-7 e 2012-20), suo primato personale. L’attentatore è stato arrestato e pare sia un ex militare della Marina. Quest’atto terroristico viene considerato il più grave accaduto in Giappone dalla II guerra mondiale, anzi è il primo omicidio di un leader G7 dai tempi del tragico sequestro di Aldo Moro.

Il Giappone è sotto shock, non solo perché un caso analogo vi è stato solo nel 1960, quando Inejiro Asanuma, leader del partito socialista giapponese, fu accoltellato da un giovane di destra, ma anche perché la violenza armata in generale, come quella politica, è molto rara nel Paese ed è estremamente difficile entrare in possesso di un’arma da fuoco. Il terrorista infatti avrebbe utilizzato una doppietta a canne corte di fattura artigianale. Inevitabilmente nelle ore successive all’attentato è già montata la polemica sulle misure di sicurezza, che sarebbero state incapaci di proteggere un personaggio di spicco come lui.

Dicono che Abe abbia pagato per la seguente affermazione del 29 maggio, che pesca sicuramente nel vero: “Forse la guerra si sarebbe potuta evitare se Zelensky fosse stato costretto a promettere che il suo Paese non avrebbe mai aderito alla NATO, o fosse stato costretto a concedere un alto grado di autonomia a Luhansk e Donetsk”.

In effetti ad Abe, essendo molto avverso alla Cina, sembrava assurdo inimicarsi la Russia. Anche perché, secondo lui, la Cina, fortissima sul piano economico, si sarebbe col tempo mangiata il suo alleato. Abe è stato il premier giapponese più filo-russo, tant’è che durante la sua reggenza sembrava potesse risolversi la querelle sulla sovranità delle isole Kurili, pretesa dai due Paesi dalla fine della II guerra mondiale.

Ma che sia stato ucciso perché troppo filorusso è alquanto dubbio. Il prossimo 10 luglio si deve andare a votare e Abe è stato una figura estremamente divisiva, avendo sostenuto, contro Cina e Nord Corea, un esercito molto più forte, il riarmo del Paese e la revisione della Costituzione che vieta il ritorno al militarismo. Quand’era al potere non era riuscito a ottenere il sostegno politico necessario, ma ci stava riprovando.

Nazionalista convinto, Abe riteneva che il Giappone non dovesse continuare a scusarsi per la brutale colonizzazione di altri Paesi asiatici prima e durante la II Guerra Mondiale, atteggiamento che ha spesso provocato tensioni con la Corea del Sud e la Cina. Abe è stato il premier del rafforzamento degli stretti legami (soprattutto militari) con gli Stati Uniti. Il suo governo approvò una legge che consentiva alle forze giapponesi di cooperare militarmente con gli USA al di fuori dei confini nipponici.

Dopo le dimissioni da premier nel 2020, Abe aveva sostenuto che il Giappone doveva discutere la possibilità che le basi americane presenti nel Paese si dotassero di armi nucleari, come avviene nella NATO, sfidando il tabù per questo tipo di armi che il suo Paese nutre dai tempi del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki.

Pochi giorni fa il suo partito al governo aveva dichiarato di voler portare la spesa per la difesa del Paese al 2% del PIL entro i prossimi cinque anni. L’anno scorso il budget iniziale per la difesa del Giappone è stato dello 0,95%, anche se i test missilistici di Kim Jong-un avevano indotto a portarlo all’1,24%.

D’altra parte le direttrici della sua politica pregressa sono sempre state ben note: non solo revanscismo sul piano nazionalista (contro Cina e Nord Corea), ma anche liberismo selvaggio accompagnato da una politica monetaria fondata sull’emissione indiscriminata di moneta.

Dopo questo omicidio è probabile che alle elezioni del 10 luglio i liberaldemocratici verranno sicuramente premiati dagli elettori. Ma in tal caso aspettiamoci una revisione dell’art. 9 della Costituzione, inequivocabilmente pacifista, analogo al nostro art. 11.

 

L’industria dell’elettricità nel mondo

 

Forse non molti sanno che durante la II guerra mondiale gli Stati Uniti si rivolsero al Congo per procurarsi l’uranio necessario a costruire le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. E nei decenni successivi spesero decine di miliardi di dollari per sfruttare i siti minerari del Paese e per reprimere i ribelli filosovietici. Negli anni ‘70 il governo di Mobutu era entusiasta di questo rapporto.

Quest’anno il “New York Times” ha pubblicato una lunga inchiesta sulla Repubblica Democratica del Congo, che al momento fornisce più della metà delle scorte mondiali di cobalto, usato per produrre le batterie delle auto elettriche. Il Paese è lacerato dalla corruzione dei politici locali, dalle pessime condizioni di lavoro e dai danni ambientali.

Negli anni 2000 la Freeport-McMoRan (azienda statunitense che controllava le miniere congolesi) decise di puntare forte sul gas e sul petrolio, spendendo 20 miliardi di dollari. Quando il prezzo del petrolio crollò, l’azienda si trovò sommersa dai debiti, e nel 2016 dovette vendere la miniera di cobalto e rame di Tenke Fungurume, la più importante del Paese. Se l’aggiudicò la China Molybdenum per 2,5 miliardi di dollari.

L’amministrazione Obama non intervenne e quella di Trump fece peggio, poiché ripristinò il primato del carbone, rinunciando alla transizione verso le auto elettriche, sicché oggi Pechino controlla 15 delle 19 miniere di cobalto del Congo e sembra destinata a vincere la corsa sulle auto elettriche.

L’ultima speranza che hanno gli USA è quella di sfruttare i grandi giacimenti di litio appena trovati sotto il deserto nel nord del Nevada. Il litio, come il cobalto, è fondamentale per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli solari e batterie di auto elettriche). Al momento metà delle forniture provengono dall’Australia, il resto dalla Cina (17%), dal Cile (22%) e dall’Argentina (8%).

Gli USA devono però sbrigarsi, perché il governo Biden pretende che entro il 2030 la metà delle auto circolanti nel Paese siano elettriche, e con solo 9 aziende che producono batterie agli ioni di litio sono in grave ritardo (la Cina ne ospita 107 e nel mondo ve ne sono 142).

Intanto però gli USA devono combattere gli attivisti ambientali del Nevada, per i quali non ha alcun senso sacrificare un territorio incontaminato in nome della transizione ecologica. L’estrazione del litio lo renderà infatti inabitabile per piante e animali, in quanto può disperdere nell’acqua metalli pericolosi come arsenico, antimonio e uranio. Problemi che evidentemente in Cina non hanno.

Fonte: Internazionale.it

 

Draghi è un soggetto molto pericoloso

 

Speriamo che il prossimo a dimettersi sia Draghi, in Europa il più guerrafondaio dopo Johnson.

Deve farlo perché sta portando il Paese alla catastrofe. In fondo è sempre stato nel suo stile. Ha privatizzato varie imprese pubbliche italiane negli anni ’90, quelle che avevano realizzato il nostro miracolo economico.

Nel 2015 guidò la repressione della democrazia economica in Grecia, chiudendone le banche.

Oggi ha bloccato i fondi esteri della Banca centrale di Mosca, estromettendola dallo Swift. Rifiuta qualunque trattativa a favore della pace. Fa tutto quello che gli chiede Biden. Ha portato al 2% le spese per la difesa. Ha intenzione di smantellare le nostre imprese medio-piccole a favore di pochi monopoli dell’economia, per lo più stranieri.

Quest’uomo è molto pericoloso.

 

[10] Il destino di Odessa

 

Il Generale Mini, in un’intervista su l’“Antidiplomatico”, ha detto che “il ritiro dall’isolotto dei Serpenti è senz’altro un segnale non tanto di distensione quanto di razionalità. Non è il caso di perdere uomini e infrastrutture che possono essere eliminati dai missili occidentali da centinaia di chilometri. Ma allora l’eventuale presa di Odessa non potrà più avvenire dal mare. Anche l’obiettivo limitato del Donbass è relativo. Era senz’altro il progetto iniziale. Ma le condizioni iniziali grazie ai nostri “aiuti” sono cambiate e non è escluso che se la conquista del Donbass, come sembra, porterà le forze convenzionali ucraine e russe allo stremo, l’obiettivo limitato potrebbe non essere più un successo in termini di costi/efficacia e allora la Russia di fronte a una ridotta resistenza potrebbe tentare il passaggio alle opzioni strategiche convenzionali e nucleari: neutralizzare Kiev e puntare all’acquisizione di Odessa e della Transnistria”.

Tuttavia (aggiungo io), se i russi pensano che per conquistare Odessa non occorra uno sbarco navale, allora vuol dire che si sentono in grado di farlo via terra. L’orrenda strage dei filorussi nella sede del sindacato nel 2014 va vendicata. Considerando che l’esercito di Kiev è completamente demoralizzato, è difficile pensare che a Odessa vi sarà un’accanita resistenza, anche se l’insegnamento della lingua e della letteratura russa è stato vietato nelle scuole dell’intera regione.

Mariupol è stata quasi completamente distrutta e si temeva che ogni città successiva sarebbe stata liberata altrettanto duramente. Ma Severodonetsk è stata presa più facilmente di Mariupol e Lisichansk ancora più facilmente di Severodonetsk. Questo fa pensare che le truppe russe stiano migliorando la loro capacità di conquistare le città e che il nemico sia sempre più consapevole dell’inutilità della resistenza. Quindi sarebbe meglio per tutti che Odessa si arrendesse come Melitopol e Kherson.

L’Ucraina senza il suo polmone industriale (il Donbass) e senza accesso al Mar Nero (Odessa) è destinata a cessare come Stato. Probabilmente la Polonia si prenderà la regione galiziana. E non è da escludere che altre nazioni confinanti possano prendersi parti del territorio ucraino ove vivono le loro minoranze etnico-linguistiche.

Da Odessa dovrà andarsene anche il sindaco, Gennady Trukhanov, che ha concesso a Boris Johnson la cittadinanza onoraria per il suo grande impegno antirusso. In realtà perché lui stesso è stato coinvolto in prima persona come parte di un sindacato criminale ucraino che ha riciclato denaro attraverso Londra, acquistando proprietà multimilionarie.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

Borrell parla a vanvera

 

Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, non lo capisco. Ha detto che la riduzione delle forniture energetiche russe crea difficoltà a molti Paesi UE, ma questo è il prezzo per la liberazione dall’influenza russa. Cioè la riduzione dell’import del gas russo ci libera da un condizionamento di tipo politico.

Ma di che parla? Fino a ieri era stato proprio il gas russo, di ottima qualità, senza rischi di alcun genere e a prezzi molto contenuti che ci ha permesso un benessere elevato e una indipendenza pressoché assoluta dalle fonti energetiche americane, molto più costose e rischiose sotto ogni punto di vista.

Senza poi parlare che dal mercato russo potevamo ottenere molte altre materie prime strategiche e che su quel mercato potevamo vendere tantissimi nostri prodotti e servizi, dal turismo a vari beni alimentari e calzaturieri.

Davvero Borrell sta pensando che Putin voglia attaccare qualche Paese europeo?

Intanto ha fatto dietrofront sulla questione di Kaliningrad, cioè mentre prima aveva approvato il blocco del corridoio polacco di Suwalki, ora invece si è reso conto di questa assurdità.

Perché mettere a capo della diplomazia europea una persona così incompetente?

 

[11] Dare i numeri

 

Il numero di ucraini mobilitati oggi nelle forze armate raggiunge le 700.000 persone. L’ha detto Oleksiy Reznikov, ministro della Difesa, che ha offerto qualche dato: “Guardie di frontiera 60.000, Guardia Nazionale 90.000, Polizia 100.000. Oggi, più di un milione di persone in uniforme garantisce le attività della sicurezza e della difesa”.

Visto però come vanno le cose, delle due l’una: o gli ucraini non sanno combattere o questi dati sono fasulli. Non a caso stanno chiamando a combattere i 18enni e le donne.

Considerando però che per lo stesso ministro ci sono tre scenari per la fine della guerra: ritirata volontaria dei russi, distruzione del loro potenziale bellico con le più moderne armi occidentali, collasso della Federazione Russa, vien da pensare che le suddette ipotesi siano entrambe vere.

 

Spezzeremo le reni alla Russia

 

Ad Amburgo sono pronti a razionare l’acqua calda per “grave carenza di gas”. A Berlino hanno abbassato di 2 gradi la temperatura delle piscine. A Colonia l’illuminazione stradale è ridotta al 70% della potenza nelle ore notturne.

L’Associazione tedesca delle municipalità consiglia di spegnere i semafori di notte, chiudere l’acqua calda negli edifici comunali, nei musei e nei centri sportivi, regolare i condizionatori d’aria e smettere d’illuminare gli edifici storici.

Il principale proprietario di immobili in Germania, Vonovia, ha fatto sapere che abbasserà la temperatura dei suoi riscaldamenti centralizzati a 17 gradi fra le ore 23 e le 6 del mattino. La riduzione notturna consentirà di risparmiare fino all’8% dei costi di riscaldamento. Vonovia possiede più di 550.000 appartamenti in Germania, Svezia e Austria, oltre a circa 72.500 appartamenti in gestione.

In particolare i tedeschi temono che la sospensione per 10 giorni del Nord Stream per riparazioni possa diventare indefinita.

Il capo della Federal Network Agency Klaus Müller ha esortato gli abitanti della Germania a effettuare in anticipo la manutenzione di caldaie e radiatori, optando per modalità economiche. Inoltre ogni famiglia deve decidere adesso in quali stanze dovranno tenere molto basso il riscaldamento o non accenderlo per niente.

Intanto i funzionari stanno per presentare un “modello di risparmio basato su aste e premi”, attraverso il quale l’industria potrà ricominciare ad acquistare carburante se dimostra però che è in grado di risparmiare sul gas in maniera significativa.

Il bello è che entro la fine dell’anno una famiglia tedesca pagherà il 135% in più per il gas rispetto al 2021.

 

Il Metodo Giacarta

 

È stato pubblicato un eccellente libro dal titolo Il Metodo Giacarta (ed. Einaudi 2022) di Vincent Bevins, noto giornalista pluripremiato e corrispondente dal sud-est asiatico del “Washington Post”.

Narra della storia segreta dei terribili massacri di cui si sono resi responsabili gli Stati Uniti in Indonesia, nelle Filippine, in America Latina e in tante altre parti del mondo, all’epoca della Guerra Fredda. Un resoconto tragico dei colpi di stato e omicidi di massa, funzionali agli interessi dell’imperialismo americano e alla creazione del cosiddetto “nuovo ordine mondiale”. Tutto ciò sulla base di documenti recentemente desecretati, sul parere degli storici più competenti e su schiaccianti testimonianze dirette di sopravvissuti e di ricerche d’archivio.

È un libro che fa seguito ai grandi reportage di Noam Chomsky che, nel suo interessantissimo libro Terrorismo Occidentale, accusa i vari governi americani e le loro multinazionali, dal secondo dopoguerra ad oggi, di aver provocato la morte di 50-55 milioni di persone in nome di ideali di “libertà” e di “democrazia”.

Si parla di “metodo Giacarta” perché in questa capitale indonesiana, nel 1965, si consumò impunemente il massacro di un milione di civili innocenti e la distruzione del più grande partito comunista dopo quello cinese e sovietico. E questo fu l’inizio di identici programmi terroristici esportati in altri Paesi, come p.es. il Brasile e il Cile.

Il 1 ottobre 1965, dopo un colpo di mano militare appoggiato dalla CIA, il generale Suharto, prese il controllo del Paese, estromettendo dalla carica di capo di Stato Sukarno, legittimamente eletto, che aveva aiutato il Paese a liberarsi dal colonialismo dei Paesi Bassi.

Suharto rimase al potere fino al 1998, rappresentando la peggior corruzione del Paese di sempre: il suo patrimonio familiare arrivò a toccare i 15 miliardi di dollari. Morì nel 2008, senza mai essere stato processato. Sukarno invece rimase agli arresti domiciliari fino alla sua morte (1970) e il partito comunista indonesiano fu quasi completamente distrutto (alcune stime parlano di due milioni di militanti assassinati).

 

[12] In Africa Zelensky è ridicolo

 

Owei Lakemfa, ex segretario generale dell’Unione dei lavoratori africani, attivista per i diritti umani, giornalista e scrittore, ha detto di Zelensky: “Vive nell’illusione d’essere il grande presidente di guerra destinato a sconfiggere la Russia e a salvare il mondo da un drago assetato di sangue e dal suo impero del male. È come un uomo che dà fuoco alla propria casa, rifiuta di spegnere l’incendio e poi grida che si tratta di una calamità universale per la quale merita una villa in sostituzione. Noi africani non possiamo farci abbindolare da un simile fenomeno da baraccone; non abbiamo alcuna eredità nella casa di Zelensky”.

 

Macron e gli Uber files

 

Tutte le opposizioni francesi alzano i toni contro il presidente Emmanuel Macron dopo le indiscrezioni di stampa sui suoi scambi privilegiati e segreti con la compagnia americana Uber (taxi e car-sharing), quand’egli era ministro dell’Economia ai tempi del governo Hollande (2014-16). Ora vogliono una commissione d’inchiesta.

La multinazionale puntava a una deregulation per i diritti del mondo del lavoro e Macron ne era un lobbista.

Chi ha fatto scoppiare lo scandalo è stato l’ex lobbista di Uber Mark MacGann, che ha trasmesso a “The Guardian”, BBC, “Le Monde” e altre testate un gigantesco dossier che include oltre 120.000 intercettazioni, 83.000 e-mail e altri file su operazioni illecite condotte tra il 2013 e il 2017. Il cofondatore di Uber, Travis Kalanick, si dimise nel 2017 a causa dei suoi comportamenti corrotti.

I documenti rivelano che i dirigenti di Uber si sono incontrati più di 100 volte con funzionari di 17 Paesi, tra cui l’allora vicepresidente degli USA Joe Biden, l’allora premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’attuale cancelliere tedesco Olaf Scholz, l’ex premier britannico George Osborne, l’ex commissaria europea Neelie Kroes, il premier olandese Mark Rutte e tanti altri, tra cui appunto Macron.

 

Ricchi e poveri polarizzati

 

In circa due anni (2020-21) i dieci uomini più ricchi del pianeta hanno più che raddoppiato la loro ricchezza (da 700 a più di 1.500 miliardi di dollari), al punto che se di colpo perdessero il 99% delle loro fortune, resterebbero comunque più ricchi del 99% di tutti gli abitanti del pianeta.

Il solo Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, ha incrementato il patrimonio di altri 81,5 miliardi di dollari, equivalenti “al costo completo della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale con il prezzo per dose della Pfizer”.

Nello stesso tempo altri 163 milioni di persone sono finiti sotto la soglia di povertà: entro il 2030 le persone che vivranno con meno di 5,50 dollari al giorno saranno 3,3 miliardi.

L’Italia non fa eccezione. Da marzo 2020 a novembre 2021, in piena pandemia, sono stati ben 13 i neo-miliardari italiani (su un totale di 49) a essere entrati nella lista Forbes degli uomini più ricchi del mondo, a fronte di oltre un milione di individui (400.000 famiglie) sprofondati nella povertà. I 40 miliardari italiani più ricchi – secondo quanto ricostruito da Forbes – posseggono l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte).

Insomma ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.

Lo dice il report di Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale.

E poi ci si chiede perché scoppiano guerre e guerre civili.

 

Povertà e precarietà in Italia, anche nelle idee

 

Il rapporto del Ministero del Lavoro, riguardante la precarietà del lavoro e la povertà degli italiani, dice che non è solo una questione di salari stagnanti: pesano anche l’instabilità crescente delle carriere, il boom del part-time involontario e l’aumento dei lavoretti. La pandemia ci ha messo a terra, dopo la terribile crisi finanziaria mondiale del 2008. Altro che recupero del PIL.

Tutti gli strumenti – dagli 80 euro al reddito di cittadinanza – per aggredire il fenomeno delle basse retribuzioni, hanno miseramente fallito.

L’11,8% di chi lavora è povero (e le donne molto più degli uomini), e addirittura 1/4 dei lavoratori ha retribuzioni così basse (meno di 11.500 euro all’anno) da rischiare di diventarlo, finendo in una spirale che una volta su due è una condanna definitiva. Chi lavora per meno della metà dell’anno rischia di finire in povertà nel 75% dei casi, contro il 20% di chi ha un impiego per l’intera annualità. Per di più solo il 50% dei lavoratori poveri è raggiunto da una forma di sostegno al reddito.

Il gruppo di lavoro di sociologi, giuslavoristi ed economisti, coinvolti dal suddetto Ministero, ha poi individuato cinque proposte, da prendersi nel loro insieme, per uscire da questa situazione. Ma siccome non ce n’è una che riguardi la lotta all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata, le assurde spese in campo militare, il vergognoso sostegno alle banche per impedire che falliscano, la requisizione delle aziende che chiudono per trasferirsi all’estero, il pagamento delle tasse in rapporto al reddito e la riduzione degli stipendi astronomici di manager, politici e funzionari statali, è inutile prenderle in esame. È tutta aria fritta.

 

[13] Ecco i loro riservisti

 

L’11 luglio le autorità di Kiev hanno rilasciato dalla prigione Ruslan Onishchenko, il comandante del battaglione Tornado. Onishchenko e altri 11 membri del battaglione erano stati condannati a varie pene detentive per aver torturato, rapito, stuprato e portato al suicidio vari ucraini del Donbass nel 2014-15.

Il battaglione era nella struttura del ministero degli Affari interni dell’Ucraina e i suoi combattenti avevano lo status di agenti di polizia. Tuttavia le numerose efferatezze compiute avevano costretto il governo a incarcerare vari militanti. In particolare Onishchenko era stato condannato nel 2017 a 11 anni di carcere. E già in precedenza era stato condannato 5 volte per partecipazione a gruppi criminali organizzati, torture e rapimenti.

Ora è stato rilasciato a condizione che si unisca alle forze armate dell’Ucraina e combatta. Ecco dove Kiev va a prendere i suoi riservisti.

 

Basta un cavillo giuridico

 

La società che gestisce il gasdotto Nord Stream 2 ha parzialmente vinto il suo ricorso presso la Corte di Giustizia Europea contro la Commissione Europea sugli emendamenti alla Direttiva UE sul gas. Cioè la suddetta Corte ha riconosciuto la presenza di un errore nella decisione del Tribunale di Giurisdizione Generale UE del 20 maggio di respingere la pretesa circa il carattere discriminatorio delle modifiche alla direttiva UE gas per il Nord Stream 2. È un cavillo giuridico, ma quanto basta per mandare la von der Leyen a quel paese. La quale non potrebbe spiegare in alcun modo il motivo per cui possa funzionare il Nord Stream 1 e i gasdotti che passano per l’Ucraina, mentre il Nord Stream 2 no.

Secondo l’ex ministro dell’Economia della Polonia e l’ex capo della società petrolifera e del gas PGNiG, Piotr Wozniak, se la suddetta società presenta un nuovo reclamo contro la direttiva UE sul gas e ottiene successo contro la Commissione Europea, sarà un disastro per l’Ucraina, perché il transito del gas attraverso il suo territorio si fermerà. Il governo di Kiev dovrà affrontare lo spettro della morte per congelamento in inverno.

L’Ucraina dovrà fare domanda al Cremlino per l’inclusione nel sistema del gas russo, cosa che ovviamente avrà effetti politici.

Intanto Putin ai Paesi che non accettano di pagare il gas in rubli – Polonia, Bulgaria, Paesi Bassi, Finlandia e Danimarca – ha già chiuso i rubinetti. Ma da metà giugno Mosca ha anche cominciato a ridurre i flussi che passano attraverso Nord Stream 1 (60 dei 200 miliardi di metri cubi del metano russo che vengono pompati ogni anno in Europa). Ora quest’ultimo è chiuso per lavori di manutenzione, ma molti si chiedono se verrà riaperto dopo il 21 luglio, finiti i lavori.

All’Italia, secondo l’ENI, la Gazprom ha già ridotto di 1/3 il gas. E l’Italia continua a utilizzare pochissimo le proprie strutture estrattive di gas nell’Adriatico.

 

[14] Come rimediare al caro energia

 

Arriva il primo impianto in Svizzera per la produzione di biocarburante da oli alimentari esausti e grassi animali.

Il progetto, del valore di 100 milioni di franchi (finanziati da un fondo di UBS), è portato avanti dalla società Helvoil. Lo stabilimento sarà costruito a Monthey in Vallese e partirà entro metà del 2024. Si prevede che produrrà 100.000 tonnellate di carburante all’anno, sufficienti a coprire il consumo di tutto il traffico merci su strada tra Basilea e Chiasso per un anno.

Una parte dell’olio proverrà da cucine industriali, mentre un’altra parte da punti di raccolta per privati. Il resto dovrà essere importato da Francia, Italia e Germania. L’impianto di Monthey intende contribuire a una maggiore autosufficienza della Svizzera in termini di carburanti rinnovabili per il trasporto stradale, con emissioni di CO2 ridotte fino al 90%.

D’altra parte la produzione mondiale di biodiesel e quella di bioetanolo crescono di continuo. Questo anche perché i biocarburanti contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, nonostante che le monoculture di materie prime possano provocare un’iperacidità del suolo o l’inquinamento delle acque, dovuto a un abuso di sostanze chimiche.

Ma se questi problemi si verificano in Africa, nessuno se ne accorge. Infatti nel 2013 la società ginevrina Addax Bioenergy inizierà a produrre bioetanolo in Sierra Leone (Malal Mara). La fabbrica dovrebbe produrre 90.000 mc di carburante, destinato essenzialmente all’Unione Europea.

Lanciato nel 2008, con un investimento di 350 milioni di dollari, il progetto Addax Bioenergy comprende lo sviluppo di una piantagione di canna da zucchero Greenfield, la costruzione di una raffineria di etanolo e un impianto per la produzione di energia alimentato da biomassa. Sarebbero stati sottratti 57.000 ettari di terra ai contadini. Il tutto grazie a esenzioni fiscali, accordi illeciti con le autorità locali e un uso intensivo dell’acqua durante i periodi di siccità.

 

[15] Un novax e una russa vincono a Wimbledon

 

Novak Djokovic, un serbo che ha rifiutato il vaccino anti Covid, ed Elena Rybakina, una russa nata e cresciuta a Mosca, costretta a far valere il suo passaporto kazako per superare il divieto posto dai “democratici” inglesi alla partecipazione di atleti russi e bielorussi al torneo tennistico di Wimbledon: i due tennisti più scomodi del tabellone hanno vinto rispettivamente il singolare maschile e quello femminile.

Un duplice schiaffone ai politici di Londra e ai loro lacchè nel mondo dello sport. Una russa e un serbo, il peggio che poteva capitare per chi utilizza lo sport per fare la guerra. E poi proprio nella settimana che ha visto la fine della carriera politica di Boris Johnson il guerrafondaio...

I giornali britannici non hanno messo in copertina la foto della Rybakina, ma quella della duchessa Kate Middleton (futura regina d’Inghilterra?) che ha consegnato il trofeo alla tennista.

Alla conferenza stampa l’hanno tempestata di domande fuori luogo. Vien da chiedersi perché i giornalisti non si siano comportati nella stessa maniera con gli atleti statunitensi, quand’erano in corso le guerre in Iraq, Afghanistan e in altri casi simili e perché questi atleti non siano mai stati banditi dalle competizioni sportive.

 

[16] I vantaggi della fame nel mondo

 

Qui di seguito un articolo di quest’anno pubblicato dall’ONU e poi cancellato, ma conservato nella cache di Google.

Di George Kent, professore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università delle Hawaii. Si occupa di diritti umani, relazioni internazionali, pace, sviluppo e questioni ambientali, con particolare attenzione alla nutrizione e ai bambini.

Si noti il cinismo con cui affronta la questione della fame nel mondo.

La fame ha un grande valore positivo per molte persone. In effetti è fondamentale per il funzionamento dell’economia mondiale. Le persone affamate sono le persone più produttive, soprattutto dove c’è bisogno di lavoro manuale.

La maggior parte delle persone lavora sia per produrre cibo per se stesse nella produzione a livello di sussistenza, sia vendendo i loro servizi ad altri in cambio di denaro.

Quando vendiamo i nostri servizi a buon mercato, arricchiamo gli altri, coloro che possiedono fabbriche, macchine, terre. Per coloro che dipendono dalla disponibilità di manodopera a basso costo, la fame è il fondamento della loro ricchezza.

Il pensiero convenzionale è che la fame sia causata da lavori sottopagati. Ma se è vero che la fame è causata da posti di lavoro a bassa retribuzione, dobbiamo capire che la fame allo stesso tempo provoca la creazione di posti di lavoro a bassa retribuzione. Chi avrebbe avviato massicce operazioni di produzione di biocarburanti in Brasile se non avesse saputo che c’erano migliaia di persone affamate abbastanza disperate da accettare gli orribili lavori che avrebbero offerto? Chi costruirebbe qualsiasi tipo di fabbrica se non sapesse che molte persone sarebbero disponibili ad accettare lavori a basso salario?

Gran parte della letteratura sulla fame parla di come sia importante garantire che le persone siano ben nutrite in modo che possano essere più produttive. Questa è una sciocchezza. Nessuno lavora più duramente delle persone affamate. Le persone ben nutrite hanno una maggiore capacità di attività fisica produttiva, ma sono molto meno disposte a fare un certo tipo di lavoro.

L’organizzazione non governativa Free the Slaves definisce gli schiavi come persone a cui non è permesso abbandonare il proprio lavoro. Si stima che ci siano circa 27 milioni di schiavi nel mondo, compresi quelli che sono letteralmente rinchiusi nei laboratori e tenuti come schiavi nell’Asia meridionale. Tuttavia non includono le persone che potrebbero essere descritte come schiave della fame, cioè coloro che sono liberi di abbandonare il proprio lavoro ma non hanno un’alternativa migliore.

Per quelli di noi ai vertici della scala sociale, porre fine alla fame a livello globale sarebbe un disastro. Se non ci fosse fame nel mondo, chi arerebbe i campi? Chi raccoglierebbe le nostre verdure? Chi lavorerebbe negli impianti di rendering? Chi pulirebbe i nostri bagni? Non c’è da stupirsi che le persone di fascia alta non si stiano affrettando a risolvere il problema della fame. Per molti di noi la fame non è un problema ma un vantaggio.

Fonte: archive.ph/GHjVG

 

[17] I BRICS si allargano

 

Dopo Argentina e Iran, ora anche Indonesia (strategica per le rotte mercantili) e Arabia Saudita (storico “serbatoio” petrolifero degli USA) chiedono l’ingresso nei BRICS (Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica). Come noto l’Iran ha bisogno di superare il suo isolamento internazionale, mentre l’Argentina ha privilegiato i suoi rapporti commerciali con la Cina.

Starebbero per passare nell’area BRICS anche una potenza mediorientale come l’Egitto e persino l’Algeria, storicamente nell’orbita occidentale tramite la Francia.

Altri Paesi ci stanno seriamente pensando: Kazakhistan, Senegal, Cambogia, Etiopia, Fiji, Malesia e Thailandia.

Tutti si vogliono opporre al polo “globalista” occidentale interpretato da OMS, FMI, Banca Mondiale e Banca dei Regolamenti Internazionali. Da parte americana non vi è solo il tentativo di eliminare militarmente la Russia attraverso l’uso strumentale dell’Ucraina, ma vi sono anche gli sforzi di promozione di iniziative regionali volte al contenimento della Cina, quali il Quadrilateral Security Dialogue (QUAD), l’AUKUS (con Regno Unito e Australia) e l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF).

Ma se grandi Paesi emergenti entrano nel BRICS Plus, per la globalizzazione è la fine.

Per certi versi è già così. I Paesi occidentali, in cui vive solo il 10% della popolazione del pianeta, controllano circa il 30% del PIL mondiale. Sono tra i Paesi più indebitati al mondo e le loro monete (dollaro ed euro) non rispecchiano i valori effettivi delle economie occidentali. Sta succedendo qualcosa di epocale. La nostra stessa Unione Europea, per come è messa, non ha più senso: è solo una longa manus degli USA e un ostaggio della NATO.

Ad agosto Russia, Iran e Cina condurranno esercitazioni militari congiunte in Venezuela. Non era mai accaduto.

 

[18] L’inverno del nostro scontento

 

L’amministratore delegato del FMI, Kristalina Georgieva, ha detto che vi sarà un’imminente crisi del debito tra i Paesi in via di sviluppo, causata dai tassi d’interesse più elevati imposti nelle nazioni avanzate per cercare di controllare l’inflazione. Tassi più alti significano maggiori costi di servizio del debito che i Paesi più poveri devono pagare in dollari.

Il livello del debito è aumentato durante la pandemia, e ora è peggiorato a causa del conflitto ucraino e delle sanzioni alla Russia. Si sta scatenando un caos finanziario mondiale. Già adesso il 30% dei mercati in via di sviluppo ed emergenti sono a livelli di sofferenza del debito. Per le nazioni a basso reddito il tasso raddoppia al 60%.

La stessa economista aveva detto 4 mesi fa che le sanzioni anti-russe avrebbero portato a disordini civili in Medio Oriente e altrove a causa dell’alto costo o dell’inaccessibilità delle importazioni di cibo.

Ovviamente l’inizio della crisi alimentare è antecedente sia alla pandemia che alla guerra ucraina. Risale alla crisi finanziaria globale del 2008 e si è acuita negli anni successivi, portando p.es. alle cosiddette “primavere arabe”. Poi naturalmente vi hanno contribuito la crisi climatica e la dipendenza dai fertilizzanti chimici che impoveriscono il suolo.

Oggi stanno andando alle stelle gli indici dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari, dell’olio vegetale, della carne e dei cereali. Impedire a Russia e Bielorussia di esportare (e anche all’Ucraina, fomentando la guerra con l’invio di armi e denaro) è semplicemente folle.

L’economista cinese Li Zhiqun ha parlato di un miliardo di persone destinate alla fame: “la più grande violazione dei diritti umani della storia”. La stessa FAO ha stimato che solo per il mondo arabo almeno 1/3 della popolazione rischierà la denutrizione.

L’Italia produce il 36% del frumento che richiede il suo fabbisogno nazionale, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 63% della carne suina e il 56% del grano duro per la pasta.

Non siamo autosufficienti e col governo attuale non si sta affrontando minimamente questo problema. D’altra parte parlare di razionamento alimentare o di cominciare a fare scorte di cibo sarebbe troppo allarmistico e pericoloso sul versante dei prezzi. Ma è difficile che una popolazione resti passiva quando le viene a mancare pasta, pane, carne e latte. Dicono che digiunare faccia bene, ma tra un pasto e l’altro, ed è difficile pensare che un italiano, col suo culto per il cibo, possa abituarsi a mangiare erbacce e insetti. Già storciamo il naso, giustamente, coi prodotti geneticamente modificati.

 

Siamo ormai alla resa dei conti

 

Zelensky ha appena licenziato il procuratore generale, Irina Venediktova, e Ivan Bakanov, il capo del famigerato servizio segreto ucraino, lo SBU, quello che organizzò, assieme all’assistenza del britannico MI6, la psy-op della strage di Bucha. Bakanov, amico di lunga data dello stesso Zelensky, in passato ha gestito la sua società d’intrattenimento e la sua campagna presidenziale.

Motivo? Bakanov non avrebbe fatto nulla per impedire l’occupazione russa della città di Kherson. Contravvenendo agli ordini di Zelensky, il generale Serhiy Kryvoruchko, capo del direttorato SBU di Kherson, aveva ordinato ai suoi ufficiali di evacuare la città prima che le truppe russe la prendessero d’assalto. Nel frattempo il colonnello Ihor Sadokhin, suo assistente e capo del Centro antiterrorismo dell’ufficio locale, avrebbe fatto una soffiata alle forze russe dirette a nord dalla Crimea sull’ubicazione delle mine ucraine.

Mentre fuggiva in un convoglio di agenti dell’SBU diretto a ovest, Sadokhin avrebbe aiutato anche a coordinare la traiettoria di volo degli aerei nemici.

Se Zelensky è arrivato a estromettere il capo delle operazioni di depistaggio che lui stesso ha ordinato, la situazione dev’essere piuttosto grave. Ciò vuol dire che non si fida nemmeno del suo apparato d’intelligence. Probabilmente sono più coloro che vogliono rovesciarlo di quanti vogliono che resti al suo posto.

 

*

 

Secondo le agenzie di stampa ucraine UNN e UP, Zelensky ha revocato la cittadinanza all’oligarca Igor Kolomoyskyi, al politico Vadim Rabinovich (fuggito all’estero durante la guerra) e all’uomo d’affari plurinquisito Gennady Korban. Tutti e tre ebrei. Zelensky l’avrebbe fatto con un “decreto segreto”.

Come noto l’oligarca Kolomoyskyi è il proprietario del canale 1+1, dove esordì il comico Zelensky, è il finanziatore dei battaglioni nazisti (in particolare Azov), nonché il produttore della serie Tv “Servitore del popolo”, da dove è partita la carriera politica di Zelensky.

Dopo le ultime massicce epurazioni di Zelensky, quest’azione dimostrerebbe ulteriormente un’atmosfera molto pesante.

 

Tony Blair scopre l’America

 

Tony Blair suona la campana a morte per l’occidente. Ha dichiarato esplicitamente che il tempo del mondo unipolare dominato dell’establishment anglosionista è giunto definitivamente al termine. Altri attori stanno emergendo e Blair è costretto a riconoscere, suo malgrado, che il futuro sarà multipolare. Il destino del mondo non sarà più deciso a Londra, Washington e Tel Aviv ma altrove, su più Paesi e continenti.

Praticamente ha scoperto l’America.

 

[19] Impossibile controllare i prezzi sotto il capitalismo

 

Prima del conflitto russo-ucraino la UE importava fino al 40% del suo petrolio dalla Russia. Il Consiglio Europeo ha deciso che entro febbraio 2023 tutte le importazioni di petrolio dalla Russia cesseranno, ad eccezione di piccole quantità che oggi arrivano attraverso l’oleodotto Druhzba South a favore di Ungheria, Cekia e Slovacchia.

Un’ulteriore misura presa dal Consiglio Europeo è la limitazione per le compagnie di assicurazione marittima della UE (e del Regno Unito) di fornire copertura per i carichi contenenti greggio russo. Questa misura potrebbe limitare la capacità di export della Russia non solo in Europa ma in tutto il mondo, facendo salire ulteriormente i prezzi del petrolio.

Gli statisti occidentali sembrano non capire nulla di economia. Infatti stanno pensando di porre entro fine anno, prima ancora che scatti l’embargo definitivo, un tetto al prezzo del petrolio, per ridurre le entrate russe. Questo per scongiurare sommosse popolari.

Non si rendono conto di vivere in un sistema di mercato che non sopporta controlli politici sull’economia. Vogliono usare strumenti economici e finanziari per distruggere o quanto meno isolare la Russia, senza rendersi conto: 1) di non essere più i dominatori del mondo e 2) di essere soltanto i portavoce dei potentati economici del capitale. In ultima istanza la politica non decide proprio nulla.

In occidente nessuna merce in nessun periodo storico è mai riuscita a sopportare, per più di un tempo molto limitato, un tetto al proprio prezzo imposto dai politici. La conseguenza è sempre quella del mercato nero e della speculazione incontrollata.

Già oggi, proprio grazie al nostro embargo contro Mosca, Cina e India stanno comprando il greggio russo a prezzi molto scontati. In ogni caso nessun Paese del BRICS aderirebbe mai a un cartello di acquirenti occidentali.

In occidente i prezzi dei prodotti energetici stanno salendo in maniera vertiginosa semplicemente perché questi prodotti sono in mano ad aziende private che si sentono autorizzate ad approfittare di qualunque situazione favorevole, e la guerra in Ucraina è una di queste.

Quando gli Stati vogliono calmierare i prezzi di qualche prodotto (come stanno facendo oggi Spagna e Portogallo nei confronti del gas per le centrali elettriche), la differenza dai prezzi di mercato viene pagata dai governi con le tasse dei cittadini.

Fonte: affarinternazionali.it

 

Per non riconoscere le due repubbliche perderanno mezza nazione

 

Oggi la Russia, la DPR e la LPR controllano circa il 20% del territorio ucraino con una popolazione di circa 6-8 milioni di persone. L’espansione pianificata per i prossimi mesi prevede una denazificazione del 40-45% del territorio abitato da 12-15 milioni di persone.

I preparativi per la riunificazione dopo la liberazione di territori così vasti non hanno precedenti.

Il probabile compito strategico-militare della nuova fase bellica è di raggiungere il confine Kharkiv-Zaporozhye-Nikolaev-Odessa fino alla Transnistria lungo la costa del Mar Nero, creando teste di ponte per un ulteriore avanzamento in direzione di Dnepropetrovsk-Kiev.

Praticamente la Russia si sta riprendendo i suoi territori e sta cercando di evitare che la NATO si avvicini troppo ai suoi confini.

Difficile non pensare che possano ripetersi conflitti del genere, nel caso in cui i russi presenti in altre nazioni come minoranze significative saranno oggetto di persecuzioni o forti discriminazioni o addirittura di genocidio.

L’arroganza degli occidentali, che va avanti dai tempi delle crociate, senza soluzione di continuità, sta per finire.

 

[20] Che fine ha fatto l’oro ucraino?

 

L’Ucraina afferma d’aver venduto riserve auree per un valore di 12,4 miliardi di dollari dal 24 febbraio a oggi. Risorse finanziarie che certamente non sono servite per alleviare le sofferenze del suo popolo. Chissà in quale conto svizzero sono volati i soldi.

Stando però al vicecapo della Banca Nazionale le riserve auree e valutarie del Paese sono al sicuro in Polonia.

Tuttavia già il 7 marzo 2014, poche settimane dopo il golpe neonazista, quasi un miliardo di dollari della riserva aurea fu caricato su un aereo partito dall’aeroporto di Boryspil e destinato agli Stati Uniti, probabilmente per coprire i prestiti del FMI.

Nel novembre 2014, in un’intervista alla tv ucraina, l’allora capo della Banca centrale ucraina, Valeriya Gontareva (diventata tale nel giugno 2014 quando sostituì Stepan Kubiv), fece la sbalorditiva ammissione che nei caveau della Banca centrale non c’era quasi più oro, salvo una piccola quantità di lingotti: solo l’1% delle riserve. Praticamente in un anno si erano ridotte di 16 volte!

E pensare che in quest’ultimo decennio le Banche centrali di molti Paesi han cercato di riempire d’oro i loro forzieri, temendo un crollo del sistema finanziario guidato dal dollaro. Infatti è sotto gli occhi di tutti che la Federal Reserve stampa banconote senza più fare riferimento ai valori effettivi dell’economia americana, ma semplicemente per tenere bassi i costi del crescente debito pubblico e privato.

 

L’Algeria diventa il primo fornitore di gas dell’Italia

 

In arrivo altri 4 miliardi di metri cubi dall’Algeria. La parte esecutiva degli accordi sottoscritti spetta alle due società: per l’Algeria la Sonatrach e per l’Italia l’Eni.

Tuttavia la società algerina ha realizzato una partnership con la Gazprom per lo sfruttamento di giacimenti di gas di Rhourde Sayeh e Rhourde Sayeh North (perimetro di El Assel), con operazioni di perforazione di 24 nuovi pozzi che saranno a regime nel 2025, secondo cui la Sonatrach ha una percentuale del 51%, mentre la Gazprom del 49%.

Quindi se non acquisteremo più direttamente il gas russo, acquisteremo il gas dall’Algeria partecipato al 49% della medesima Gazprom, nel senso che la Sonatrach acquisirà, per estrarre il proprio metano, il know how e le strumentazioni idonee dalla stessa Gazprom russa, per venderlo a noi a un prezzo raddoppiato.

Abbiamo un governo di cialtroni che deve dimettersi. Altro che Draghi l’economista di fama mondiale...

 

[21] Razionamento del gas anticipato

 

La Commissione Europea, gestita da una donna fuori da ogni grazia di Dio, ha chiesto ai Paesi europei di ridurre la domanda di gas del 15% dal primo agosto al 31 marzo 2023. Il taglio al momento è volontario, ma diventerà vincolante nel caso in cui almeno tre Stati membri chiederanno lo stato di allerta. La Spagna ha già detto che non ne vuole assolutamente sapere.

Questo perché si teme che la Russia decida di chiudere i rubinetti dei suoi gasdotti. Cosa che in realtà avrebbe già dovuto fare, visto che l’intero occidente sta usando l’Ucraina in una guerra per procura contro Mosca.

La proposta dovrà essere votata (a maggioranza) al Consiglio straordinario sull’energia fissato per il 26 luglio. Speriamo che la respingano e che chiedano alla von der Leyen di dimettersi per manifesta incapacità a gestire i rapporti con la Russia.

L’associazione degli industriali europei, Business Europe, ha già detto che un provvedimento del genere avrà effetti economici disastrosi sull’economia europea, con un impatto irreversibile su molte imprese. Solo la von der Leyen non lo capisce.

Peraltro il taglio sarebbe lineare, senza distinzioni tra il metano russo e quello proveniente da altre fonti: cosa che non piace ai Paesi come il nostro che stanno provando a differenziare gli approvvigionamenti.

Le istituzioni europee remano contro, vogliono la morte economica della UE, fanno solo gli interessi degli Stati Uniti. Da un’Europa del genere bisognerebbe uscire quanto prima.

 

Dopo Johnson tocca a Draghi dimettersi

 

Draghi non lo rimpiangerà nessuno. Ci stava portando alla bancarotta e al rischio di un conflitto nucleare con la Russia. Dopo di lui sarà la volta di Scholz, Macron, Biden, Borrell, von der Leyen, ecc.: tutta questa gente irresponsabile e guerrafondaia non vogliamo più vederla. Vogliamo persone normali, che abbiano il senso della democrazia, che sappiano mediare e trovare soluzioni pacifiche ai conflitti. Vogliamo persone che la smettano di porre sanzioni economiche ai popoli e di rubare i patrimoni altrui.

Anzi speriamo che da qui alle prossime elezioni autunnali il governo Draghi la smetta di fare danni e che il parlamento lo tenga sotto controllo, soprattutto per quanto riguarda la politica estera e la difesa, perché con Di Maio e Guerini bisogna stare molto attenti che la situazione in Ucraina non peggiori. Gli italiani vogliono la pace e ristabilire buone relazioni con la Russia e non vogliono più mandare armi a Kiev. Anzi col governo neonazista di Zelensky dobbiamo cessare qualunque rapporto.

 

[22] Siamo un continente razzista e ipocrita

 

I sostenitori del multiculturalismo e dei confini aperti hanno fatto notare che mentre l’occidente si è profuso come non mai nell’accogliere i profughi ucraini, non altrettanto generosamente ha tenuto le porte aperte ai migranti provenienti dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia meridionale, manifestando chiaramente atteggiamenti di tipo razzistico, xenofobo o antislamico.

In particolare l’atteggiamento polacco è parso ideologicamente strumentale alla sua propaganda antirussa. Tempo fa infatti il governo aveva approvato una legge che gli consentiva non solo d’ignorare le richieste di asilo dei migranti irregolari, ma anche di buttarli fuori dal Paese con la forza. Non a caso sta costruendo al confine con la Bielorussia un muro d’acciaio da 350 milioni di euro lungo quasi 200 km e alto 5,5 m.

Tuttavia dal giorno del conflitto russo-ucraino il ministro dell’Interno, Mariusz Kamiński, ha spalancato le porte agli ucraini che fuggono dal loro Paese bombardato da Mosca. E questo sebbene il numero dei rifugiati coinvolti, oltre 3,5 milioni, sia oltre 200 volte superiore a quello dei migranti che vogliono entrare nella UE passando per la Bielorussia.

Il governo polacco ha consentito l’ingresso persino ai rifugiati ucraini privi di documenti e ha rapidamente approvato una legislazione che concede loro l’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e ai viaggi gratuiti sui treni delle ferrovie statali, nonché un’indennità giornaliera ai polacchi che ospitano gli ucraini nelle loro case. Nel giro di poche settimane la popolazione di Varsavia era aumentata di quasi il 20% e senza campi profughi.

La stessa UE, con una mossa senza precedenti, ha attivato il “meccanismo di protezione temporanea”, che dà ai rifugiati ucraini il diritto di vivere e lavorare per almeno un anno e fino a tre in tutti i 27 Paesi membri, insieme a garanzie di alloggio, assistenza sanitaria e istruzione.

La UE ha anche escogitato un nuovo modo per gli ucraini di spendere 300 euro della loro valuta nazionale, che oggi non ha quasi alcun valore. Le compagnie aree, di autobus e treni han trasportato gratuitamente gli ucraini in Paesi più lontani per alleggerire i Paesi confinanti con l’Ucraina del carico dei profughi. Nessun profugo ha avuto bisogno di pagare i trafficanti.

Naturalmente gli immigrati non occidentali sono improvvisamente diventati rifugiati di seconda classe. Afghani, siriani, irakeni, palestinesi, libici e africani in generale si sentono chiaramente indesiderati, in quanto non europei, non “intelligenti”, non “istruiti”, non cristiani, ma anche in quanto non “perseguitati” dall’orso russo. Li si è incolpati di voler vivere per sempre in Europa, mentre si plaudono gli ucraini che desiderano ritornare a casa.

Si è persino arrivati al paradosso che gli ucraini sono considerati “rifugiati di guerra”, mentre gli yemeniti, che pur muoiono a frotte per colpa dei sauditi, sono considerati solo “migranti”.

Quando poi si arriva a dire che gli ucraini (per lo più donne, anziani e minorenni) sono europei che fuggono dalla guerra, mentre gli immigrati non europei o non occidentali (per lo più maschi in età militare) cercano soprattutto una vita migliore, la UE arriva a manifestare un razzismo assolutamente insopportabile. Questo perché la stragrande maggioranza di profughi che giungono in occidente sono frutto di atteggiamenti sbagliati dello stesso occidente. Inclusi gli ucraini.

Fonte: analisidifesa.it

 

Intenzioni di voto in un sondaggio

 

L’ultimo sondaggio, presentato nella puntata di ieri di Zona Bianca, su Rete 4, da parte dell’Istituto Tecné, rivela che Fratelli d’Italia risulta essere il primo partito col 23,5%. Il Partito Democratico gli è vicino col 23,1%.

La Lega è al terzo posto col 14,6%. Forza Italia col 10,6% sorpassa il Movimento 5 Stelle di Conte (9,4%).

Seguono Azione di Calenda (il 4,9%), Sinistra italiana (il 4,1%), Italia Viva di Renzi (il 2,8%) e Italexit di Gianluigi Paragone (2,5%).

Unica consolazione: lo spocchioso Renzi resterebbe a casa. Non ci sono molte alternative. Se Di Battista rientrasse nei 5 Stelle forse si potrebbe fare una coalizione programmatica con Sinistra Italiana di Fratoianni. Potere al Popolo sembra essere un’organizzazione più sindacale che politica. E Rizzo, col suo Partito Comunista, si è alleato con Toscano di Ancora Italia per dar vita a Uniti per la Costituzione (una coalizione che include anche Riconquistare l’Italia, Azione Civile e altri). Ma il nome ufficiale sarà Italia sovrana e popolare. Sta crescendo il movimento Alternativa, ma mettersi con quell’egocentrico di Paragone (Italexit) non gli servirà a nulla.

In ogni caso sciogliere le Camere il 21 luglio e fissare la data delle elezioni al 25 settembre significa, di fatto, impedire di partecipare alle elezioni a qualunque partito che non sia esentato dalla raccolta delle firme. Ciò perché il termine per raccogliere e presentare minimo 750 firme autenticate in ogni collegio elettorale scadrà il 21 agosto. E naturalmente la norma per l’esenzione delle firme è stata accuratamente studiata per esentare solo i partiti allineati al pensiero unico.

Alternativa, Italexit, PC, Riconquistare l’Italia, Ancora Italia e qualunque nuova formazione che intendesse partecipare alle elezioni sarebbe, di fatto, tagliata fuori, in quanto risulta pressoché impossibile raccogliere e autenticare così tante firme in così poco tempo e, per di più, in pieno agosto.

Ci vorrebbe una mobilitazione per impedire alle istituzioni statali di uccidere la democrazia popolare.

 

[23] Quale alternativa a Draghi?

 

Si sa che nel capitalismo la politica dipende dall’economia, per cui parlare di democrazia fa semplicemente ridere.

Soltanto Laurence Douglas Fink e John Clifton Bogle gestiscono un impero economico da oltre 30.000 miliardi di dollari. Il primo è CEO e fondatore di BlackRock, mentre “Jack” Bogle è il fondatore di The Vanguard Group. Due gruppi che controllano per es. tutte le lobbies della farmaceutica. Hanno partecipazioni consistenti nelle prime 20 compagnie petrolifere responsabili di emissioni di gas serra a livello globale. E con l’agribusiness sono responsabili della progressiva desertificazione del pianeta.

BlackRock è la più grande società d’investimento del pianeta. Vanta un patrimonio di oltre 9.000 miliardi di dollari e attraverso Aladdin (software per la gestione dei rischi) controlla indirettamente altri 20.000 miliardi di dollari. Gestisce 3.640 aziende in 57 mercati diversi.

La Vanguard è uno dei più grandi fondi di risparmio. Non ha investitori esterni ed è di proprietà dei suoi stessi fondi. Patrimonio gestito: 7.500 miliardi di dollari.

Giusto per fare un paragone ricordiamo che l’intero PIL degli USA è stato nel 2021 di 22.000 miliardi di dollari.

Per realizzare davvero la democrazia, la politica dovrebbe poter controllare l’economia. Ma per poterlo fare, bisogna uscire dalle leggi dei mercati, o comunque bisogna limitare di molto la sistematica dipendenza nei confronti di chi monopolizza i mercati sul piano produttivo e finanziario.

Non c’è alternativa a Draghi se non c’è alternativa al capitale. E questa non la si ottiene senza rivoluzioni armate, poiché chi è abituato a comandare non si lascia convincere dalle parole.

 

Certo che un uomo chiaramente di destra come Draghi liquidato in maniera definitiva dalla stessa destra e sostenuto da un partito sedicente di sinistra come il PD, che nei confronti della guerra in Ucraina si è comportato peggio di qualunque destra, è cosa che deve far riflettere per le prossime elezioni. Se questa non è prostituzione politica, che cos’è? Becero trasformismo all’italiana?

 

Anche la Lettonia si prepara alla guerra

 

I russi con doppia cittadinanza che vivono in Lettonia e che sostengono le azioni della Russia in Ucraina potrebbero essere privati del passaporto lettone. L’ha detto il presidente Egils Levits in un’intervista in televisione.

Il Parlamento lettone ha approvato emendamenti alla legge sulla cittadinanza, che prevedono la privazione della cittadinanza alle persone che sostengono l’aggressione militare di alcuni Stati contro altri, nonché il genocidio e i crimini di guerra, mediante contributi finanziari o materiali, di propaganda, tecnologici ecc.

In Lettonia i russi sono il 25%. Se questa non è una provocazione, che cos’è?

 

[24] Finalmente sui cereali l’occidente è sceso a compromessi

 

Sono stati individuati i tre porti ucraini (Odessa, Chornomorsk e Yuzhny) dai quali partiranno le esportazioni di cereali, con regole e controlli rigidi da parte di Turchia (mediatrice) e ONU (garante). È la prima intesa tra Mosca e Kiev dall’inizio della guerra. Finalmente l’occidente ha capito che per esportare i cereali ucraini non sono sufficienti né i trasporti via terra né il Danubio, con buona pace soprattutto della von der Leyen, che, nella sua limitatezza mentale, pensava di giocare la carta della Romania e del canale del Bystroye, ex affluente del Danubio.

Putin ha preteso che qualsiasi accordo doveva comprendere anche le esportazioni bloccate di grano e fertilizzanti russi. E così è stato.

Adesso qualcuno dirà che Mosca usa metodi ricattatori. Sbagliato. È l’occidente che usa metodi arroganti e cleptocratici (relativi alle assurde sanzioni economiche e finanziarie). E la Russia si difende, e lo fa anche a vantaggio degli operatori economici occidentali, che han subìto passivamente l’effetto boomerang delle sanzioni antirusse imposte dai loro scriteriati statisti. Senza poi considerare che le sanzioni stavano procurando danni gravissimi anche ai Paesi non occidentali che si sono rifiutati di condividerle. Non è certo la Russia che minaccia la sicurezza alimentare globale.

Le navi mercantili saranno ispezionate da funzionari delle Nazioni Unite, turchi, russi e ucraini per accertare che trasportino cereali e fertilizzanti e non armi. Non è prevista la scorta militare delle navi (come avrebbe voluto la UE), ma le parti s’impegnano a non attaccarle.

Nonostante l’atteggiamento guerrafondaio del nostro governo, che per fortuna è caduto, arriveranno in Italia quasi 1,2 miliardi di chili di mais per l’alimentazione animale, grano tenero per la panificazione e olio di girasole. Anche se il governo Draghi ha fatto finta di non saperlo, il nostro Paese importa il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. E con l’aumento incontrollato dei prezzi e la siccità in corso molte aziende agricole sono in procinto di chiudere.

L’accordo salverà dalla carestia 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Soprattutto impedirà che ci siano insurrezioni nel bacino del Mediterraneo, ove si affacciano Paesi fortemente dipendenti dai cereali russo-ucraini, come Egitto, Libia, Tunisia e Libano. E impedirà flussi migratori imponenti verso la UE da parte di Paesi come Yemen, Sudan, Nigeria, Etiopia, Eritrea, Somalia, Madagascar, Tanzania e Congo.

Ci sono voluti 5 mesi prima che l’occidente capisse che il Mar Nero è un bacino cruciale fondamentale per l’approvvigionamento alimentare di vaste aree del pianeta. Russia e Ucraina rappresentano assieme poco più del 30% delle esportazioni di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e oltre il 75% di quelle di olio di semi di girasole.

Fonte: quifinanza.it

 

La menzogna quotidiana dei nostri tg

 

Tutti i tg nazionali parlano di un attacco missilistico russo sul porto di Odessa che avrebbe colpito un deposito di grano, contravvenendo così alle condizioni dell’accordo appena firmato sull’export dei cereali russo-ucraini. Eppure la dirigente del centro stampa delle forze di difesa dell’Ucraina meridionale, Natalia Gumenyuk, ha detto: “Il deposito di grano nel porto di Odessa non è stato danneggiato”.

In realtà sarebbero state colpite solo alcune imbarcazioni militari, tra cui una nave d’assalto L 451 “Malin” della Marina ucraina. A Odessa il grano è immagazzinato nel porto di Khlebnaya (terminal di Brooklyn-Kyiv), mentre il missile ha colpito il porto di Zavodskaya, dove si trovano le barche militari ucraine: la distanza dalle imbarcazioni colpite ai terminali di stoccaggio del grano è superiore a 1 km.

Non è da escludere, visto che i missili sono stati una decina, che vi sia stata anche una provocazione pianificata e portata avanti dalla parte ucraina per accusare la Russia di non soddisfare le condizioni per l’export del grano. Erdogan ha comunque ribadito che quest’ultimo inizierà nei prossimi giorni.

Sia come sia sbaglia il governo di Kiev a pensare che il suddetto accordo sia una specie di assicurazione della regione di Odessa contro le offensive e i missili russi. Odessa ormai è diventata un obiettivo per unire il Donbass alla Transnistria. E nell’accordo sul grano non ci sono obblighi per la Russia di non colpire Odessa. Ci sono solo obblighi di non attaccare le infrastrutture necessarie per l’esportazione del grano.

 

C’è chi scende e chi sale

 

In Russia per la prima volta dal 1991 nel giugno 2022 è stata registrata la deflazione -0,35%.

Viceversa nell’Unione Europea è stato raggiunto un nuovo record d’inflazione a giugno: 9,6%, dopo il precedente record di maggio 8,8% e a aprile 8,1%.

In 15 Paesi della UE l’inflazione ha superato il 10%. L’inflazione più alta è in Estonia 22%, Lituania 20,5% e Lettonia 19,2%.

Non c’è inflazione inferiore al 6% in nessun Paese della UE. A eccezione di due Paesi: Malta (6,1%) e Francia (6,5%), l’inflazione in tutti gli altri Paesi UE supera l’8%.

I prezzi dell’energia nella UE sono aumentati del 42%, a causa in gran parte alle sanzioni anti-russe. I generi alimentari primari (non trasformati) crescono dell’11,2%.

Secondo il “Financial Times” l’Europa deve prepararsi a tempi difficili.

 

[25] In che senso Nuovo Ordine Mondiale?

 

I leader mondiali, da George H. W. Bush a Barack Obama, a Joe Biden, a Gordon Brown, a Tony Blair e altri, hanno tutti tenuto discorsi che parlavano del “Nuovo Ordine Mondiale”. Nel corso degli anni personaggi delle élite politiche e finanziarie, come George Soros e Henry Kissinger, hanno incessantemente parlato del NWO.

Una delle citazioni più rivelatrici su questa agenda proviene dal vice segretario di Stato dell’amministrazione Clinton, Strobe Talbot, che dichiarò alla rivista “Time”:

“Nel prossimo secolo le nazioni come le conosciamo saranno obsolete; tutti gli Stati riconosceranno un’unica autorità globale... Il mondo libero ha formato istituzioni finanziarie multilaterali che dipendono dalla disponibilità degli Stati membri a rinunciare a un certo grado di sovranità. Il Fondo Monetario Internazionale può praticamente dettare le politiche fiscali, compresa la quantità di tasse che un governo deve imporre ai suoi cittadini. L’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio regola la quantità di dazi che una nazione può imporre sulle importazioni. Queste organizzazioni possono essere viste come i ministeri del commercio, della finanza e dello sviluppo per un mondo unito”.

Man mano che il pubblico si accorgeva della cospirazione, il NWO ha cambiato nome più volte: Ordine Mondiale Multilaterale, Quarta Rivoluzione Industriale, Grande Reset, ecc. Ma la sostanza è rimasta la stessa.

Gli inizi del governo globale esistono già e si chiamano “Consiglio per il Capitalismo Inclusivo”.

Ultimamente molti analisti si sono concentrati sul World Economic Forum, il cui capo è Klaus Schwab, contrario sia al capitalismo egoistico degli azionisti che a quello statale in cui la politica pretende di controllare l’economia. Lui è favorevole a un capitalismo degli stakeholder (cioè di tutte le parti coinvolte in una qualunque impresa produttiva), il cui Manifesto di Davos prevede che le aziende capitalistiche assumano atteggiamenti etici e ambientalistici.

Le élite del WEF si sono entusiasmate molto per la pandemia del Covid-19, pensando di avere la crisi perfetta per attuare numerose politiche globaliste sotto forma di Grande Reset. Tuttavia il Covid non è stato neanche lontanamente così letale come avevano inizialmente previsto e le persone non sono state così sottomesse come avevano sperato.

Ecco perché ci vuole un nuovo evento che spinga le masse ad accettare la governance mondiale.

Fondatrice del Consiglio per il Capitalismo Inclusivo (CCI) è Lynn Forester de Rothschild, membro della famigerata dinastia che da generazioni è coinvolta finanziariamente nell’influenzare i governi. Papa Francesco e il Vaticano si sono pubblicamente allineati col Consiglio nel 2020, di cui una delle narrazioni principali è che tutte le religioni devono unirsi ai leader del capitale per costruire una società e un’economia “giuste per tutti”.

Questa dichiarazione di missione riecheggia gli obiettivi del WEF e il suo concetto di “economia condivisa“: un sistema in cui “non possederemo nulla, non avremo privacy, prenderemo tutto in prestito, dipenderemo completamente dal governo per la nostra sopravvivenza e ci piacerà”.

In altre parole lo scopo del “capitalismo inclusivo” è quello d’ingannare le masse e far loro accettare una versione riformulata del comunismo. Non dovremo più preoccuparci del nostro futuro economico, anche se il costo sarà la nostra libertà.

Il CCI è guidato da un gruppo di leader globali, come p.es. Mastercard, Allianz, Dupont, le Nazioni Unite, Bank of America, Johnson & Johnson, Visa, la Fondazione Rockefeller, la Fondazione Ford, e molti altri enti o aziende (sono circa 250, in rappresentanza di circa 200 milioni di lavoratori in oltre 163 Paesi).

Una delle principali missioni del CCI è quella di cambiare i nostri modelli economici per “promuovere l’equità e l’inclusione”. Cioè apparentemente si vuole combattere il capitalismo privato meramente affaristico. Questo perché “troppa ricchezza è stata accumulata nelle mani di pochissime persone”. Il Nuovo Ordine Mondiale dovrà avere finalità d’interesse collettivo, dovrà realizzare un sistema economico più inclusivo, sostenibile e affidabile.

Non a caso è molto forte la retorica ambientalistica. Una delle missioni del CCI è proprio quella d’imporre controlli e tasse in nome del “cambiamento climatico”, al fine di raggiungere “zero emissioni di carbonio“. Un obiettivo che implica sconvolgimenti epocali nello stile di vita, in quanto gli esseri umani vengono considerati il principale nemico della Terra.

I membri del CCI suggeriscono apertamente che non hanno bisogno della cooperazione dei governi per raggiungere i loro obiettivi. Dicono che le imprese possono attuare la maggior parte dell’ingegneria sociale senza aiuti politici.

Insomma le multinazionali e le élites finanziarie devono dimostrare di avere finalità “kantiane” se vogliono fare a meno della rappresentanza politica. Questo in nome del benessere generale.

Fonte: art. di Brandon Smith tradotto da comedonchisciotte.org qui riadattato.

 

[26] Ora anche l’Estonia vuole la guerra

 

Sullo sfondo del duro confronto della NATO con la Russia, l’Estonia ha deciso di schierare i sistemi missilistici statunitensi Himars a meno di 140 km da San Pietroburgo. Saranno equipaggiati con 216 missili a lungo raggio ER GMLRS XM403, 216 a lungo raggio ER GMLRS XM404 e 18 missili tattici M57. Le consegne di queste armi inizieranno nei prossimi mesi. Costeranno circa 500 milioni di dollari. Anche la Polonia ha intenzione di acquistare circa 500 sistemi Himars.

Intanto nella base militare di Ämari, vicino a Tallin, sono stati trasferiti i caccia di quinta generazione americani F-35 del raggruppamento orientale NATO, che si uniscono ai Mirage-2000 francesi e ai caccia belgi F-16 già di stanza nella base.

Un passo così pericoloso da parte dell’Estonia comporta rischi molto gravi per la sicurezza nazionale della Russia, soprattutto sullo sfondo dell’ingresso nella NATO di Paesi come Svezia e Finlandia. In effetti il tempo di volo dei missili su San Pietroburgo sarà di soli 2 minuti circa e il dispiegamento di un gruppo di 450 missili di vario tipo contemporaneamente è una minaccia molto seria. Sarà impossibile che la Russia non reagisca con decisione a questa provocazione.

Da notare che l’economia dell’Estonia e degli altri Paesi Baltici è in uno stato di totale dissesto, con un’inflazione che supera il 20%. Nonostante questo il governo ha deciso che nel 2023 porterà al 2,5% il bilancio militare rispetto al PIL. La desertificazione demografica, conseguente ai flussi emigratori, è un rischio reale. La popolazione russa in Estonia si attesta attorno a 320.000 cittadini, cioè il 24% degli abitanti di tutto il Paese (che ne ha 1,3 milioni), per lo più concentrati nelle contee di Harju e Ida-viru.

Last but non least: il governo estone della premier Kaja Kallas (accanita sostenitrice del premier ucraino Zelensky) si era dimesso l’8 luglio a causa delle tensioni inconciliabili su spese e welfare in un contesto di aumenti dei costi ed elevata inflazione, ma anche sulla messa al bando dell’insegnamento del russo nelle scuole.

La Kallas aveva ricevuto dal Capo dello Stato il mandato di formare una nuova coalizione, poi approvata a metà luglio dal Parlamento con un voto di 52 contro 26. Primo provvedimento preso: vietare il possesso di armi ai cittadini di Russia e Bielorussia che vivono nel Paese. La premier ha sempre respinto qualsiasi idea di una pace negoziata tra Russia e Ucraina. Prossime elezioni fissate per marzo 2023.

Vale la pena ricordare che l’Estonia è uno dei pochi Paesi che non ha appoggiato la risoluzione della 76a sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU “Lotta alla glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che contribuiscono all’escalation delle moderne forme di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza”, adottata l’8 novembre 2021. Non a caso la Banca centrale ha emesso una moneta da 2 euro col motto “Slava Ukraïni!” dei nazisti ucraini di Stepan Bandera, responsabili dell’olocausto e del genocidio di milioni di ebrei ucraini e di polacchi.

Fonte: avia.pro

 

Politica sempre più sconvolta in vari Paesi del mondo

 

Nel corso degli ultimi mesi, in concomitanza col conflitto ucraino, abbiamo assistito a vari scandali o crisi di governo che hanno coinvolto vari Paesi i cui premier spesso sono stati costretti a dimettersi, esattamente come Putin aveva previsto, al punto che lo si è accusato, stupidamente, di “ingerenza”.

La guerrafondaia Kaja Kallas, premier dell’Estonia, si è dimessa perché ostacolata, nella sua russofobia, dal partito di coalizione. Tuttavia il presidente Alar Karis l’ha rinominata per formare un nuovo governo con altri partiti più malleabili.

Il premier inglese Boris Johnson si è dimesso per via della pressione esercitata dalle dimissioni di una cinquantina di ministri a causa dello scandalo “Partygate” e delle molestie sessuali verso giovani parlamentari da parte di Chris Pincher, suo stretto collaboratore.

Il presidente francese Emmanuel Macron, oltre a essere pressoché ininfluente data la forte presenza dei partiti di Mélenchon e Le Pen ai seggi parlamentari, è stato oggetto dello scandalo Uber-Files, per aver svolto attività di lobbing a favore della multinazionale americana.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha partecipato a una festa del suo partito in cui alcune donne sono state aggredite con la cosiddetta “droga dello stupro”.

Il premier bulgaro Kiril Petkov, nettamente russofobo, è stato sfiduciato in parlamento e non è riuscito a trovare una nuova maggioranza di governo. Come noto la Bulgaria ha ridotto a zero le possibilità di funzionamento della missione diplomatica russa a Sofia.

In Croazia si sono dimessi vari ministri, portando le opposizioni guidate dai socialdemocratici a chiedere le dimissioni del premier Plenković ed elezioni anticipate.

Il leader del partito al governo polacco, Jaroslaw Kaczynski, si è dimesso dalla carica di vice premier e capo del Comitato per la sicurezza nazionale. Aveva sostenuto il coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto ucraino e si era dichiarato pronto a schierare armi nucleari statunitensi in Polonia.

Il presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa e il premier Ranil Wickremesinghe, più altri sei membri della famiglia Rajapaksa impegnati nel governo, si sono dimessi. Il Paese è in bancarotta e in sollevazioni popolari.

In Pakistan un golpe sponsorizzato dagli USA ha costretto il premier Imran Khan a dimettersi. Grandi proteste popolari.

In Moldavia i manifestanti chiedono con insistenza le dimissioni del governo guidato da Maia Sandu ed elezioni anticipate.

Sciolto il governo israeliano guidato da Naftali Bennett, si torna a votare a novembre: è la quinta volta in quattro anni.

Poco notate le dimissioni della vicepresidente del parlamento greco e parlamentare di DiEM25, Sophia Sakorafa, dalla Commissione Parlamentare per le Armi a causa di nette divergenze nei rapporti con la NATO.

Anche il governo danese capitanato dalla Mette Frederiksen non passa un buon periodo per via del “minkgate”, che risale all’eliminazione di 17 milioni di visoni da allevamento per timore di un’infezione dal covid-19.

Infine le recenti dimissioni di Mario Draghi, che il sempre più imbarazzante PD vorrebbe rimettere sul “trono” alle prossime elezioni.

E qui tralasciamo i tanti ambasciatori espulsi dai governi ospitanti o rimossi dai governi che rappresentano.

Insomma stiamo assistendo a un terremoto politico le cui conseguenze dureranno per chissà quanto tempo.

 

[27] Il capitalismo è riformabile?

 

Devo essere sincero: l’idea che possa formarsi un capitalismo dal volto umano mi è sempre sembrata una grandissima sciocchezza, anzi una forma di turlupinatura, specie se portata avanti dai potentati economici e finanziari che dominano il mondo.

Già la bollavo come una forma di socialismo piccolo-borghese quando i vari Dubček, Havel ecc. la usavano per superare i limiti del cosiddetto “socialismo reale” nei loro rispettivi Paesi. Il che non vuol dire che la statalizzazione del socialismo non fosse un’idea da superare, ma semplicemente che non avrebbe potuto esserlo con l’idea di un capitalismo democratico.

Il capitalismo non può mai essere democratico, e chi lo sostiene o è un ingenuo o in malafede. Ecco perché penso che di fronte ai grandi problemi dell’umanità la decisione del papa di aderire al Consiglio per il Capitalismo Inclusivo lascia il tempo che trova.

Come noto il CCI (o In-Cap) è stato creato in risposta a una richiesta di Bergoglio che, rivolgendosi ai leader aziendali al Fortune-Time Global Forum nel 2016, aveva affermato: “Occorre un capitalismo inclusivo che non lasci indietro nessuno, che non scarti nessuno dei nostri fratelli e sorelle...”.

Ispirato dalle sue parole, la Lynn Forester de Rothschild ha formato il Council for Inclusive Capitalism per discutere le soluzioni alla disuguaglianza e alle sfide climatiche.

Il Consiglio è guidato da un gruppo centrale di leader globali (presenti in oltre 163 Paesi) che s’incontrano ogni anno col papa per discutere su come migliorare il capitalismo.

Sono 249 le aziende che partecipano al Council e rappresentano i vertici del sistema della libera impresa: Dupont, Motorola, Bank of America, Salesforce, Merck, TIAA, Visa e Mastercard, solo per citarne alcune. Ogni CEO s’impegna e pubblica obiettivi misurabili per far progredire le persone, il pianeta, i princìpi di governance e di prosperità.

In particolare ci si è concentrati sul superamento delle barriere che fanno sentire discriminate le donne e le persone di colore rispetto agli uomini di razza bianca. Alcune aziende si sono poste come obiettivo di rendere gli imballaggi delle merci il più possibile riutilizzabili nello stesso anno in cui vengono prodotti.

Nessuno nega che questi siano obiettivi di una certa importanza, ma pensare che attraverso di essi il capitalismo possa scongiurare una transizione verso il socialismo democratico è semplicemente ridicolo. Ritenere che in nome di queste “buone pratiche” il capitalismo possa evitare di affrontare la questione centrale della proprietà privata dei fondamentali mezzi produttivi è quanto meno illusorio.

L’idea di produrre sfruttando il lavoro di persone nullatenenti e giuridicamente libere da qualunque servitù feudale è nata circa un migliaio di anni fa, e da allora ha provocato tragedie colossali a parti sempre più vaste di popolazioni e ambienti naturali. Chi pensa che il capitalismo abbia in sé la forza per superare i propri limiti di fondo, dovrebbe leggersi il Capitale di Marx o il testo sull’Imperialismo di Lenin, oppure cercare dei canali informativi del tutto alternativi al mainstream occidentale.

Fonte: triplepundit.com

 

La Sakorafa ha le idee chiare sulla NATO

 

Il sito “Pressenza” ha intervistato Sophia Sakorafa, vicepresidente del parlamento greco e parlamentare di DiEM25, in merito alle sue dimissioni dalla Commissione Parlamentare per le Armi.

Il motivo è che detesta profondamente il comportamento della NATO. Infatti la pretesa di avere un raggio d’azione globale, che vada oltre il continente europeo, la rende ancora più aggressiva.

Per mantenere il proprio orientamento espansionistico la NATO è costretta a reinventarsi costantemente dei nemici.

Al tempo di Trump la NATO veniva data per finita, non esistendo più il socialismo reale in Europa. Oggi invece, per rilanciarsi, la NATO ha voluto scatenare una guerra per procura contro la Russia, utilizzando senza scrupoli l’Ucraina. Biden è stato scelto proprio per questo motivo.

Per il momento l’unico risultato tangibile di questa guerra è il radicale riassetto del mercato energetico mondiale a favore degli USA.

Quanto alla sicurezza degli europei e del mondo in generale, la situazione è notevolmente peggiorata dopo l’allargamento della NATO alla Svezia e alla Finlandia. E le cose non cambieranno con un ulteriore allargamento alla Georgia e alla Moldova.

La NATO è un disastro assoluto. Sotto il pretesto del terrorismo islamico cos’ha lasciato in Libia, Siria, Iraq e Afghanistan e ovunque sia intervenuta? Solo Paesi devastati e popoli in un’inimmaginabile distopia, condannati per decenni all’impossibilità di riprendersi. Per non parlare del fatto che in taluni casi (p.es. in Siria contro Assad) è stata la stessa NATO a favorire il terrorismo.

Gli USA sono guerrafondai non solo per dimostrare che nel mondo comandano loro, ma anche perché il loro costosissimo apparato militare-industriale ha bisogno di realizzare profitti sempre più grandi.

Tutto è iniziato col suo terribile, immotivato e disastroso attacco alla Jugoslavia, definito ipocritamente come un “intervento umanitario”. Sono decenni che la NATO attacca Paesi che non hanno mai minacciato nessun Paese membro della NATO. E lo fa a prescindere dal consenso dell’ONU o dell’OSCE.

Prepariamoci dunque a una guerra dell’occidente contro la Cina, perché sarà questo il prossimo obiettivo degli USA e della NATO.

Fonte: pressenza.com

 

[28] Destino amaro per l’Ucraina

 

Secondo il Ministero delle Finanze ucraino, da gennaio a giugno il bilancio statale ha registrato 35 miliardi di dollari di spese e 21,8 miliardi di dollari di entrate. La situazione è andata via via peggiorando.

Senza aiuti esteri il Paese sarebbe al fallimento o comunque dovrebbe tagliare di parecchio le spese non militari. Infatti non sono assolutamente sufficienti le obbligazioni statali, anche perché 1/3 del denaro pubblico è semplicemente stampato dalla Banca nazionale e dato al Ministero delle Finanze.

I dipendenti statali ricevono gli stipendi con 7-10 giorni di ritardo e ridotti di 1/3. Molti insegnanti e professori universitari non ricevono lo stipendio da mesi. Nei porti i lavoratori, che prima guadagnavano 260 dollari al mese, ora ne guadagnano poco più di 50. E l’inflazione è salita a oltre il 20%, mentre la Banca centrale ha svalutato la moneta ufficiale del 25% rispetto al dollaro.

L’Ucraina non è assolutamente in grado di affrontare nessuna scadenza di rimborso dei propri debiti. Il governo spera ancora di ricevere crediti occidentali per 200-300 miliardi di dollari per la ricostruzione postbellica. Vive al di fuori della realtà. A tutt’oggi nessun tasso d’interesse è abbastanza alto da convincere il capitale straniero a investire in Ucraina, dati i rischi militari e la devastazione. E pensare di poter utilizzare i fondi della Banca centrale russa, bloccati dall’occidente, per la ricostruzione del Paese, è pura fantascienza.

Zelensky è andato in controtendenza persino alla prassi consueta degli Stati in guerra: quella di nazionalizzare settori chiave dell’economia per massimizzare la produzione di armamenti e stabilizzare l’economia civile, sia per prevenire il caos nelle retrovie che per alimentare l’esercito. Anzi alla fine di giugno ha approvato una legge che mira a “riavviare la privatizzazione dei beni statali a un nuovo livello”. Si parla di “nuovo livello” perché in effetti negli ultimi otto anni una raffica di “organi anticorruzione” si sono concentrati sull’eliminazione dell’intervento statale nell’economia. Questo perché il Paese è sempre stato totalmente in mano agli oligarchi e ad agenzie straniere, come p.es. United States Agency for International Development, Open Society Foundation e il FMI.

Il governo usa il sistema anticorruzione per favorire il saccheggio dell’economia nazionale da parte di esportatori stranieri, che sono più forti di quelli nazionali. Il Paese si sta drasticamente deindustrializzando, soprattutto in campo aerospaziale, navale, ferroviario, metallurgico, chimico... Questo perché si sono favorite le costose merci occidentali.

I tribunali anticorruzione sono semplicemente ridicoli: non hanno mai condannato nessuno. Anzi quando la Corte costituzionale nel 2020 fece notare la loro totale inefficienza, Zelensky tentò, senza successo, di licenziare i giudici costituzionali.

La stessa UE chiede, come condizione per entrare nell’Unione, di privatizzare i terreni agricoli.

Nel 2021 il governo ha firmato un memorandum con il FMI, in cui un primo prestito di 700 milioni di dollari era subordinato all’accordo che entro maggio 2022 il 50% del mercato del gas sarebbe stato venduto ai prezzi di mercato (europei) ed entro il 2024 il 100%. Ciò significa un aumento dei prezzi del gas al consumo di oltre il 400%. Da quando l’Ucraina è diventata dipendente dai crediti del FMI nel 2014, i prezzi del gas al consumo sono già aumentati del 650%.

Tutte le riforme compiute nell’ambito lavorativo sono state a favore delle imprese private, che possono licenziare a piacimento i lavoratori senza nemmeno una consultazione coi sindacati. Gli imprenditori non sono neppure costretti a pagare i salari ai lavoratori mobilitati al fronte. E pensare che già usufruiscono di una politica fiscale a loro molto favorevole, in linea col forte neoliberismo del governo.

La guerra ha visto una continuazione del modello economico liberale prebellico: un Paese fondato sull’esportazione di prodotti agricoli, su una piccola ma dinamica classe urbana di specialisti informatici e sulla rimessa di milioni di lavoratori emigrati.

Da notare che questi stessi migranti, istruiti e a basso costo, sono una fonte di business per i Paesi europei. Secondo la Banca centrale polacca l’11% della crescita del PIL polacco tra il 2015 e il 2020 è dovuto proprio a loro. E, una volta integrati nei Paesi ospitanti, è molto difficile che tornino in patria.

Tratto da Peter Korotaev, jacobin.com

Tradotto da comedonchisciotte.org

 

Conseguenze russofobiche

 

Il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavsky ha avuto il coraggio di dire che la situazione in Ucraina è simile a quella avvenuta durante la seconda guerra mondiale in Europa.

L’ha detto insieme alla ministra degli Esteri tedesca Annalena Berbock presso il monumento ai bambini vittime della guerra nel villaggio di Lidice, bruciato 80 anni fa dai nazisti.

Commemorando quel monumento ha sostenuto che “le stesse atrocità si verificano in Ucraina come è accaduto a Lidice”. Solo una persona malata di russofobia può sostenere una assurdità del genere.

La liquidazione del villaggio di Lidice avvenne dopo l’assassinio del protettore imperiale ad interim della Boemia e della Moravia, Reinhard Heydrich.

La notte del 10 giugno 1942, la Gestapo e la polizia circondarono il villaggio di Lidice e iniziarono ad arrestare e uccidere i suoi abitanti e a bruciare le loro case. Dei 500 abitanti, 173 uomini furono uccisi sul posto dai nazisti, 26 persone furono uccise una settimana dopo. Inoltre 53 donne non sopravvissero alla loro permanenza nei campi di concentramento, 82 bambini morirono nella camera a gas e i nazisti riconobbero 13 bambini idonei “alla germanizzazione”.

 

[29] Vecchio imperialismo americano

 

Ciò che risulta assolutamente insopportabile nel modo di gestire la situazione taiwanese da parte degli USA è l’idea che l’isola sia un loro stretto alleato, come se fosse una loro colonia.

Sanno benissimo che il viaggio della presidente della Camera Nancy Pelosi sull’isola il mese prossimo risulta essere molto sgradito a Pechino. Ciononostante non vogliono rinunciarvi. Questa è un’altra provocazione dei guerrafondai yankees. All’Ucraina ora vogliono aggiungere Taiwan, perché senza guerre con cui mascherare il fallimento totale del loro stile di vita, proprio non riescono a stare.

Sembra che agli americani non importi nulla di perdere le guerre o di non saper realizzare la pace (Jugoslavia, Somalia, Libia, Iraq, Siria, Afghanistan...). Gli importa soltanto devastare il pianeta col proprio bellicismo, costruire basi militari in zone strategiche, controllare tutti i mari del pianeta, sostenere sempre al massimo il proprio apparato militare-industriale e tenere alta la tensione per il giorno del “giudizio universale”, all’insegna dell’olocausto nucleare.

Taiwan non può chiedere l’indipendenza politica dalla Cina. Al massimo potrà chiedere un’autonomia amministrativa. È assurdo che un’isola di 36.000 kmq (due volte il Veneto) possa impedire, grazie agli USA, a una delle più grandi potenze del mondo di avere libero accesso nei propri mari. Potrebbe forse impedire qualcosa lo Sri Lanka all’India? È evidente che bisogna cercare dei compromessi. Qualunque esibizione muscolare non serve a niente.

Semmai saranno i diretti interessati a denunciare eventuali violazioni del diritto internazionale.

È dal 2016 che la presidente di Taiwan punta alla totale indipendenza, forte dell’appoggio militare americano. Ma l’isola farà la fine dell’Ucraina, se va avanti con questa spocchia.

Intanto la portaerei americana Ronald Reagan e il suo gruppo d’assalto, che comprende un cacciatorpediniere e un incrociatore con missili guidati, sono partiti lunedì da Singapore in direzione verso il Mar Cinese Meridionale.

 

Sepolti in una bara di cemento

 

Il consumo di suolo in Italia è qualcosa di mostruoso. Poi ci lamentiamo dei dissesti idrogeologici.

Il Rapporto 2022 del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente rileva che nel 2021 abbiamo costruito nuove coperture artificiali su altri 69,1 kmq, circa 19 ettari in media al giorno, il valore più alto degli ultimi 10 anni. Ognuno di noi, in media, occupa circa 363 mq di suolo artificiale, anche se vive in un appartamento di 100 mq.

Una crescita che solo in parte è compensata dal ripristino di aree naturali, pari a 5,8 kmq, dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato (in genere grazie al recupero di aree di cantiere o di superfici già classificate come consumo di suolo reversibile).

Il cemento ricopre ormai 21.500 kmq di suolo nazionale (che è 301.000 kmq). Dal 2006 al 2021 abbiamo perso 1.153 kmq di suolo naturale o seminaturale a causa principalmente dell’espansione urbana.

Circa 8 miliardi di euro l’anno sono i danni relativi ad allagamenti, smottamenti, ondate di calore, perdite di aree verdi, di biodiversità ecc.

Il bello è che ci sono oltre 310 kmq di edifici non utilizzati e degradati (pari a Milano e Napoli messe insieme), sui cui si potrebbe intervenire, ma preferiamo costruire ex novo.

Le Regioni che consumano più suolo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Puglia e Campania. Tra le città: Roma, Venezia, Milano, Napoli, Perugia e L’Aquila.

Fonte: pressenza.com

 

Un ministro molto pericoloso

 

Il documento di programmazione triennale per la difesa nazionale, firmato dal ministro Lorenzo Guerini, porta la spesa per il 2022 a 18 miliardi, rispetto ai 16,8 miliardi dell’anno scorso. Il pretesto per questo aumento è la guerra in Ucraina.

Solo che la Russia non ha dichiarato guerra all’Italia. Semmai è avvenuto il contrario, tramite le sanzioni economiche a Mosca e l’invio di armi e soldi a Kiev.

Tutti fondi buttati a mare, sottratti a scuola e sanità. E per fortuna che il governo è dimissionario, altrimenti chissà cosa avrebbe fatto.

Il PD è una vergogna assoluta e alle prossime elezioni gli italiani se ne ricorderanno. Guerini è uno dei ministri più pericolosi per le sorti economiche, finanziarie, ecologiche e persino belliche (se davvero dovessimo entrare in guerra) dell’Italia.

 

[30] Siamo alle scelte di campo per sopravvivere

 

Non leggere il canale telegram t.me/giorgiobianchiphotojournalist di Giorgio Bianchi è autolesionistico. È una fonte continua di importanti informazioni che il nostro mainstream ignora completamente.

Questa è stata elaborata da Daniele Perra, qui brevemente riassunta nella sua prima parte.

 

È di qualche giorno fa la notizia che il governo di Zelensky avrebbe revocato la cittadinanza all’oligarca Igor Kolomoisky (principale sostenitore dello stesso Zelensky nella sua pregressa carriera televisiva e nella successiva scalata al potere politico, nonché socio in affari di molti membri del partito Servitore del Popolo e finanziatore di alcuni gruppi paramilitari inseriti all’interno della Guardia Nazionale, tra cui i tristemente noti Azov e Aidar).

Ufficialmente il provvedimento sarebbe dovuto al fatto che la legge ucraina non consente di possedere doppia cittadinanza (nel caso di Kolomoisky sono addirittura tre: ucraina, israeliana e cipriota). Se così fosse, è curioso notare come il socio di Kolomoisky in Privat Bank, Gennadiy Bogolyubov non rientri nel provvedimento, visto che si vanta di essere cittadino ucraino, britannico, israeliano e cipriota.

Rientrano invece Igor Vasylkovsky e Gennadiy Korban: entrambi cittadini ucraini e israeliani. Il primo è un ex membro di Servitore del Popolo, mentre il secondo patrono della comunità ebraica di Dnipro e legato a doppio filo sempre con Kolomoisky.

A proposito di Kolomoisky, è bene ricordare che nel 2020 venne accusato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di corruzione e riciclaggio insieme a Bogolyubov, Mordechai Korf e Uri Laber. Gli ultimi due utilizzavano denaro riciclato per finanziare “fondazioni caritatevoli” e istituti educativi ebraici tradizionali (yeshivas) a New York.

Kolomoisky ha enormi interessi da oligarca nella compagnia ucraina del gas Burisma (cui si collega anche il figlio di Joe Biden, Hunter, inserito nel consiglio di amministrazione con stipendio da 50.000 dollari al mese nel 2014). Lo stesso Kolomoisky utilizzò i gruppi paramilitari neonazisti da lui finanziati per prendere il controllo di una raffineria petrolifera di proprietà russa a Dnipropetrovsk, sempre nel 2014.

Nel 2021 è stato vietato a Kolomoisky l’ingresso negli Stati Uniti direttamente da Antony Blinken che, in riferimento al caso, parlò di “significativa corruzione”.

Tuttavia ciò a cui si assiste in questi giorni è solo una lotta di potere (e di sopravvivenza) all’interno della stessa Ucraina tra oligarchi e la cerchia immediata di Zelensky, che deve tutte le sue “fortune” al conflitto in corso.

Appare evidente come Zelensky stia facendo di tutto per assecondare i desideri di Washington e garantirsi la sopravvivenza politica. In questo contesto rientra il maggiore favore riservato a un altro oligarca ucraino, rivale diretto di Kolomoisky e nelle grazie degli Stati Uniti. Si tratta di Viktor Pinchuk, suocero del secondo presidente dell’Ucraina indipendente Leonid Kuchma e socio in affari di Rinat Akhmetov (altro oligarca con interessi nel settore metallurgico, minerario e proprietario dello Shaktar Donetsk).

Proprio Pinchuk è a capo della “più grande fondazione filantropica ucraina”: la Viktor Pinchuk Foundation. La quale lavora a stretto contatto con un’altra organizzazione legata all’oligarca, la Yalta European Strategy, creata per favorire l’integrazione del Paese nell’Unione Europea. Collabora attivamente anche con la Clinton Global Initiative, la Tony Blair Foundation, il Brookings Institution, la Renaissance Foundation di George Soros e l’Aspen Institute, cui si collega la Kyiv School of Economics (altra creatura di Pinchuk). Forti sono anche i legami dell’oligarca con il Forum Economico di Davos, all’interno del quale ha favorito l’intervento in videoconferenza di Zelensky.

 

Kiev ammazza i suoi pupilli

 

Ottimo post in Facebook di Marinella Mondaini sulla strage compiuta dal governo di Kiev contro la prigione nella Repubblica di Donezk ove erano collocati i militanti neonazisti dell’Azov in attesa del processo. Con un missile americano Himars di alta precisione sono state eliminate 53 persone, mentre 75 sono in gravi condizioni.

Sono stati eliminati perché stavano cominciando a raccontare i particolari dei crimini compiuti sui civili del Donbass.

In questa maniera si è voluto anche dare un avvertimento preciso ai militanti ucraini che intendano in futuro consegnarsi ai russi e soprattutto collaborare con loro.

La stampa italiana ha dato notizia di questo crimine di Kiev mentendo, come al solito. Prima ha scritto ch’erano stati gli ucraini, poi ha preso la versione ucraina e ha detto che sono stati i russi. Ma lo capisce anche un bambino che i russi e le due repubbliche del Donbass avevano solo interesse a ottenere dai nazi Azov quante più informazioni possibili per preparare il processo. Inoltre i missili americani Himars li hanno solo gli ucraini.

 

[31] Il tic-tac dell’orologio dell’apocalisse

 

Elia Gerola su “Pressenza” ha commentato la mappa aggiornata della situazione nucleare-militare nel mondo. I Paesi che a vario titolo sono collegati a questo tipo di arma non stanno diminuendo ma aumentando, non foss’altro perché gli USA dispongono di basi militari in tutto il mondo, inclusa ovviamente l’Italia, che, anche se non è inclusa ufficialmente nei Paesi nucleari-militari (USA, Russia, Cina, India, Francia, Regno Unito, Pakistan, Israele e, da ultima, Corea del Nord), di fatto lo è. A tutt’oggi sono 27 i Paesi che, in un modo o nell’altro, sponsorizzano l’idea e/o la pratica del nucleare militare.

In tutto le testate nucleari sono 13.080: 3.720 schierate, di cui 1.800 pronte al lancio. Più del 90% appartengono a USA e Russia, gli unici Stati ad aver diminuito gli arsenali dal picco di 70.000 testate del 1986. Cina, India, Pakistan, Corea del Nord e Regno Unito le stanno invece aumentando.

Quello che spendono gli americani per questo tipo di armi è superiore a quello di tutti gli altri Paesi messi insieme. Sono cifre folli, con cui si potrebbero risolvere tutti i problemi dell’umanità.

Con l’avvento della guerra in Ucraina il rischio d’impiego di armi nucleari tattiche con portata di 300-500 km è nettamente aumentato, e tutti sanno che quando si inizia con queste armi è facile che poi si passi a quelle strategiche a lungo raggio (>5.500 km).

Ecco perché di fronte a qualunque tipo di guerra condotta da Paesi nucleari bisognerebbe avviare subito trattative diplomatiche e non soffiare sul fuoco, come sta facendo l’intero occidente.

Putin e Medvedev han parlato di “risposte da fine del mondo” in caso di attacco diretto ai territori russi. Anche vari servizi di sicurezza, inclusi quelli americani, han detto che l’allungarsi della guerra in Ucraina potrebbe frustrare le aspettative russe e rendere l’impiego del nucleare più plausibile (che è poi quello che gli stessi USA avrebbero voluto fare in Vietnam, invece di limitarsi alle armi chimiche, o in altri teatri di guerra dove si sono limitati a usare l’uranio impoverito).

Senza poi considerare che il rischio nucleare può derivare anche da incidenti, attacchi o combattimenti nei pressi di centrali nucleari che producono energia civile. In Ucraina ve ne sono quattro con 15 reattori, dopo la chiusura di quella di Chernobyl: forniscono la metà del fabbisogno elettrico. Quella di Zaporizhzhia (la più grande d’Europa) è già in mano russa.

Il “Wall Street Journal” si è meravigliato che attorno a questa centrale i russi abbiano dislocato una base militare dotata di lanciarazzi. Il problema è che il governo di Kiev, pur di non perdere il Donbass, sarebbe disposto a compiere qualunque cosa.

Intanto al consesso internazionale per il disarmo nucleare, che si è tenuto a Vienna nel giugno di quest’anno, il nostro Paese non era neppure presente.

Fonte: pressenza.com

 

Dopo l’Ucraina la Moldavia?

 

Alexander Männer su “Pressenza” teme che dopo l’Ucraina sarà la Moldavia il prossimo focolaio di crisi nell’Europa dell’Est.

Infatti già dal crollo dell’URSS l’occidente pensa a un conflitto geopolitico programmato in questa regione depressa. Tutti i pretesti sono buoni per smembrare la Russia e impadronirsi delle sue immense risorse naturali. Il nostro vecchio vizio del colonialismo non è mai morto.

Per fortuna che negli ultimi 30 anni la leadership moldava è riuscita a mantenere una posizione neutrale sullo scenario internazionale, anche perché una parte della popolazione del Paese è chiaramente filorussa. Altrimenti non si sarebbe formata la Transnistria, che nel 1992 si separò dalla Moldavia a seguito di una guerra civile.

Va detto tuttavia che ultimamente l’orientamento delle élites politiche ed economiche a Chisinau (capitale della Moldavia) è sempre più filo-occidentale e russofobo. Soprattutto da quando al governo vi è Maia Sandu, che tra l’altro possiede la cittadinanza rumena.

La cosa che più stupisce di queste popolazioni ex-sovietiche è che non riescono a essere filoccidentali senza essere nettamente antirusse. Considerano la Russia come se fosse ancora il Paese comunista di una volta.

Probabilmente la russofobia è atteggiamento alimentato dagli stessi occidentali. Non a caso gli USA han già speso quasi un miliardo di dollari negli ultimi due anni per favorire “riforme” in Moldavia al fine di promuovere la retorica antirussa e garantire il corso pro-occidentale della repubblica. Quando si è poveri si è più facilmente strumentalizzabili e ricattabili. Ecco perché Chisinau ha ottenuto lo status di candidato per l’ingresso nell’Unione Europea.

Anche il Regno Unito azzarda la possibilità di fornire armi alla Moldavia e l’addestramento di truppe moldave ad opera della NATO. Non sia mai che gli inglesi non ficchino il naso in cose che non li riguardano. Il loro mantra è noto: la Russia non si fermerà con l’Ucraina.

Di qui l’ingenua richiesta, da parte della presidente Sandu, che manifesta atteggiamenti sempre più autoritari, di ritirare le forze di pace russe dalla Transnistria, adducendo come pretesto la violazione della neutralità della Moldavia. Gli abitanti di Tiraspol, capitale della Transnistria, pensano invece che proprio la presenza di quei militari sia una garanzia di pace.

Insomma dopo l’Ucraina anche la Moldavia sta per essere schiacciata dalla politica delle grandi potenze.

Fonte: pressenza.com

 

Moldavia come Ucraina bis?

 

La Moldavia ha ricevuto lo status di candidato alla UE il 24 giugno 2022 per ragioni strettamente geopolitiche. Infatti il Paese non ne avrebbe i requisiti: il tasso d’inflazione è uno dei peggiori in Europa, la disoccupazione è aumentata drammaticamente, bloccato il tradizionale mercato d’esportazione della frutta verso la Russia, la fornitura di gas potrebbe essere interrotta quest’inverno, i sondaggi mostrano un forte calo della popolarità di Maia Sandu e del suo governo fantoccio della UE, l’ex presidente Dodon è agli arresti domiciliari.

Il vice premier Andrei Spinu ha detto che si sta negoziando con l’Azerbaigian, gli Stati Uniti e altri Paesi per preparare modalità alternative di fornitura di gas.

Come risponde la Moldavia alla crisi? Prorogando lo stato di emergenza di 60 giorni a partire dall’8 agosto! Lo stato d’emergenza in Moldavia è stato dichiarato il 24 febbraio scorso, quando è scoppiata la guerra in Ucraina, e da allora è stato prorogato più volte.

La decisione viene sempre adottata dal parlamento su proposta del governo. Ma questa volta i parlamentari del Blocco dei comunisti e dei socialisti hanno lasciato l’aula in segno di protesta. Infatti lo stato d’emergenza è una misura estrema che non può essere estesa all’infinito, poiché interessa tutte le aree di attività del Paese. Anche perché il regime dello stato d’emergenza consente alla Commissione per le situazioni eccezionali d’ignorare la Costituzione. Non ha senso sostituire il governo con una Commissione per le situazioni eccezionali composta dagli stessi ministri.

Intanto il Paese riceverà quasi 60 milioni di dollari dal governo statunitense, attraverso l’USAID, “per lo sviluppo della democrazia e dell’economia”. La sovvenzione si aggiunge ai 113 milioni di dollari già ricevuti. Questo perché la Moldavia deve prepararsi a diventare una seconda Ucraina. Il governo è convinto che la Russia la occuperà attraverso la Transnistria. In realtà è la Transnistria che, non fidandosi della Moldavia, ha chiesto d’essere annessa alla Russia.


Agosto

 

 

 

[1] Il voltafaccia azero

 

Il canale televisivo iracheno Sabereen News ha diffuso documenti in cui si afferma che la CIHAZ Industrial Association dell’Azerbaigian avrebbe segretamente fornito bombe aeree alla corporazione statale ucraina Ukrspetsexport, tramite due aeroporti: Khartoum in Sudan e Rzeszow in Polonia.

Il volo MEM5002 si è svolto il 16, 18, 20, 22, 24, 26, 28 e 30 aprile. Non si sa il numero delle munizioni.

Queste munizioni a guida laser altamente esplosive e ad alta precisione, con un peso totale di 270 kg (QFAB-250 LG), sono uno sviluppo congiunto abbastanza recente di Azerbaigian e Turchia. Per impostazione viene utilizzata dagli aerei d’attacco Su-25, ma può essere impiegata da altri velivoli di fattura sovietica.

Pertanto l’Azerbaigian (e in una certa misura la Turchia) sono direttamente coinvolte nella fornitura alle Forze Armate ucraine di munizioni guidate per l’aviazione, nonostante la conclamata neutralità di entrambe.

Alcuni canali Telegram russi hanno poi aggiunto che il formalmente “neutrale” Azerbaigian dall’inizio del conflitto avrebbe fornito all’Ucraina mortai 20N5 da 82 mm di produzione nazionale.

La bomba QFAB-250 LG è stata utilizzata dall’aeronautica azera durante la seconda guerra del Karabakh e consente di colpire obiettivi a una distanza massima di 12 km dal punto di sgancio con una deviazione fino a 10 metri dal punto agganciato.

Da notare che lo scorso 22 febbraio era stata firmata al Cremlino, tra i rispettivi capi di Stato, una dichiarazione sulla cooperazione alleata tra la Federazione Russa e la Repubblica dell’Azerbaigian relativa alla sicurezza e stabilità regionale e internazionale.

Impossibile che Putin non tenga conto di questo improvviso voltafaccia, anche perché l’art. 17 del trattato bilaterale recita testualmente: “Le parti si astengono da qualsiasi atto, anche compiuto per il tramite di Stati terzi, diretto l’uno contro l’altro”.

 

Bye bye dollaro

 

Le esportazioni russe in Turchia sono cresciute del 120% dall’inizio dell’anno. Ora la Russia è il principale partner commerciale turco con una quota di esportazione di quasi il 16%.

La Russia ha esportato merci per un valore di quasi 28 miliardi di dollari in Turchia in sei mesi e, grazie al rapido aumento delle forniture, è riuscita a scavalcare il leader delle esportazioni dello scorso anno, la Cina.

Anche le importazioni turche in Russia sono aumentate del 50%. A causa dello squilibrio tra le importazioni russo-turche, la Russia ha un serio vantaggio commerciale, e può quindi dettare i termini degli accordi con la Turchia. Non è un caso che i Paesi abbiano così facilmente accettato di passare a pagamenti in rubli, abbandonando completamente il dollaro.

 

Ucraina come prova generale

 

Ho sempre più l’impressione che la guerra in Ucraina servirà alle forze reazionarie del blocco occidentale come prova generale di un più ampio conflitto mondiale, in cui l’occidente si scatenerà contro Russia e Cina.

Si stanno saggiando vari tipi di armamenti. Si aumentano e si fortificano le basi NATO, che ormai è diventata un organo destabilizzante a livello mondiale. Si mandano mercenari da vari Paesi. Si sta verificando fin dove possono arrivare i russi in una guerra convenzionale, senza l’uso delle armi atomiche, che però in un conflitto mondiale dovranno per forza essere usate.

Nel secolo scorso una cosa simile era accaduta in Spagna, durante la guerra civile, che terminò tre anni prima della II guerra mondiale. Anche quello fu un test preliminare.

A quel tempo vinse la destra, sfruttando le debolezze del fronte anarchico, che non sopportava una direzione centralizzata della resistenza repubblicana.

Oggi in Ucraina vincerà sicuramente la Russia, ma non prima d’aver fatto capire all’occidente fin dove potrebbe arrivare in un conflitto di più larga scala, non semplicemente regionale.

Tuttavia, come l’occidente europeo ha perso la II guerra mondiale, favorendo l’egemonia degli USA, così l’occidente euro-americano perderà la III guerra mondiale, favorendo il multipolarismo dei BRICS, cui si aggregheranno sempre più nazioni.

Il mondo non ne può più di diritti umani smentiti continuamente dalla pratica, di falsa democrazia politica, di “bombardamenti umanitari”, di organismi internazionali che fanno solo gli interessi dell’occidente, di monete internazionali che strozzano le economie nazionali, di ricatti da parte degli organismi finanziari mondiali che sfruttano la questione del debito, dei continui crolli borsistici degli USA che destabilizzano il mondo intero, e soprattutto non ne può più della narrativa falsa e ipocrita che esce da tutti i media occidentali dominanti.

 

[2] Altro casus belli antirusso

 

Sono aumentate le tensioni nell’autoproclamata Repubblica del Kosovo (2008) dopo che le autorità hanno tentato di costringere i serbi ad adottare documenti d’identità kosovari, sostituendo quelli rilasciati dalla Serbia, e a cambiare le loro targhe serbe con quelle rilasciate dal Kosovo. Questo perché non vogliono che i serbi della Serbia possano essere confusi con quelli presenti nel Kosovo.

Siccome i serbi locali hanno eretto barricate e bloccato il traffico e gli USA non sono ancora pronti a scatenare un nuovo conflitto da quelle parti, Pristina (capitale del Kosovo) ha sospeso l’introduzione delle nuove regole fino al 1 settembre. Ma questa è la seconda volta in 10 mesi che sono state costrette a cedere alla minoranza etnica serba che vive nella parte nord della regione.

Tuttavia Pristina, bloccando qualsiasi processo negoziale con Belgrado, ha rifiutato di discutere l’argomento, mentre la UE, con quella nullità di Borrell, fa finta di preoccuparsene, cercando in realtà un altro casus belli da utilizzare contro Mosca.

L’idea degli estremisti di Pristina è quella di violare gli accordi di Bruxelles e di espellere i circa 100.000 serbi dal Kosovo. E non potranno certo farlo senza l’aiuto degli occidentali. I civili serbi vengono costretti burocraticamente ad abbandonare la verità “Il Kosovo è la Serbia” e ad ammettere che il Kosovo è uno Stato diverso.

La polizia kosovara ha già chiuso il confine con la Serbia a Jarinje e Bernjak. E le forze speciali lo stanno per fare a Mitrovic. Nel frattempo, nel nord del Kosovo, ha smantellato le barricate che i residenti locali avevano eretto. “La Serbia sarà costretta a iniziare la denazificazione dei Balcani...”, ha dichiarato a sorpresa Vladimir Djukanovic, parlamentare del partito di governo (SNS) a Belgrado.

La Serbia è uno dei pochi alleati di Mosca che favorisce il raggiro delle misure di embargo aereo. In sostanza si può entrare in Europa dalla Russia passando proprio da lì. Il resto del cielo è interdetto al traffico aereo russo a causa delle sanzioni.

Intanto il legislatore ucraino Goncharenko si è offerto di inviare truppe ucraine a sostegno dell’autoproclamato Kosovo (che non si è servito neppure di un referendum, come invece la Crimea). Anche Gran Bretagna e Germania supportano gli albanesi del Kosovo.

A Pristina i carabinieri italiani sono già disposti in assetto da guerra sul ponte che separa la parte serba della città da quella albanese. I caschi blu italiani sono il principale contingente delle 3.775 forze NATO presenti in Kosovo. Le quali provengono da 28 Paesi: 638 sono italiane, 635 americane, 469 ungheresi, 350 turche, ecc.

Oggi il Kosovo, riconosciuto da 98 Paesi nel mondo, è divenuto uno Stato dedito ai più loschi traffici, soprattutto a quello della droga. Si tratta di un vero e proprio scippo fatto dalla NATO nei confronti della Serbia.

 

[3] Antecedenti alla guerra russo-ucraina

 

Per capire che le guerre non scoppiano per caso, cioè improvvisamente, o solo perché qualcuno le vuole, facciamo mente locale sulla cronologia del 2021 dei principali eventi che hanno condizionato lo scatenamento della guerra russo-ucraina, che Putin definisce come “operazione militare speciale”, in quanto non vi è una dichiarazione di guerra da parte della Russia contro l’Ucraina, ma solo un’operazione militare per liberare il Donbass dalla presenza dei neonazisti protetti dal governo di Kiev. Sono state le due repubbliche filorusse del Donbass a chiedere d’essere aiutate dalla Russia, che, prima di farlo, ha dovuto riconoscerle a livello parlamentare. Poi, col passare dei mesi, Putin sembra essersi convinto della necessità di unire l’intero Donbass alla Transnistria, previa occupazione di Odessa. Ma, essendo il conflitto ancora in corso, non va esclusa l’ipotesi che i russi vogliano occupare la stessa Kiev.

Nell’ultima decina di gennaio 2021 Biden aveva già fatto capire a Putin che non tollerava le minacce di aggressione all’Ucraina (quali?), le intrusioni dei cyber russi nelle elezioni americane (tutte da dimostrare) e che avrebbe studiato nuove sanzioni per indurre Mosca a liberare il blogger Aleksej Naval’nyi (d’ora in poi Navalny). Sul suo avvelenamento numerose richieste di indagini sono state inviate ufficialmente da parte russa a L’Aia, Londra, Berlino, Parigi e Stoccolma, ma senza successo. Navalny è chiaramente un pupazzo in mano agli anglo-americani, un vero truffatore neonazista. È in carcere sulla base di una denuncia del 2012 da parte della filiale russa dell’azienda francese Yves Rocher per il mancato pagamento di 370.000 euro. Si prese 3 anni e mezzo di carcere: la pena fu commutata negli arresti domiciliari, ma siccome non ha rispettato le condizioni dei domiciliari, è finito di nuovo in carcere. C’era di mezzo anche suo fratello.

Intanto Antony Blinken (segretario di staro americano) tuonava contro il Nord Stream 2, trovando consenso in Macron, per la sua chiusura immediata.

L’imperturbabile Putin risponde a queste minacce firmando una legge che prolungava al 2026 il Trattato di riduzione delle armi strategiche (Start-III).

I mesi di febbraio-marzo sono dedicati alla pandemia da Covid-19. Trovandosi spiazzato nei confronti del vaccino russo Sputnik-V (il primo a essere uscito), l’occidente accusa Mosca di fare propaganda contro la Pfizer e Moderna.

A metà marzo Biden giudica Putin un “killer” solo perché secondo lui ha tentato d’influenzare le elezioni presidenziali americane del 2020.

Cina e Russia iniziano a pensare seriamente di allearsi per ovviare alle sanzioni paventate da Biden: contro la prima per la questione degli Uiguri, e contro la seconda per gli abusi in Cecenia. Sergej Lavrov, ministro russo degli Affari esteri, chiede al governo cinese di sganciarsi dal dollaro.

Il 9 aprile la “Tass” sostiene che Kiev sta preparando una massiccia azione militare contro le due autoproclamate repubbliche del Donbass. Blinken e poi il premier ucraino Zelensky affermano invece che i russi stanno ammassando circa 80.000 militari ai confini orientali dell’Ucraina e in Crimea. Zelensky chiede anche all’Italia di sostenere l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, cioè la cosa che la Russia teme di più.

Mosca sospende i voli verso la Turchia come ritorsione per i 48 droni armati venduti a Kiev.

Biden vieta di acquistare titoli di stato della Banca centrale russa e del Fondo sovrano russo. Gli ambasciatori russo-americani vengono richiamati nelle rispettive patrie.

Putin chiude lo stretto di Kerck che collega il Mar d’Azov al Mar Nero. Mariupol è tagliata fuori dai commerci.

Si rompono i rapporti diplomatici tra Cekia e Russia, poiché la prima sta vendendo molte munizioni all’Ucraina.

Alla fine di aprile numerosi diplomatici europei e russi vengono espulsi da entrambe le parti. Personalità russe di rilievo hanno i beni congelati nella UE.

Il 6 maggio il G7 condanna la Russia sul caso Navalny, e la giudica nel peggiore dei modi: irresponsabile, destabilizzate, contraria ai diritti umani.

Alla fine del mese la UE proibisce i voli delle compagnie aeree bielorusse, poiché il presidente Lukašenko ha fatto arrestare il giornalista oppositore Roman Protasevič.

A giugno Putin fa capire che in politica estera Trump era migliore di Biden.

A Ginevra USA e Russia decidono di far tornare gli ambasciatori nelle rispettive sedi. Biden accetta di rinnovare lo Start-III fino al 2026.

Putin chiede di realizzare gli accordi di Minsk. Quanto a Navalny, afferma che si era recato all’estero senza chiedere l’approvazione degli organi competenti.

Intanto il cacciatorpediniere inglese Defender viola le acque territoriali della Crimea. Londra si difende dicendo che le acque territoriali davanti alla Crimea appartengono all’Ucraina, in quanto l’ONU non ha accettato il referendum della Crimea che ha sancito il passaggio sotto la Russia.

Il vertice Russia-UE, voluto da Macron, Merkel e Draghi, non si può tenere, perché vi si oppongono Ungheria, i Paesi Baltici, la Polonia, la Svezia e l’Olanda.

Il 21 luglio Marija Zacharova, portavoce russa del ministero degli Affari esteri, accusa gli USA di voler realizzare a Cuba una “rivoluzione arancione” come quella fatta in Ucraina. Mosca intanto continua a modernizzare l’apparato bellico cubano.

A metà agosto la Gazprom dichiara di fare affari d’oro con vari Paesi europei, con la Turchia e la Cina, nonostante abbia chiuso l’export verso il Regno Unito.

Per tutto questo mese l’occidente chiede a Mosca di svolgere un ruolo da mediatore nella crisi afghana, al fine di scongiurare il crollo dello Stato e favorire l’evacuazione degli afghani filo-occidentali. Ma Mosca teme molto che il terrorismo talebano minacci i suoi alleati che confinano con l’Afghanistan. L’occidente comunque non fa nulla per fermare i jihadisti, che alla fine del mese prendono il potere a Kabul. Mosca stabilisce subito relazioni amichevoli col nuovo governo e chiede all’occidente di sbloccare i beni che lo Stato afghano possiede negli USA. Ma non viene ascoltata.

Alle elezioni russe di settembre il partito di Putin, Russia Unita, ottiene la maggioranza assoluta dei voti (50%), mentre il secondo partito è quello comunista col 19%. La UE risponde condannando Mosca per l’assassinio di Aleksandr Litvinenko, ex agente del KGB e poi dell’FSB, avvenuto a Londra nel 2008: era fuggito dalla Russia nel 2000, trovando asilo politico nel Regno Unito.

L’8 ottobre il Nobel per la pace viene dato in funzione antirussa a Dmitrij Muratov, direttore di “Novaja Gazeta”, quotidiano ostile a Putin.

Dieci giorni dopo si rompono i rapporti tra Russia e NATO. Questo perché l’Alleanza ha espulso dal proprio quartier generale otto funzionari di Mosca, accusati d’essere agenti segreti non dichiarati.

Ai primi di novembre scoppia il caso dei profughi asiatici e mediorientali che dalla Bielorussia vogliono entrare in Polonia per poi approdare nell’Europa occidentale. Il governo polacco non ne vuol sapere e col suo muro chilometrico non li fa entrare. La UE non vuol dare un euro alle Bielorussia, diversamente da come si era comportata nei confronti della Turchia, che ospitava profughi siriani.

Al 21 del mese il governo ucraino sostiene di temere un’invasione russa con 92.000 uomini sia dalle parti di Odessa che di Mariupol. Putin risponde che Kiev non solo non sta rispettando gli accordi di Minsk, ma sta anche preparando un imponente attacco alle due repubbliche filorusse del Donbass. Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, sostiene che se la Russia attacca l’Ucraina, la NATO difenderà quest’ultima. Anche la Merkel chiede di aumentare le sanzioni alla Russia nel caso in cui ciò accada.

Agli inizi di dicembre Blinken e Borrell accusano la Russia di voler invadere l’Ucraina. Lavrov risponde che le basi NATO sono troppo vicine alle frontiere della Federazione russa. Già otto Paesi ex-sovietici sono entrati nella NATO, e l’Ucraina ha oltre 1.500 km di frontiera con la Russia. Ribadisce che gli Accordi di Minsk sono rimasti lettera morta.

Biden e Ursula von der Leyen minacciano Putin di sanzioni economiche senza precedenti, se le sue truppe non si allontanano dai confini con l’Ucraina. Già si parla di esclusione di Mosca dal sistema bancario internazionale.

Per tutta risposta Putin chiede garanzie legali di sicurezza per il suo Paese, ma non gli vengono date. Anzi al Summit for Democracy del 9-10 dicembre, voluto da Biden, non sono invitate né Russia né Cina.

Il 14 dicembre la UE conferisce a Navalny il premio Sakarov 2021 per la libertà di pensiero.

Migliora il rapporto tra Cina e Russia, che si sentono minacciate.

Il 17 dicembre la Russia fa capire che per ottenere sicurezza militare, ha bisogno delle seguenti condizioni: la NATO 1) non può far parte degli ex Paesi del Patto di Varsavia; 2) non può dispiegare in Europa forze supplementari rispetto alla situazione esistente nel 1997, cioè prima che vi aderissero Polonia e Paesi Baltici; 3) deve impegnarsi a non fare alcuna attività militare in Ucraina, nell’Europa dell’est, nel Caucaso e in Asia centrale; 4) non può adottare missili di portata intermedia e a corto raggio. Nessuna di queste proposte viene accettata.

A fine mese Putin dichiara che Zelensky, influenzato da idee radicali e naziste, non è in grado di far rispettare gli accordi di Minsk.

Viene espulsa l’ONG Memorial in quanto parla della Russia come di uno “Stato terrorista”.

 

[4] Che succede nel settore immobiliare cinese?

 

Il +5,5% del PIL inizialmente annunciato dal governo cinese per il 2022 non sarà raggiunto di almeno un paio di punti percentuali. La causa non sta solo negli assurdi lockdown anti-pandemici, ma anche nel crollo del mercato immobiliare.

Negli ultimi due anni Pechino ha attuato una stretta del credito al settore immobiliare per calmierare i prezzi delle abitazioni e limitare le speculazioni sul mattone. Misure che hanno però portato al default numerosi costruttori cinesi, tra cui il colosso Evergrande, con un passivo di oltre 300 miliardi di dollari. Dalla primavera scorsa il titolo è sospeso alla Borsa di Hong Kong.

A fine luglio il suo amministratore delegato e il responsabile finanziario si sono dimessi dopo che un’indagine ha rilevato il loro coinvolgimento nella distrazione di fondi per quasi 2 miliardi di dollari. Inoltre entro fine luglio Evergrande doveva presentare un piano di ristrutturazione del debito, ma l’ha rimandato a fine anno.

Il definitivo fallimento di Evergrande, il più grande debitore del mondo, sarebbe pari al 14,6% del PIL italiano atteso nel 2022.

A tutt’oggi nell’intero Paese sono stati sospesi i lavori di costruzione di ben 8 milioni di abitazioni. Gli acquirenti di questi immobili sulla carta hanno iniziato, a metà luglio, a non pagare i mutui: prima in 22 città, ora in 90. Bloomberg ha calcolato un danno potenziale per le banche cinesi da 350 miliardi di dollari. Tanto che stanno cominciando a limitare l’accesso ai conti correnti.

Per far fronte alla crisi e per evitare sollevazioni popolari la Bank of China e le banche commerciali statali puntano a mobilitare 148 miliardi di dollari di prestiti per salvare un settore che incide per il 28% del PIL e che rappresenta quasi l’80% di tutti i risparmi cinesi.

Purtroppo i prezzi delle case sono aumentati così tanto che in alcune città il lavoratore medio deve spendere più di 40 anni del suo reddito per comprarne una. Ora ci vorranno i carri armati per difendere le banche.

Il fatto è che se si ferma la seconda economia mondiale (per alcuni analisti la prima), la recessione in arrivo nel mondo occidentale sarà catastrofica.

La Cina si trova all’inizio di una crisi di portata epocale, la più grave da quando ha creato, per la prima volta nella sua storia, un mercato interno delle proprietà private.

Che succederà al prossimo congresso del Partito comunista che si terrà in autunno? Xi Jinping dovrebbe essere riconfermato per la terza volta. Ma lo sarà? Che strada sceglieranno? Una bella guerra diversiva per nascondere il crollo dell’economia, o una massima filosofica del tipo: i soldi non garantiscono la felicità, e quando sono troppi possono addirittura portare al fallimento?

 

*

 

Oltre al settore immobiliare, c’è anche la Belt and Road Initiative (la Nuova Via della Seta) che non funziona. Infatti si sta trasformando nella prima crisi del debito cinese all’estero. Questo perché la partecipazione di nazioni fortemente indebitate o persino in default (Sri Lanka e Zambia) ha costretto le istituzioni finanziarie cinesi a rinegoziare ben 52 miliardi di dollari di prestiti concessi a progetti BRI in questi Paesi. E la Cina è la più grande fonte di credito allo sviluppo per il resto del mondo. Più della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale.

 

Sconcertante dichiarazione neonazista

 

Dal 2 di agosto gira un video nei canali Telegram, dove Oleksy Arestovich, consigliere e portavoce del presidente Zelensky, ha fatto la seguente sconcertante dichiarazione.

“Il governo ucraino disprezza il popolo ucraino e ha tutte le ragioni per farlo. In questo Paese le persone normali si contano sulle dita delle mani; il resto è una masse incolta e ignorante e Dio non voglia che questa massa prenda il potere”.

Forse per questo si è affermato il neonazismo: il popolo li ha lasciati fare per quieto vivere. Peccato che tra il popolo c’erano anche i filorussi del Donbass, che non erano affatto ignoranti, anzi avevano una tradizione di lotte operaie. Di qui l’esigenza di farli fuori...

 

[5] No chip no party

 

I chip elettronici sono i cervelli che alimentano tutta l’elettronica moderna. Sono scarsi a livello globale da quasi due anni a causa dell’aumento della domanda e del numero esiguo delle costose fabbriche necessarie per produrli.

Circa il 75% della produzione di chip oggi avviene nell’Asia orientale e oltre il 90% dei chip più avanzati viene prodotto a Taiwan, un’isola che la Cina ha regolarmente minacciato di prendere con la forza se il governo democraticamente eletto dichiarasse l’indipendenza legale.

Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) è il più grande produttore di chip al mondo e un fornitore fondamentale per gli Stati Uniti e altre nazioni occidentali.

Gli USA utilizzano chip prodotti da TSMC nelle apparecchiature militari, inclusi i caccia F-35 e i missili Javelin, e nei supercomputer dei laboratori nazionali. Anche le principali aziende di elettronica di consumo si affidano a una varietà di semiconduttori prodotti da TSMC.

I funzionari statunitensi si sono allarmati per questa dipendenza tecnologica negli ultimi anni, data la retorica bellicosa della Cina nei confronti di Taiwan. Queste preoccupazioni hanno spinto funzionari e legislatori a fare pressioni su TSMC per costruire altri impianti di produzione negli Stati Uniti. L’azienda infatti già gestisce una fabbrica a Camas, Washington, e altri centri di design sia ad Austin, in Texas, che a San Jose, in California.

Nel maggio 2020 TSMC ha deciso di costruire una fabbrica in Arizona, a nord di Phoenix, per produrre chip con transistor di dimensioni pari a cinque nanometri, un tipo di semiconduttore ad alta tecnologia utilizzato nell’elettronica di consumo. La spesa totale di TSMC per questo progetto, comprese le spese in conto capitale, sarà di circa 12 miliardi di dollari dal 2021 al 2029. Questa struttura avrà una capacità di 20.000 chip al mese, creerà direttamente oltre 1.600 posti di lavoro professionali high-tech e migliaia di posti di lavoro indiretti nell’ecosistema dei semiconduttori. La produzione dovrebbe iniziare nel 2024.

Per ottenere un’espansione di questo progetto la TSMC ha chiesto e ottenuto altri 52 miliardi di dollari con la legge federale sui sussidi Chips and Science Act, approvata di recente dal Congresso. Una legge che favorisce anche i produttori di chip statunitensi Intel e Global Foundries, coi loro investimenti in nuove fabbriche in Ohio e New York. È previsto anche un ulteriore credito d’imposta sugli investimenti per gli impianti di chip stimato sui 24 miliardi di dollari.

Un ostacolo che TSMC sta incontrando in Arizona è che negli USA non ci sono abbastanza ingegneri di semiconduttori qualificati, per cui occorre una costosa opera di formazione per circa 250 professionisti da inviare a Taiwan.

TSMC desidera anche rafforzare la cooperazione con gli USA in altri settori, come p.es. i veicoli elettrici, la biotecnologia e la tecnologia 5G.

È chiaro ora perché la presidente della Camera dei rappresentanti americani, Nancy Pelosi, aveva bisogno d’incontrare il presidente della TSMC, Mark Liu, durante la sua visita sull’isola, rischiando di far scoppiare la terza guerra mondiale?

Agli USA non importa assolutamente nulla di scatenare una guerra mondiale per avere il monopolio dei chip. Anche perché, secondo loro, chi non ha il monopolio di questa produzione, non può vincere nessuna guerra.

Questo poi senza considerare che la Pelosi miliardaria è una notevole insider trading (nonostante una legge del 2012 renda illegale per i legislatori utilizzare le informazioni ottenute dal loro lavoro al Congresso per il proprio guadagno personale) e che suo marito ha interessi azionari cospicui con l’azienda californiana Nvidia, il produttore di chip statunitense più prezioso.

 

Ci mancava anche questa

 

Sta circolando in vari canali Telegram un post rivoltante su ragazze minorenni ucraine che nella UE vengono vendute come schiave sessuali. Ci sono un gran numero di offerte su Darknet per la vendita di bambini e adolescenti dall’Ucraina per qualsiasi periodo di tempo.

Tuttavia già prima della guerra era risaputo il traffico di ragazze ucraine verso i Paesi Baltici, dove la prostituzione anche minorile è mezza legalizzata.

Infatti nel 2004 il personale della NATO risultò coinvolto nel traffico di esseri umani nei Balcani: riduzione in schiavitù a fini di prostituzione. Secondo i rapporti di Amnesty International era coinvolto nello stesso traffico, oltre al personale della NATO, anche personale dell’ONU. Il business aveva comportato l’arruolamento di mafie locali e la loro integrazione ai fini del controllo del territorio.

D’altronde non è un segreto che le intelligence occidentali si servono delle mafie locali, ma rivelare un tale marciume anche in una organizzazione di peacekeeping non era così scontato, visto che “The Guardian” parlava addirittura della “punta di un iceberg di traffici illegali di ogni genere”, agevolati dal segreto militare.

Non c’è quindi da sorprendersi se tra i sostenitori più accesi della NATO ci siano proprio le mafie locali.

Questo forse spiega la scelta dell’Ucraina come territorio ideale della guerra con la Russia: non solo in quanto avamposto da cui mettere sotto minaccia il Cremlino, ma anche perché disponibile di una rete ben coordinata di mafie locali, le quali dividevano il bottino con gli ufficiali della NATO in tutti i traffici illegali immaginabili: dalla vendita di armi e droga al traffico di donne e bambini, incluso il traffico di organi.

Gli investimenti miliardari del “Deep State” americano in Ucraina si pretendeva che fossero ben spesi. Il messaggio via tweet del capo della missione diplomatica ucraina ai signori di Davos (un tale Mihailo Podolyak), che boccia ogni accenno di trattative con la Russia e chiede “armi, denaro ed embargo”, esprimeva appunto la richiesta in codice delle mafie ucraine, fatta dalla posizione di un clientelismo esclusivo. Motivo per cui i benpensanti del “pacifismo interventista” pro-ucraino dovrebbero rendersi conto che l’intervento russo in Ucraina è anche un intervento contro i traffici illegali, fra cui da ricordare quello di bio-armi dei laboratori sotterranei di Azovstal.

 

I viaggi del papa

 

Ci si meraviglia che Putin ritenga legittimo intervenire a difesa dei russi perseguitati nelle ex-repubbliche sovietiche. Probabilmente non lo farebbe se gli organismi internazionali fossero davvero equidistanti e non invece favorevoli al mondo occidentale. Se esistesse davvero un diritto internazionale, non ci sarebbe bisogno di alcun intervento armato quando le violazioni dei diritti umani sono palesi. E non mi riferisco solo alla situazione dei russofoni o filorussi in Ucraina, ma anche a quella dei serbi nel Kosovo, dei kurdi in Turchia, dei baschi o dei catalani in Spagna, degli uiguri e dei tibetani in Cina, dei rohingya in Birmania, e si potrebbe proseguire all’infinito. Le nazioni e gli imperi sono nati anche per non rispettare le minoranze al loro interno. Temono di perdere stabilità, sicurezza. Temono soprattutto che altri Stati nazionali o imperi possano servirsi di queste minoranze per rovesciare i governi in carica.

Eppure nessuno mette in dubbio che il papa sia autorizzato a considerarsi “pastore della Chiesa universale”, e che quindi si senta autorizzato a intervenire in tutte le parti del mondo per difendere i cattolici (contro altri credenti o non credenti), per intromettersi negli affari interni degli Stati nazionali quando giudica che una determinata situazione sia contraria ai diritti umani.

Certo la Chiesa romana non dispone di eserciti da far paura, ma può sostenere con la sua narrativa moralistica la propaganda di una parte contro l’altra.

I viaggi del papa dovrebbero essere fatti a titolo privato.

 

La verità di Amnesty

 

Amnesty International, non la Tass, ha confermato che le forze armate ucraine stanno violando il diritto internazionale, piazzando armi su siti civili, inclusi ospedali e scuole.

Nella parte sud-orientale dell’Ucraina gli specialisti di Amnesty hanno visitato 29 scuole e 22 di esse contenevano il personale delle forze armate ucraine o attrezzature e armi militari. Ad es. a Bakhmut è stata utilizzata come base un’università locale.

Il segretario generale di Amnesty, Agnes Kallamar, ha affermato che il suo staff è in grado di documentare gli attacchi dell’esercito ucraino da edifici residenziali in 19 città di varie regioni, comprese le regioni di Kharkiv e Mykolaiv e del Donbass.

Le Forze Armate ucraine non evacuano neppure gli edifici vicini al fine di ridurre al minimo la perdita di civili in caso di un possibile attacco russo di rappresaglia.

Il Ministero della Difesa della Federazione Russa segnala quasi quotidianamente tali casi di violazione del diritto internazionale da parte ucraina. P.es. ad Artyomovsk le forze armate ucraine hanno equipaggiato roccaforti negli edifici di una scuola di medicina, e a Dobropolye hanno allestito magazzini per armi e munizioni nell’ospedale di maternità.

Questo conferma che gli ucraini utilizzano i civili come scudi umani. In questo modo si mettono i russi di fronte a due opzioni: o non attaccare oppure colpire ugualmente gli ucraini, rischiando di coinvolgere i civili e sollevare così l’indignazione mondiale.

Ma ai media occidentali queste cose non interessano. Interessa invece dire che i russi bombardano scuole e ospedali e ammazzano i civili.

 

[6] Quando l’ideologia è cieca

 

L’insensatezza del cancelliere tedesco Olaf Scholz sta raggiungendo un altro picco di irresponsabilità. Sta infatti valutando di mantenere operativi gli ultimi tre impianti nucleari rimasti attivi in Germania, che avrebbero dovuto essere dismessi entro il prossimo dicembre e da cui al momento il Paese ricava circa il 6% della propria elettricità.

Sembra che la Germania si sia accorta solo adesso che la gran parte del proprio benessere dipende dal gas russo, che nel 2021 ha rappresentato il 55% di tutto il gas importato. E solo adesso si chiede come poterlo sostituire il prossimo inverno.

Prima della decisione di smantellarli, vi erano 17 reattori nucleari, da cui il Paese ricavava circa 1/4 della propria elettricità (da notare che fino al 2010 il re-arricchimento dell’uranio impoverito avveniva proprio in Russia). Tuttavia dopo i disastri di Chernobyl e soprattutto di Fukushima i governi tedeschi avevano giustamente cercato di rendersi completamente autonomi dall’energia nucleare.

Ora, a causa della propria insipienza ideologica, la Germania si vede costretta a fare marcia indietro. E non solo lo vuol fare col nucleare ma anche col carbone, perché sa bene che non potrà bastare il gas naturale liquefatto acquistabile da altri Paesi. Anche perché ad oggi non ha nessun impianto per la rigassificazione.

Infatti il governo vuol riaprire alcune centrali elettriche a carbone già dismesse. Alla faccia dell’intenzione, manifestata negli anni precedenti, di eliminare entro il 2030 l’utilizzo di questo combustibile, che causa le maggiori emissioni di anidride carbonica, principale gas cui si deve il cambiamento climatico.

Quanto ai rigassificatori, il governo ha concluso un accordo per noleggiare quattro navi e per costruire alcuni impianti fissi, ma ci vorrà molto tempo per rendere operativo il tutto: ognuna delle navi dovrà garantire circa l’8,5% del fabbisogno annuo di gas naturale del Paese.

Possibile che il governo tedesco sia così ottuso da non tenere in considerazione né l’impatto ambientale di queste scelte scriteriate, né le possibili reazioni popolari?

Possibile che non sappia che di gas liquefatto al mondo ce n’è relativamente poco? E soprattutto che il principale produttore da cui comprarlo non sono affatto gli Stati Uniti, ma proprio la Russia?

Infatti il Qatar (altro grande produttore) ha già venduto circa il 90-95% della sua disponibilità attuale ad altri Paesi con contratti che variano tra i 10 e i 25 anni. Solo nel 2027 spera di aumentare la sua produzione.

Possibile che gli ecologisti tedeschi non abbiano capito che proprio il gas russo offre la soluzione transitoria meno traumatica per poter investire sull’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili?

 

Sanzioni boomerang

 

“Bloomberg” scrive che tutti i tentativi statunitensi d’indebolire l’influenza della Russia sul mercato globale dell’energia nucleare non hanno avuto alcun successo.

Anzi la Rosatom russa, fondata da Putin nel 2007, ha iniziato la costruzione della prima centrale nucleare in Egitto, sta sviluppando progetti in Ungheria e Turchia, ed è avanzata in cooperazione con vari Paesi: dal Myanmar all’Uganda. Insomma fa affari da miliardi di dollari.

Il porto egiziano di Al Hamra sta diventando uno snodo decisivo, che consente alla Russia di aggirare le sanzioni contro il petrolio.

Ci sono due funzionari sanzionati nel Consiglio di sorveglianza di Rosatom, ma la dipendenza degli Stati Uniti dal combustibile nucleare russo (uranio in primis) non si è ridotta, anzi è paragonabile a quella dell’Europa dal gas: ogni settima tonnellata bruciata nei reattori americani viene dalla Russia.

Il 28% dei servizi di arricchimento dell’uranio per i bisogni dell’industria energetica statunitense sono forniti proprio dalla Rosatom, che peraltro in Europa fornisce elettricità a 100 milioni di persone.

In qualsiasi momento la Russia può dimezzare la fornitura mondiale di combustibile nucleare. E il mercato più vulnerabile al mondo è proprio quello degli Stati Uniti.

Che senso hanno le sanzioni economiche? Sono solo un’esibizione muscolare fine a se stessa? L’occidente ha già imposto quasi tutte le possibili sanzioni contro la Russia. Rimangono solo opzioni molto rischiose, come l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo e la confisca dei beni russi congelati. Possibile che ancora non si sia capito che il loro effetto può essere devastante per l’intera economia globale?

 

[7] Che succede in Svizzera?

 

Segreto d’ufficio sui contratti anti-covid

 

In Svizzera l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) ha reso noti sul suo sito i contratti di acquisto dei vaccini anti-Covid di Moderna e di Pfizer/BioNtech, ma molti paragrafi sono stati anneriti e risultano quindi illeggibili.

L’UFSP si è giustificato per iscritto: “Secondo la legge federale sul principio di trasparenza dell’amministrazione, il diritto di accesso a documenti ufficiali non è illimitato. (…) Nonostante i passaggi anneriti, le pubblicazioni offrono all’opinione pubblica informazioni sui contenuti e sugli aspetti normativi dei contratti”.

Resta però il fatto che mancano proprio i punti più rilevanti, come i prezzi delle dosi, il costo totale degli acquisti e le clausole di responsabilità.

In Italia han fatto prima: è segreto di Stato!

Fonte: tvsvizzera.it

 

Bolla immobiliare quasi in zona rossa

 

Il pericolo di una bolla immobiliare in Svizzera è ai massimi dal 2016, pur non essendo ancora nella zona rossa.

In media il costo di un appartamento in proprietà è paragonabile al costo del suo affitto in 34 anni.

Naturalmente nelle grandi città i prezzi delle abitazioni di proprietà sono sempre più disaccoppiati dagli affitti e dai redditi delle famiglie.

Il fatto è che i tassi ipotecari salgono, il costo del denaro aumenta, l’inflazione è ai massimi da anni. E la Svizzera è un Paese di inquilini (66%) non di proprietari (34%). In Italia il 92% è proprietario degli immobili censiti dal fisco.

Fonte: cdt.ch

 

Tagli del personale alla Credit Suisse

 

Credit Suisse si sta preparando a tagliare migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo nell’arco di diversi anni, secondo le informazioni di fonti anonime diffuse da “Bloomberg”.

L’organico a fine giugno comprendeva 51.400 impieghi.

La performance borsistica da inizio dell’anno rimane da dimenticare: -42%.

L’amministratore delegato si è dimesso.

Fonte: cdt.ch

 

Perdite cospicue alla BNS

 

La perdita della Banca nazionale svizzera (BNS) nella prima metà di quest’anno è stata la più grande dalla sua fondazione nel 1907.

L’apprezzamento del franco svizzero, il calo dei prezzi delle obbligazioni e il calo del mercato azionario hanno intaccato notevolmente le disponibilità in valuta estera della banca.

Come ha rassicurato la popolazione l’economista di Credit Suisse Maxime Botteron? In una maniera che in Italia non potremmo permetterci: “In quanto banca centrale la BNS è immune da problemi di liquidità, perché può stampare denaro per adempiere ai propri obblighi di pagamento”.

E poi l’anno scorso il presidente Thomas Jordan aveva già detto che realizzare profitti non era l’obiettivo della banca. Il suo obiettivo politico è quello di mantenere l’inflazione al di sotto del 2%. Chissà cosa ne pensano gli azionisti...

Nel giugno di quest’anno la banca centrale ha dovuto però aumentare i tassi d’interesse per controllare l’inflazione. Questo è il primo aumento in 15 anni e se ne prevedono altri.

Intanto il numero due dell’istituto è andato a luglio in pensione anticipata.

 

Super affari in barba alle sanzioni

 

Le esportazioni svizzere verso la Russia di turboreattori, turbopropulsori e altre turbine a gas hanno registrato un’impennata negli ultimi due mesi. Macchinari complessi come questi sono articoli che la Russia non può facilmente sostituire con fonti interne. L’Ufficio federale delle dogane non ha rivelato però quali aziende sono incluse nei suoi dati di esportazione.

La stessa UE ha esportato in Russia 110 milioni di euro di turboreattori e 194 milioni di euro di pompe d’aria da gennaio a maggio di quest’anno.

Più in generale il totale delle esportazioni svizzere verso la Russia è aumentato dell’83% circa a giugno rispetto a gennaio, grazie soprattutto alle vendite di prodotti farmaceutici, medicinali, diagnostici e sangue.

Naturalmente questo non vuol dire che i beni di una persona o di una società russa non restino congelati in Svizzera e nella UE. Vuol semplicemente dire che gli affari sono affari.

Fonte: scenarieconomici.it

 

Scorte urgenti di candele e legna

 

Grido d’allarme del presidente della Commissione federale svizzera dell’energia elettrica (ElCom) Werner Luginbühl: siccome ci saranno possibili interruzioni di corrente per diverse ore durante il prossimo inverno, è bene che i cittadini facciano scorta di candele e legna per chi ha una stufa. Le nuove riserve di emergenza delle dighe svizzere basteranno solo per un periodo compreso tra due e sei settimane.

L’industria, l’artigianato e le famiglie dovranno risparmiare circa 1/3 dell’elettricità. E comunque la Svizzera non potrà più contare sull’importazione di elettricità dalla Francia durante il periodo invernale.

La guerra in Ucraina ha peggiorato la situazione più di quanto previsto. Gli economisti svizzeri, così attenti ai profitti e alle rendite, questa volta non han capito niente.

 

[8] Agricoltura KO

 

Sono quasi 250.000 le aziende agricole italiane, circa 1/3 del totale, che si trovano oggi costrette a produrre in perdita a causa dei rincari scatenati dalla guerra in Ucraina e dalla siccità. Il 13% degli agricoltori è addirittura in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti, sulla base di dati Crea.

Con la siccità, che è andata ad aggravare gli effetti del conflitto in Ucraina, sull’agricoltura italiana il taglio dei raccolti in media è stato di 1/3.

Se si potesse tornare indietro, penso che solo un deficiente potrebbe pensare di mettere delle sanzioni a un Paese che avrebbe potuto aiutarci a superare il disastro della siccità.

 

Sempre più disperati a Kiev

 

Le provocazioni del regime criminale di Kiev contro gli impianti nucleari ucraini sono già diventate sistemiche.

Al momento ci si sta concentrando contro la centrale nucleare di Zaporizhzhya, la più grande d’Europa. Più di 10.000 residenti della regione sono rimasti senza elettricità e senz’acqua.

La Convenzione Internazionale, adottata con la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU il 13 aprile 2005, giudica queste azioni criminali una forma di terrorismo nucleare. Nel contempo però i funzionari dello stesso ONU continuano a creare ostacoli al monitoraggio internazionale oggettivo dello stato della centrale nucleare di Zaporizhzhya da parte della leadership dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA).

Il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha detto che se a Kiev pensano di bombardare o comunque di colpire la centrale nucleare di Zaporizhzhya, la contaminazione radioattiva supererà significativamente le conseguenze degli incidenti nelle centrali nucleari di Černobyl’ e Fukushima.

La popolazione di Kiev, Zaporižžja, Kharkov, Poltava, Kherson, Odessa, Nikolaev, Kirovograd, le regioni di Vinnitsa, le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, le regioni di confine della Russia e della Bielorussia, si troveranno nella zona di contaminazione da radiazioni (oltre 5.300 kmq), oltre a Moldova, Bulgaria e Romania. La situazione può essere aggravata da tanti altri fattori, non ultime le condizioni meteorologiche sfavorevoli.

Il Mar Nero e lo stretto del Bosforo diventeranno inadatti alla navigazione per molto tempo. Le coste di Turchia, Georgia, Abkhazia, Bulgaria e Romania saranno contaminate da alti livelli di radiazioni.

 

England sotto shock

 

Entro fine anno l’inflazione inglese batterà tutti i record, arrivando almeno al 13%, trasformando l’ex impero britannico in una specie di repubblica sudamericana, dove le più colpite sono le famiglie a basso reddito. Bisogna tornare indietro di 42 anni per trovare qualcosa di analogo.

La Bank of England porta il costo del denaro ai massimi dal 1995 (il che ovviamente comporta meno investimenti) e prevede una recessione sino a fine 2023, quando il PIL inglese farà un tonfo definitivo. I suoi report vengono percepiti da tutta l’opinione pubblica britannica come veri e propri bollettini di guerra.

Già adesso i mutui-casa a tasso variabile sono aumentati di circa 60 sterline al mese. A fine anno potrebbero arrivare a 132 sterline.

Questo potrebbe portare lo Stato a indebitarsi maggiormente per sostenere programmi di welfare d’emergenza. Cosa che difficilmente faranno i conservatori.

Il Paese è sotto shock. I consumatori cominciano a tagliare gli acquisti “voluttuari”, favorendo il calo dell’inflazione, ma deprimendo anche l’economia.

Naturalmente sotto accusa è l’alterazione della catena di approvvigionamento delle materie prime, a cominciare da gas e petrolio. Un fenomeno causato dallo shock pandemico e dal conflitto russo-ucraino, pesantemente alimentato dallo stesso governo inglese. Il “Financial Times” ha scritto che “Il Regno Unito deve affrontare una prolungata recessione e la più grande caduta del tenore di vita degli ultimi 60 anni”.

Per gestire una tale catastrofe i conservatori al governo devono trovare un erede credibile dopo Johnson, che giocava a fare il “caudillo descamisado”, o perderanno clamorosamente le elezioni.

Fonte: remocontro.it

 

[9] No nuke

 

A 50 anni dall’entrata in vigore del Trattato di non proliferazione nucleare, ampiamente disatteso, e a 77 dalle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, l’arma nucleare continua a minacciare l’umanità e a sottrarre importanti risorse (circa 73 miliardi di dollari).

Dai tempi della guerra fredda l’arsenale nucleare è passato dalle 70.000 testate alle 12-13.000 attuali, stando ai dati più o meno ufficiali relativi a 9 Stati (USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Francia, Regno Unito, Israele, Nord Corea), senza considerare due cose: 1) gli USA hanno basi militari dotate di armi nucleari in varie parti del mondo; 2) India, Pakistan, Nord Corea e Israele non hanno aderito al suddetto Trattato. Questo rende approssimativi i dati numerici. Di sicuro USA e Russia possiedono circa il 90% del totale di armi nucleari al mondo.

Significativo è stato lo smantellamento di tutto l’arsenale nucleare bellico dell’attuale Ucraina, che fino al 1994 disponeva di 1.900 testate, più di quelle oggi in possesso a Cina, Francia e Regno Unito messe insieme.

Tuttavia la quantità è una cosa, la qualità un’altra. Sta infatti crescendo sempre più la potenza o l’efficacia di queste bombe attraverso tre aspetti: 1) la modernizzazione dei vettori (gli attuali F35 o i missili ipersonici), 2) il potenziamento delle bombe di teatro come le B61-12, 3) l’applicazione dell’intelligenza artificiale al settore militare e quindi anche a quello nucleare.

L’uso dell’arma nucleare è parte organica delle dottrine strategiche delle 9 potenze che ne dispongono, alcune delle quali programmano anche un aumento del numero delle proprie testate, aggravando quindi l’insicurezza generale del pianeta.

Nel corso degli ultimi anni inoltre sono stati abbandonati importanti accordi. Quello sui “cieli aperti”, quello sulle forze nucleari di gittata intermedia, e quello sul nucleare iraniano, mentre rimane in vigore fino al 2026 solo il New Start.

La decima (e quinquennale) Conferenza di Revisione del Trattato di non proliferazione, in corso all’ONU (1-26 agosto), rischia di concludersi male come quella precedente. Già il fatto che sia l’Italia (Paese nucleare), oltre al Sudafrica, a presiedere la Conferenza, la dice lunga. Non è casuale che nel 2017 sia stato approvato all’Assemblea Generale dell’ONU il “Bando delle armi nucleari”, col voto favorevole di 122 Paesi, ma con l’opposizione congiunta di tutte le potenze nucleari e dei loro alleati (Italia compresa).

Non esiste una chiara volontà di disarmo nucleare, soprattutto perché gli USA dominano il mondo dal 1945 e non hanno intenzione di rinunciarvi.

Fonte: remocontro.it

 

Carità pelosa della Polonia

 

La Polonia si prepara a stabilire il controllo sui settori più promettenti dell’economia ucraina non controllata dai russi. Lo stanno facendo da marzo. A partire da questo mese infatti gli imprenditori ucraini sono stati invitati a fare affari in Polonia alle stesse condizioni dei polacchi. Per registrare un’impresa non hanno più nemmeno bisogno della cittadinanza: hanno solo bisogno di documenti che confermino l’ingresso in Polonia dopo il 24 febbraio, un permesso di soggiorno valido e un numero di identificazione PESEL.

Secondo l’Agenzia polacca per gli investimenti e il commercio (PAIH), più di 200 aziende ucraine hanno già utilizzato il servizio che promette di trovare in breve tempo un impianto di produzione conveniente in Polonia.

Gli esperti polacchi si offrono di aiutare non solo a impostare rapidamente la produzione, ma anche a trasferire le attrezzature necessarie dall’Ucraina. Affermano che le misure sarebbero necessarie per sostenere gli investitori dell’economia ucraina che hanno perso reddito a causa del ritiro forzato dal Paese dopo lo scoppio delle ostilità.

In realtà le autorità ucraine stanno iniziando a vendere vari settori dell’economia alla Polonia.

Per es. le aziende polacche acquistano grano dall’Ucraina a prezzi molto bassi, condannando le imprese ucraine al fallimento.

Sfruttano la difficile situazione in cui versano i produttori agricoli ucraini, per arrivare alla fine ad acquistare tutti i loro beni e terreni a prezzi irrisori.

È come se la Polonia avesse chiesto all’Ucraina un esborso significativo per l’accoglienza dei profughi. Era da dire che gli aiuti non fossero gratuiti e disinteressati.

La Polonia ha un che d’insopportabile: è arrogante sul piano politico, fanatica su quello ideologico, inetta su quello economico e disastrosa su quello finanziario.

Prima della guerra veniva considerata dalla UE un Paese di seconda categoria. Per varie ragioni: non rispetta le regole europee; non ama lo Stato di diritto (infatti ha istituito un organismo di controllo politico sull’attività dei magistrati); usa in maniera impropria i fondi europei, avvantaggiando gli organi di potere; gestisce in maniera vergognosa la questione dei migranti al confine bielorusso, fatti passare come pedine manovrate dalla Russia con l’intento di destabilizzare il Paese (di qui l’esigenza di costruire un muro). Inoltre è fallito il progetto di riforme economiche e fiscali che avrebbe dovuto livellare le diseguaglianze sociali e dare nuova spinta alla crescita complessiva del Paese. L’inflazione è alle stelle.

A tutto ciò si deve aggiungere la faccenda “Pegasus”: un’operazione di intelligence a carico di uomini politici e magistrati invisi al governo, eseguita senza preventiva autorizzazione della magistratura. Si tratta di un potente dispositivo di controllo degli smartphone acquistato nel 2017 da un’azienda israeliana. Il governo l’ha voluto perché dice di sentirsi assediato sia da Bruxelles che da Mosca. La UE è vista come il “nuovo Reich” con capitale Berlino e la Polonia come oggetto “delle gelosie dei Paesi occidentali”.

Peraltro la Corte di Giustizia della UE ha respinto il ricorso che Ungheria e Polonia avevano presentato contro il nuovo meccanismo che condiziona l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto. Ungheria e Polonia sono due Stati a guida semi-autoritaria che da anni si oppongono a controlli più stringenti sui fondi europei, che ricevono in quantità ingente e che utilizzano in maniera impropria.

Nel mirino ci sono anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania. Tutti questi Paesi (poveri) hanno problemi enormi nel rispettare l’indipendenza della magistratura e dei tribunali, nel garantire la trasparenza riguardo alle misure prese dal governo, e nel proteggere i diritti di minoranze e oppositori politici. I loro governi mascherano le debolezze strutturali dell’economia dietro facciate autoritarie con cui far credere che sono Paesi stabili.

La UE ha fatto di tutto per inglobare questi Stati ex-comunisti, senza rendersi conto che non avevano i presupposti economici per svilupparsi come i Paesi euroccidentali. I soldi elargiti quasi a fondo perduto sono serviti soltanto per rafforzare i partiti di governo, ma molti di questi partiti sono diventati parafascisti e nazionalisti, e ora gridano d’essere minacciati nella loro sovranità e di non voler sottostare alla tutela delle istituzioni europee.

 

[10] In due giorni la Cina risolve tutto

 

Il governo cinese stima in due giorni il tempo che ci vorrebbe alle proprie forze militari per occupare Taiwan.

Al momento l’isola è già circondata da 68 jet e 13 navi da guerra a causa delle prolungate esercitazioni militari. Non ci vuol molto per eliminare le difese costiere, i siti radar e gli aeroporti.

Negli ultimi giorni più di 100 aerei e 10 navi da guerra sono stati al centro delle suddette esercitazioni. Sono già stati sparati una raffica di missili balistici sull’isola. Missili ipersonici come il DF-17 potrebbero essere usati per colpire bersagli mobili in mare. Sciami di droni ad alta tecnologia, un milione di soldati, navi da guerra, sottomarini e bombardieri sono mezzi che Pechino può impiegare tranquillamente in pochissimo tempo.

L’isola potrebbe essere paralizzata finanziariamente, economicamente e operativamente se Pechino estendesse le esercitazioni militari per un periodo sufficientemente lungo.

Un efficace blocco marittimo e aereo fermerebbe tutto l’export taiwanese e interromperebbe gli aiuti da Stati Uniti e Giappone.

Taiwan è già in stato di massima allerta. Teme infatti che se anche Pechino non volesse occupare l’isola, di sicuro occuperebbe le piccole isole della provincia del Fujian, considerandole come parte del proprio territorio.

Alcuni di questi isolotti, abitati da circa 20.000 persone, si trovano a meno di sei miglia dalla Cina continentale. Difficile pensare che gli USA interverrebbero per difenderli, pur considerandoli come parte di Taiwan.

 

Difetti del Rosatellum

 

Esperti di sistemi elettorali hanno scoperto che col “Rosatellum” e la riduzione di 1/3 dei parlamentari, non è vero che per entrare in Senato sia sufficiente la prevista soglia di sbarramento del 3%.

Infatti quanto più sono piccoli i collegi su cui viene fatto il calcolo (complicato) per la ripartizione dei seggi, tanto più la soglia aumenta.

Questo perché al Senato il calcolo è su base regionale: nelle regioni in cui si eleggono meno senatori lo sbarramento implicito sarà piuttosto alto, proprio per la riduzione del numero dei parlamentari e quindi dei seggi disponibili.

Quindi se in Lombardia la soglia dovrebbe restare attorno al 3%; sarebbe invece tra il 5 e il 10% per Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia; tra il 10 e il 15% per la Calabria; tra il 15 e il 20% per Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche e Sardegna; e persino sopra il 20% per Umbria e Basilicata.

Insomma presentarsi da soli o al di fuori di una coalizione è un suicidio.

 

Misteri della coalizione Vita

 

Quelli della coalizione Vita non li capisco. Molti aspetti del loro programma sono perfettamente condivisibili. Tuttavia:

- da un lato parlano di Libertà e diritto al lavoro e allo studio come attitudine del proprio talento personale e professionale finalizzato al bene comune;

- dall’altro però rivendicano Diritto e salvaguardia della proprietà privata, inviolabile.

Ma non lo sanno che le due cose sono inconciliabili? Chi possiede i mezzi produttivi fondamentali se ne frega di garantire il lavoro a tutti i nullatenenti.

Fonte: votalavita.it

 

[11] Il corrotto Zelensky

 

Il giornale tedesco Welt ha pubblicato l’articolo “Affari segreti del presidente Zelensky”.

I giornalisti investigativi ucraini hanno girato il film “Offshore 95” che racconta di una gigantesca operazione di corruzione che è stata condotta con la partecipazione diretta di Zelensky e volevano presentarlo in un teatro a Kiev il 3 ottobre, ma il direttore del teatro, dove si sarebbe svolta la prima del film-inchiesta, ha vietato l’evento.

È un film documentario basato sui “Pandora Papers”, oltre 11 milioni di documenti trapelati da fornitori di servizi finanziari. La rete internazionale di giornalisti investigativi (600 giornalisti, 155 testate di 117 Paesi hanno prodotto 2,94 terabyte di dati contenenti 11,9 milioni di file provenienti da 14 fornitori di servizi offshore) ha iniziato a pubblicare rivelazioni sui conti offshore di centinaia di funzionari governativi in tutto il mondo, inclusi 35 leader mondiali, oligarchi, aziende e banche. Zelenskyy gioca un ruolo importante, così come sua moglie, il suo consigliere Sergei Shefir e il suo finanziatore Ihor Kolomoisky, di cui si sono perse le traccie nel marzo 2022.

Fonte: sovranitapopolare.org

 

Terreni ucraini in svendita

 

In Ucraina tre grandi multinazionali americane hanno acquistato 17 milioni di ettari di terreni agricoli: 170.000 kmq sono praticamente quasi 1/4 dell’intero Paese (600.000 kmq), ovvero più di mezza Italia, che, quanto a terreni agricoli, ne ha 16,7 milioni di ettari.

Si tratta di Cargill, Dupont (concentrate sui mangimi) e Monsanto-Bayer, formalmente germano-australiana ma di capitale statunitense (attiva soprattutto nell’ambito dei concimi). Successivamente il 5% dei terreni agricoli è stato acquistato dallo Stato cinese.

Tra i principali azionisti di queste tre società ci sono BlackRock (un fondo da 10.000 miliardi di dollari), Vanguard (6.000 miliardi di dollari) e Blackstone (881 miliardi di dollari). A loro volta queste società controllano importanti banche a livello globale e le principali società attive nell’industria bellica.

Il 16 luglio 2021 la Cargill (al soldo dei Rockefeller) è diventata proprietaria del 51% della joint venture Neptune, possessore del terminal più profondo del Mar Nero, Odessa, utilizzato dagli agricoltori ucraini come punto di partenza altamente competitivo sui mercati cerealicoli mondiali. Il Paese infatti è da secoli conosciuto come il “granaio d’Europa” e ospita oltre 32 milioni di ettari di terreni incredibilmente fertili e coltivabili. Nessun Paese europeo è sfruttato così intensamente da aziende straniere. Non a caso è talmente povero da essere considerato quello messo peggio a livello europeo. E questo ancor prima della guerra.

Mangimi e concimi han subìto aumenti considerevoli ben prima del conflitto russo-ucraino, proprio per colpa delle 4 multinazionali che controllano circa il 90% del mercato globale dei cereali: Amber Daniels Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus Commodities. Gli stessi nomi controllano il 70% di tutte le materie prime agricole.

Secondo lo studio della ONG Land Matrix, il più delle volte le multinazionali presenti in Ucraina svolgono attività agricole intensive che hanno conseguenze negative per l’ambiente, compresa la contaminazione dell’acqua e del suolo, oltre alla perdita di biodiversità. Secondo un altro studio del 2021 pubblicato da Ecoaction si evidenzia che oltre il 40% di tutti i terreni agricoli in Ucraina è a rischio di diventare infertile, anche per colpa degli OGM.

Speriamo dunque che il Paese perda la guerra. Il cinico Zelensky l’ha già svenduto, anzi aveva previsto di trasformare l’affitto in proprietà proprio nel 2024.

Fonte: africa-express.info

 

Arricchirsi a spese nostre

 

È noto che i mercenari che combattono in Ucraina, nella Legione Internazionale, sono poco addestrati e spesso disarmati. Hanno l’ordine rigoroso di non parlare con la stampa, ma siccome molti di loro sono tornati a casa, stanno arrivando notizie davvero sconcertanti sull’inefficienza dell’esercito ucraino.

Tuttavia i mercenari non sanno che, a monte di queste news, probabilmente la più imbarazzante per il governo di Kiev è che il livello di corruzione all’interno dell’esercito ucraino è così alto che le armi occidentali spesso non vengono usate per combattere ma solo per fare affari.

Vari tipi di missili, ma anche automobili, fucili, munizioni, granate: si cerca di rubare il più possibile e di rivenderlo. A volte i mezzi bellici non riescono neppure a superare il confine tra Polonia e Ucraina.

Secondo “CBS News” al fronte finisce al massimo il 30% delle armi occidentali consegnate a Kiev. Se dunque togliamo quelle eliminate o requisite dai russi, il resto serve soltanto per arricchirsi.

In ogni caso, anche se le usassero a scopi militari, non saprebbero come pagarle. Esiste infatti un divario enorme tra il costo della guerra e le entrate fiscali depresse in un’economia martoriata dalla guerra. Gli aiuti finanziari promessi dalla UE arrivano molto lentamente, poiché si dà per scontato che Zelensky verrà fatto fuori.

Fonte: ishgal.com

 

Incaponirsi

 

Il Ministero ucraino della Difesa ha dichiarato che nel prossimo futuro Kiev intende inviare a Kharkiv un gruppo dell’SBU e di altre agenzie di sicurezza per condurre un’operazione punitiva contro i cittadini fedeli alla Russia.

L’SBU intende utilizzare come motivo di detenzione i tabulati telefonici delle chiamate e degli SMS verso numeri russi, la corrispondenza in messaggeria che condanna le autorità ucraine in carica, le iscrizioni sui social network a canali russi, le riprese fotografiche o video dei risultati della disfatta delle strutture militari ucraine, nonché le informazioni fornite dagli spioni sui loro vicini, amici, parenti o conoscenti.

Sono sempre più disperati. Quanto più si avvicina la loro fine, tanto più s’incaponiscono.

 

Francia e Germania nel panico

 

Il contratto per l’elettricità a un anno in Francia ha battuto un nuovo record: 535 euro per MWh. Durante il decennio 2010-2020 la media era stata di 45,3 euro per MWh.

Lo stesso contratto in Germania ha raggiunto un nuovo massimo storico a 413 euro per MWh.

Non esiste alcuna possibilità in queste condizioni che la UE possa mantenersi competitiva. Le classi dirigenti la stanno spingendo verso il baratro.

Se poi aggiungiamo un tasso di natalità vicino allo zero, un rapido invecchiamento della popolazione e una cronica dipendenza da altri continenti per le materie prime e l’energia, la UE si avvia a diventare la nuova Africa del XXII secolo.

 

*

 

Secondo l’Istituto di ricerca sull’impiego l’economia tedesca perderà circa 260 miliardi di euro in valore aggiunto nei prossimi 8 anni, e i posti di lavoro si ridurranno già di 240.000 unità a partire dal prossimo anno.

I ricercatori di questo Istituto prendono in esame i danni dei rincari dei prezzi energetici sull’economia tedesca e individuano in questa inflazione esogena una delle cause della crisi della Germania.

E tutti come pecore vanno dietro ai diktat americani, invece di uscire dalla UE e di chiedere l’ingresso nei Brics.

 

Più caldo l’autunno dell’estate

 

I servizi di sicurezza tedeschi sono già in stato di allerta per quello che si profila come uno degli autunni di protesta più caldi di sempre.

Si aspettano manifestazioni per la carenza di gas, problemi energetici, difficoltà di approvvigionamento, possibile recessione, disoccupazione, ma anche per la crescente povertà della classe media.

Saranno manifestazioni in confronto alle quali quelle contro le restrizioni pandemiche sembreranno un gioco da bambini.

L’ha detto Stefan Kramer, che guida l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione nello stato della Turingia.

 

Countdown per Scholz

 

In autunno uscirà un libro tradotto in italiano del giornalista tedesco Oliver Schröm sul caso Die Cum-Ex-Files che coinvolge la banca Warburg di Amburgo. Al “Tagesspiegel” ha confermato la scoperta di 214.800 euro e poi altri 2.400 dollari americani trovati nell’armadietto all’Hamburger Sparkasse.

L’armadietto è stato aperto il 28 settembre 2021 con un mandato di perquisizione. Gli investigatori avevano trovato la traccia del denaro dopo aver perquisito la casa di Johannes Kahrs, ex membro dell’SPD del Bundestag: un contratto di affitto per un armadietto. Si indaga da 2 anni e mezzo.

Kahrs gioca un ruolo chiave nel caso della Warburg Bank. Si dice che abbia contribuito a organizzare gli incontri tra l’allora sindaco di Amburgo, Olaf Scholz, e gli azionisti della banca, Christian Olearius e Max Warburg. Si tratta di quegli incontri di cui l’attuale Cancelliere non ricorda più il contenuto, ovviamente.

Fu sindaco della città dal 2011 al 2018, e nel 2016 il Comune aveva deciso di rinunciare a un rimborso fiscale di 47 milioni di euro.

Kahrs però aveva nascosto il contante perché non voleva tracce di dati elettronici sul suo conto. Quel contante era una tangente. Kahrs aveva fatto diverse campagne a favore della Warburg Bank di Amburgo per salvarla da varie transazioni illegali ed evasione fiscale. Aveva contattato l’Autorità federale di vigilanza finanziaria, il Ministero federale delle finanze e anche l’allora ministro federale delle Finanze, Olaf Scholz.

Il cancelliere comparirà il 19 agosto davanti alla Commissione d’inchiesta della città di Amburgo che indaga sui fatti della Warburg.

Kahrs è rimasto nel Bundestag fino a maggio 2020, poi ha improvvisamente rassegnato le dimissioni da tutti gli incarichi. È considerato un compagno di Scholz di lunga data, il suo più stretto collaboratore. Ma Scholz dice di non vederlo da molto tempo.

Fonte: m.focus.de

 

Addio bollicine

 

È ufficiale: senza il gas russo dovremo dire addio anche all’acqua gasata per mancanza di anidride carbonica.

I costi dell’energia sono talmente aumentati che non conviene più produrla. Prima costava circa 2.000 euro a tonnellata, oggi 20.000.

Una volta finiti gli stock nei magazzini di supermercati e discount, non ci saranno più bottiglie in vendita.

Acqua Sant’Anna, il più grosso produttore europeo di acque oligominerali con 1,5 miliardi di bottiglie all’anno, ha bloccato le linee di produzione dei prodotti gassati per mancanza di CO2.

In particolare l’anidride carbonica serve anche

- a spillare la birra e altre bevande, conservare più a lungo il cibo e refrigerarlo;

- nelle serre, per favorire la crescita di alcune piante, e negli allevamenti, per stordire gli animali prima della macellazione;

- per sterilizzare gli strumenti sanitari e per diversi esami diagnostici.

Nonostante l’alta presenza di questo gas nell’ambiente, la sua concentrazione è relativamente bassa, ed estrarlo risulterebbe un’operazione particolarmente difficile e dispendiosa in termini energetici.

Se poi avremo a che fare anche con la mancanza di azoto, necessario per impedire la proliferazione di virus e batteri nelle bottiglie rigide, a quel punto a essere in crisi sarebbe tutta la filiera dell’acqua e delle bevande.

In ogni caso fuori controllo non è solo il costo dell’energia elettrica, ma anche quelli della plastica, dell’alluminio, del cartone e del vetro.

 

[12] Chi salverà l’Afghanistan?

 

A distanza di un anno di governo talebano, il rapporto UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) parla di un Paese nel quale “circa 24,4 milioni di persone (59% del totale) hanno bisogno di assistenza umanitaria, rispetto ai 18,4 milioni dell’inizio del 2021”.

L’Emirato islamico è un disastro totale, soprattutto per le donne: ripristinato il burqa, vietato l’accesso all’istruzione, obbligo di uscire di casa accompagnate da un uomo, divieto di guidare l’automobile, restare in casa invece di lavorare, matrimoni infantili, precoci e forzati. Il tutto controllato dal Ministero per la soppressione del vizio e la promozione della virtù, che ha sostituito il dicastero per gli Affari femminili.

I fondi statali sono bloccati dagli USA, che, a quanto pare, hanno mal digerito la sconfitta militare, per cui vogliono continuare la guerra (durata 20 anni) usando strumenti finanziari, anche se l’attuale obiettivo americano è quello di rendere impotenti due colossi nucleari, energetici ed economici come Cina e Russia.

Poi naturalmente l’uso fanatico dell’Islam implica anche una dura repressione nei confronti di giornalisti e attivisti. Nessun Paese al mondo ha riconosciuto il loro governo, anche se sono iniziate trattative commerciali proprio con Russia e Cina.

Da sottolineare che è aumentata la produzione dell’oppio e di metanfetamine ricavate dall’efedra, vegetale molto diffuso sul territorio.

A integrazione vedi: opiniojuris.it/lafghanistan-oggi-tra-crisi-umanitaria-e-governo-talebano/

 

Misunderstanding

 

Testimonianza di una attivista afghana raccolta da Amnesty International:

“Le guardie talebane venivano nella mia stanza e mi mostravano fotografie dei miei familiari, ripetendo: ‘Possiamo ucciderli e tu non potrai fare nulla. Non piangere, non fare la scena. Dopo che avevi preso parte alle proteste, dovevi aspettartelo’. Poi hanno chiuso la porta dietro le loro spalle e uno di loro ha iniziato a urlare: ‘Donna spregevole. L’America non ci dà i soldi per colpa di puttane come te. Poi mi ha preso a calci, ferendomi alla schiena e al mento. Mi fa ancora male la bocca, provo dolore appena inizio a parlare’”.

Ecco un esempio di stravolgimento della realtà. Secondo il talebano i soldi della banca centrale restano bloccati dall’occidente per colpa delle donne che protestano, non per colpa della dittatura del governo contro cui le donne protestano.

Ma la cosa più incredibile è che questo stravolgimento della realtà caratterizza le stesse democrazie occidentali quando vogliono sottomettere con la forza tutti gli altri Paesi del mondo. È sufficiente dire che non sono democratici.

Fonte: pressenza.com

 

È meglio non dire bugie

 

L’attacco coi droni che il 2 agosto ha ucciso il leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, ha fatto precipitare i talebani in una crisi interna. Il gruppo è stato umiliato dall’azione militare unilaterale degli Stati Uniti e, dopo che aveva tenacemente sostenuto di non concedere asilo ai terroristi, le sue affermazioni si sono rivelate delle falsità.

Se a ciò si aggiungono le pesanti discriminazioni e repressioni nei confronti di donne, giornalisti e attivisti, bisogna dire che il loro governo non è in grado di ricevere aiuti economici internazionali, né di pretendere lo sblocco dei beni della Banca centrale afghana.

Insomma possono solo fare affari con Cina e Russia cedendo la gestione di parti del loro territorio ricche di materie prime.

Fonte: internazionale.it

 

Eliminato anche Rahimullah Haqqani

 

Una delle figure di spicco del clan Haqqani, il ramo più intransigente dei talebani dell’Afghanistan legato ad Al Qaeda, lo sceicco Rahimullah Haqqani, è stato ucciso l’11 agosto a Kabul in un attacco suicida nella sua scuola. Il terrorista aveva una bomba dentro la protesi di una gamba. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato islamico della provincia di Khorasan (Isis-K o IS-K).

Haqqani era non solo un sostenitore del governo talebano dell’Afghanistan, ma anche un severo critico del gruppo jihadista IS-K, la cui sigla indica un’affiliazione afghana all’IS, lo Stato Islamico che da anni terrorizza il Medio Oriente e diversi altri Paesi africani.

Tuttavia da diverso tempo l’IS-K opera in Afghanistan in opposizione al governo talebano, in quanto lo ritiene troppo “moderato”, soprattutto nell’interpretazione di certi passi del Corano.

In particolare Haqqani era detestato da queste frange più estreme perché sosteneva l’istruzione femminile, soprattutto in campo medico-sanitario, contro il proprio governo. Prima di oggi era sopravvissuto ad altri due attentati. L’ultimo è stato nel 2020.

Avendo addestrato in Pakistan molti militanti e attentatori suicidi, Haqqani godeva di grande autorità nel movimento talebano.

Dopo l’eliminazione del leader di Al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, i vertici talebani sono in subbuglio. Questi atti terroristici hanno l’evidente scopo di creare il panico tra la popolazione civile, nonché di dimostrare l’incapacità dei talebani di garantire la sicurezza nel Paese e un’eguale partecipazione dei rappresentanti di tutti i popoli alla vita politica dell’Emirato islamico.

In assenza di vere contromisure da parte dell’attuale governo sul territorio dell’Afghanistan, i militanti IS-K aumenteranno sicuramente la loro attività per stabilire il controllo su tratti di confine col Tagikistan e l’Uzbekistan.

 

[13] L’occidente ha perso anche l’America latina

 

Se in Africa la scena appare dominata da Cina, Russia e Turchia, i Paesi occidentali sono sopraffatti da Pechino anche in America Latina. E la guerra in Ucraina potrebbe dare al processo un’ulteriore accelerazione.

Cinque dei sei Paesi sudamericani più popolosi sono guidati da governi di sinistra, sebbene siano profondamente lontani dai modelli cubano e venezuelano.

Il leader del Perù, Pedro Castillo, è un marxista autodichiarato. In Cile è al comando l’attivista di sinistra Gabriel Boric. La Colombia ha recentemente eletto presidente l’ex guerrigliero Gustavo Petro. E il Brasile, il Paese più popoloso della regione e quello con l’economia più grande, vedrà alle prossime elezioni presidenziali in ottobre vincere Lula.

All’Assemblea Generale dell’ONU, lo scorso febbraio, ben cinque Paesi han rifiutato di condannare l’invasione russa dell’Ucraina (Bolivia, Cuba, El Salvador e Nicaragua si sono astenuti e il Venezuela si è rifiutato di partecipare alla votazione). E molti governi latinoamericani si sono rifiutati di unirsi all’occidente nell’imporre sanzioni alla Russia.

Al IX Vertice delle Americhe, tenutosi a Los Angeles, invece dei 35 Paesi membri dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), ve n’erano solo 27. D’altra parte secondo la versione distorta della democrazia americana, solo i Paesi di destra, neoliberisti e favorevoli all’America possono essere considerati governi democratici legittimi.

Nel frattempo, dal 2002 al 2021, il commercio totale della Cina con la regione è salito alle stelle: da 18 miliardi di dollari a circa 449 mld. A questo ritmo supererà i 700 miliardi di dollari entro il 2035. Questo grazie ad accordi bilaterali siglati con Cile, Costa Rica e Perù, ma anche perché sono stati coinvolti 21 Paesi nella Belt and Road Initiative, senza porre (apparentemente) alcuna condizione, a differenza di come si comporta l’occidente, che prima d’investire pone una miriade di precondizioni.

Ciò ovviamente non significa che Pechino non ponga richieste, ma arrivano solo in un secondo momento, spesso sotto forma di clausole nascoste. Sempre capitalismo è, ma non ideologico.

Fonte: quotedbusiness.com

 

Cina e Lituania ai ferri corti

 

Non bastava la Pelosi a rompere le scatole cinesi col suo viaggio provocatorio a Taiwan. Ora ci si è messa anche la viceministra lituana dei trasporti e delle comunicazioni, Agne Vaiciukeviciute, arrivata sull’isola insieme a una delegazione di 11 persone per una visita di cinque giorni. Motivo? Aprire un ufficio di rappresentanza a Taiwan a settembre.

Dalle parti di Vilnius devono soffrire di tendenze suicide. Prima mettono in atto il blocco illegale di Kaliningrad, rimosso nelle settimane scorse per via della prospettiva di enormi danni economici alla Lituania stessa. Poi inviano a Taiwan una loro delegazione mandando su tutte le furie Pechino, che naturalmente ha rotto i rapporti diplomatici e provvederà a sanzionare il piccolo Paese baltico.

Possibile che non si capisca che il principio “Una Cina” è una delle norme di base delle relazioni bilaterali e internazionali con Pechino? Vilnius non può stabilire relazioni ufficiali o impegnarsi in contatti ufficiali con Taipei.

A dir il vero già nel 2021 la Cina aveva declassato i suoi legami diplomatici con la Lituania al livello di “incaricato d’affari”, dopo che Taiwan aveva aperto un ufficio di rappresentanza in Lituania, che Pechino ha interpretato come un’ambasciata de facto.

Ora tra i due Paesi si romperanno anche i rapporti commerciali. Anzi l’export lituano verso la Cina nel primo trimestre di quest’anno è già stato ridotto a zero.

 

Bollettino di guerra prossima ventura

 

Il ministero della Difesa estone sta negoziando con la Finlandia la creazione di un sistema di difesa missilistica comune.

L’intenzione è quella di chiudere il Golfo di Finlandia alle navi da guerra russe e di far diventare il Mar Baltico un mare interno alla NATO. Questo perché la portata dei missili estoni e finlandesi supera la larghezza del Golfo di Finlandia.

Infatti lo scorso autunno l’Estonia ha acquistato missili antinave israeliani Blue Spear, con una portata di 290 km per la difesa costiera. Allo stesso tempo la Marina finlandese dispone di missili antinave MTO 85M svedesi, con una portata di oltre 100 km.

Naturalmente bisogna aspettare che la Finlandia entri nella NATO.

L’Estonia è un Paese che sul piano militare si sente forte solo perché appartiene alla NATO. Ma non lo sa che se inizia a perseguitare i russi che la abitano (il 25% della popolazione), farà la stessa fine dell’Ucraina?

Queste esibizioni muscolari fanno venire in mente quelle di Kim Jong-un quando cercava d’intimorire Trump sul piano nucleare: “Siamo pronti a dichiarare guerra agli Stati Uniti e a occupare la Corea del Sud”. E quello che gli rispondeva: “Il mio bottone nucleare è più grosso del tuo”...

 

Visti Schengen facili e impossibili

 

Jan Lipavsky, ministro degli Esteri della Repubblica Ceca, si è detto a favore della proposta ora discussa dall’Unione Europea di vietare il rilascio di visti Schengen ai cittadini russi a causa delle azioni della Federazione Russa in Ucraina.

Solo una persona profondamente razzista o solo una persona intellettualmente molto limitata, incapace di distinguere tra popolo e governo, può pensare una cosa del genere.

I paesi Baltici e la Polonia hanno già sospeso l’emissione di visti per i russi. E ora ci sta pensando anche il governo finlandese. Al momento però i russi vanno dove vogliono grazie ai visti ottenuti in altri Paesi dell’area Schengen.

Intanto una caterva di passaporti perfettamente falsificati, con tanto di visto ufficiale e timbro di viaggio falsi, reperibili nel web, permettono ai terroristi dell’Isis di attraversare i confini della Siria e di entrare nella UE: bastano 8.000 dollari. È sufficiente parlare un po’ di francese, così si può passare per francese o belga. Lo dice il “Guardian” non la “Tass”.

Una di queste reti è gestita in Turchia da un uzbeco che ha legami con gli estremisti, i quali partono tranquillamente dall’aeroporto di Instanbul. Si dirigono anche negli USA, in Niger, Mauritiana, Ucraina e Afghanistan.

Fonte: theguardian.com

 

[14] Misure finanziarie cinesi contro gli USA

 

I colossi petroliferi cinesi Sinopec e PetroChina, controllati dallo Stato cinese, usciranno all’inizio di settembre dal listino della Borsa di New York, insieme ad altre due aziende statali, China Life Insurance e Aluminium Corporation of China (Chalco), la cui capitalizzazione complessiva si aggira attorno a 310 miliardi di dollari, circa la metà del valore di tutta Piazza Affari.

Il delisting (che di regola è una normale attività nel mercato dei capitali) rientra nelle misure finanziarie cinesi contro gli USA dopo la visita della Pelosi a Taiwan.

Manterranno invece le loro quotazioni sulle borse di Hong Kong e Shanghai. Il piano di delisting non comprometterà assolutamente la capacità di queste società di raccogliere fondi attraverso i mercati dei capitali nazionali ed esteri.

La decisione arriva nel momento in cui la Securities and Exchange Commission ha avvertito mesi fa che sono 273 le società cinesi quotate a Wall Street a rischio di espulsione perché non forniscono adeguate informazioni, cioè sono accusate di non fornire la stessa trasparenza di quelle americane alle Authority di Borsa.

Un problema però che non esiste nella Borsa di Shanghai, la terza al mondo dopo quelle di New York e Londra.

 

Debito americano alle stelle

 

Il debito delle famiglie statunitensi, costituito principalmente da mutui per l’acquisto di case, ammonta a 16.100 miliardi di dollari. È una vera e propria bomba finanziaria, in quanto è messo a repentaglio dall’aumento dell’inflazione, dai rincari nei tassi e dall’assenza di prospettive di rilancio del sistema.

L’indebitamento è arrivato al massimo storico: infatti è di oltre il 25% superiore ai livelli del 2008, prima della grande crisi mondiale fatta detonare dai mutui subprime.

 

La UE se la conosci, la eviti

 

L’Italia non è un Paese povero e non competitivo: è la seconda potenza manifatturiera d’Europa.

L’Italia è uno dei Paesi più ricchi e stabili che ci siano: il suo debito pubblico elevato è compensato da un debito privato molto basso.

L’Unione Europea e l’euro sono stati gestiti per privarci della nostra ricchezza.

Alla UE diamo molto di più di quanto ci torni indietro (circa - 3 miliardi di euro di saldo). Nonostante ciò i nostri governi non sono liberi nelle scelte di politica economica. Non abbiamo nessun tipo di sovranità.

In questi ultimi 30 anni siamo passati da essere la V potenza economica del mondo all’XI: abbiamo perso il 30% della nostra produzione e perso totalmente potere d’acquisto con gli stipendi che sono diminuiti di parecchio rispetto al costo della vita.

Il nostro Paese possiede la quarta riserva aurea del mondo (2.451 tonnellate), dietro solamente a USA, Germania e FMI, cioè più di Russia, Francia e Cina. Ma di questo oro solamente il 45% si trova fisicamente in Italia: per colpa di vari trattati internazionali il 43% del nostro oro è in territorio statunitense, il 6% in Svizzera e il restante 6% in Gran Bretagna. Ciò crea un grave problema di sovranità nazionale: infatti, in caso di fuoriuscita dell’Italia dalla NATO e/o dall’UE, verremmo sicuramente ricattati per la restituzione dell’oro (come sta succedendo oggi al Venezuela, che non riesce a ottenere dal Regno Unito i propri lingotti). Dovremmo farlo rientrare tutto.

Da quando l’Italia è entrata nell’Unione Europea (1992) e nell’Eurozona (1997 col rientro nello SME), è stata la nazione con più privatizzazioni rispetto agli altri Paesi. Ben il 10% di PIL, corrispondente a più di 100 miliardi di euro.

Veniamo da quasi 30 anni di tagli alla spesa pubblica: 900 miliardi di euro in meno dal 1992 a oggi.

La domanda interna è crollata dell’8,6%. La produzione industriale è crollata del 25,4%.

Le retribuzioni lorde sono state tagliate del 7%. Il reddito delle famiglie è sceso del 5,4%.

Il tasso di risparmio è passato dal 28% degli anni ’80 all’attuale 3%.

Il numero di poveri assoluti è triplicato, passando da 1,9 milioni (3,3%) del 2005 ai 5,6 (9,4%) del 2020.

Dal 1992 abbiamo dato più di 200 miliardi di euro alla UE, essendo noi contribuenti netti.

Col pretesto di un debito pubblico molto elevato, han fatto di noi quel che han voluto. Aspettiamoci di finire commissariati come la Grecia.

 

Stiamo attenti alle farse

 

Esistono innumerevoli intrecci tra capitali russi, cinesi e la finanza angloamericana.

La Bank of Comunications, una delle maggiori banche d’affari cinesi, è partecipata per il 13% dal governo cinese, mentre il resto delle partecipazioni è nelle mani delle grandi banche e dei grandi fondi d’investimento anglo-americani (Black Rock, Vanguard, HBC, Hong Kong Shangai Bank e Banca Centrale di Norvegia).

Gazprom è partecipata per il 50% dal governo russo, mentre l’altro 50% è in mano ai soliti fondi d’investimento anglo-americani e ancora alla Banca Centrale di Norvegia.

Anche il più importante fondo finanziario russo è partecipato dai soliti gruppi finanziari anglo-americani e ancora dalla Banca Centrale di Norvegia.

Fra pochi mesi l’attuale Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, sarà nominato Governatore della Banca Centrale di Norvegia!

È quindi chiaro che apparato industriale, grandi banche e governi (questi ultimi nominati dalle prime due entità) sono strumenti di un’unica classe dirigente internazionale che ha tentacoli ovunque.

Stoltenberg ne è l’esempio più eclatante: è stato Primo Ministro Norvegese (potere politico), poi nominato Segretario Generale della NATO (potere militare) e prossimamente sarà il Governatore della Banca Centrale norvegese (potere economico).

Quando parla è costretto a mentire.

Fonte: rumble.com

 

[15] Zelensky nella Conservapedia

 

La Conservapedia è l’enciclopedia dei conservatori americani. Uno si aspetterebbe l’apologia di quel neonazista di Zelensky che governa l’Ucraina. Invece tutto il contrario.

Zelensky è nato il 25 gennaio 1978: un acquario amante della pace! Sconosciuta la religione rivendicata. Infatti l’ebraismo lo sfrutta per i suoi sporchi interessi.

Ma veniamo alla carriera dittatoriale, che è tutta un programma. Non ha fatto il servizio militare, eppure è comandante in capo! Tre le sue credenze politiche: fascismo, globalismo e kakistocrazia (governo composto dalle persone kakistos, cioè peggiori, senza princìpi, senza scrupoli, inadatte al loro ruolo).

Strano che nei partiti politici di riferimento non abbiano messo quello che hanno inventato per lui: Servitore del popolo. Si sono limitati a Blocco fascista, Svoboda, Azov National Corp., Solidarietà Europea.

Il numero di morti che gli vengono attribuiti è oltre 30.000.

Zelensky viene definito come presidente clown, suprematista filo-occidentale, veemente russofobo, collaboratore neonazista e fantoccio di oligarchi (in particolare di Kolomoisky) e globalisti occidentali. È stato descritto come parte di una generazione di leader narcisisti Millenial.

Zelensky ha messo fuori legge la sua opposizione democratica, ordinato l’arresto dei suoi rivali e presieduto alla scomparsa e all’assassinio di dissidenti in tutto il Paese. Amnesty International ha accusato lui e il suo regime di crimini di guerra, anche perché hanno rifiutato di trattare un accordo di pace con le due Repubbliche del Donbass e con la Federazione russa.

Dopo aver assunto il ruolo di Capo di Stato, ha portato con sé, nel suo governo, il cast e la troupe della sua società di produzione multimediale: attori, sceneggiatori, cameramen, montatori cinematografici, addetti alla promozione e consulenti tecnici dei media.

Quando ha lavorato nell’industria dell’intrattenimento ucraino, in tre anni è diventato miliardario: già nel 2012 “Forbes” stimava il suo patrimonio netto in 15 milioni di dollari. Ma in due anni e mezzo della sua presidenza aveva accumulato 1,2 miliardi di dollari nella Dresdner Bank Lateinamerika in Costa Rica.

I suoi principali conti bancari sono tutti all’estero, come risulta dai “Pandora Papers” (gestiti più che altro dalla moglie). Probabilmente pensava di ripetere il suo exploit anche in questa guerra.

Formalmente fu eletto nel 2019 per combattere la corruzione e porre fine alla guerra nel Donbass. Cosa che Poroshenko non aveva voluto fare. Ma siccome anche Zelensky è figlio del colpo di stato di Maidan, sostenuto dagli Stati Uniti, nessuna sua promessa fu mantenuta. Era continuamente ricattato dai neonazisti.

Lo scopo del golpe era quello di facilitare interessi corporativi occidentali per acquistare beni precedentemente di proprietà statale. In questo saccheggio anche la famiglia Biden è coinvolta.

Quando i russi il 24 febbraio hanno condotto un’incursione per porre fine alla guerra del Donbass, in cui organizzazioni paramilitari neonaziste sponsorizzate dallo Stato hanno ucciso oltre 13.000 civili dal 2014, Zelensky ha fatto saltare in aria i ponti per impedire ai russi di avanzare, ha liberato le carceri e ha armato bande di criminali, ha messo fuorilegge tutti i partiti e i media di opposizione, ha permesso l’uso di civili come scudi umani, e ha rifiutato i corridoi umanitari per la loro evacuazione dalle città bombardate, anzi ha chiesto al comando militare di utilizzare combattenti di difesa territoriale (anche privi di esperienza militare) contro l’esercito professionale russo. E ha invitato mercenari di tutto il mondo a venire a difendere il suo Paese aggredito, inondando il mondo di notizie false.

Le atrocità e il genocidio della guerra nel Donbass sono stati ampiamente ignorati dai media occidentali sin dal loro inizio. Eppure nel dicembre 2021 Zelensky conferì in parlamento al comandante fascista di Pravy Sektor, Dmytro Kotsyubaylo, il premio “Eroe dell’Ucraina”.

Il Pravy Sektor è stato profondamente coinvolto nel colpo di stato di Maidan, nel massacro della Casa dei sindacati di Odessa e nell’uccisione di migliaia di civili di etnia russa nel Donbass dal 2014.

Probabilmente di fronte all’indifferenza dell’occidente Zelensky si è illuso che le truppe della NATO e la copertura aerea avrebbero difeso il suo regime dittatoriale dall’invasione russa, pur sapendo che il suo Paese ancora non faceva parte dell’Alleanza.

Oggi sfrutta la sua nazione solo per avere denaro straniero. Lui non si preoccupa di nulla: con la cittadinanza britannica che Johnson gli ha regalato può fuggire dall’Ucraina in qualsiasi momento.

Fonte: conservapedia.com/Volodymyr_Zelensky

 

Siamo al delirio

 

Il presidente dell’Ucraina, Zelensky, ha detto: “Ogni soldato russo che spara alla centrale nucleare di Zaporizhzhia o spara sotto la copertura della centrale deve capire che sta diventando un obiettivo speciale per la nostra intelligence, per i nostri servizi speciali, per il nostro esercito”.

Una dichiarazione da ubriaco. Non possono essere i russi a sparare su una centrale che controllano dall’inizio della guerra e che dà il 20% dell’elettricità all’intera nazione, e quindi anche al Donbass. Non è da lì che lanciano missili contro le forze armate ucraine. Semmai da lì cercano d’intercettare i loro missili, proprio per impedire alla centrale di esplodere.

Piuttosto è vero che, a causa dei continui bombardamenti delle forze armate ucraine con HIMARS MLRS di fabbricazione statunitense, la centrale idroelettrica Kakhovskaya è passata al lavoro in modalità pre-emergenza (tre delle sei turbine sono state spente). Queste interruzioni dei sistemi di generazione di energia e di scarico dell’acqua potrebbero danneggiare il sistema energetico combinato e influire negativamente sul raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhya: il che non solo interromperebbe le forniture di elettricità anche al territorio temporaneamente sotto il controllo ucraino, ma potrebbe anche provocare un disastro ambientale nella regione. Non dimentichiamo che è la più grande d’Europa.

Naturalmente le nazioni del G7 han chiesto a Mosca di ritirarsi dall’impianto per evitare il rischio di una catastrofe nucleare. Cioè invece di chiedere a Kiev di smettere di bombardarla, han chiesto ai russi di arretrare per permettere agli ucraini di avanzare.

Intanto il Segretariato delle Nazioni Unite ha bloccato, inspiegabilmente, la visita dei rappresentanti dell’AIEA alla centrale nucleare di Zaporizhzhya. Quasi sicuramente per non far vedere che Zelensky, quando parla, non sa quel che dice.

In ogni caso nessuno alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU ha sostenuto la versione demenziale di Kiev. La visita del capo della AIEA alla centrale si svolgerà appena possibile.

 

Israele si scava la fossa con le proprie mani

 

Il 14 agosto tre soldati siriani sono stati uccisi e molti altri sono rimasti feriti negli attacchi dell’aviazione israeliana nelle vicinanze di Damasco e nella provincia di Tartus, sulla costa mediterranea. Sortite bellicistiche di questo genere Israele le fa di continuo in Siria, col pretesto di bombardare delle postazioni iraniane. Questo sulla base del principio dell’attacco preventivo.

È abbastanza singolare che un Paese confinante si comporti in questa maniera nei confronti della Siria. Non vi è stata, dal 1974 ad oggi, una dichiarazione di guerra tra i due Paesi. I conflitti sono di molto precedenti: la guerra arabo-israeliana del 1948, quella del Kippur nel 1973 e, in mezzo, quella dei Sei giorni del 1967, che vide contrapposti Israele e le nazioni confinanti Egitto, Siria e Giordania. Peraltro proprio in questa guerra Israele occupò le alture siriane del Golan e non le restituì più. Da allora la Siria ha sempre detto che se quelle alture le venissero restituite, sarebbe disposta a riconoscere a Israele il “diritto all’esistenza”.

Ancora più singolare è che nessun Paese europeo condanni Israele per questi atteggiamenti privi di qualunque giustificazione: dalla Siria non arrivano razzi o missili contro gli israeliani.

A dir il vero il suddetto raid una motivazione ce l’ha: Tartus ospita l’unica basa navale russa nel Mediterraneo. Il bersaglio era una postazione radar dove sono presenti milizie iraniane. La città era già stata colpita da missili israeliani lo scorso novembre. È quindi evidente che Israele ha compiuto una cosa provocatoria su richiesta degli americani.

Israele è un Paese nato nel 1947 per volere dell’ONU: la risoluzione n. 181 ebbe 33 voti a favore contro 13 e con 10 astensioni. Da allora non c’è mai stato un momento in cui Israele non abbia costituito un serio problema per il Medio Oriente.

 

[16] Di cosa è fatta la propaganda ucraina?

 

I principali meccanismi di lavoro dei media ucraini sono i seguenti.

- Gonfiare successi reali e mettere a tacere sconfitte ed errori. Sullo sfondo dei fallimenti delle forze armate russe nei primi giorni dell’operazione speciale, gli operatori dei media ucraini sono stati in grado di creare un’immagine della forza disordinata dell’esercito russo agli occhi del pubblico nazionale e internazionale.

Di conseguenza una parte considerevole degli ucraini oggi è fiduciosa nella possibilità di vittoria delle loro forze armate, sebbene siano sempre meno quelli che vogliono precipitarsi in prima linea. Ciò è facilitato dalle dichiarazioni della dirigenza di Zelensky, che parla dell’inevitabilità della vittoria dell’Ucraina sulla Russia.

- In assenza di veri successi, la parte ucraina ripete continuamente le informazioni sulle vittorie virtuali. Ad es. quando i loro media hanno riferito che le forze armate ucraine avevano “liberato” 53 villaggi nella regione di Kherson, hanno taciuto sui nomi e le posizioni degli insediamenti. Allo stesso tempo nel titolo è stata inserita una frase simile: “Le forze armate ucraine hanno liberato altri sette villaggi nella regione di Kherson”. Sono tutte fake news.

- Da mesi è avvenuta un’epurazione dei media dell’opposizione. Le partecipazioni mediatiche di Viktor Medvedchuk e Renat Akhmetov sono scomparse, e Zelensky è riuscito a tenere a freno il principale concorrente nella persona di Poroshenko. All’inizio di agosto le autorità ucraine hanno chiuso l’ingresso nel Paese al presentatore televisivo Savik Shuster, che periodicamente faceva da opposizione al regime. Ora è rimasto solo un risicato numero di oratori che possono criticare il regime di Zelensky, ma non ci sono più oratori filorussi o opinionisti in generale nel Paese.

- In Ucraina i russi vengono attivamente disumanizzati: questo sta accadendo non solo nei confronti del personale militare e dei politici, ma dell’intera popolazione della Federazione, senza eccezioni. Tra i soprannomi “orchi” è il più innocuo.

Qualsiasi tragedia accaduta in Russia viene ridicolizzata. Di conseguenza non solo il personale militare delle forze armate ucraine, ma anche i normali ucraini considerano i russi “subumani”, che possono uccidere impunemente. Una tale politica è incoraggiata dalla leadership del Paese e viene supinamente accettata anche dai media stranieri.

- È importante per i media ucraini creare l’illusione di un potente movimento partigiano nei territori liberati. Non a caso pubblicano regolarmente foto di volantini di “partigiani ucraini”, che dicono di trovare appese o incollate negli edifici. Ma molte di queste foto sono una pura finzione, anche se possono indurre i cittadini dei territori controllati dai russi a commettere attacchi terroristici e sabotaggi.

- I media ucraini contrappongono sempre l’Ucraina, come Paese che lotta per un “futuro europeo luminoso”, alla Russia conservatrice e arretrata, nonostante la deplorevole situazione dell’economia anche prima dell’operazione speciale: la metà della popolazione viveva in miseria per colpa degli oligarchi e delle multinazionali straniere.

- All’inizio dell’operazione speciale la popolazione ucraina sosteneva massicciamente le loro forze armate, raccogliendo i fondi per droni, munizioni e automobili. Ora però l’ondata di sostegno popolare si sta attenuando a causa della mancanza di risultati reali e anche perché sono calati parecchio i redditi della popolazione.

Tuttavia i media ucraini continuano a far circolare immagini sul sostegno di massa all’esercito ucraino. Un vivido esempio di tale attivismo è la campagna per raccogliere fondi per i droni Bayraktar, organizzata dal presentatore televisivo Sergei Prytula.

- Gli sforzi dei media in Ucraina creano la sensazione di una “guerra popolare” massicciamente sostenuta. Ciò consente di ottenere la totale tacita approvazione dell’attuale politica e il livellamento di eventuali proteste.

Tuttavia le autorità ucraine stanno utilizzando attivamente meccanismi repressivi di non poco conto: per es. sono riuscite ad assicurare un afflusso costante di coscritti nell’esercito.

 

C’è un limite a tutto

 

L’Europa, presa dal panico per l’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari, potrebbe “tradire” l’Ucraina quest’inverno. Lo scrive Simon Tisdall in un articolo per “The Guardian”.

Gli ucraini ci hanno sopravvaluto nella partecipazione corale e idealistica alla loro resistenza armata.

Inoltre Tisdall ha definito delirante il ministro degli Esteri britannico Liz Truss per aver chiesto che la Russia si ritiri dalla Crimea e ritorni nei confini che esistevano prima del 2014.

Cioè se l’occidente voleva combattere con proprie truppe in Ucraina, a quest’ora l’avrebbe già fatto. È quindi evidente che non c’è nessuna volontà di farlo, nonostante le minacce del soldatino Stoltenberg, che però non vede l’ora di andare a dirigere la Banca centrale della sua Norvegia, che fino a ieri faceva affari proprio con la Gazprom russa e che oggi non sa come rinunciarvi, in quanto la Banca centrale russa ha ordinato agli attori del mercato d’interrompere l’esecuzione di tutti gli ordini provenienti da entità straniere volti alla vendita dei titoli russi.

L’articolo si conclude con la previsione che a un certo punto l’Unione Europea costringerà l’Ucraina a firmare un accordo di pace con la Russia proprio per alleviare le sofferenze economiche della stessa Europa.

Come siamo idealisti quando lo stomaco brontola!

 

[17] Cosa vuole veramente Dugin?

 

Continuo a capire poco Aleksandr Dugin, fondatore del movimento neo-euroasiatico.[1] Contesta, giustamente, il neo-liberismo americano, in quanto lo considera individualistico, ma non contesta il concetto di “civiltà”. Sembra che voglia una potenza “tellurica” (estesa dal Pacifico all’Atlantico) contrapposta alla potenza “talassocratica” rappresentata dagli USA. Ma in questa maniera ipostatizza l’esistenza degli “imperi” (come fa la geopolitica).

Ha un concetto di democrazia che si basa sul rispetto reciproco di imperi non democratici. Dà per scontato che la democrazia sia solo uno strumento per delimitare dei confini di tipo geopolitico tra imperi, che non devono avere la pretesa di porsi in maniera universale. Il neo-liberismo americano va combattuto proprio perché manifesta tale pretesa.

Ma l’alternativa qual è? Non c’è un’alternativa, se non una diversità da far valere. Il mondo è multipolare proprio nel senso che nessun impero ha il diritto d’imporsi sugli altri.

Secondo lui l’individualismo americano ha tanto più potuto condizionare l’identità europea, quanto più questa si è allontanata dai rapporti con la Russia, che ha un’identità collettiva per eccellenza, avendo essa radici contadine e tradizioni ortodosse molto antiche.

Di conseguenza la Russia, non trovando più in Europa un supporto al proprio collettivismo, è stata costretta ad asiatizzarsi. Il supporto è praticamente finito con le idee del socialismo scientifico. Non a caso Dugin è stato anche un fondatore del partito nazionalbolscevico russo.

Questa associazione di nazionalismo e bolscevismo è piuttosto insolita, in quanto il bolscevismo non era affatto nazionalistico. Dugin sembra concedere molto al nazionalismo, poiché riconosce particolare importanza alle tradizioni ortodosse della Russia. Ma, così facendo, è lontanissimo dal bolscevismo di Lenin.

Tuttavia vi è un altro aspetto controverso nella sua filosofia. Egli sembra non capire che l’individualismo americano (per quanto estremistico sia), non è una caratteristica nativa degli Stati Uniti, ma un prodotto derivato dalla cultura euro-occidentale.

L’individualismo borghese è nato mille anni fa nei Comuni italiani di matrice cattolica, e si è poi diffuso ancor più negli Stati europei di religione protestantica. Gli USA, figli del calvinismo, non hanno fatto altro che portare all’eccesso questo individualismo, il quale ha pesantemente condizionato, sin dai tempi di Pietro il Grande, la stessa Russia europea. E ciò è avvenuto anche sotto lo stalinismo, che, pur avendo statalizzato la proprietà dei mezzi produttivi, era favorevole al culto della personalità.

Questa civiltà individualistica del mondo euro-americano è incompatibile con qualunque altra civiltà, cioè non è in grado di rispettare identità, culture, valori diversi dai propri. Può soltanto imporsi con la forza, sia essa culturale, economica, tecnico-scientifica o militare.

Dugin è consapevole di questa arroganza euro-americana, ma pensa di ovviarla ribadendo il valore della civiltà pre-borghese (slavofila), cioè quella medievale (autocratica) della Russia, contadina e ortodossa, che però, in un certo senso, non esiste più o è molto minoritaria, soprattutto nell’area europea della Federazione.

Ora poniamoci questa domanda: si può davvero recuperare la pre-modernità in un’ottica post-moderna? Secondo me è possibile farlo solo a una condizione, che nel mondo pre-borghese o pre-individualistico esista un vero concetto di democrazia e di socialismo. Si può essere sicuri di trovare ciò nell’attuale Federazione Russa? Di sicuro non nell’area europea. E considerando che l’area asiatica della Federazione è sempre stata oggetto di colonizzazione culturale da parte dell’area europea della cosiddetta “Grande Russia”, è dubbio che questo obiettivo possa realizzarsi in Russia.

Solo una persona molto sprovveduta potrebbe non vedere che in tutta la Russia non esiste più la cultura medievale (quella dell’obščina), se non in zone molto limitate, del tutto ininfluenti rispetto alla Federazione.

D’altra parte l’unica epoca veramente democratica e socialista è stata quella antecedente non solo al mondo borghese, ma anche a quello feudale e a quello schiavile: è il mondo del comunismo primitivo, anch’esso praticamente scomparso dalla Russia (di sicuro nell’area europea). Se non si recupera questo mondo primitivo in chiave moderna, qualunque contrapposizione tra civiltà contemporanee lascia il tempo che trova. Alla fine si rischia soltanto di fare un’apologia del nazionalismo. Cioè quel razzismo che si contesta all’unipolarismo occidentale, che pretende di uniformare a sé il resto del mondo, lo ritroviamo nell’affermazione di un nazionalismo culturalreligioso che, per difendersi, non vuole avere rapporti con nessun altro nazionalismo.

Ha senso che un nazionalismo pretenda d’essere lasciato in pace nel mentre vive la propria fittizia democraticità? Ha senso il recupero della “sacralità delle proprie tradizioni”, quando non è possibile definire “democratiche” delle tradizioni solo perché sono antiche? Una tradizione di per sé non è più vera di una innovazione, esattamente come la memoria non è di per sé più autentica del desiderio, né l’ateismo è di per sé meno democratico della religione. Neppure ha senso pensare che di fronte all’obiettivo di realizzare un socialismo davvero democratico, una religione possa essere considerata migliore di un’altra.

Alla fine la posizione di Dugin pecca d’ingenuità, poiché si trova a condividere, in nome di un “nazionalismo identitario”, le idee dei movimenti nazionalistici occidentali, che di democratico non hanno assolutamente nulla. Il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli non implica, di per sé, il rispetto di quelle classi sociali che all’interno di una popolazione nazionale, vivono sfruttando il lavoro altrui.

Il duginismo simpatizza per il putinismo in quanto quest’ultimo si pone come un’ideologia nazionalistica e religiosa con cui si cerca di regolamentare in campo economico il capitalismo, che da privato (quello degli oligarchi al tempo di El’cin) è diventato statale. Ma la democrazia e il socialismo sono un’altra cosa.

Fonti:

sadefenza.blogspot.com/search?q=dugin

conflittiestrategie.it/il-saggio-di-russia-intervista-in-esclusiva-ad-aleksandr-dugin-di-g-campa-trad-di-a-fais

 

Quale socialismo quale democrazia

 

Il 15 agosto Gennady Zyuganov, leader del Partito comunista russo, ha pronunciato un discorso solenne in cui, tra le altre cose, ha detto:

“Solo nell’unità dei popoli di Russia, Bielorussia e Ucraina, sotto la bandiera del socialismo e della democrazia avremo tutti la possibilità di sopravvivere in questo mondo in rapido cambiamento. La denazificazione dovrebbe essere seguita dalla deoligarchia sia in Ucraina che nella stessa Russia. Facciamolo e saremo invincibili!”

Osservazioni:

1) La Federazione russa è composta più da popoli asiatici che europei, e sono soprattutto questi popoli che stanno combattendo in Ucraina.

2) Certamente l’unione di socialismo e democrazia rappresenta il futuro dell’umanità, ma se il socialismo che si ha in mente è una riedizione dello statalismo di marca stalinista o maoista, o anche solo una variante del capitalismo di stato, oppure un mix tra autoritarismo politico e liberismo sociale (come in Cina), allora siamo completamente fuori strada.

3) La democrazia non può più ridursi a una rappresentanza parlamentare nazionale senza una contestuale democrazia diretta a livello locale. Solo i cittadini possono dare un valore reale al concetto di democrazia.

 

[18] Giornalismo italiano e autodeterminazione dei popoli

 

Ancora oggi, quando i giornalisti italiani parlano della Crimea e del ruolo dei russi, i verbi che usano sono “occupare” o “invadere”. La Crimea (che fu russa dal 1784 al 1954) non avrebbe chiesto liberamente di passare sotto la Federazione russa, ma sarebbe stata condizionata a farlo dalla presenza militare dei russi. Dimostrano di non conoscere “il diritto all’autodeterminazione dei popoli”. Non riescono ad accettare l’idea che il popolo viene prima dello Stato o della nazione. Questa ignoranza abissale in campo storico, politico e giuridico non deriva solo dalla loro mancanza di professionalità, ma anche dal fatto che quando esaminano le vicende in cui è coinvolta la Russia si dimostrano sempre viziati da un pregiudizio ideologico di fondo.

Quando in Crimea si formò, nel marzo 2014, un nuovo governo, in opposizione al golpe neonazista di Kiev, si indisse un referendum per chiedere alla popolazione se accettava l’idea di “indipendenza” o no. Era evidente che una richiesta del genere poteva essere fatta a una popolazione già in larga maggioranza russofona o filorussa.

Il governo di Kiev reagì immediatamente allertando le forze di sicurezza e minacciando di sciogliere il parlamento della penisola se non si fosse rinunciato all’iniziativa. In effetti il suddetto parlamento aveva già votato con una maggioranza schiacciante l’indipendenza dall’Ucraina. L’iniziativa referendaria doveva servire per verificare come avrebbe reagito la popolazione.

Mosca appoggiava l’idea della consultazione popolare e si chiedeva come, in caso di vittoria dei sì, avrebbe potuto far entrare la Crimea nella Federazione. Viceversa, nello stesso mese di marzo sia gli USA che la UE si erano messi dalla parte di Kiev. Sembrava loro un’assurdità il diritto all’autodeterminazione dei popoli, soprattutto se questo diritto andava a ledere il principio dell’integrità e sovranità nazionale dell’Ucraina. Eppure quel diritto è stato elaborato proprio nell’Europa occidentale nel corso di vari secoli, quando si sono formate le nazioni borghesi contro gli imperi feudali.

Una situazione analoga si ripeterà nel 2017 nel conflitto politico tra Spagna e Catalogna. Tra l’altro, sempre nel 2014, vi era stato anche in Scozia un analogo referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, che però fu vinto dai no col 55% dei voti. Tuttavia la Brexit ancora non esisteva. Quest’anno il referendum verrà riproposto, poiché gli scozzesi erano contrari alla Brexit per il 62%.

La stessa Ucraina nel 1991 propose alla popolazione di esprimersi sulla seguente domanda: “Approvi l’Atto di Dichiarazione d’Indipendenza dell’Ucraina?” (un Atto già adottato dal parlamento). I sì furono il 90%, con un’affluenza dell’84%.

Nel 2008 il Kosovo addirittura aveva dichiarato in maniera unilaterale la propria indipendenza dalla Serbia, senza neppur consultare la popolazione; e nessun Paese occidentale fece rimostranze, né avrebbe potuto farle, visto che aveva favorito la fine della Jugoslavia come Stato nazionale confederato.

Questo per dire che lo strumento del referendum popolare è per sua natura democratico, mentre non lo è una dichiarazione unilaterale da parte di un governo in carica.

Se davvero esistesse la democrazia in tutto il mondo, ogni minoranza etnico-linguistica, presente all’interno di una nazione, dovrebbe essere dotata di un proprio parlamento, e attraverso questo il governo in carica dovrebbe chiedere alla popolazione da che tipo di “forma statuale” fasi rappresentare. La stessa Costituzione dovrebbe essere frutto di un’espressione popolare.

Un giornalista che non capisce queste cose, dovrebbe cambiare mestiere.

 

*

 

Nei confronti del referendum della Crimea anche la cancelliera Merkel era contraria e minacciava sanzioni economiche a carico della Russia. Eppure la Germania è uno Stato federale. Strano che la Merkel non abbia mai chiesto al governo ucraino di darsi una forma statuale di tipo federale: forse la Crimea non avrebbe avuto bisogno di chiedere l’indipendenza. Evidentemente anche la Merkel era viziata dai suoi pregiudizi di fondo.

Fatto sta che quando si tenne il referendum, l’affluenza fu circa dell’82% e i favorevoli alla secessione quasi il 97%. Si astennero o votarono contro solo i tatari. Furono presenti osservatori di vari Paesi europei, che poterono constatare l’assenza di brogli. Agli elettori era stato chiesto se preferivano riunificarsi alla Russia o se ritornare alla Costituzione del 1992 e quindi allo status della Crimea come parte dell’Ucraina.

La Crimea quindi non è stata occupata o invasa o annessa con la forza, ma semplicemente riconosciuta all’interno della Federazione russa come repubblica, inclusa la città di Sebastopoli, che gode di uno statuto speciale dentro la Crimea.

L’opera di secessione che è stata compiuta assomiglia molto a quanto avvenuto nel Sudan. Il Sudan del Sud è diventato uno Stato indipendente nel 2011 a seguito di un referendum passato con il 98,83% dei voti. Nessun Paese occidentale ha protestato. Anzi, oggi il Sud Sudan è un Paese membro delle Nazioni Unite, dell’Unione africana e dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo.

Non c’è neppure bisogno che vi sia un consenso unanime tra le parti in causa, come invece accadde quando si separarono Cekia e Slovacchia nel 1993. È sufficiente che sia ben chiara la volontà popolare.

Invece, nel caso della Crimea, subito dopo il referendum sia la UE che gli USA cominciarono a bloccare i conti correnti esteri di varie personalità russe, crimeane e ucraine filorusse. Un provvedimento assurdo, che andava a colpire singole persone, mentre l’iniziativa aveva avuto un contenuto politico-popolare.

Nel parlamento russo vi fu un solo voto contrario al riconoscimento dell’incorporazione. La repubblica di Crimea avocò a sé, per garantirsi la sicurezza energetica, le industrie petrolifere di Feodosia.

Il presidente americano Obama cominciò a lanciare degli ultimatum alla Russia, facendo chiaramente capire che il referendum veniva rifiutato per motivi geopolitici. Cioè gli USA non volevano che la Russia tornasse a essere potente come un tempo: tutto l’occidente la preferiva debole.

Mosca si rendeva conto che la soluzione referendaria appariva inaccettabile all’occidente: per questo Putin propose una soluzione federalista. Ovviamente Obama non era contrario al federalismo. Kiev però non ne voleva sapere, in quanto temeva la frantumazione del Paese, essendo un coacervo di popolazioni, etnie, lingue e religioni molto diverse tra loro. In ogni caso per garantire una soluzione federalista sarebbero occorsi molti osservatori internazionali (come quelli p.es. dell’OSCE) per un tempo non breve.

Peraltro incorporare la Crimea sarebbe stato per la Russia molto oneroso. La penisola infatti dipendeva per l’80% dall’Ucraina per la fornitura di acqua, gas e petrolio. E Mosca si era dovuta accollare anche il pagamento delle pensioni e delle prestazioni sociali per due milioni di persone. Per far fronte a queste spese era stata costretta ad annullare lo sconto sul gas all’Ucraina, che concedeva in cambio dell’uso della propria flotta navale nel Mar d’Azov.

La guerra civile contro il Donbass iniziò subito dopo l’incorporazione della Crimea, proprio perché altre popolazioni russofone o filorusse volevano staccarsi dal governo neonazista di Kiev, il quale, non a caso, rifiutava di riconoscere qualunque vera autonomia amministrativa e politica alla regione del Donbass.

Verso la metà di aprile 2014 Putin dichiarò che la guerra civile era alle porte. Per questo motivo chiedeva di disarmare tutti i gruppi militari illegali, di fare un referendum per modificare la Costituzione in senso federalista e d’inviare una missione di pace dell’OSCE là dove gli scontri erano maggiori (Doneck, Lugansk, Charkov, Kramatorsk, Slavjansk…). Con un decreto riabilita i tatari della Crimea, ma vuole proteggere anche altre minoranze presenti nella penisola (armeni, tedeschi e greci), per dimostrare la sua buona volontà. Propone anche una nuova legge con cui dare la cittadinanza ai russi sparsi nelle repubbliche ex-sovietiche.

Tuttavia l’occidente è irremovibile: la Crimea va restituita all’Ucraina. Kiev inasprisce le pene per i separatisti. La NATO inizia a rafforzarsi soprattutto in Polonia e nei Paesi Baltici. Alcuni osservatori dell’OSCE vengono accusati dai separatisti del Donbass di essere delle spie al soldo della NATO.

Convinto di essere protetto dalla NATO, il governo di Kiev blocca l’afflusso di acqua potabile alla Crimea, che è autonoma solo per il 20%. Agli inizi di maggio avviene la cosiddetta “strage di Odessa” nel palazzo dei sindacati. Viene compiuta dai neonazisti ucraini, nessuno dei quali verrà mai processato. Inoltre, siccome si vuole lo scontro a tutti i costi, Kiev si rifiuta di pagare i suoi debiti energetici alla Russia (3,5 miliardi di dollari). Per tutta risposta la Gazprom taglia le forniture di gas all’Ucraina.

Putin si sta convincendo che, stante la situazione, è meglio “asiatizzare” la Russia, cercando rapporti commerciali e intese politiche con Cina, India e la nuova Unione Economica Eurasiatica (Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan). Non a caso al G7 del giugno 2014 la Russia viene esclusa.

La UE però è molto preoccupata dal taglio del gas all’Ucraina, poiché il 50% del gas che riceve, passa proprio attraverso questo Paese. Di qui l’idea di costruire il Nord Stream 2 che affianchi il Nord Stream 1 nel Mar Baltico.

A Mosca si sta cominciando a pensare d’inviare truppe in aiuto ai filo-russi del Donbass, chiaramente in difficoltà nei confronti dell’esercito ucraino. Quest’ultimo, per allargare il conflitto a livello internazionale, abbatte il 7 luglio un Boeing delle linee della Malaysia sui cieli dell’Ucraina con un missile, e ovviamente viene data la colpa ai filo-russi del Donbass. È l’inizio delle fake news anti-russe.

Mosca chiede una missione umanitaria per aiutare le centinaia di migliaia di profughi che fuggono dal Donbass. Ma l’occidente non fa nulla per realizzarla. Anzi, quando vede che Mosca invia centinaia di camion con aiuti alimentari, la Croce Rossa li vuole controllare tutti per verificare che non vi siano armi.

Alla fine di agosto 2014 varie truppe russe sono entrate nel Donbass. Per tutta risposta il governo inglese chiede una forza di rapido intervento di uomini e mezzi moderni composta da militari di Danimarca, Paesi Baltici, Norvegia e Olanda. Il governo ucraino chiede che il proprio Paese entri immediatamente nella NATO.

Agli inizi di settembre l’esercito di Kiev è sbaragliato in una battaglia dalle forze filo-russe della repubblica di Lugansk. Ma Putin cerca ancora una soluzione diplomatica. Elabora un piano per la cessazione delle operazioni belliche; pretende che le forze ucraine arretrino a una distanza di sicurezza e vuole che questo spazio venga controllato a livello internazionale, aumentando anche gli osservatori dell’OSCE. Ritiene disumano bombardare i civili, anzi vuole che nel Donbass si creino dei corridoi umanitari per permettere la loro evacuazione.

Il governo di Kiev non sarebbe contrario a concedere alle due repubbliche del Donbass una maggiore autonomia amministrativa e l’uso della lingua russa, se questo potesse servire a far rientrare i militari russi nei loro confini. Tuttavia il governo neonazista è in mano agli americani, che non solo lo finanziano, ma anche armano e addestrano le sue forze armate, per cui qualunque accordo coi russi o filo-russi diventa sempre molto relativo. Non per nulla gli USA stanno già pensando di utilizzare le truppe NATO stanziate in Romania e Polonia per un pronto intervento.

Gli USA, infatti, non hanno alcun dubbio che se il conflitto del Donbass si allarga, costringendo i russi a intervenire con maggiore ampiezza di mezzi e uomini, la NATO non avrà alcuna difficoltà a vincere la guerra. Anche tutta la UE è della stessa convinzione. Tant’è che la stessa UE, nonostante le tregua, decide di mettere in pratica nuove sanzioni contro la Russia, soprattutto nel settore petrolifero, proprio in segno di sfida. Gli occidentali sono convinti di essere ancora al tempo di El’cin, quando la Russia si era ridotta a una larva. Non riescono neppure a capacitarsi che Putin sia in grado di porre controsanzioni nei confronti dei Paesi ostili.

In poche parole nel Donbass continua la guerra civile, al punto che, considerando i morti (già 2.500), le distruzioni degli edifici e delle infrastrutture e il numero dei profughi (circa un milione) che chiedono asilo a Mosca, si comincia a parlare di “genocidio”. E siamo sempre nel 2014!

Putin stringe accordi commerciali sempre più solidi coi Paesi asiatici e a dicembre sospende il progetto del South Stream, in quanto giudica la Bulgaria un partner non affidabile. In politica estera inizia trattative coi governi di Cuba, Venezuela, Nicaragua e Argentina per installare delle basi militari in questi Paesi.

Intanto in Russia appare sempre più evidente che la popolazione non riesce ad accettare l’idea che l’Ucraina chieda di entrare nella NATO, ovvero che ceda agli USA dei territori abitati da 15 milioni di russi, o che si trasformi il Mar Nero in un lago della NATO, o che venga considerato Stefan Bandera un eroe nazionale, quando invece collaborò coi nazisti per eliminare i sovietici, o che s’impedisca ai russofoni (il 29% della popolazione) di parlare la loro lingua... Russia, Bielorussia e Ucraina devono far parte dell’Unione Eurasiatica, poiché ciò ha fondamenti storici incontrovertibili.

 

I costi dell’energia ci stanno atterrando

 

Il caro energia cos’è? Ce lo spiega su ilmessaggero.it una impresa conserviera, in piena campagna per la produzione di conserve di pomodori, la Fiammante di Buccino (SA).

Francesco Franzese, CEO de La Fiammante, mette sul proprio profilo social due bollette del gas relative a luglio 2021 e luglio 2022: la prima è di oltre 120 mila euro, la seconda di oltre 978 mila euro. E questo per lavorare solo 15-20 giorni di luglio!

Ma i politici han capito che le sanzioni contro la Russia hanno un effetto ritorsivo?

Nel Regno Unito è uguale. Secondo uno studio di Citizens Advice, il 24% dei britannici non sarà in grado di pagare le bollette dell’elettricità a ottobre. A inizio 2023 la percentuale potrebbe salire al 34%. Questo perché la maggioranza delle persone (68%) guadagna meno di 30.000 sterline all’anno.

E, si badi, la guerra russo-ucraina in sé e per sé non è determinante. L’ENI (gruppo del petrolio e del gas partecipato dal Tesoro) ha realizzato 7 miliardi di utili nel primo semestre 2022, contro gli 1,1 miliardi dei primi sei mesi del 2021.

Gli utili rappresentano i ricavi meno i costi. Quindi gli aumenti che stiamo pagando non sono il frutto di maggiori costi che loro stanno sostenendo: è solo cinica speculazione. Nel 2022 il prezzo medio del barile di petrolio Brent è salito a 113,78 dollari, in aumento del 68%, e il prezzo spot del gas al punto di scambio virtuale italiano si è impennato a 1.032 euro per mille metri cubi contro i 264 del 2021 (+291%).

È evidente che in queste condizioni le piccole imprese sono destinate a scomparire, andando a ingrossare le file delle famiglie più disagiate. Dopo hai voglia a parlare di reddito energetico finalizzato all’autoconsumo grazie al fotovoltaico. Obiettivi di questo genere non si realizzano in tempi brevi.

Fonte: tpi.it

 

[19] Altra mazzata contro l’occidente

 

La Russia propone un nuovo standard internazionale per il commercio dei metalli preziosi: il Moscow World Standard (MWS), che diventerà un’alternativa alla London Bullion Market Association (LBMA), la quale Associazione, pur senza possedere materie prime, manipola sistematicamente i mercati dei metalli preziosi per abbassarne i prezzi.

La Russia vuol dare il potere alle nazioni che hanno le materie prime di definire anche il loro valore. Sarà una nuova struttura internazionale indipendente, necessaria per normalizzare il funzionamento del settore dei metalli preziosi.

È stato inoltre proposto un comitato per la fissazione dei prezzi dei metalli preziosi composto dalle banche centrali e dalle maggiori banche dei Paesi membri dell’Unione economica eurasiatica (Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Russia), che attualmente sono presenti sul mercato dei metalli preziosi.

Secondo il Ministero delle Finanze russo i prezzi dei metalli preziosi saranno fissati nelle valute nazionali dei principali Paesi membri o utilizzando nuove unità monetarie utilizzate nel commercio internazionale, come ad es. la nuova valuta dei BRICS proposta da Putin.

Il Ministero delle Finanze vuole rendere l’adesione a questa organizzazione attraente per tutti gli operatori di mercato, in particolare per Cina, India, Venezuela, Perù e altri Paesi del Sud America, oltre che per l’Africa. L’obiettivo è distruggere rapidamente il monopolio della LBMA e garantire uno sviluppo stabile del settore dei metalli preziosi.

Chiunque è in grado di capire che se si crea un mercato per l’oro, il platino, ecc., regolato dai Paesi che possiedono o controllano le risorse di questi metalli, scoppierà una rivoluzione. Sulla base di questo nuovo mercato si svilupperà un sistema di commercio bilaterale in valute nazionali, che esclude specificamente dollari, euro e sterline.

Questa è l’ennesima pietra tombale sui Paesi e sulle economie occidentali. Ricordiamo che la quota di produzione degli Stati Uniti e di altre nazioni ostili alla Russia produce un totale complessivo del 22% dell’oro mondiale. Senonché Eurasian Economic Union, BRICS e Africa, insieme, ne producono il 57%. Se aggiungiamo Perù e Venezuela si arriva al 62%.

Fonte: zerohedge.com

 

L’ipocrisia degli aiuti alimentari

 

A quanto pare le navi piene di cereali, che hanno lasciato i porti ucraini, non vanno nei Paesi colpiti da siccità e carestia, come Somalia, Etiopia o Yemen, ma vanno dove ci sono acquirenti: una in Inghilterra, una in Irlanda, altre si dirigono verso l’Italia e la Cina. Lo scrive il “New York Times”.

La Razoni (battente bandiera della Sierra Leone), la prima nave partita dall’Ucraina carica di grano, è scomparsa. Lo sostiene il giornale tedesco “Zeit Online”.

All’inizio si era ancorata vicino al porto siriano di Tartus. Poi avrebbe dovuto attraccare al punto finale della rotta – il porto di Tripoli nel Libano settentrionale –, ma l’acquirente ha rifiutato il carico a causa di un ritardo nella consegna. Strano questo diniego, visto che il Libano ha il tasso d’inflazione alimentare più alto del mondo (122%) e dipende dalla regione del Mar Nero per quasi tutto il suo grano.

Due settimane dopo la partenza dall’Ucraina, non ci sono più notizie sulla sua ubicazione: non trasmette più dati sulla sua posizione. È stata vista l’ultima volta sui radar al largo di Cipro.

Alcuni sostengono che trasportasse foraggio: 26.000 tonnellate di mais destinate all’alimentazione dei polli.

Sta di fatto che le persone più povere del mondo, che dipendono dal grano ucraino distribuito attraverso il programma alimentare dell’ONU, dovranno attendere. Nel frattempo in Africa orientale migliaia di persone sono morte a causa della siccità record che ha colpito la Somalia, l’Etiopia e il Kenya, secondo quanto riportato dall’“Associated Press”.

Bisogna inoltre fare attenzione sulla qualità dei cereali ucraini. Infatti i regimi corrotti di quel Paese, a partire dal 2014, hanno stretto accordi con le principali aziende agroalimentari OGM dell’occidente, tra cui Monsanto, DuPont e Cargill.

 

[20] Gli OGM e i governi corrotti dell’Ucraina

 

Quando nel dicembre 2013 il presidente Yanukovych aveva annunciato, dopo mesi di dibattiti, che l’Ucraina avrebbe aderito all’Unione economica eurasiatica russa dietro la promessa di un acquisto da parte della Russia di 15 miliardi di dollari del debito statale ucraino e di una riduzione del 33% del costo del gas russo importato, che cosa proponeva in alternativa l’occidente?

L’offerta concorrente proponeva una adesione alla UE, legata all’accettazione da parte dell’Ucraina di un pacchetto di prestiti del FMI e della Banca Mondiale, che avrebbero preteso varie condizioni onerose: 1) la privatizzazione delle preziose terre agricole ucraine, 2) la semina di colture OGM, 3) gravi tagli alle pensioni e austerità sociale a vari livelli.

Uno degli obiettivi fondamentali per ottenere i prestiti era quello di aprire finalmente le ricche terre agricole dell’Ucraina ai giganti stranieri dell’agrobusiness, produttori di OGM, tra cui Monsanto (ora parte di Bayer AG), DuPont (ora Corteva) e Cargill, che oggi controllano 16,7 milioni di ettari di terreni agricoli di prima qualità. Cioè il governo doveva annullare il divieto sulle colture geneticamente modificate. Cosa che non avrebbe avuto bisogno di fare, in quanto la preziosa terra nera del Paese, ricca di humus e molto produttiva, necessita di pochissimi fertilizzanti artificiali.

Alla fine del 2016, secondo un rapporto del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, ora cancellato, circa l’80% della soia ucraina e il 10% del mais erano coltivati illegalmente con sementi geneticamente modificate. Ciò era potuto accadere anche perché i piccoli proprietari terrieri spesso affittavano i loro terreni ai grandi oligarchi ucraini, che a loro volta stipulavano accordi segreti con varie multinazionali per piantare mais e soia OGM.

Nel 2021 la legge n. 2194 del corrotto governo di Zelensky ha permesso di ampliare notevolmente la porta aperta agli OGM.

Insomma coi cereali ucraini si sfamano i Paesi più poveri, che però non sanno che andranno ad ammalarsi.

Resta dunque solo la Russia a vietare le colture OGM. Infatti la Commissione europea starebbe lavorando a una nuova legge che aprirà le porte alle coltivazioni di nuove tecniche genomiche. È prevista per la primavera del 2023.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

Insopportabili certi atteggiamenti di maniera

 

Raffaele La Regina, capolista blindato del PD per la Camera in Basilicata, ex collaboratore del ministro Provenzano (vicesegretario nazionale), ha scritto “tesi di odio” contro Israele, stando a quanto detto da Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma.

La tesi di odio si riduce in sostanza alla negazione della legittimità dell’esistenza dello Stato d’Israele. Cosa che fanno decine di Paesi al mondo. Non è un odio di tipo etico, ma un giudizio politico. Non riguarda gli ebrei in generale, ma i sionisti, che hanno sempre avuto atteggiamenti persecutori nei confronti dei palestinesi.

Le sue non sono posizioni antisemitiche, poiché il sionismo viene rifiutato anche da molte comunità ebraiche.

In un tweet del 2017 aveva scritto: “Gerusalemme è luogo sacro per 3 principali religioni monoteiste, occupata in maniera illegale e violenta da Israele durante la guerra dei 6 giorni”. Una cosa falsa? No, una semplice constatazione.

Intanto Provenzano e Letta tacciono, poiché la politica nazionale spesso è ipocrita per definizione. Ma quel che è peggio è che La Regina ha chiuso il profilo Facebook, lasciando così credere che la sua tesi politica era in realtà non una convinzione personale ma un atteggiamento di maniera. Un atteggiamento che di fronte a una possibile carriera politica va radicalmente modificato.[2]

 

[21] Continuiamo a farci del male

 

Mentre in tutta Europa al turista russo è impedito l’ingresso, in Turchia si fiuta l’affare: i commercianti accettano le carte di credito che operano col circuito russo MIR, poiché varie banche hanno abilitato i loro bancomat a questo circuito. Cioè se sei russo puoi andare in vacanza in Turchia senza problemi.

D’altra parte da un decennio circa la Turchia è la principale destinazione turistica dei russi. L’unica eccezione è stata quella del 2016, quando Mosca sospese l’accordo di esenzione dal visto tra i due Paesi, dopo che un suo aereo militare fu abbattuto da un missile turco nel nord della Siria. A quel tempo Putin aiutava militarmente Assad e aveva scoperto loschi traffici commerciali della Turchia in Siria.

Il 2016 fu un anno terribile per il turismo russo anche in Egitto, altra meta preferita. Infatti vi fu un attacco terroristico a bordo di un aereo russo in partenza da Sharm el-Sheikh. Quando però nel 2021 il traffico aereo tra i due Paesi è ripreso, il flusso di turisti russi è nuovamente aumentato alla grande. Sembra che per fare i turisti, i russi debbano prima affrontare qualche tragedia.

Bisogna comunque ammettere che l’idea di vietare a tutti i cittadini russi di entrare nei Paesi della UE ha qualcosa che ricorda l’atteggiamento nazista nei confronti degli ebrei durante la II guerra mondiale.

Tuttavia il ministro portoghese degli Esteri, João Gomes Cravinho, si è permesso di dire che non ha senso vietare l’ingresso dei turisti russi nella UE, in quanto le sanzioni non dovrebbero essere dirette contro l’intero popolo russo, ma solo contro la macchina da guerra russa.

Una volta si pensava che quante più persone frequentavano i Paesi occidentali, tanto meglio avrebbero accettato i nostri valori: di qui le forti possibilità di studiare in Europa, di fare affari o di cooperare in vari progetti. Oggi questa sicurezza non c’è più: il russo è visto come un nemico che può destabilizzare le fondamenta culturali e politiche del nostro sistema.

Abbiamo un atteggiamento paranoico, poiché non ci accorgiamo neppure che dal 2012 ad oggi ben 153.000 russi hanno chiesto asilo politico nei Paesi della UE, e di questi solo 35.000 l’hanno ottenuto.

Comunque noi italiani o noi europei dovremmo renderci conto di non essere insostituibili per i turisti russi. Loro prediligono i Paesi dove le formalità burocratiche sono al minimo: per es. in Emirati Arabi Uniti, Thailandia, Abkhazia, Kazakistan, Ossezia meridionale e Armenia non chiedono a loro neppure il passaporto.

 

Attentato terroristico ai Dugin

 

In un attentato terroristico è stata uccisa Darya Alexadrovna Dugina, figlia di Aleksandr Dugin, filosofo putinista e stratega russo. Aveva 31 anni.

Dugin era al Festival “Tradizione”, presso il villaggio Zakharovo (vicino a Mosca), poco distante dal luogo dell’attentato. Gli attentatori pensavano che alla guida dell’auto ci fosse Aleksandr, che però aveva cambiato auto con la figlia poco prima di partire.

Sono sicuramente stati gli ucraini, poiché dal 2018 i loro servizi di sicurezza hanno incluso Aleksandr Dugin nell’elenco delle persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale del Paese.

Il dossier su Aleksandr Dugin è pubblicato sul sito web dei “nemici dell’Ucraina” Myrotvorets. Si parla anche di Daria Dugina, che ha compiuto molte missioni nel Donbass in solidarietà con gli indipendentisti.

Ovviamente l’obiettivo primario era suo padre, che aveva appena tenuto una conferenza su “Tradizione e storia”. Tuttavia è stato fatto notare che l’auto è esplosa durante il tragitto. Quindi si presume che la stessero seguendo, dopo aver visto chi era salito in macchina.

È comunque evidente che da oggi iniziano gli attentati anche a Mosca.

In Italia il canale ufficiale del Movimento Internazionale Eurasiatista è Idee&Azione (www.ideeazione.com).

 

[22] Aria di guerra civile negli USA

 

La recente perquisizione operata dall’FBI alla residenza dell’ex presidente Donald Trump a Mar-A-Lago (che è senza precedenti negli USA) ha portato alla ribalta una denuncia fatta dal regista Dinesh D’Souza, autore del docufilm “2.000 muli”. I muli sono i corrieri delle urne elettorali.

Il film mette in luce due cose: 1) le elezioni presidenziali del 2020 sono state rubate attraverso un uso illegale delle schede elettorali; 2) l’FBI non è super partes ma agisce su precise direttive fornite dal governo di Biden.

D’Souza si è servito di alcune lettere scritte dal senatore repubblicano dello Iowa, Chuck Grassley, al procuratore Merritt Garland e al direttore dell’FBI Christopher Wray.

A quanto pare l’FBI sarebbe molto coinvolto nel sopprimere le indagini relative a Hunter Biden e in generale alla famiglia criminale dei Biden, soprattutto per quello che ha fatto in Cina e Ucraina.

Inoltre l’FBI sta procedendo a criminalizzare chiunque si opponga al pensiero dominante. Di qui la formulazione dell’espressione “domestic violent terrorists” (terroristi domestici violenti). In pratica chi si oppone al governo viene considerato alla stregua di un terrorista. Basta una frase detta in famiglia e intercettata e riportata da chiunque, oppure una frase urlata durante una manifestazione...

L’FBI sta quindi diventando un vero e proprio “braccio armato” della politica governativa, che al momento è in mano ai democratici. Il senatore della Florida, Rick Scott, l’ha paragonato alla Gestapo.

Lo stesso FBI e il Dipartimento per la sicurezza interna sono stati oggetto di un’ondata di minacce di violenza, rivolte non solo agli agenti federali e al giudice che ha emesso il mandato di perquisizione contro Trump, ma anche alle loro famiglie. L’FBI ha affermato che queste minacce includevano appelli alla “guerra civile” e alla “ribellione armata”.

 

I riferimenti culturali di Dugin

 

Chi conosce veramente il pensiero politico e filosofico della Russia, sa che il presidente Putin non fa riferimenti all’ideologia politica di Dugin. Tant’è che nei suoi discorsi cita il pensatore Ivan Il’in, il filosofo Nikolaj Berdjaev e l’etnologo Lev Gumilëv, (come è ben descritto nel libro L’idea russa di Bengt Jangfeldt).

Il pensiero politico di Dugin si fonda essenzialmente sulle teorie di Alain de Benoist, di Robert Steuckers, Jean Thiriart, Julius Evola e sui rapporti con lo scrittore Aleksandr Prochanov, caporedattore del quotidiano russo di estrema destra “Zavtra”, che combina visioni ultranazionaliste e anticapitaliste.

L’orientamento politico di Dugin risente di queste contaminazioni che si traducono in un nazional-boscevismo di matrice rosso-bruna che ha alcuni punti di contatto col partito liberal-democratico del nazionalista Vladimir Zhirinovskyj e con la corrente del movimento eurasista.

Indubbiamente l’affermazione di Putin sul fatto che “la Russia si è sempre sentita un paese euroasiatico”, costituisce per Dugin “un riconoscimento epocale, grandioso, rivoluzionario” che consente al filosofo russo di “frequentare” ambienti politici vicini al Cremlino e l’oligarca Konstantin Malofeev, un ultranazionalista monarchico e ortodosso.

Tuttavia il progetto d’integrazione euroasiatica della Russia, che accomuna Dugin e Putin, è declinato in maniera diversa: ultrareazionaria e radicale per Dugin; patriottica e pragmatica per Putin. Inoltre Dugin, che è stato co-fondatore con Eduard Limonov del Partito Nazional-Boscevico, sciolto dalle autorità russe, è stato cacciato da numerose università russe ed è piuttosto emarginato dai mass media.

Non solo non esistono foto che lo ritraggono insieme a Putin, ma se fosse veramente l’ideologo del Cremlino, Dugin avrebbe potuto usufruire della scorta del servizio FSB. A quel punto si sarebbe dovuto affermare che l’attentato a Dugin ha un alto valore simbolico, in quanto è stato si è tentato di uccidere “un uomo di Putin”.

Lo storico Giovanni Savino, in From Evola to Dugin, spiega che i rapporti di Dugin con partiti europei di estrema destra risalgono dalla fine degli anni ’80. In Italia i suoi punti di riferimento sono Forza Nuova, Casa Pound e la Lega, nonché gli ambienti culturali dell’estrema destra italiana vicini alla rivista “Orion”. Si pensi all’intervista di Dugin al leader Salvini fino ai contatti con Gianluca Savoini dell’associazione Lombardia-Russia. Recentemente Dugin ha anche apprezzato l’attività politica di Giorgia Meloni.

Non si esclude che questo attentato fosse rivolto anche alla figlia Darja, che lavorava per “Russia Today” e si è sempre espressa in difesa dei separatisti del Donbass.

Fonte: editorialedomani.it

 

[23] Il Pakistan a un passo dalla guerra civile

 

Buona parte della popolazione pakistana vuole che Imran Khan, leader del partito Pakistan Tehreek-i-Insaf e premier destituito con un complotto orchestrato dagli Stati Uniti da gennaio ad aprile di quest’anno, torni a governare.

D’altra parte Khan non si è mai dato per vinto, svelando da un lato le influenze americane che hanno portato alla sfiducia del suo governo e, dall’altro, sfruttando al massimo la propria popolarità per destabilizzare l’esecutivo del fantoccio americano Shehbaz Sharif. E ci è riuscito, anche se sa benissimo che l’esercito, da sempre fulcro della politica pakistana, non avrebbe usato clemenza ai suoi manifestanti.

Infatti il 10 agosto è stato arrestato l’intellettuale Shahbaz Gill, capo dello staff di Imran Khan, con l’accusa di sedizione. Semplicemente perché in un intervento di due giorni prima ai microfoni di ARY News aveva esortato le truppe dell’esercito a non accettare alcun ordine illegale dai vertici militari. È stato prelevato nella sua abitazione con modalità riservate ai criminali pericolosi. In questo momento Gill è in carcere e rischia la pena di morte; ARY News è stata oscurata e il suo direttore responsabile arrestato.

Imran Khan sa bene che le marce sulla capitale sono sempre servite a poco. Il primo a provarci era stato nel 2009 Nawaz Sharif, amico di lunga data di Washington, primo ministro per ben tre volte (dal 1990 al 1993, dal 1997 al 1999 e dal 2013 al 2017): non aveva digerito una sentenza della Corte Suprema di quell’anno, che aveva sancito l’ineleggibilità per sé e per il fratello Shehbaz (guarda caso il premier attuale). Furono l’intervento americano (che portò l’allora premier Yousaf Raza Gilani a giungere a un compromesso sulla sentenza) e la minaccia dell’intervento dell’esercito a farlo desistere.

Il secondo fu Mohammad Tahir-ul-Qadri, intellettuale pakistano-canadese e capo del partito Pakistan Awami Tehreek, che insieme a Imran Khan tenne in scacco il parlamento con un sit-in di migliaia di persone durato da agosto a ottobre 2014 per protestare contro la corruzione del governo Sharif e propugnare un riformismo in senso democratico e liberal, ma la manifestazione fu sciolta dallo stesso Qadri dopo due mesi senza risultati.

Quattro anni dopo, nel 2018, Nawaz Sharif, appena ritornato da Londra, fu arrestato per corruzione, ma poi fu scarcerato a causa di problemi di salute, e riuscì a fuggire a Londra.

Oggi il governo in carica ha iniziato la sua battaglia per ridurre Imran Khan al silenzio. A luglio la Commissione Elettorale lo ha accusato di aver ricevuto fondi da USA, Canada, Australia ed Emirati Arabi Uniti, violando le leggi del Pakistan sui finanziamenti elettorali. Senonché tutti i partiti pakistani ricevono segretamente fondi esteri per le loro campagne elettorali. Potrebbe scoppiare uno scandalo maggiore.

Il governo di Shehbaz Sharif ha avviato un procedimento per rendere Imran Khan ineleggibile e bandire il suo partito dalle elezioni. Ma i consensi al leader uscente aumentano sempre di più.

La popolazione detesta Shehbaz Sharif, soprattutto a causa della sua politica di austerità come risposta alla crescente inflazione (aumento dei prezzi di alimentari e carburanti). L’austerità è stata richiesta dal Fondo Monetario Internazionale, che ha promesso a Sharif 1,27 miliardi di dollari. Briciole che serviranno soltanto come garanzia al Paese per ottenere prestiti da altre entità, intrappolandolo ulteriormente in una rete creditizia sulla pelle dei cittadini.

A questo punto Khan ha tentato l’unica strada che poteva dargli qualche frutto: invocare a furor di popolo le elezioni anticipate. Per tutta risposta il ministero dell’Interno ha ordinato di arrestarlo.

Pare che Khan abbia rifiutato la fuga, vedendo che le rivolte a suo favore stanno aumentando in tutto il Paese, che è a un passo dalla guerra civile. Preoccupata di questa situazione, l’Alta Corte di Islamabad ha concesso a Khan di evitare l’arresto su cauzione entro il 25 agosto.

Ma il ministro degli Interni ha ribadito che Khan verrà arrestato con ogni mezzo sulla base dell’accusa di terrorismo. Intanto il governo ha bloccato Internet in tutto il Paese.

Fonte: avanti.it

 

Crisi del fondo norvegese

 

Il fondo petrolifero norvegese, il più grande fondo sovrano al mondo (1.200 miliardi di dollari), circa quattro volte più grande dell’intera economia danese, ha accusato la sua maggiore perdita nominale in un semestre, cancellando quasi interamente i guadagni messi a segno nel 2021, che furono il suo secondo miglior risultato di sempre con un rendimento del 14,5%. Ora il fondo ha perso quasi interamente i guadagni del 2021, cioè 171 miliardi di dollari.

Tutti i settori su cui ha investito hanno accusato perdite, ad eccezione di quello dell’energia (+13%) grazie alla guerra russo-ucraina. Infatti coi Paesi alla disperata ricerca di fornitori di energia diversi dalla Russia, la Norvegia sta esportando quanto più petrolio e gas naturale possibile, quindi i trasferimenti al fondo petrolifero rimarranno consistenti anche in futuro.

Il fondo è gestito da Norges Bank, la Banca centrale norvegese, che sarà presto diretta da Stoltenberg, il soldatino della NATO che ha voluto a tutti i costi questa guerra. Con la sua arroganza, sicuramente i profitti peggioreranno ulteriormente. Non potrà bastare la guerra per coprire gli ammanchi nei settori non energetici.

 

Che figura di m…!

 

Il canale televisivo France 2 si è scusato per aver confuso grossolanamente la canna fumaria di un edificio vicino alla centrale nucleare di Zaporizhzhia con un razzo russo. Aveva dato la news che i russi stavano bombardando la centrale.

Da notare che il reportage con la notizia deformata è andato in onda il 10 agosto nel telegiornale della sera alle 20 dell’orario locale, ma France 2 si è scusato solo nella tarda serata del 22 agosto e solo dopo che nei social ci si era fatti delle crasse risate sulla professionalità dei giornalisti francesi.

 

Siamo alla resa dei conti?

 

Il Dipartimento di Stato americano esorta i cittadini americani a lasciare l’Ucraina nei prossimi giorni. L’avvertimento corrispondente è stato pubblicato oggi dall’ambasciata americana a Kiev sul sito ufficiale .

Si fa presente che la situazione della sicurezza in tutto il Paese rimane “altamente instabile” e potrebbe peggiorare “senza preavviso”.

L’ambasciata elenca le opzioni di trasporto via terra privato come metodo di evacuazione preferito.

Già il 15 luglio essa aveva invitato i cittadini statunitensi a lasciare l’Ucraina. Ora ha affermato d’essere a conoscenza di un “possibile attacco missilistico” ai centri decisionali nei prossimi giorni, cioè contro le infrastrutture e le strutture governative di Kiev.

 

News allarmanti dalla Germania

 

La prima azione alla vigilia del “Grande Autunno della Rabbia” è iniziata in Sassonia a Chemnitz. Le strade sono piene di migliaia di manifestanti contro l’aumento dei prezzi e la subordinazione della Germania alla NATO e alla UE.

Il prezzo dell’elettricità in Germania è balzato di oltre il 25%, superando per la prima volta i 700 euro per MWh. Questo è 14 volte superiore alla media stagionale degli ultimi 5 anni.‌‌

Il responsabile dei lavori comunali di Chemnitz, Roland Warner, ha dichiarato che la bolletta annuale del gas, pari oggi a 1.500 euro, potrebbe salire a 4.700 euro in ottobre. “Se ci saranno disordini sociali, lo Stato non sopravviverà”.

 

[24] L’alternativa di una destra becera

 

Il livello di eticità della nostra destra è notoriamente molto basso, in quanto tutto viene ridotto a politica.

Un esempio di ciò lo si è visto nella strumentalizzazione dello stupro di Piacenza in cui erano coinvolti un 27enne originario della Guinea e richiedente asilo in Italia, poi arrestato, e una cittadina ucraina di 55 anni, portata poi in ospedale.

Qualcuno ha fatto un video, che Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha poi diffuso su Twitter, senza il consenso della vittima e attirandosi le accuse di “razzializzazione della violenza sessuale”. Questa scempiaggine amorale avrebbe naturalmente potuto compierla anche il leghista Matteo Salvini, che in questo frangente si è limitato a rilanciare sui social lo screenshot di un quotidiano online di Piacenza.

Infatti uno dei cavalli di battaglia della nostra destra è il razzismo nei confronti degli immigrati, soprattutto se provenienti dall’Africa. Si va in brodo di giuggiole quando si può stabilire un legame diretto tra criminalità e persone migranti. Questa maniera primitivistica di guardare le cose riduce la complessità dei problemi a due colori: bianco e nero. Ci fa sentire facilmente dalla parte della ragione.

Siamo nazionalisti, capitalisti, atlantisti, suprematisti bianchi, cattolico-romani, abbiamo il culto della personalità, anteponiamo la sicurezza a qualunque altra esigenza e odiamo tutto quello che è diverso da noi. Ecco, in sintesi, il programma della destra che dovremo sorbirci i prossimi anni.

Per colpa di chi? Per colpa di un centrosinistra sbiadito, innacquarito, che non ha più niente da dire, né di etico né di democratico, come ha dimostrato d’essere anche di fronte alla guerra russo-ucraina.

 

La Caporetto economica della Moldavia

 

La Moldavia, la più povera d’Europa, è colpita da una grave crisi economica e dall’inflazione più alta, che ha già raggiunto il 33,6%. I cittadini protestano nelle piazze e chiedono elezioni anticipate. A causa dell’aumento dei prezzi del gas devono fare la fila diversi giorni per avere la legna da ardere. Il governo non è riuscito a pagare gli anticipi sulle forniture del gas russo. La Gazprom ha concesso una dilazione, che però non potrà durare in eterno.

I sostenitori del partito di opposizione Shor chiedono il rilascio della sua vicepresidente, Marina Tauber, considerata prigioniera politica.

Ma la presidente Maia Sandu, invece di dimettersi, che fa? Si è limitata a dichiarare nel recente Forum europeo Alpbach-2022, tenutosi in Austria, che l’Europa deve fare di più per combattere “la disinformazione riguardo alla situazione in Ucraina”. Come se non facesse già abbastanza! Tutte le news del mainstream sono capziose o tendenziose e sostanzialmente false.

In ogni caso per la filo-atlantista Sandu questa sarebbe l’emergenza, non la povertà, non la catastrofe economica, non la prospettiva di restare senza gas quest’inverno, non il deficit di democrazia in un Paese in cui i capi dell’opposizione vengono arrestati.

Anzi ha in mente di arrestare anche tutti quei cittadini che giustificano le azioni della Russia nella guerra in Ucraina. In particolare ce l’ha coi giornalisti: negli ultimi 6 mesi 10 organi d’informazione li ha fatti chiudere.

Se questa premier non si dimette, la Moldavia rischia di diventare un’Ucraina bis.

 

Parole incontrovertibili del guru Orsini

 

Conflitto in Ucraina. Le 7 previsioni dei “draghiani” smentite dalla realtà, di Alessandro Orsini, su “Il Fatto Quotidiano” del 23 agosto.

 

Il governo Draghi è prossimo all’invio di nuovi armi pesanti in Ucraina? Alcune indiscrezioni, non smentite dal governo, dicono di sì. Forse questa è anche la ragione per cui i partiti stanno evitando scrupolosamente di toccare questo tema delicato.

Fino ad aprile i politici italiani trovavano piuttosto agevole giustificare il loro appoggio alla linea politica di Biden, che consiste nel solo invio di armi e niente più. La guerra era appena iniziata e nessuno aveva elementi concreti per smentire il grande inganno. I draghiani assicuravano che gli ucraini, uccidendo tanti soldati russi con le armi occidentali, avrebbero costretto Putin ad arrendersi piuttosto in fretta.

Siamo al 23 agosto e i fatti hanno decretato che la promessa è ormai smentita: i soldati russi sono morti in gran numero, ma Putin bombarda più di prima. Il problema è che è stata smentita anche la seconda promessa degli amici di Draghi, secondo cui le sanzioni avrebbero messo in ginocchio la Russia mentre l’Occidente avrebbe continuato a prosperare. È stata smentita anche la terza promessa, secondo cui la crisi economica in Russia avrebbe causato una rivolta popolare che avrebbe rovesciato Putin. È stata smentita anche la quarta promessa, che annunciava l’imminente assassinio di Putin per mano dei suoi stessi generali a causa del cattivo andamento della campagna militare. È stata smentita anche la quinta promessa, secondo cui la Russia si sarebbe trovata completamente isolata a livello internazionale, mentre noi assistiamo a un fenomeno ben diverso: la Russia gode di sostegno internazionale e solidarietà da parte di un gran numero di Stati, inclusa l’Algeria super filo-russa, da cui Draghi ha deciso di dipendere per il gas. È stata smentita anche la sesta promessa, secondo cui avremmo assistito alla separazione tra la Cina e la Russia che, invece, sono sempre più unite, complice anche la crisi di Taiwan. Infine, è stata smentita la settima promessa, in base alla quale gli ucraini, magari lentamente ma comunque certamente, avrebbero liberato i territori occupati dai russi anche grazie alle armi italiane.

Contro queste previsioni ottimistiche, che messe insieme rappresentano il “grande inganno” del tempo in cui viviamo, la Russia ha conquistato larga parte del Donbass. Dal momento che tutte le promesse del fronte bellicista sono state smentite, i candidati premier non sanno più che cosa promettere e, quindi, preferiscono non parlare della guerra in Ucraina.

La fine di tutte le promesse mette a nudo la politica occidentale in Ucraina, che consiste nell’alimentare la guerra dall’esterno senza nessuna proposta di pace o idea di come uscirne. I candidati premier non sanno più che cosa dire e allora non dicono niente, risolvendo, si fa per dire, il problema alla radice.

Stupisce la mancanza di un conduttore televisivo che li incalzi a dovere. Pare che a nessun conduttore venga in mente di porre queste semplici domande: “Mi scusi, caro candidato premier, ma lei ha occhi per vedere che la strategia occidentale di inviare armi pesanti in Ucraina non ha prodotto nessuna delle conseguenze che avevate annunciato?”; “mi scusi, caro candidato premier, ma lei riesce a vedere che in Ucraina le cose vanno sempre peggio mentre l’Italia non fa niente per migliorare la situazione o per riflettere sugli errori commessi finora da Biden che guida il convoglio occidentale?”.

Giunti a questo punto, le nostre domande si moltiplicano: perché i conduttori non pongono domande così ovvie? Com’è organizzato il mondo dell’informazione in Italia? Perché il dibattito sulla politica internazionale si riduce a una celebrazione delle scelte del governo Draghi? Qual è il livello di libertà dell’Università italiana e dei suoi professori su questioni tanto delicate? La mancanza di critiche alle politiche della NATO in Ucraina esprime consenso o paura del dissenso?

 

Quante vedove e orfani volete prima di arrendervi?

 

Il 16 agosto scorso Valerij Zalužnyj, comandante delle Forze armate dell’Ucraina, avrebbe comunicato al Segretario del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, Oleksiy Danilov, che le perdite delle Forze Armate ucraine dall’inizio della guerra ammontano a 76.640 morti, oltre 42.000 feriti, 7.244 catturati, 2.816 dispersi in azione e 1.610 morti per cause non legate al combattimento.

Conoscendo l’impegno maniacale dell’esercito ucraino nell’abbellire la realtà e la mancanza di conteggio del personale nelle unità e nei reparti, va tenuto presente che le cifre sono fortemente sottostimate.

In ogni caso Zalužnyj ha anche riferito di non avere informazioni sulle vittime da parte di altre agenzie di sicurezza. Ciò significa che ai 76.000 militari dell’AFU uccisi vanno aggiunti migliaia di combattenti della difesa territoriale, della Guardia Nazionale, della Guardia di Frontiera, dell’SBU e di altre agenzie di sicurezza. Pertanto, il numero totale dei caduti potrebbe essere di circa 150.000 uomini in uniforme.

Fonte: t.me/Mikle1On/4967

 

Il Nord Stream 2 dev’essere smantellato!

 

Durante il vertice della Piattaforma della Crimea il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ha dichiarato che è impossibile tornare ai consueti rapporti commerciali con la Russia e che il Nord Stream-2, che ha iniziato a funzionare dopo l’annessione illegale della Crimea, dev’essere smantellato, cioè demolito, non basta chiuderlo.

In pratica chiede che la Germania si deindustrializzi (così come l’Italia). Davvero buffo come ogni due generazioni i tedeschi siano posti nella condizione di dover decidere se radere al suolo la Polonia o se siano i russi a farlo.

In quello stesso incontro, sempre più in forma delirante, Zelensky ha ribadito che la guerra contro la Russia finirà solo dopo che la Crimea sarà tornata sotto l’Ucraina. Di qui i ripetuti bombardamenti contro la penisola.

Gli ha fatto da sponda il presidente turco Erdoğan, col quale fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Egli avrebbe dichiarato che “la Turchia non riconosce l’annessione della Crimea e la considera illegale. Secondo il diritto internazionale la Crimea deve essere restituita all’Ucraina”. Ha interesse a dirlo perché se i kurdi in Turchia si dichiarassero autonomi con un referendum (che al 100% vedrebbe non solo l’affluenza ma anche la vittoria dei sì), chi crederebbe più alla bislacca idea di ricostruire l’impero ottomano?

 

Quel governo islamico della Lettonia...

 

La coalizione di governo della Lettonia ha deciso di non estendere i permessi di soggiorno ai cittadini russi e bielorussi e di limitare il loro ingresso nel Paese coi visti Schengen. L’ha dichiarato il premier Krisjanis Karins.

11.000 persone potrebbero perdere il permesso di soggiorno in Lettonia. I cittadini russi hanno 9.189 permessi di soggiorno validi, di cui 1.820 rilasciati in relazione a investimenti nell’economia lettone. I cittadini bielorussi hanno 2.432 permessi di soggiorno validi, di cui 65 legati agli investimenti.

Da notare che in Lettonia si stanno distruggendo tutti i monumenti che ricordano i sovietici contro i nazisti.

Qual è la differenza dai terroristi islamici, quando abbattevano le statue del Buddha scolpite nelle pareti di roccia della valle di Bamiyan in Afghanistan? O quando in Iraq abbattevano le statue di Ninive? O le statue leonine alle porte di Raqqa in Siria?

Se questa è la cultura europea, è meglio uscire dalla UE.

 

Anche in Estonia come in Lituania

 

La prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, ha annunciato che il governo estone vuole rimuovere i monumenti sovietici in tutto il Paese, dove peraltro è permessa l’installazione di targhe dedicate ai nazisti.

Han già messo una targa ad Alfons Rebane, che si arruolò nell’esercito tedesco contro i sovietici. Poi negli anni ’50 collaborò col servizio segreto inglese MI6, non meno fanaticamente anticomunista di quello nazista e americano.

Praticamente oggi in tutta Europa orientale i collaboratori dei nazisti, compresi gli autori dell’Olocausto, sono celebrati come eroi.

Il sito web ufficiale di Vilnius, capitale del Paese, ha pubblicizzato la sfilata di motociclette di un gruppo nazionalista per celebrare la rivolta del 23 giugno 1941 organizzata dal Fronte attivista lituano, responsabile della diffusione della letteratura antisemita e dell’uccisione di molti ebrei durante la seconda guerra mondiale, anzi anche prima dell’arrivo delle truppe tedesche.

Molti studiosi affermano che quello fu l’inizio dell’Olocausto in Lituania.

Fonte: timesofisrael.com

 

Sei sicuro di quel che dici?

 

Ecco un interessante scambio di battute tra il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e un giornalista:

- Ci sono Paesi in Occidente che vogliono che la guerra continui.

- Nella comunità internazionale? Sono gli Stati Uniti? Siate più specifici.

- Ci sono Stati membri della NATO che lo vogliono.

- Lo è anche l’America?

- Non mi riferisco solo agli Stati Uniti, ma anche agli Stati membri. C’era chi voleva sabotare l’accordo sul grano. Non si trattava degli Stati Uniti, ma vi dirò questo. Il contributo statunitense è stato il seguente: ad esempio, l’eliminazione della barriera all’esportazione dei fertilizzanti russi, l’accesso ai porti, i servizi assicurativi e le operazioni bancarie. Ma c’erano Paesi europei che volevano sabotare questo accordo.

- Dell’Europa?

- Sì, dell’Europa.

- I grandi Paesi?

- Sì.

Fonte: t.me/surf_noise_it

 

[25] Una considerazione semplice ma realistica

 

Secondo il canale telegram italiazforzaverita il comandante in capo delle forze armate ucraine, Valerij Zalužnyj, avrebbe detto che l’Ucraina non ha modo di festeggiare la propria indipendenza (24 agosto 1991), in quanto, se vince la guerra, sarà indebitata fino al collo. Infatti ha ricevuto troppi finanziamenti, troppe armi per non aver bisogno di un tempo lunghissimo con cui ripagare tutta questa generosità. Avrebbe detto che questa è la schiavitù del lend-lease, che Zelensky ha accettato senza pensare alle conseguenze.

In altre parole il destino del Paese è quello di diventare una colonia dell’occidente. Paradossalmente sarebbe quasi meglio che perdesse la guerra, così nessuno pagherebbe più niente.

A quanto pare Zalužnyj ha capito che l’occidente non regala mai niente a nessuno, e anche quando sembra che lo faccia, dietro c’è sempre un secondo fine. D’altra parte il capitalismo è stato inventato nell’Europa occidentale non in quella orientale. La trasformazione del denaro in capitale è una nostra prerogativa assoluta, tant’è che l’aspetto prevalente dell’attuale occidente non è tanto la produzione di merci (in questo la Cina ci ha già superato), quanto piuttosto la finanziarizzazione dell’economia, in cui gli americani si sentono i primi della classe.

Zalužnyj non ha capito però che l’Ucraina è già una colonia dell’occidente a partire dal colpo di stato neonazista del 2014. È comunque notevole che un militare conosca l’economia meglio di tutti i politici del suo governo.

Fonte: t.me/italiazforzaverita

 

La nostra pochezza intellettuale

 

All’ONU il rappresentante russo Vasilij Nebenzja asfalta i suoi interlocutori come se niente fosse. Come mai siamo così impreparati? Dipende forse dai nostri complessi di superiorità? quelli che ci portano a sottovalutare le capacità del nemico?

Prendiamo p.es. questo semplice scambio di battute. Così ha detto la vicesegretaria generale dell’ONU Rosemary DiCarlo:

“Come ha chiarito il segretario generale, l’elettricità prodotta dalla centrale nucleare di Zaporozhye appartiene all’Ucraina.”

Le ha risposto Nebenzja:

“Abbiamo sentito dire che l’elettricità della centrale nucleare di Zaporozhye appartiene all’Ucraina. Segnaliamo che non abbiamo sentito tali parole dal Segretariato delle Nazioni Unite né in relazione ai beni finanziari russi congelati in Occidente, né in relazione al petrolio siriano, che viene rubato dalle autorità americane, che stanno illegalmente occupando una parte della Siria. Mai sentito!”

Altra frase pungente di Nebenzja:

“Abbiamo prevedibilmente sentito abbastanza mantra sull’aggressione russa. Negli ultimi 200 anni in Occidente non sono apparse altre spiegazioni per i problemi della sicurezza europea, ad eccezione dei riferimenti alle azioni della Russia”.

Ancora una, l’ultima, sulla pretesa di Zelensky di parlare all’ONU in collegamento video per la terza volta, anche se le regole del Consiglio di sicurezza non lo consentono:

“Ancora una volta, per la cronaca e per coloro che cercano di distorcere la nostra posizione, non siamo contrari alla partecipazione di Zelensky, ma la sua partecipazione dovrebbe essere faccia a faccia nella sala del Consiglio di Sicurezza. Queste sono le regole che regolano i lavori del Consiglio. Inoltre si tratta di rispetto per i membri del Consiglio e per il Consiglio in quanto organo. Zelensky ha già parlato due volte tramite collegamento video. Ogni volta abbiamo espresso il nostro atteggiamento negativo nei confronti di questa modalità. I membri occidentali del Consiglio ci hanno assicurato che si tratta di un’eccezione che non costituisce un precedente. Tuttavia la terza volta non è più un’eccezione.”

 

Obiettivo raggiunto

 

Bisogna ammettere che in questa guerra russo-ucraina i dirigenti politico-militari degli USA e della NATO han già raggiunto un obiettivo strategico sul piano geopolitico: costringere la Russia a troncare i propri rapporti commerciali con l’Occidente, indebolire economicamente la UE in maniera significativa e subordinarla sempre più ai diktat americani.

Il bello è che nel raggiungere questo obiettivo gli USA e la NATO han trovato negli stessi statisti europei un consenso unanime, salvo eccezioni insignificanti, come quella ungherese o serba. Han fatto di tutto per distruggere le fondamenta economiche di un intero continente, che sotto molti aspetti si trovava in una condizione di gran lunga migliore di quella americana.

Siamo improvvisamente diventati complici di uno Stato terrorista e neonazista (mi riferisco ovviamente all’Ucraina, ma verrebbe voglia di aggiungere anche gli USA), e coi nostri mezzi militari e finanziari abbiamo contribuito a eliminare le popolazioni civili del Donbass e i militari che combattono contro il governo di Kiev. Prima di ricucire questo strappo chissà quanto tempo ci vorrà. Non possiamo pretendere che i russi facciano finta di niente e perdonino la nostra insensatezza, come Cristo sulla croce coi Giudei. In molti campi dell’agire umano vale il principio: “chi sbaglia, paga”.

 

Salvini come Pinocchio

 

Quando sento Salvini dire che vuole un nucleare pulito e sicuro, mi chiedo se ci fa o ci è. Dice queste scemenze per avere il consenso di un elettorato sprovveduto come lui, visto che siamo a un mese dalle elezioni? Oppure lui è proprio convinto di ciò che dice?

Possibile che non sappia che tutti gli Stati che usano il nucleare hanno problemi gravissimi nello smaltire le scorie radiattive? Perché non si fa un giro in Francia o in Germania? Non esiste un nucleare pulito e tanto meno sicuro.

I russi si preoccupano dei bombardamenti che subisce la centrale di Zaporizhia anche perché le scorie non sono state smaltite e continuano a trovarsi nei pressi della centrale.

Possibile che non sappia che fino al 2010 il re-arricchimento dell’uranio impoverito delle centrali tedesche avveniva proprio in Russia?

E da chi pensa di andare a comprare l’uranio a buon prezzo? Da Paesi “amici” come Russia, Kazakistan o Uzbekistan? O forse pensa che Paesi “occidentali” come noi (Canada, Australia o Stati Uniti) ce lo regaleranno per venire incontro alla nostra fame di energia?

Con quali soldi andremo a comprare questa costosa materia prima, visto che Salvini vuole svuotare le casse dello Stato, mandando la gente in pensione con soli 20 anni di contributi? O ponendo una flat tax con cui non far pagare le tasse ai ceti benestanti? O togliendo l’iva ai beni di prima necessità? O eliminando il canone televisivo? O spendendo miliardi di euro per costruire il ponte sullo stretto di Messina?

Peraltro non lo sa che l’uranio naturale va acquistato con anni di anticipo prima che arrivi alla centrale come pacchetto di combustibile finito? Nel frattempo cosa facciamo? Battiamo i denti?

Quest’uomo, che non ha mai lavorato in tutta la sua vita, sembra credere, come Pinocchio, che i soldi crescono sugli alberi.

 

Meno male che abbiamo economisti preparati

 

Norsk Hydro, azienda norvegese, ha dichiarato di voler chiudere una fonderia di alluminio in Slovacchia alla fine del mese prossimo. Motivo? L’eccessivo prezzo dell’energia. L’alluminio è uno dei metalli a più alta intensità energetica. Ovviamente il taglio della produzione manderà alle stelle i prezzi delle borse di tutto il mondo, soprattutto quando finiranno le scorte.

E noi che pensavamo che fosse solo un problema di gas e petrolio! Che sciocchi i nostri economisti a non prevedere che la gran parte dell’energia funziona grazie al gas! Strano che ignorassero che per produrre una tonnellata di alluminio occorrono circa 14 megawattora di energia, sufficienti a far funzionare un’abitazione media del Regno Unito per più di tre anni!

Ma lo sanno che lo stesso problema ce l’hanno anche le aziende che producono zinco? Cos’è, pensavano che la crisi energetica sarebbe stata di breve durata? che avremmo potuto sostituire facilmente le materie prime dei russi con altri fornitori? Ma questi economisti dove hanno studiato? Nelle facoltà neoliberiste, cioè ideologiche, degli Stati Uniti? Con quali categorie il neoliberismo interpreta il fatto che aziende incredibilmente produttive fino a pochi mesi fa, giungano improvvisamente a ritenere più conveniente chiudere? Lo sanno gli economisti che se il forno di una fonderia viene spento, bisogna riaccenderlo al massimo entro due settimane, altrimenti si rovina?

Fonte: scenarieconomici.it

 

[26] Prendere atto di un esito inevitabile

 

Lungo art. di Paul Craig Roberts sulla strategia militare dei russi in Ucraina. Non sarà facile riassumerlo.

Parte dal presupposto che l’obiettivo principale dei russi è sempre stato quello di smilitarizzare l’Ucraina.

All’inizio della guerra le forze ucraine più capaci, esperte, ben armate e ben posizionate non erano a Kiev, ma nel Donbass e a Mariupol. Erano posizionate lì da mesi, con l’obiettivo finale di riconquistare il Donbass e la Crimea.

Infatti ne parlavano apertamente e credevano fermamente che le loro forze armate, dopo otto anni di preparazione, avessero raggiunto un tale punto di forza da poter effettivamente raggiungere quell’obiettivo.

I loro benefattori nella NATO li avevano incoraggiati a crederlo, perché anche il sogno più grande della NATO era quello d’innalzare i propri vessilli sulla base navale di Sebastopoli e quindi dominare l’intero Mar Nero e il Bosforo.

In virtù di questo e di molti altri obiettivi geostrategici – primo fra tutti l’arresto della rinascita russa – per anni la NATO ha fornito armi all’Ucraina. Decine di migliaia di truppe ucraine sono state addestrate all’uso di questi armamenti della NATO. E migliaia di agenti dei servizi segreti occidentali, forze speciali e mercenari (prevalentemente americani, britannici e francesi) sono stati incorporati nelle forze ucraine di prima linea, dove molti sono stati uccisi o catturati, anche se è ancora presente un sostanziale contingente.

Molte di queste truppe occidentali sono lì principalmente per coordinare la ricezione, l’interpretazione e l’uso “fattibile” di dati “ISR” (Intelligence, Surveillance & Reconnaissance) USA/NATO.

All’inizio del 2022 l’esercito costruito dagli Stati Uniti e dalla NATO in Ucraina era diventato la forza terrestre più grande e meglio armata d’Europa. In quasi tutti i suoi aspetti era più potente degli eserciti combinati di Germania, Francia e Italia.

L’esercito ucraino è stato costruito appositamente per servire gli interessi dell’Impero Americano nel suo obiettivo, da tempo stabilito, di paralizzare la Russia, anzi di smembrarla definitivamente, impedendole di esercitare un’influenza a livello globale.

La decisione russa d’invadere l’Ucraina alla fine di febbraio del 2022 è stata motivata da tutti questi fattori e accelerata dal continuo bombardamento dell’artiglieria ucraina sulla regione del Donbass, iniziato settimane prima.

Per raggiungere al meglio l’obiettivo di eliminare la minaccia esistenziale alle porte di casa, i russi hanno messo in atto un classico stratagemma per impedire alle forze posizionate nel nord dell’Ucraina di rinforzare quelle dell’Ucraina orientale e meridionale, una volta iniziati i combattimenti. Questo è il motivo per cui avevano condotto l’elaborata operazione “fingi e blocca” a Kiev e dintorni. E, tutto sommato, aveva funzionato perfettamente.

Detto questo, è essenziale capire che le finte più grandi ed efficaci devono essere convincenti. E, per essere convincenti, molto spesso rischiano d’essere costose. Le migliori finte si basano su un’analisi costi/benefici il cui “beneficio” rappresenta spesso l’obiettivo principale di una guerra. Nel caso dell’operazione “fingi e blocca” a Kiev, c’è stato un costo sostanziale, anche se non così elevato come i propagandisti di guerra occidentali han cercato di dipingerlo. Questo perché gran parte della finta consisteva in dimostrazioni di intenti, piuttosto che in azioni concrete.

Ad es. dopo aver ottenuto il dominio aereo nei primi giorni di guerra, i russi avevano messo insieme un’enorme colonna corazzata e l’avevano indirizzata come se niente fosse lungo l’autostrada principale dal nord verso Kiev. Poi, in pratica, l’avevano parcheggiata lì per molti giorni, fingendo di tanto in tanto di dirigersi in una direzione o in un’altra, prima di ritirarsi verso i propri confini e unirsi alle forze che si preparavano a lanciare l’offensiva principale nel Donbass.

Tutto ciò che avevano fatto a nord di Kiev era stato solo per fare scena. Anche la Bielorussia aveva partecipato alla prova di forza concentrando truppe e veicoli, spostandoli in modo aggressivo appena al di là del confine con l’Ucraina e minacciando velatamente di unirsi all’assalto russo a Kiev, ma un tale assalto non era mai stato previsto. Queste manifestazioni aggressive da parte della Bielorussia sono cessate quando i russi avevano concluso la falsa operazione e spostato le loro forze a sud-est.

Il risultato di questa finta operazione era stato che, nel corso di diverse settimane, i russi avevano, a tutti gli effetti, “bloccato” oltre 100.000 truppe ucraine e il loro equipaggiamento nelle vicinanze di Kiev, preso il controllo dei nodi e dei corridoi di trasporto chiave tra Kiev e il Donbass e, contemporaneamente, condotto una grande offensiva per accerchiare e annientare i 20.000 uomini dell’esercito ucraino dislocati a Mariupol, una città portuale altamente strategica sulla costa del Mare di Azov.

Le forze a Mariupol comprendevano il famigerato “Battaglione Azov” neonazista, il cui armamento e addestramento era da tempo una priorità degli Stati Uniti e della NATO, e che era considerato una delle componenti più temibili dell’esercito ucraino.

Le forze a Mariupol comprendevano anche molte decine di “consiglieri” della NATO (CIA, forze speciali e i cosiddetti “contractors”). Erano presenti anche circa 2.500 mercenari stranieri, la maggior parte dei quali veterani della NATO delle guerre in Iraq e Afghanistan.

Mentre i potenziali rinforzi erano rimasti inattivi e immobili a Kiev e dintorni, la potente forza di Mariupol era stata metodicamente circondata e sistematicamente annientata in un’operazione che sarà studiata nelle scuole di guerra per generazioni come uno dei più impressionanti combattimenti urbani mai eseguiti.

I russi hanno completamente invertito il rapporto di perdite generalmente accettato tra attaccanti e difensori, e lo hanno fatto contro un nemico protetto da fortificazioni massicce e complesse preparate per anni all’interno della tentacolare acciaieria Azovstal.

Si tenga presente che le forze ucraine nel Donbass avevano trascorso otto lunghi anni a costruire un’elaborata serie di fortificazioni nella regione con l’obiettivo di resistere a un attacco dei russi e di infliggere loro gravi perdite quando lo avessero fatto, anche a costo di usare i civili e le loro abitazioni come scudi.

Allo stato attuale, dall’inizio di luglio, è ormai incontrovertibile che l’operazione russa nel Donbass è stata una vittoria schiacciante. Si tratta della più impressionante gestione nella storia moderna di un campo di battaglia semi urbano. La forza originaria, composta da oltre 60.000 soldati tra i meglio addestrati ed equipaggiati dell’esercito ucraino, è stata effettivamente distrutta. Ha subìto perdite catastrofiche nei suoi quadri professionali più esperti e addestrati dalla NATO. Le massicce perdite di personale sono state parzialmente reintegrate da truppe della milizia territoriale scarsamente addestrate, ma le perdite ancora più importanti in armi pesanti non possono essere reintegrate.

Questo è il motivo per cui l’Ucraina ora subisce centinaia di morti in battaglia ogni singolo giorno. E perché, per mesi, i russi hanno subìto pochissime perdite – almeno in rapporto di 1 a 10 – e molto probabilmente assai più basso. L’artiglieria (con occasionali attacchi aerei e missilistici di precisione) sta facendo tutto il lavoro di combattimento.

L’obiettivo russo non è MAI stato quello di “prendere Kiev.” Il principale obiettivo russo è SEMPRE stato quello di distruggere l’esercito ucraino, i cui gruppi più potenti erano posizionati nel Donbass e a Mariupol. E lo hanno fatto in modo COMPLETO.

Sono altrettanto convinto che la “smilitarizzazione” continuerà a essere l’obiettivo russo in Ucraina fino a quando gli ucraini non imploreranno di arrendersi, accettando qualsiasi condizione proposta dai russi.

Solo allora la disposizione del territorio sarà decisa una volta per tutte: in definitiva la Russia unirà tutto il Donbass alla Transnistria dopo aver occupato Odessa (la Transcarpazia verrà concessa all’Ungheria).

Possiamo solo sperare che i disperati fanatici di Londra e Washington non commettano un errore fatale nei loro futili tentativi di mantenere l’egemonia di fronte al risorgere di un mondo multipolare.

 

Devo dire che di questa analisi condivido quasi tutto: al massimo si può pensare che nella fase iniziale Putin avesse optato per la messinscena delle grandi colonne di carri armati diretti a Kiev (completamente circondata), perché si augurava una trattativa immediata col governo di Zelensky, onde evitare delle inutili carneficine, e accontentandosi di un riconoscimento effettivo delle due repubbliche del Donbass. Ora però comincio a nutrire qualche dubbio sulla nuova ripartizione dell’Ucraina. Al momento penso che lo scenario proposto dall’analista militare Andrea Gaspardo sia il più vicino alla realtà in divenire: cioè quanto più le armi consegnate dagli occidentali agli ucraini sono in grado di colpire obiettivi della Federazione russa, superando anche gli attuali confini territoriali, tanto più i russi si prenderanno l’intero Paese, semplicemente per motivi di sicurezza. Gaspardo prevede che ciò avverrà entro la fine dell’anno.

Fonte: comedonchisciotte.org

 

[27] Equidistanza inaccettabile del pontefice

 

Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, noto neonazista, ha espresso un forte disappunto per le parole di cordoglio da parte del papa riguardo alla morte della giornalista russa Darya Dugina.

Ha addirittura convocato il nunzio apostolico, mons. Visvaldas Kulbokas, al ministero degli Affari Esteri dichiarandogli: “Il cuore ucraino è lacerato dalle parole del Papa. È stato ingiusto. La decisione del papa di menzionare nel contesto della guerra russo-ucraina la morte di un cittadino russo sul territorio della Russia, con la quale l’Ucraina non ha nulla a che fare, provoca incomprensioni”.

Sulla stessa linea è anche l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, il quale accusa il papa di confondere fra aggressore e vittima: “Il discorso del papa è stato deludente e mi ha fatto pensare a molte cose: non si può parlare con le stesse categorie di aggressore e vittima, stupratore e stuprato”. Yurash ha poi rincarato la dose, chiedendosi: “Come è possibile citare degli ideologi dell’imperialismo russo come vittime innocenti?”.

Ma cosa aveva detto di così grave il papa? “Penso alla povera ragazza volata in aria per una bomba sotto il sedile della macchina (...) gli innocenti pagano la guerra, gli innocenti! Pensiamo a questa realtà e diciamoci l’un l’altro: la guerra è una pazzia. E coloro che guadagnano con la guerra, col commercio delle armi, sono dei delinquenti che ammazzano l’umanità”.

Come noto i neonazisti ucraini accettano dichiarazioni solo a loro favore. Fino adesso non avevano protestato così vivacemente. Quindi vien da pensare che, a parte la dichiarazione sulla NATO che “abbaia” alle porte della Russia, fossero stati ben contenti di tutte le dichiarazioni del papa.

Ma in particolare cos’è che ha dato fastidio a Kuleba e al governo che lui rappresenta? Il fatto che il papa abbia definito “delinquenti” i commercianti di armi? Forse, perché i neonazisti contano proprio sulle armi dell’occidente per difendersi dalla Russia.

Ma soprattutto perché ha definito “innocente” la Dugina. Infatti sia lei che suo padre erano nell’elenco delle persone da eliminare.

 

Siamo i soliti ingenui

 

In una calda e umida giornata della costa orientale, quest’estate, un’enorme nave portacontainer è entrata nel porto di Baltimora carica di lamiere di compensato, barre di alluminio e materiale radioattivo, tutti provenienti dai campi, dalle foreste e dalle fabbriche della Russia. La nave era partita da San Pietroburgo.

Come, come? Sì, hai letto bene. Gli USA han sanzionato molte merci made in Russia (fino alla vodka e i diamanti), ma acquistano regolarmente centinaia di altre merci, alla faccia degli europei e persino degli ucraini, che se le bevono proprio tutte.

L’Associated Press ha scoperto che oltre 3.600 spedizioni di legno, metalli, gomma e altri prodotti, per un valore di miliardi di dollari, sono arrivate nei porti americani partendo direttamente dalla Russia, e questo proprio da quando è iniziata la guerra in Ucraina e Biden aveva promesso d’infliggere “un duro colpo”!

Fonte:  breitbart.com

 

A che tipo di guerra stiamo assistendo?

 

Interessanti considerazioni di Enrico Tomaselli sul sito Giubbe rosse news. Al tempo della pandemia eravamo diventati tutti virologi, ora ci piace fare gli analisti militari. E in questo caso devo dire di stare dalla sua parte.

In Ucraina il locale esercito nazionale, con l’appoggio dei mercenari stranieri, deve fronteggiare sul campo le forze armate della Federazione Russa, affiancate dalle milizie delle due repubbliche separatiste e da reparti della Wagner.

Recentemente Putin ha firmato un decreto per ampliare il numero del personale militare russo di quasi 140.000 unità, portando il numero totale dei soldati russi a 1,15 milioni. Un aumento del 15% circa che scatterebbe a partire da gennaio 2023. Si arriverà a questo perché entro questo autunno si terranno i referendum di adesione alla Federazione Russa nelle Repubbliche di Lugansk e Donetsk e nella regione meridionale di Kherson. Pertanto le milizie popolari delle due repubbliche verranno integrate nell’esercito russo.

Intanto i Paesi europei sono impegnati a realizzare campi di addestramento per i militari ucraini. Attualmente ciò avviene già, oltre che nel Regno Unito, anche in alcune basi NATO in Polonia e Germania.

Quella che si combatte sul suolo ucraino è a tutti gli effetti una proxy war degli Stati Uniti contro la Russia, con una divisione netta e chiara delle due parti, e anche se il coinvolgimento diretto della NATO c’è ed è significativo (supporto satellitare e di intelligence, fornitura continua di armi e munizioni, supporto economico e politico, addestramento, ecc.), almeno ufficialmente sia gli USA che la NATO non sono presenti boots on the ground, anche perché un possibile contatto tra russi e truppe NATO potrebbe essere la scintilla per una terza guerra mondiale.

Anche in Siria USA e Russia riescono a evitare accuratamente lo scontro diretto, per la semplice ragione che non lo vuole nessuno dei due. Solo che mentre in Siria la natura periferica del conflitto non ha sconvolto le relazioni politiche ed economiche globali né ha rimodellato l’intero Medio Oriente, il conflitto in Ucraina invece si inscrive in una partita che forzatamente cambierà la mappa del mondo.

Inoltre la guerra in Ucraina procede da sei mesi nella direzione voluta dalla Russia, e non c’è modo per gli ucraini d’impedire o ribaltare questo trend.

Quella messa in campo dalla Russia è una guerra d’attrito, quale non si vedeva dalla guerra di Corea, o se vogliamo da quella Iran-Iraq. Per quanto vi siano pienamente coinvolte tecnologie moderne, dai droni ai missili ipersonici, ai razzi teleguidati, la tattica con cui sono utilizzate sul campo è tutt’altro che moderna. Dall’uso dell’aviazione quasi esclusivamente in appoggio tattico alle truppe di terra all’uso massiccio dell’artiglieria, alla pressoché totale assenza di concentrazioni di carri: tutto ciò mette in difficoltà non tanto l’esercito ucraino, che non avrebbe comunque speranze, quanto la NATO stessa, le sue dottrine militari e la struttura stessa dei suoi eserciti, anche e soprattutto sul piano del consumo (di uomini e materiali) che questo tipo di guerra comporta. E se, nell’ipotesi di un confronto diretto, probabilmente l’occidente sarebbe comunque in grado di reggere sul piano della produzione bellica, su quello delle perdite umane, con tutta probabilità, si troverebbe di fronte a un costo insostenibile.

Fonte: giubberosse.news

 

Gli affari prima di tutto

 

Il Consiglio comunale dell’Aia ha rivelato che chiederà alla UE di concedere alla città un’esenzione temporanea dalle sanzioni anti-russe. Cioè la città vorrebbe continuare ad acquistare gas naturale dalla Gazprom fino a quando non avrà trovato un fornitore alternativo.

Gli olandesi pensano che la Gazprom sia un’impresa capitalistica che agisce solo sulla base del profitto. Ancora non hanno capito che in questa guerra la Russia considera l’intera UE come un’area geopolitica nettamente ostile e non si vede perché dovrebbe fare delle eccezioni. Gli unici Paesi europei che sin dall’inizio si sono rifiutati di porre sanzioni alla Russia o d’inviare armi e soldi a Kiev sono stati Ungheria e Serbia (e quest’ultima non è ancora nella UE).

È assurdo pensare che la Russia debba essere disposta a fare affari finché la UE non abbia trovato delle alternative al gas russo.

Fonte: maurizioblondet.it

 

[28] Che alternative abbiamo?

 

Secondo la Gazprom, andando avanti di questo passo, il prossimo inverno il prezzo del gas arriverà a 4.000 dollari per 1.000 metri cubi. Una cifra folle.

Con l’avvicinarsi dell’inverno l’Europa deve affrontare la sfida di creare riserve proprie di gas. E deve ottenerle a un prezzo ragionevole, altrimenti implode.

Ma è possibile mettere un tetto a questo prezzo, quando le imprese occidentali che vendono gas e idrocarburi in genere sono private? I prezzi vengono decisi sui mercati, cioè nelle principali borse del mondo.

Le sanzioni antirusse ci stanno mettendo con le spalle al muro. Che alternative abbiamo? Statalizziamo (con la forza, beninteso) le suddette imprese energetiche? Accettiamo di arricchire sempre più la Gazprom, pagando per di più gas e petrolio in rubli? Dichiariamo esplicitamente guerra alla Russia? Rinunciamo al benessere e alle comodità e iniziamo a parlare di decrescita e di autoconsumo (tanto in tempi brevi non riusciremmo a fare altro)? Riprendiamo i rapporti con la Russia ammettendo tutti i nostri errori e sperando che non faccia la permalosa?

In quest’ultimo caso dovremo però pensare sin da adesso a come rovesciare i nostri governi, essendo gestiti da bande di criminali e di cialtroni.

 

Macron e l’inizio dei sacrifici

 

Riassumo un art. di Andrea Zhok.

Qualche giorno fa il banchiere d’affari della Rothschild, nonché presidente protempore della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha affermato, compunto, che è “finita l’era dell’abbondanza e della spensieratezza”. È giunta l’era dei sacrifici.

E giù applausi in eurovisione per la dimostrazione di sobria consapevolezza e responsabile tranquillità.

Già perché la crisi energetica, la guerra in Ucraina, come prima la pandemia, come prima ancora la crisi dei subprime (2008) sono sempre grandiose causali per chiedere spirito di sacrificio e abnegazione, “senso di responsabilità”...

Come dar torto a questo generoso richiamo all’essere tutti nella stessa barca? I sacrifici li faremo tutti: Macron rinunciando alla riverniciatura dello Yacht e Gino il barbiere chiudendo bottega e andando a dormire sotto i ponti.

Ecco, prima di essere sopraffatti da cotanta equanimità, rammentiamo un dettaglio. Oggi il denaro non è solo un mezzo per l’accesso al consumo, ma anche e soprattutto (quando disponibile in quantità estremamente asimmetriche: enormi a un estremo, minime a un altro), un esercizio di potere sul prossimo, a tutti i livelli.

Ergo, quando uno come Macron (o chi per lui) chiede sacrifici alla massa di quelli che hanno margini modesti, sta proponendo loro di diventare i suoi futuri servi della gleba. La base della piramide sociale sarà semplicemente alla completa mercé del vertice.

 

Il 25 settembre fai la cosa giusta

 

In Kosovo la corrente elettrica s’interrompe già adesso ogni sei ore. È il primo Paese europeo a subire interruzioni continue a causa dell’escalation della crisi energetica.

Gli europei stanno cominciando a chiedersi quali siano tutti i modi e i mezzi per risparmiare energia o trovare fonti alternative. Molti esercizi commerciali o imprese produttive stanno seriamente pensando di chiudere l’attività per non dover pagare bollette astronomiche. Ma il tempo sta finendo per fare i preparativi di emergenza prima che le temperature inizino a scendere.

In parlamento, volendo restare coerenti con la decisione di sanzionare la Russia, non si ha alcuna intenzione di affrontare l’argomento energetico in tutta la sua gravità. Si preferisce aspettare le elezioni di settembre.

Per questa ragione gli italiani dovrebbero votare facendo una scelta di campo molto radicale: o voti i partiti favorevoli alle sanzioni antirusse o voti quelli che non le vogliono. Sarà una specie di referendum.

Votare sulla base di ideologie, di partiti tradizionali o maggioritari, o perché si hanno amici o parenti candidati, o perché si teme il peggio o di disperdere il voto e si è rassegnati o per altre mille ragioni, non serve a niente. Stai eludendo il problema. Vai a votare chiedendoti: vuoi l’energia o vuoi morire? Se vuoi l’energia devi mandare a casa tutti i partiti di governo, tutti i partiti atlantisti, anti-russi e che amano dipendere dai diktat bellicistici e autodistruttivi degli USA e della UE.

Devi pensare a un voto utile per la tua salvezza.

 

[29] Lezioni di guerra

 

Secondo l’ex ufficiale del corpo dei marine statunitensi Scott Ritter, gli inglesi avrebbero esaurito le munizioni in due settimane in una guerra contro la Russia. Anzi non sarebbero durati nemmeno due settimane, perché a quel punto avrebbero perso l’intero esercito.

Nel 1991 in Iraq gli USA hanno sparato 60.000 colpi per l’intera guerra del Golfo. La Russia in Ucraina li spara in un giorno. La base industriale della NATO non è capace di tali numeri di produzione. L’Europa non sarebbe in grado di produrre un arsenale capace di resistere all’esercito russo in una guerra convenzionale.

Scott afferma che l’esercito russo, secondo documenti trapelati dallo stesso ministero della Difesa ucraino, ha inflitto 200.000 perdite agli ucraini tra morti e feriti. Questa è quasi tre volte la dimensione dell’intero esercito permanente della Gran Bretagna.

Scott stima che prima della guerra nessun esercito europeo avrebbe potuto sostenere un conflitto neppure con l’esercito ucraino, che a partire dal 2014 era diventato il miglior equipaggiato in Europa, con più esperienza di battaglia di qualsiasi altro esercito in Europa.

Ritter stima in 15.000 le perdite tra morti e feriti per la Russia e i suoi alleati.

Gli ucraini stanno perdendo migliaia di uomini senza mai vedere faccia a faccia un soldato russo, non solo a causa del peso dell’artiglieria nemica, ma anche perché spesso si rifiutano di combattere. Sulle perdite di vittime dell’esercito ucraino il rapporto è 5:1 dall’Ucraina alla Russia, e la Russia sta uccidendo circa 25 volte meno civili del solito in una guerra. È l’applicazione più disciplinata del potere di combattimento che abbiamo visto nella guerra moderna.

Probabilmente la Russia sta combattendo con soli 100.000 uomini e lo sta facendo in un’economia in tempo di pace. Infatti non si è mobilitata e sta impiegando solo il 10-20% della sua capacità.

Guardando le mappe dei vari fronti, vediamo solo piccoli avanzamenti da parte dei russi, semplicemente per non mettere in pericolo la vita né dei propri militari né quella dei civili che stanno dalla loro parte. Non hanno motivo di correre.

La NATO non si sta rendendo conto che quanto più a lungo la Russia trascinerà la guerra, tanto più si prosciugheranno i rifornimenti e fondi militari degli Stati Uniti e della UE.

Allo stesso tempo l’esercito russo è ora l’esercito con più esperienza di combattimento al mondo. Più a lungo il conflitto si trascina, più soldati ottengono esperienza di combattimento a causa delle rotazioni.

Nessun esercito moderno ha combattuto una guerra nemmeno lontanamente simile a quella ucraina. Questa non è una guerra in cui il nemico viene bombardato a tappeto dall’aviazione, e le città vengono ridotte in macerie e i soldati si muovono come eroi con una resistenza minima. Questa è una guerra di terra nella sua forma più pura: battaglie di artiglieria e conquista territoriale. È qui che le abilità e la strategia individuali sono cruciali.

Il mondo non vedeva niente di simile dalla seconda guerra mondiale. Le postazioni ucraine pesantemente fortificate a sud-est sono una delle più estese opere di trincea della storia dalla I Guerra Mondiale, con questi rifugi in cemento armato. Se ci si muove verso una delle posizioni, si viene colpiti dalle altre. Ma i russi sono riusciti a sfruttare appieno la loro superiorità nell’artiglieria. Questo è un caso unico nella storia militare.

La Russia smilitarizzerà l’Ucraina e raggiungerà i suoi obiettivi. Nessuna arma magica può cambiarlo. Nessuno oggi con background militare ne dubita.

Fonte: comedonchisciotte.org

 

Grande strategia militare russa

 

Lungo art. di “Marinus”, pseudonimo dietro cui pare vi sia il tenente generale dell’USMC (in pensione) Paul K. Van Riper, un eroe americano.

La guerra russo-ucraina presenta aspetti sconcertanti. Nell’area nord del Paese i russi hanno invaso velocemente gran parte del territorio, ma non hanno tentato di trasformare l’occupazione temporanea in possesso permanente. Non sono entrati nelle città più grandi e in quelle piccole sono rimasti pochissimo tempo. In questa maniera però gli ucraini si sono convinti a indebolire il loro principale esercito da campo, che combatteva nella regione del Donbass, per rafforzare le difese di città lontane.

Viceversa nell’area orientale i russi hanno condotto lentamente assalti di artiglieria ad alta intensità per catturare territori relativamente ridotti. Cioè continuano a spostarsi lungo varie autostrade e strade secondarie più che altro per confondere i comandanti nemici, interrompere la loro logistica e privarli della legittimità che deriva dal controllo incontrastato del proprio territorio. In questa maniera però gli ucraini han perso permanentemente grandi città.

Altra differente strategia. Nel nord la riluttanza russa verso i bombardamenti derivava dal desiderio di evitare d’inimicarsi la popolazione locale, la cui quasi totalità, per motivi linguistici ed etnici, tendeva a sostenere lo stato ucraino.

Ma anche a sud i russi hanno evitato l’uso dell’artiglieria da campo per preservare le vite e le proprietà delle comunità, in cui molte persone s’identificavano come “russe”.

La vera guerra è avvenuta a est, dove i bombardamenti, sia per durata che per intensità, possono rivaleggiare con quelli delle grandi operazioni di artiglieria delle guerre mondiali del ’900.

Questi bombardamenti hanno confinato le truppe ucraine nelle loro fortificazioni, privandole della capacità di fare qualsiasi cosa se non rimanere sul posto. Inoltre hanno inflitto un gran numero di vittime, sia a livello propriamente fisico che per gli effetti psicologici della reclusione e dell’impotenza. Infine, dopo alcune settimane, i militari ucraini o si ritiravano o, molto più spesso, si arrendevano, anche perché completamente accerchiati. Gli ucraini sono così spaventati dall’artiglieria russa che, anche se dichiarano di voler difendere le loro posizioni, tendono a rifiutare l’idea di realizzare delle controffensive.

Insomma per realizzare la protezione delle due repubbliche filorusse del Donbass, la smilitarizzazione e la denazificazione del Paese, occorreva infliggere pesanti perdite alle formazioni ucraine che combattevano nel Donbass, senza che vi fosse bisogno di occupare parti dell’Ucraina in cui la stragrande maggioranza delle persone parlava la lingua ucraina, abbracciava un’identità etnica ucraina e sosteneva lo Stato ucraino. La Russia non ha mai preteso di conquistare tutta l’Ucraina. Ha solo dimostrato di possedere una grande strategia militare.

Fonte: vocidallestero.blogspot.com

 

[30] Unipolarismo occidentale violento dal II dopoguerra

 

Ha detto la neonazista Ursula von der Leyen: “Se vogliamo preservare i princìpi fondamentali, come l’autodeterminazione o l’inviolabilità dei confini, l’Ucraina deve vincere questo conflitto”.

Potremmo dire anche il contrario: se vogliamo preservare la democrazia, l’occidente non può continuare a fare i suoi porci comodi in tutto il mondo.

Basta vedere cos’ha fatto dal II dopoguerra in maniera violenta.

- 1945-49: appoggiato il Kuomintang contro i comunisti cinesi: nasce la Cina nazionalista della repubblica di Taiwan.

- 1946-49: eliminati i comunisti in Grecia da parte degli anglo-americani.

- 1950-53: guerra alla Corea del Nord.

- 1953: rovesciato il governo dell’Iran a favore dello scià Reza Pahlavi.

- 1954: rovesciato il governo del Guatemala.

- 1955-75: guerra contro il Vietnam.

- 1961: fallito tentativo di rovesciare il governo di Cuba.

- 1964-73: bombardamenti sul Laos.

- 1965-66: invasione della Repubblica Dominicana.

- 1965-66: genocidio anticomunista in Indonesia appoggiato dalla CIA.

- 1970-73: invasione della Cambogia.

- 1970: golpe Borghese supportato dalla CIA.

- anni ’70: Operazione Condor (anticomunista). Nazioni coinvolte: Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Perù, Paraguay e Uruguay.

- 1973: rovesciato il governo del Cile.

- 1979: appoggio militare ai mujaheddin afghani attraverso i sauditi e i pakistani contro la Russia.

- 1979: Saddam Hussein aiutato a prendere il potere.

- 1980: armati i radicali musulmani in tutto il Medioriente.

- 1980: sostenuto Saddam Hussein nella guerra che scatena contro Iran.

- 1982: guerra delle Falkland o Malvine.

- 1983: invasione di Grenada.

- 1986: bombardata la Libia.

- 1989: invasione di Panama.

- 1990: Saddam Hussein invade il Kuwait previo accordo americano.

- 1991: bombardati Iraq e Kuwait.

- 1992-93: invasione della Somalia.

- 1998: bombardati Afghanistan e Sudan.

- 1999: bombardata la Serbia.

- 2002: bombardato lo Yemen.

- 2003: invaso l’Iraq col pretesto di armi chimiche inesistenti.

- 2011: bombardata la Libia per rovesciare Gheddafi.

- 2011: intervento in Siria nella guerra civile che gli USA hanno fomentato.

- 2014: gli USA partecipano attivamente al colpo di stato in Ucraina.

- 2014-15: bombardati Iraq e Siria.

- 2016: bombardati Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Libia, Siria e Iraq.

- 2022: appoggiato militarmente e finanziariamente il governo neonazista di Kiev contro la Federazione russa.

Non sono elencati i numerosi tentativi dei Paesi africani di liberarsi del colonialismo occidentale.

 

Un tragico bagno di sangue

 

Le tv e i giornali italiani, ormai sempre più vicini ai cinegiornali dell’Istituto Luce, stanno raccontando l’avanzata travolgente ucraina che in una massiccia offensiva partita ieri si è lanciata verso la riconquista di Kherson nel sud dell’Ucraina.

La realtà però è ben diversa: i russi si sono ritirati di un paio di km, facendo avanzare il nemico, per poi massacrarlo con l’aviazione e l’artiglieria. In appena 24 ore gli ucraini hanno perso 1.200 uomini, decine di carri armati e mezzi blindati per la fanteria, un elicottero e due aerei. Una vera e propria carneficina.

I giornali italiani hanno annunciato nientemeno che la destituzione del Ministro della Difesa Shoygu da parte di Putin. Non si rendono conto che questo primo giorno della “controffensiva” vicino a Kherson sarà l’ultimo per l’esercito ucraino.

Siamo in presenza di una disfatta causata dalla follia di un presidente cocainomane e dei generali sempre più simili a Cadorna durante le offensive sul Carso, quando decine di migliaia di poveri contadini analfabeti venivano mandati al macello falciati dalle mitragliatrici austriache.

 

[31] Nuova area di scontro militare

 

Le Isole Salomone (una nazione-arcipelago di un migliaio di isole nel sud Pacifico) hanno ufficialmente vietato alle navi da guerra americane di entrare nei porti locali.

Un paio di anni fa queste isole (ex protettorato inglese fino all’indipendenza del 1978) sono passate nella sfera d’influenza della Cina, dopo aver concluso vari accordi di cooperazione commerciale.

Il governo insulare ha anche ritirato il riconoscimento di Taiwan, dopo 36 anni di collaborazione. Inoltre l’accordo sulla sicurezza dà alla Cina il diritto di schierare truppe nelle isole.

Gli Stati Uniti temono che se la Cina stabilirà lì una base militare in stile Gibuti, cambierà l’equilibrio di potere nella regione. Ciò li costringerà a intervenire, anche perché le isole offrono alla Cina l’opportunità di colpire le basi statunitensi in Australia.

Il governo australiano ha già paragonato la presenza cinese sulle isole alle basi imperiali giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

L’anno scorso, a novembre, Stati Uniti e Australia han cercato di organizzare disordini di massa nella capitale del Paese con un attacco dei rivoltosi a Chinatown, danneggiando molte imprese cinesi e saccheggiando i loro negozi.

Migliaia di manifestanti, provenienti soprattutto dalla vicina isola di Malaita, chiedevano le dimissioni del premier Manasseh Sogavare, colpevole non solo di aver sospeso le relazioni diplomatiche con Taiwan per rivolgersi verso Pechino, ma anche di non concedere all’isola di Malaita la possibilità di indire un referendum sul tema dell’indipendenza. Avevano incendiato scuole, banche, uffici e stazioni di polizia. Tentarono persino di assalire il parlamento nella capitale Honiara.

 

Le sue idee mi piacevano

 

È morto Gorbaciov, l’ultimo statista che ha creduto possibile la democratizzazione del socialismo. L’ultimo che ha fatto capire che un socialismo statalizzato, imposto dall’alto, era una contraddizione in termini. L’ultimo che ha creduto possibile una convivenza pacifica tra capitalismo e socialismo, in nome del fatto che in una guerra nucleare non ci sarebbero stati né vinti né vincitori.

Dopo di lui in Russia è tornato a trionfare il capitalismo, prima nella forma privata voluta da quello sciagurato di Eltsin, poi nella forma statalizzata voluta da Putin.

Nel frattempo l’arroganza dell’occidente è aumentata a dismisura. L’implosione dell’URSS ci autorizzava a pensare d’essere un modello per tutto il mondo. Senonché il conflitto russo-ucraino ci ha fatto improvvisamente capire che non è così. Anche se il socialismo sembra non esistere più come alternativa al capitalismo, l’occidente deve mettersi nella testa che è destinato a vivere in un mondo multipolare, in cui nessuno ha il diritto di dettar legge agli altri.

 

La UE nel Terzo mondo

 

Secondo l’OMS, la temperatura interna di casa dovrebbe essere di almeno 18°C e non superiore a 24°C. In genere si tiene 21°C o anche meno in certe stanze.

Invece la follia degli statisti europei che han voluto sanzionare la Russia, ci porterà il prossimo inverno a ridurre il gas di almeno il 15% e quindi ai seguenti provvedimenti:

- nelle case il riscaldamento scenderà di due gradi e anche l’orario di accensione dei termosifoni sarà ridotto;

- ai Comuni verrà chiesto di ridurre l’illuminazione pubblica nelle strade e sui monumenti fino al 40% dei consumi totali;

- gli uffici pubblici potrebbero chiudere in anticipo;

- i negozi dovrebbero abbassare le saracinesche entro le 19, mentre per i locali l’orario di chiusura sarà anticipato alle 22;

- le aziende che consumano più energia potrebbero vedersi interrompere la fornitura per un periodo limitato di tempo.

D’altra parte il gas è aumentato di 10 volte per colpa della speculazione privata. Cioè anche se riuscissimo a trovare fornitori alternativi alla Russia, non li troveremo mai agli stessi prezzi economici, quelli che han permesso all’Europa di diventare uno dei continenti più facoltosi del mondo.

Col razionamento al massimo potremo resistere un anno. Poi lo sconvolgimento delle abitudini, i crescenti disagi e la progressiva miseria ci porteranno o a dichiarare guerra alla Russia o ai nostri governi nazionali. Non è infatti possibile che gli europei tornino di colpo agli anni ’50, quando si riscaldavano con la stufa a legna o a carbone. Se si continua a pretendere la fine dell’industria, dovremo tornare alle lampade a petrolio per avere l’illuminazione e ci faremo il bagno nella tinozza una volta la settimana.

I prossimi leader che si dimetteranno saranno sicuramente Scholz e Macron, ma coloro che sostituiranno gli statisti scriteriati della UE, contenti di fare da zerbino agli USA, non riusciranno assolutamente a risolvere in tempi brevi il problema energetico, a meno che le proteste popolari non li costringano a togliere le sanzioni alla Russia.

L’Europa rischia di uscire dall’occidente e di entrare in quello che una volta veniva chiamato “Terzo mondo”.


Settembre

 

 

 

[1] Si rubano tutto

 

L’Ufficio ucraino anticorruzione (NABU), direttamente subordinato all’amministrazione statunitense, ha iniziato a indagare sui funzionari dell’amministrazione controllata dagli ucraini della regione e della città di Zaporizhzhya. Infatti i “servi del popolo” (!) rubavano gli aiuti umanitari occidentali ai loro stessi militari su scala industriale: 22 container marittimi, 389 vagoni ferroviari e 220 camion. Lo schema prevedeva che, dopo l’arrivo in Ucraina, i vagoni fossero portati a Dnipropetrovsk, presumibilmente per essere scaricati e disimballati. Una parte degli aiuti è stata depositata lì. Tutto quello che di assistenziale i militari ricevono, arriva direttamente dai volontari non dal governo.

Anche gli oligarchi vicini a Zelensky sono coinvolti nel furto di donazioni. Gli investigatori ritengono che gli aiuti umanitari siano finiti nelle maggiori catene di vendita al dettaglio ATB e Silpo. Il proprietario della catena ATB (oltre 1.200 negozi nel Paese), un vecchio miliardario Hennadii Butkevich, amico di Zelenskyi, è nella lista delle 15 persone più ricche dell’Ucraina. Invece Silpo (oltre 600 negozi) è di proprietà di Vladimir Kostelman, al 35° posto nella classifica degli oligarchi locali. Possiede anche ristoranti, un impianto di lavorazione della carne, un allevamento di pollame, un allevamento di pesce, farmacie e una catena di elettronica in Ucraina.

Su questo fatto Zelensky ha evitato qualunque commento.

Da notare che il parlamento ucraino ha già adottato una legge il 16 agosto in base alla quale ricevere o distribuire aiuti umanitari nei territori occupati dai russi è considerato un atto di collaborazionismo, per cui si può essere puniti fino a 15 anni di carcere.

 

Un mondo difficile da capire

 

In Turchia il PIL sta aumentando a vista d’occhio. Come mai? Semplice: aziende tedesche e italiane stanno già delocalizzando in Turchia, dove trovano energia russa a buon mercato, costo del lavoro attraente e tassazione molto bassa.

L’obiettivo è quindi quello di delocalizzare in quei Paesi non coinvolti nelle sanzioni antirusse. D’altronde anche gli USA stanno cercando di commerciare con la Russia tramite la Turchia, la quale comunque non nasconde il suo sostegno all’Ucraina, anche con la fornitura di armi (droni e veicoli corazzati).

 

La verità vien sempre a galla

 

Secondo il governo neonazista di Kiev:

1. Per ignoti motivi i russi hanno iniziato a bombardare da soli la centrale nucleare di Zaporozhye che già controllano sin dall’inizio della guerra e che collegheranno alla Crimea.

2. Poi hanno chiesto all’ONU una missione AIEA per incolpare l’Ucraina.

3. Poi si sono nuovamente auto-bombardati per impedire alla missione di arrivare.

Siamo a livelli di psichiatria!

Nella realtà cos’è successo?

È chiara la volontà ucraina d’impedire l’arrivo della missione AIEA presso la centrale nucleare. Il disperato tentativo di portare truppe a ridosso della centrale, i bombardamenti sulla città, il blocco della colonna di veicoli AIEA a 10 km dal fronte in territorio sotto controllo di Kiev sono inequivocabili! Non vogliono la missione ONU dove loro colpiscono senza remore la centrale nucleare. Non è la prima volta che lo fanno. Dopo l’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines nel 2014 fecero lo stesso: bombardarono per giorni il luogo dov’erano precipitati i resti dell’aereo per impedire l’arrivo degli ispettori internazionali.

Le truppe ucraine, in due gruppi di sabotaggio composti da un massimo di 60 persone in sette barche, sono sbarcate sulla costa del bacino idrico di Kakhovka, 3 km a nord-est della centrale nucleare di Zaporozhye, e hanno tentato d’impossessarsi della centrale. Ma i russi han difeso con successo la centrale usando anche l’aviazione.

Allora le Forze armate ucraine hanno bombardato il punto d’incontro della missione dell’AIEA nell’area dell’insediamento di Vasilyevka e della centrale nucleare di Zaporozhye. La provocazione del regime di Kiev è volta a interrompere l’arrivo del gruppo di lavoro dell’AIEA alla centrale nucleare.

Ci riuscirà?

Rafael Grossi, al comando della missione AIEA, si è imposto sugli ucraini forzando la mano, cioè decidendo di entrare in territorio sotto controllo russo.

 

In mano a scriteriati

 

Il tasso d’inflazione è salito di mezzo punto in un mese, dal 7,9% di luglio all’8,4% di agosto. E lo dice l’ISTAT, che in genere minimizza. Siamo tornati al 1985. E gli analisti ritengono che entro fine anno avremo un’inflazione a due cifre.

Rispetto all’autunno 2021, ora per far la spesa occorre spendere il doppio. E a settembre ci sono anche i materiali scolastici da acquistare, da quei maledetti editori che cambiano le copertine ai manuali o aggiungono qualche pagina o figura in più per dire che l’edizione è rinnovata e quella vecchia non si può acquistare. E i docenti si prestano a questo sporco gioco, tanto per loro la copia è gratuita. I libri scolastici van comprati usati, anche per diminuire l’impatto sugli alberi da abbattere. Tanto la cultura scolastica è sempre approssimativa, oltre che ideologicamente uniforme, orientata.

Il bello è che a nessun partito di governo viene in mente di riprendere i rapporti con la Russia. Siamo in mano a una sfilza di gente scriteriata che va buttata giù dal trono in cui crede di stare...

 

[2] Senza USA e UE si sarebbero già arresi

 

La battaglia per occupare Kherson, da parte ucraina, ha la stessa motivazione della battaglia di Kursk, allorquando la Wehrmacht usò le sue unità d’élite per riscattarsi dalla sconfitta di Stalingrado. Quella fu la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia. Praticamente spianò la strada all’occupazione di Berlino.

Il regime neonazista di Kiev si è giocato forse l’ultima carta. Erano unità scelte, ben addestrate, non quell’accozzaglia presa qua e là per formare le milizie territoriali e che, se non si arrende, viene puntualmente decimata.

Il fatto che bombardino continuamente i civili del Donbass e la centrale nucleare di Zaporozhye dimostra tutta la loro disperazione.

Volevano occupare la centrale per mostrare alla delegazione dell’AIEA che sono stati i russi a bombardarla. Ma non vi sono riusciti. Il terrorismo nucleare proviene solo da una parte ed è sostenuto dagli angloamericani.

 

[3] L’importante è avere la coscienza a posto

 

I ministri delle finanze del G7 hanno concordato l’idea di porre un tetto massimo di prezzo per il petrolio russo, sostenendo che ciò servirà non solo a frenare l’inflazione, ma anche a prosciugare una fonte di finanziamento della Russia per la guerra contro l’Ucraina.

I russi han già risposto che se l’occidente fissa un tetto massimo sui prezzi delle risorse energetiche russe, ciò sarà contrario ai princìpi dell’economia di mercato e del buon senso, per cui la loro fornitura ai Paesi ostili verrà interrotta, tanto più che il 5 dicembre verrà adottato il sesto pacchetto di sanzioni, che prevede a dicembre l’embargo completo sul greggio russo e a febbraio sui derivati.

Poste queste premesse, aspettiamoci a gennaio in Europa un forte razionamento dell’energia e multe salate a chi la spreca. Al momento la UE non è assolutamente in grado di trovare un’alternativa alla quantità di idrocarburi importati dalla Russia.

Sappiamo che i tentativi iniziali d’imporre un embargo sulle esportazioni di energia russe hanno portato soltanto a un forte aumento dei prezzi dell’energia (decisi alla borsa di Amsterdam) e hanno dato alla Russia un reddito aggiuntivo significativo.

Ora invece si pensa che un price cap potrebbe funzionare se l’occidente legasse servizi importanti come l’assicurazione per il trasporto di petrolio al rispetto del regolamento (questi servizi sono in gran parte in mano occidentale).

Gli stessi funzionari del G7 affermano che, affinché le restrizioni funzionino davvero, è necessario il sostegno di tutti i Paesi che importano petrolio russo, come ad es. l’India (che però acquista dalla Russia non solo tantissimi idrocarburi ma anche armi, e partecipa persino a esercitazioni militari nella Russia orientale).

Come finirà questa ridicola sceneggiata delle sanzioni? Che noi compreremo gas e petrolio da India e Cina che li avranno acquistati dalla stessa Russia a prezzi di molto inferiori. Così avremo la coscienza a posto, perché coerente con le posizioni guerrafondaie di sempre, e i cittadini comuni finiranno sul lastrico, come al solito.

 

In Ucraina anche i giornalisti allineati devono tacere

 

Sullo sfondo del fallito contrattacco delle forze armate ucraine nella direzione di Kherson, è stata aumentata la censura anche per i giornalisti ucraini allineati al regime. Questo per prevenire la demoralizzazione sia del personale militare che dei comuni cittadini.

Tutti i corrispondenti di guerra sono stati richiamati dal fronte. Inoltre sono state date loro delle direttive molto precise:

- È vietato valutare le azioni delle Forze armate dell’Ucraina. Solo i vertici militari riferiscono sull’andamento delle ostilità, cioè non ci si può basare su informazioni provenienti dal personale militare ordinario o dai comandanti sul campo.

- È vietato interpretare la situazione militare in modo alternativo a quello ufficiale.

- È vietato fare previsioni personali. Solo gli ufficiali delle Forze armate dell’Ucraina riferiscono su tutte le azioni militari, le loro conseguenze e i loro risultati.

Insomma tutto ciò che non è esplicitamente permesso, resta vietato. Questa è la democrazia!

 

Domande cruciali e tabù

 

Sul piano energetico le domande cruciali che i politici, gli economisti e i giornalisti dovrebbero porsi, sono le seguenti: ha mai funzionato la decisione di porre un tetto al prezzo delle merci in un mercato libero, non controllato dallo Stato? Tale politica non ha forse sempre favorito il mercato nero? Non sarebbe meglio nazionalizzare i colossi dell’energia (in Italia Eni ed Enel)? La sola Eni nel primo semestre del 2022 ha totalizzato 7,4 miliardi di utili netti, a fronte degli 1,1 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno.

Insomma non sarebbe meglio riaprire i rapporti diplomatici con la Russia, stipulando nuovi contratti di fornitura svincolati dall’indicizzazione al TTF, il mercato del gas di Amsterdam? Non stiamo rischiando di comprare a prezzo maggiorato il gas russo attraverso i Paesi che lo acquistano già adesso liberamente e che non accetteranno mai un prezzo massimo sugli idrocarburi, per timore di rimanerne senza o per non fare un torto alla Russia o per non fare un favore all’occidente?

 

England alle corde

 

“Bloomberg” scrive che secondo l’associazione degli industriali britannici (MakeUk) il 60% delle industrie del Paese potrebbe chiudere a causa dei costi dell’energia.

In particolare il razionamento energetico quest’inverno potrebbe imporre alle persone di non cucinare prima delle 20, di chiudere i pub alle 21, di tenere aperte le scuole solo tre giorni alla settimana e di non riscaldare le piscine.

 

Pur di far cassa si privatizza tutto

 

Kiev lancia la privatizzazione di 150 imprese statali entro l’anno, ivi inclusi i panifici e le distillerie. I fondi ricevuti dalla vendita all’asta saranno destinate alle esigenze delle forze armate ucraine. Ma tutti i soldi che han ricevuto fino adesso, chi se li è intascati?

 

[4] Il governo tedesco aiuta i propri cittadini, noi no

 

La Germania ha approvato il terzo pacchetto di aiuti per far fronte alla crisi economica in corso. Le misure prevedono:

- Volume totale: 65 miliardi di euro.

- Contributo ai pensionati: 300 euro.

- Borsa di studio per studenti (importo esatto non menzionato).

- Prezzo massimo fissato per i produttori di energia elettrica (nessuna cifra specificata).

- Aiuto con le spese di riscaldamento.

- Gli assegni familiari saranno aumentati di 18 euro in un solo passaggio.

- Dal 2023 saranno eliminate le tasse su tutti i redditi fino a 2.000 euro al mese.

- Se il bonus inflazione viene erogato dai datori di lavoro fino a 3.000 euro, non verranno detratte tasse e imposte.

- L’indennità di cittadinanza sarà aumentata a 500 euro.

Cioè invece di riprendere tranquillamente i rapporti con la Russia, rinunciando alle sanzioni e a inviare armi a Kiev, si preferisce svenarsi.

In ogni caso da noi il “liquidatore” Draghi dice che non ci sarà alcuno scostamento di bilancio per aiutare le famiglie in difficoltà (solo qualcosa per le aziende).

 

Carcere e confische ai filorussi

 

La vice ucraina Irina Vereshuk ha dichiarato che i cittadini ucraini che parteciperanno al referendum sull’adesione alla Russia saranno condannati a 12 mesi di carcere con la confisca dei beni.

Ammettiamo che a Kherson o a Odessa anche solo il 60% dei cittadini voglia passare sotto la Russia. In tal caso l’Ucraina avrebbe le carceri per metterli tutti in galera? Impossibile. È evidente quindi che il vero spauracchio è la confisca dei beni, che a un Paese economicamente fallito come quello farebbe molto comodo.

In ogni caso una dichiarazione del genere non dissuade ma incentiva l’adesione alla Russia.

 

Praga in rivolta

 

Oltre 70.000 persone si sono radunate a Praga chiedendo dimissioni del governo, abbassamento dei prezzi di gas ed elettricità e neutralità sul conflitto in Ucraina.

In quale giornale occidentale è apparsa questa news? Nessuno!

 

[5] La realtà è putiniana

 

Se la nostra campagna elettorale non fosse falsata dalle ingerenze americane, i partiti discuterebbero soltanto della questione fondamentale: le sanzioni dell’Europa contro la Russia, che si sono rivelate sanzioni contro l’Europa, mentre alla Russia non fanno un baffo. Tant’è che Putin brucia il metano che non ci vende più (guadagnando più di prima dal boom dei prezzi) e la von der Leyen c’invita con nonchalance a “prepararci a una potenziale interruzione totale del gas russo”: cioè a una sanzione della Russia contro la UE che, diversamente da quelle della UE contro la Russia, farebbe malissimo ai destinatari, cioè a noi che saremo autosufficienti forse fra 3-4 anni.

Un disastro di queste proporzioni, causato dall’insipienza delle classi dirigenti europee, inclusi i nostri “Migliori”, dovrebbe monopolizzare il dibattito elettorale: i partiti dovrebbero chiedersi se non sia il caso di rivedere sanzioni che danneggiano chi le impone, mentre la presunta vittima se la ride. Invece ne parla solo Salvini, che appena pronuncia la parola Russia fa pensare a Savoini al Metropol e agli accordi fra Lega e Russia Unita. Ma il tema è troppo serio – visti i danni incalcolabili che le auto-sanzioni stanno per provocare a migliaia di imprese che falliranno e a milioni di famiglie che sprofonderanno nella miseria più nera – per lasciarlo al Cazzaro Verde.

Le sanzioni dovevano accelerare il default russo e dissanguare il regime putiniano per levargli i mezzi per la guerra ucraina, scatenargli contro il malcontento popolare e accelerarne la caduta. Invece i russi mantengono il controllo del Sud-Est ucraino, la controffensiva di Kiev esiste solo sui giornali della propaganda atlantista, l’economia russa tiene botta e Putin appare ben saldo.

A dissanguarsi è la UE, per la gioia degli unici beneficiari di questa follia collettiva: gli USA. Lo dice il FMI, smentendo il Consiglio UE: in Russia il calo del PIL nel 2022 non sarà dell’11%, ma del 6. E siccome l’export di energia supererà di 100 miliardi di dollari quello del 2021, il totale delle esportazioni crescerà, con un’inflazione vicina al 10% dell’Eurozona. Anche l’“Economist” conferma che la UE ha confuso i sogni con la realtà: “L’economia russa continua a battere le attese e la guerra delle sanzioni non va come previsto”; dopo lo choc iniziale “il sistema finanziario s’è stabilizzato e il Paese sta trovando nuovi fornitori, inclusa la Cina. Intanto in Europa la crisi energetica potrebbe innescare una recessione”. Che renderà sempre più impopolare il sostegno militare all’Ucraina, vista la sua conclamata inutilità in assenza di risultati sul campo.

Fonte: Marco Travaglio, “Il Fatto Quotidiano” del 30-8-2022

 

Il governo polacco si sente diverso

 

La Corte suprema della Polonia non riconosce il primato del diritto europeo sul diritto costituzionale nazionale, affermando che alcuni articoli del trattato UE sono incompatibili con la Costituzione polacca.

La contestazione legale è stata proposta da Mateusz Morawiecki (il premier che aveva chiesto ai tedeschi di chiudere unilateralmente il Nord Stream I entro la fine dell’anno) e non ha precedenti nella storia comunitaria. È infatti la prima volta che il leader di uno Stato membro del blocco a 27 mette in discussione i trattati e la supremazia delle leggi europee su quelle nazionali.

Il 1° settembre 2022 il governo ha dovuto affrontare una mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni, in merito all’incapacità di gestire la crisi energetica. Si è salvato per miracolo, ma alla prossima sfiducia crollerà di sicuro.

Che la Polonia, i Baltici e altri Stati vogliano formare una UE alternativa? Magari ancora più filoamericana? O è solo un pretesto per non restituire i tanti soldi che la UE ha dato alla Polonia?

 

Costi energetici triplicati

 

La forneria “Tobias Plaz” di un Comune tedesco, Eutingen im Gäu, ha recentemente reso pubblica la bolletta del gas per il proprio stabilimento. Finora doveva pagare 9,73 centesimi per kw/h per il panificio e per gli appartamenti, per i quali ha bisogno di circa 80.000 kw/h di gas all’anno. A partire dal 1° ottobre 2022 tutto ciò gli costerà ben 34,96 centesimi. Di conseguenza i suoi anticipi al fornitore di energia sono passati da 721 euro a 2.588 euro al mese.

Per i suoi forni, che consumano circa 120.000 kw/h di gas, ha solo un contratto fisso di fornitura di gas sino a fine anno. Se i costi aumentano nella stessa dimensione, l’azienda di famiglia pagherà 41.952 euro all’anno dal 2023 anziché 11.676 euro. Un aumento di 30.000 euro!

Generalmente a questi livelli in Italia si chiude.

Fonte: schwarzwaelder-bote.de

 

[6] Tutta colpa del TTF

 

Oggi il prezzo del gas viene determinato dal TTF, un indice finanziario della borsa di Amsterdam, per cui la contrattazione del prezzo del gas non è più legata a un mercato reale ma a un indice virtuale finanziario. L’unico luogo dove il prezzo del gas è cambiato è proprio quello, e il nostro governo non ha mai avuto dubbi a usarlo come riferimento per la vendita di gas al consumatore italiano.

L’ENI p.es. sta comprando il gas dalla Russia a un prezzo bloccato e molto basso, grazie a un accordo fatto 10 anni fa. Magicamente il prezzo del medesimo gas valutato alla borsa di Amsterdam si moltiplica (anche fino a 5 volte) e questo incremento sta mettendo in ginocchio il settore industriale e le famiglie. Non a caso gli utili dell’ENI sono aumentati del 700% (rispetto il 2021) solo nel primo semestre del 2022.

Quindi il prezzo del TTF è il punto di riferimento per il prezzo di tutto il gas, anche di quello che dipende da contratti a lungo termine e che ovviamente è di molto inferiore a quello stabilito di volta in volta sui mercati.

È facile che alle imprese in difficoltà (centinaia di migliaia) saranno dati spiccioli dalla Cassa depositi e prestiti, cioè dal maggiore azionista dell’ENI.

Chi sono gli azionisti dell’ENI?

- Stato italiano (Cassa Depositi e Prestiti 25,96%, Ministero delle Finanze 4,37%), 30,6%

- The Vanguard Group, 1,82%

- Norges Bank Investment Management, 1,45%

- GQG Partners, 1,37%

- Eni SpA, 0,93%

- Amundi Asset Management, 0,86%

- Schroder Investment Management, 0,81%

- Massachusetts Financial Services, 0,75%

- BlackRock Advisors, 0,68%

- Geode Capital Management, 0,54%

Ma lo stesso discorso vale per l’ENEL o l’EDISON. Il governo non chiede trasparenza alle grandi imprese che importano gas.

 

Una truffa vera e propria

 

Sul piano energetico gli statisti europei han compiuto due gravissimi errori: han sganciato il prezzo del gas dal prezzo del petrolio e han stabilito che fosse la Borsa di Amsterdam a decidere di volta in volta questo prezzo.

Una scelta scellerata che ci ha esposto alla speculazione senza scrupoli dei grossisti (ENI, ENEL, EDISON...). L’altro errore è stato l’abbandono dei contratti a lungo termine in luogo di contratti spot, quelli decisi in tempi brevissimi.

Gli statisti europei sono i veri responsabili della crisi economica in Europa, poiché son loro che han fatto passare il prezzo del gas da 15 a oltre 300 euro per megawatt/ora.

La vera causa non è il fatto che la Russia non ci fornisce più gas, ma che la Borsa di Amsterdam appartiene a una società finanziaria statunitense che determina il prezzo sulla base di meccanismi speculativi e politici. Comprare a 100 dalla Russia e rivendere a 500 agli italiani è una truffa vera e propria.

 

Assurdità da criminali economici

 

Nella UE il mercato all’ingrosso dell’energia elettrica funziona in base al cosiddetto “prezzo marginale”. Significa che il prezzo dell’energia elettrica prodotta grazie alla fonte più cara (ora è il gas) fa il prezzo di tutta l’energia elettrica. Per questo abbiamo bollette salatissime anche della luce.

E il prezzo del gas viene deciso alla borsa di Amsterdam. Non è per colpa della Russia che il costo dell’energia sta aumentando e, paradossalmente, neppure per colpa delle sanzioni, ma per colpa della speculazione che ha approfittato delle sanzioni che han costretto la Russia a uscire progressivamente dai mercati occidentali. È il capitalismo, bellezza!

Il prezzo dell’energia elettrica scenderebbe immediatamente se la UE decidesse che il prezzo di tutta l’energia elettrica si formasse in base al prezzo di ciascuna fonte di energia elettrica (gas, idroelettrico, carbone, eolico, fotovoltaico…) e in base alla quota di energia che ciascuna fonte fornisce. Infatti il costo delle energie rinnovabili, di per sé, non è aumentato, e in Italia le rinnovabili forniscono il 35% dell’elettricità.

 

Una riforma orribile

 

La prossima riforma europea del mercato energetico consisterà probabilmente di queste tre componenti interdipendenti:

a) calmierare i prezzi energetici attraverso la distruzione della domanda, cioè favorendo i fallimenti delle piccole imprese;

b) penalizzare le tecnologie di produzione di energia elettrica rinnovabile, che pur hanno costi di esercizio di molto inferiori rispetto alle centrali a gas; significa, in pratica, che se oggi l’energia rinnovabile la vendi a 10, domani potrai venderla al massimo a 8 o a 5, a seconda di quale sarà il tetto imposto all’energia prodotta dal gas;

c) trasferire le risorse accantonate mediante il tetto sul prezzo delle rinnovabili per finanziare sconti ai clienti delle non rinnovabili, in modo da non penalizzare eccessivamente le grandi industrie che attualmente fanno largo affidamento su gas e petrolio.

Questa procedura è da criminali. Si ha l’impressione che la crisi artificiale del gas sia finalizzata a creare uno stato di emergenzialità come al tempo della pandemia.

 

Il price cap fallito preventivamente

 

In un regime neoliberista un tetto sul prezzo del gas potrebbe funzionare solo se la differenza fra prezzo di mercato (deciso “liberamente” alla borsa di Amsterdam) e prezzo amministrato dallo Stato fosse coperta da soldi pubblici. Il che sarebbe una spesa enorme, incompatibile coi vincoli di bilancio che la UE stessa impone. E se si trovasse il modo di aggirare questi vincoli, i soldi risparmiati con le bollette li tireremmo fuori in tasse, senza poi considerare che se si pone un tetto al prezzo del gas, sarà poi impossibile tassare i sovraprofitti realizzati dalle grandi imprese del gas.

Fa bene l’Ungheria a dirsi contraria a qualsiasi restrizione nei confronti della Russia che potrebbe potenzialmente danneggiare il Paese.

 

Anche Kiev vuole speculare sul gas

 

Fondamentalmente il gas con la guerra non dovrebbe entrarci per nulla, perché non c’è stato nemmeno un metro cubo di gas che è mancato a causa della guerra. È solo adesso che a Mosca han detto che smetteranno di venderci il loro gas tramite il gasdotto Nord Stream 1 se non toglieremo le sanzioni (che poi queste sanzioni impediscano effettivamente la manutenzione costante del gasdotto, è un altro discorso).

Di fatto la Russia sta ancora inviando gas in Europa attraverso i gasdotti dell’era sovietica che arrivano in Ucraina, e che sono rimasti aperti nonostante il conflitto in corso, così come attraverso il gasdotto South Stream che arriva in Turchia.

Le riserve da noi sono all’82%, come nel 2021, anche grazie agli ingenti flussi provenienti dal TAP e dall’Algeria. L’obiettivo del governo è di arrivare al 90% entro ottobre. La stagione di stoccaggio inizia ad aprile e termina a ottobre.

Lo stesso governo di Kiev è pronto a fornire più di 30 miliardi di metri cubi dei suoi impianti di stoccaggio del gas all’Europa per formare riserve di gas. Ha fiutato l’affare proprio grazie alla borsa di Amsterdam, che decide il prezzo del gas e quindi di tutta l’energia a livello europeo.

Ma Kiev da dove prende questo gas se non dalla stessa Russia? È evidente che ha intenzione di usarlo a fini speculativi e che non gli interessa tenere al freddo la propria popolazione.

 

[7] Fine delle monete occidentali

 

La Gazprom ha firmato un ulteriore accordo al suo contratto esistente con China National Petroleum Corp. Il pagamento sarà effettuato per il 50% in rubli e per il 50% in yuan, con effetto immediato.

Il dominio della finanza rothschildiana era fondato sulla supremazia di dollaro ed euro ed ora queste monete stanno perdendo tutta la loro influenza.

Il futuro degli scambi commerciali internazionali è fondato sulle valute nazionali, il cui uso metterà fine al potere sconfinato della finanza euroamericana sugli Stati nazionali.

Ci si meraviglia che l’occidente sul conflitto ucraino non abbia saputo proporre alla Russia alcun vero negoziato di pace. Per forza, si era convinti di vincere con le sole sanzioni finanziarie. E ora che ci si è accorti che non solo non funzionano, ma stanno anche avendo devastanti effetti retroattivi sulle monete e persino sull’intera economia occidentale, non ci si capacita. E siccome non si vuole ammettere di aver fatto delle previsioni completamente sbagliate sulla capacità di resistenza dei russi, ci si ostina a finanziare e armare una guerra che sarà inevitabilmente perduta. E non solo sarà perduta, ma l’intero assetto geopolitico mondiale, fondato sul globalismo occidentale, verrà completamente sconvolto.

Fonte: bloomberg.com

 

Il flop della tassa sugli extraprofitti

 

Contro il carobollette energetiche il nostro governo ha deciso un intervento d’urgenza: la tassa sugli extra-profitti, cioè l’art. 37 del DL n. 21/2022. Questo perché le società energetiche hanno realizzato grazie a petrolio e gas utili enormi (solo per l’ENI si parla di 20 miliardi di euro tra 2021 e 2022). Questo non solo per l’aumento della domanda rispetto all’offerta, come conseguenza del conflitto russo-ucraino, che ha fatto salire alle stelle il prezzo del gas, ma anche per il fatto che le compagnie energetiche stanno vendendo a prezzi salatissimi materie prime acquistate ben prima del suddetto conflitto. Si tratta di uno di quei casi da manuale in cui il mercato lasciato a se stesso è tutt’altro che virtuoso.

Peccato che quasi tutte le aziende petrolifere non stiano effettuando i pagamenti, sicché, rispetto ai 10,5 miliardi previsti, ne sono arrivati 1/10 circa. La motivazione cui si appigliano è che la tassa sarebbe anticostituzionale. Le uniche due a non aver presentato ricorso sono ENI ed ENEL, che però sono prevalentemente statali.

Il vero problema è che il mercato elettrico dipendente da petrolio o gas è disegnato per determinare il prezzo di scambio dell’energia da consegnare nel breve termine: un giorno, un mese, un trimestre, massimo due anni dopo. Non è disegnato per determinare il prezzo di forniture a lungo termine, come invece quello degli impianti da fonti rinnovabili, che preferirebbero basarsi su contratti da 10 a 30 anni, generalmente a prezzo fisso.

 

Le rinnovabili non contano niente

 

Alle aste nazionali sulla compravendita dell’energia all’ingrosso si confrontano produttori di elettricità molto diversi. Da un lato quelli di energia rinnovabile (idroelettrico, eolico, fotovoltaico) che devono remunerare il costo di realizzazione degli impianti ma usano una materia prima gratuita come acqua, sole e vento, e quindi funzionano a prescindere dalle condizioni di mercato. Dall’altra gli impianti termoelettrici, cioè a carbone e gas, che invece propongono prezzi sulla base del costo della materia prima.

Succede che i produttori di rinnovabili propongono quasi sempre prezzi a zero e tutta la competizione dell’asta è tra i produttori di energia termoelettrica. Il prezzo finale è in sostanza il prodotto di un’asta a cui partecipano davvero soltanto i produttori di energia da gas e carbone.

Non è colpa del Gestore dei Mercati Energetici, che dal 2004 si occupa di gestire la Borsa elettrica nazionale, ma sono le regole europee a imporre questo sistema marginale di definizione del prezzo.

La corsa delle quotazioni del metano (decisa alla borsa di Amsterdam) ha quindi portato al balzo del prezzo per MWh, sul quale la disponibilità di energia rinnovabile non ha nessun effetto “argine”.

 

Anche lei se n’è accorta

 

In un post apparso su vari canali Telegram dedicato a Maria Zakharova, viene detto (ma non l’ho verificato) che Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, avrebbe affermato le seguenti parole al quotidiano “La Repubblica”: “la situazione è tale che gli imprenditori americani pagano oggi l’elettricità sette volte meno di quanto facciano gli italiani. E questo nonostante il fatto che i promotori delle sanzioni siano seduti dall’altra parte dell’oceano. Di fatto le sanzioni sono diventate uno strumento di concorrenza sleale per i produttori italiani. Le imprese in Italia vengono distrutte dai ‘fratelli’ d’oltreoceano, perché ognuno dovrà sopravvivere alla crisi globale da solo”. Non sembrano parole della Marcegaglia, ma se lo sono, faranno fatica, considerando lo spessore dell’intervistata, a relegarla nel girone dei putiniani senza dover rinnegare se stessi.

Resta comunque un fatto incontrovertibile che gli imprenditori europei, inclusi i gestori della finanza e i teorici dell’economia politica, non sono stati minimamente in grado di prevedere il disastro assoluto del sistema produttivo europeo che si profila all’orizzonte a causa delle sanzioni.

Capisco essere stati colti di sorpresa dalla gravissima crisi dei subprime americani del 2008, che ha avuto effetti devastanti su tutti i Paesi occidentali. Capisco l’improvvisa crisi economica mondiale causata per due anni consecutivi dalla pandemia. Ma non prevedere che lo scollamento dell’intero occidente dai rapporti commerciali con la Federazione Russa avrebbe avuto conseguenze catastrofiche anzitutto e soprattutto sui nostri standard abituali di benessere, fa pensare a una forma di miopia particolarmente grave, che ci porta a confondere completamente la realtà coi nostri desideri. L’occidente viveva in una fantastica bolla di sapone, che si era costruito a proprio uso e consumo. Ora questa bolla è esplosa come nel film Truman Show.

 

La scala mobile vietata solo per gli altri

 

La UE è sempre stata contro la “scala mobile”, poiché non vuole che all’aumento dei prezzi corrisponda un aumento di salari e stipendi.

Tuttavia il discorso non vale per gli statisti e i funzionari che gestiscono l’Unione. Il calcolo automatico è stato introdotto nel 2013. Sicché a giugno si sono dati un aumento di stipendio del 2,4%.

La Commissione della von der Leyen però non è mica scema. Lo sa benissimo che l’inflazione in Europa è ormai a due cifre. Pertanto ha giustamente pensato che l’adeguamento degli stipendi doveva attestarsi tra l’8,5 e il 9,4%. E si tratta di circa 60.000 dipendenti. La guerrafondaia Ursula prenderà 2.500 euro in più mensili, pari a 30.000 euro in più all’anno. Chissà quanti dipendenti dovrà licenziare per avere un privilegio del genere... Ma quel che è più assurdo è che proprio una degli statisti europei che più sta contribuendo allo sfacelo economico della UE, sia anche quella che se ne preoccupa di meno, essendo interessata anzitutto ai propri interessi.

Fonte: liberoquotidiano.it

 

[8] La Turchia sta crollando?

 

Il tasso d’inflazione in Turchia ha superato la soglia dell’80% annuo in agosto: un nuovo record dall’estate del 1998. La lira turca in un anno ha perso quasi il 55% rispetto al dollaro USA: ora vale 0,055 dollari. Nonostante ciò la Banca centrale turca continua a tagliare i tassi d’interesse (dal 14 al 13%), invece che aumentarli. La Turchia è il paese coi tassi reali più negativi al mondo.

Erdogan è convinto che la ricetta per contenere l’inflazione sia una politica monetaria espansiva, cioè fa l’opposto di quello che fanno tutte le banche centrali autonome in queste condizioni. Non capisce che aumentando i tassi si contraggono i prestiti, e quindi si riduce la quantità di denaro in circolazione: il che contribuisce a rallentare l’inflazione.

Ha un atteggiamento da spaccone, perché vuole la crescita a tutti i costi: fa leva sul fatto che il PIL è in aumento del 7,6% annuo nel secondo trimestre e che la Borsa di Istanbul ha raggiunto il suo massimo storico e incassato un rialzo di oltre il 70% dall’inizio dell’anno, classificandosi come la miglior piazza azionaria del 2022.

Anche in politica estera lo si vede bene: vuole ricostruire l’impero ottomano. E in politica interna ama fare il dittatore: silenzia qualunque opposizione e licenzia persino i banchieri centrali renitenti a seguire la sua politica monetaria. Però, in quanto appartenente alla NATO, ha avuto coraggio a non mettere sanzioni alla Russia. Ma sarà difficile che venga rieletto nel 2023.

 

Han visto coi loro occhi ma non basta

 

La delegazione dell’AIEA è arrivata alla centrale nucleare di Zaporozhye sotto il controllo russo e ha visto prove di fuoco da parte ucraina, incluso il tentativo, finito male, di occupare con un blitz la centrale.

Il capo dell’AIEA, Rafael Grossi, ha affermato che durante le prime ore di lavoro presso la Znpp, la missione è riuscita a raccogliere molte informazioni importanti, ha visto “cose chiave” che voleva vedere.

L’unica domanda è cosa esattamente voleva vedere. Il suo rapporto infatti è molto cauto e vago. Vi si afferma che “l’integrità fisica della centrale nucleare è stata violata più volte”, ma finora non si può valutare con certezza se sia stato accidentale o intenzionale (sic!). E non si fa menzione di chi l’ha fatto! In altre parole l’agenzia non può incolpare l’Ucraina, perché è sotto l’influenza americana. E però non riesce a incolpare la Russia.

Il documento presenta i fatti del bombardamento in maniera tale che si può addirittura avere l’impressione che la centrale sia bombardata dalle truppe russe, che allo stesso tempo la sorvegliano! Quindi i funzionari dell’agenzia difettano di coraggio e obiettività. Non a caso ritengono che la presenza di personale tecnico russo di alto livello di Rosatom possa interferire con le normali linee di comando operativo o di autorità e creare potenziali attriti col personale ucraino quando si tratta di prendere decisioni.

Pertanto la politica dell’AIEA sulla ZNPP è chiara: espellere le truppe russe e gli specialisti di Rosatom dal territorio della centrale, riportare l’impianto sotto il controllo dell’Ucraina ed eventualmente di alcune forze internazionali. Solo che così l’opzione di una catastrofe nucleare causata dagli ucraini in questo impianto diventerà una realtà. Infatti non gli ci vorrà molto, dopo aver fatto saltare in aria la centrale, dare tutta la colpa ai russi.

L’esempio del rapporto dell’AIEA dimostra ancora una volta che le istituzioni internazionali stanno gradualmente passando sotto il controllo dell’occidente. Ormai solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rimane indipendente.

Intanto la popolazione locale vuole indire un referendum per verificare se c’è la volontà di passare sotto la Russia. Ma finché continuano i bombardamenti sarà impossibile.

 

Come siamo generosi!

 

Ha detto Vladimir Putin all’Eastern Economic Forum di Vladivostok: “Nell’ambito del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, mediato dalla Turchia, sono state inviate solo due navi col grano ucraino su 87 ai Paesi in via di sviluppo. Le altre sono andate in Europa. Hanno esportato ai Paesi più poveri 60.000 tonnellate di cibo su 2 milioni di tonnellate: solo il 3%”.

Secondo Putin le nazioni occidentali hanno decenni e persino secoli di esperienza nel saccheggiare le colonie, un’esperienza che stanno usando ancora oggi. Per prevenire disastri umanitari, la Russia suggerisce di limitare esclusivamente ai Paesi in via di sviluppo le consegne di grano ucraino.

Putin ha poi aggiunto che “l’acquisto di cibo da parte dell’occidente sta provocando un aumento dei prezzi che potrebbe portare a una tragedia per i Paesi più poveri che devono affrontare la carenza di cibo, di energia e di altri beni vitali. Se nel 2019, secondo le Nazioni Unite, 135 milioni di persone nel mondo stavano vivendo una grave carenza di cibo, ora il loro numero è aumentato di 2,5 volte, fino a 345 milioni di persone”.

 

In Olanda gli agricoltori scherzano poco

 

Gli agricoltori olandesi han costretto Henk Staghouwer, ministro dell’Agricoltura, a dimettersi. Era in carica da soli 9 mesi.

Non è piaciuto il suo programma radicale per il clima, che prevedeva la confisca delle fattorie, al fine di facilitare la transizione ecologica dalle pratiche agricole intensive. Cioè cercava di distruggere i loro mezzi di sussistenza, previo rimborso di 24,2 miliardi di dollari.

Il governo aveva imposto una riduzione delle emissioni di azoto dal 50 al 70% entro il 2030, o addirittura del 95% in alcuni luoghi al fine di soddisfare il clima della UE verde. E aveva incaricato i singoli Comuni di capire come raggiungere al meglio tale obiettivo.

L’allevamento del bestiame rappresenta il 40% delle emissioni nel Paese. La politica avrebbe potuto ridurre fino a 1/3 gli allevatori.

A luglio oltre 40.000 contadini erano scesi in piazza per protestare contro la politica, bloccando le strade con trattori e deturpando le case dei funzionari governativi. I Paesi Bassi sono il secondo esportatore mondiale di prodotti agricoli e il più grande esportatore di carne della UE.

Simpatizzanti in altre parti d’Europa avevano organizzato proteste in solidarietà con gli agricoltori olandesi, sostenendo che una tale politica è controproducente in un contesto di livelli d’inflazione molto elevati e carenza di cibo.

Pare inoltre che il governo stesse pianificando di utilizzare i terreni agricoli da espropriare per dei centri di asilo profughi.

Fonte: slaynews.com

 

[9] Viviamo in un mondo rovesciato

 

Fino a pochi anni fa le dinamiche di mercato e il prezzo che si determinava nello scambio reale tra domanda e offerta delle merci erano la base sulle quali si formavano le aspettative sui prodotti derivati (di solito i futures) che alimentano l’attività speculativa. Cioè il prezzo sui mercati reali era la base delle dinamiche speculative.

Oggi avviene l’opposto. Sono le aspettative sulla dinamica futura dei prezzi rappresentate dal valore dei futures sul gas o su altre merci a determinare il prezzo dello scambio di mercato.

Così avviene nel principale mercato per gli scambi all’ingrosso di gas, denominato Title Transfer Facility (TTF). Si tratta di una piattaforma virtuale (e un indice) della borsa di Amsterdam, in cui si vendono e si acquistano gas (poco) e futures sul gas (molto), cioè contratti per scambiare una certa quantità di gas in una data futura e a un prezzo prestabilito. La logica è dunque puramente speculativa.

Tutto ciò è l’esito della liberalizzazione del mercato dell’energia, voluta dal Trattato di Cardiff del 1996, che, in nome della libera concorrenza, ha eliminato qualsiasi forma di regolamentazione del prezzo del settore.

Il paradosso è che il prezzo dell’energia non deriva più dall’incontro tra domanda e offerta, ma da un’attività speculativa che dipende in modo massiccio soprattutto da fattori geopolitici e geoeconomici che poco hanno a che fare con l’effettivo andamento del mercato.

 

L’economia è una cosa, la finanza tutt’altra

 

Oggi la determinazione dei prezzi è sempre meno dipendente dagli scambi reali, materiali, del bene in oggetto, poiché dipende sempre più da variabili extra-mercato di tipo finanziario. Si tratta della morte del tradizionale libero scambio di mercato, con buona pace degli economisti liberisti. La teoria della domanda e dell’offerta, base principale della microeconomia neoclassica, perde di senso. La dittatura della finanza mostra qui tutta la sua potenza.

Lo si vede benissimo col gas. Al TTF di Amsterdam il prezzo del gas non è deciso sulla base della sua quantità a disposizione sul mercato, che praticamente per i prossimi 60 anni è garantita a livello mondiale, senza poi considerare che è in forte aumento anche la produzione di biometano derivante dall’utilizzo del letame degli animali. Ma il prezzo è deciso dalle scommesse che si fanno sulle aspettative relative all’utilizzo effettivo di questa materia prima. Cioè in pratica questa borsa sfrutta le decisioni politiche degli statisti, che quanto più sono insensate, tanto più fanno guadagnare gli speculatori che giocano a fare i Paperon de’ Paperoni.

 

Si decide tutto là dove meno te l’aspetti

 

Non è paradossale che il volume delle transazioni di gas scambiate ad Amsterdam rappresentino una quota risibile del totale europeo (3-4%) e che però proprio la borsa di Amsterdam sia considerata il mercato europeo dominante per la compravendita di titoli futures legati soprattutto al gas?

Non è assurdo che tale compravendita, basata sul nulla (i futures sono solo delle aspettative o delle scommesse), decida il prezzo di una materia prima reale e che influisca sul costo dell’energia in generale, cioè anche di quella non prodotta dal gas?

Ad Amsterdam il prezzo del gas al TTF viene fissato col sistema delle aste al prezzo marginale. La particolarità di questa asta sta nel fatto che, nella fissazione del prezzo dell’energia, non conta da quale fonte la stessa sia stata effettivamente prodotta (rinnovabile, gas, carbone, nucleare), ma dipende dalle scommesse che si fanno sul gas.

Alla fine dell’asta tutti gli intermediari pagheranno quanto acquistato al prezzo marginale, ovvero l’ultimo prezzo che viene accolto, che ovviamente sarà il più alto fra quelli offerti, cum magno gaudio degli speculatori.

Pensare di limitare l’attività speculativa con un decreto è semplicemente ridicolo.

 

Se la UE soffre, l’Olanda se la ride

 

Il mercato TTF (Title Transfer Facility) della borsa di Amsterdam viene gestito da Gasunie, società olandese che controlla buona parte della rete del metano dei Paesi Bassi, oltre ad alcuni gasdotti europei.

Ma la proprietà del TTF è della Intercontinental  Exchange (ICE), una società finanziaria statunitense (proprietaria anche di Wall Street), nata nel 2000, che opera in mercati basati sulla volatilità commerciale dei futures, cioè su quelle stesse scommesse e aspettative (prodotti derivati, non reali) che nel 2008 mandarono in fallimento mezzo mondo, soprattutto nel settore bancario (i cosiddetti subprime del settore immobiliare americano).

All’inizio l’obiettivo principale della società ICE erano i prodotti energetici (petrolio grezzo e raffinato, gas naturale...), ma ora la speculazione selvaggia, eticamente criminale ma giuridicamente legale, si è estesa a zucchero, cotone e caffè, oltre che agli scambi di valuta estera. Quindi prepariamoci ad aumenti vertiginosi dei prezzi anche di queste materie prime.

Naturalmente il TTF olandese non potrebbe mai accettare un limite di prezzo (price gap) sul gas a livello europeo. Anzi quanto più forti sono le sanzioni contro Mosca e quanto più Putin minaccia di chiudere i rubinetti, tanto più la speculazione va alle stelle. Praticamente ci stiamo autodistruggendo.

 

È ridicolo chiedere aiuto alla UE

 

Il tetto al prezzo del gas russo comporterà l’azzeramento dei flussi dall’unico gasdotto ancora funzionante, quello che passa per l’Ucraina. I prossimi inverni moriremo dal freddo e saremo costretti a chiudere molte aziende.

È impossibile non pensare che i funzionari politicamente irresponsabili della UE vogliano la morte di questo continente.

Tutti invocano la forza economica della UE e la necessità di produrre decisioni unanimi. Però i guai col metano li ha causati proprio la scelta di Bruxelles di centralizzare alla borsa di Amsterdam i meccanismi di formazione dei prezzi.

Come possono gli autori del disastro in cui siamo finiti essere capaci di tirarcene fuori? Si è voluto a tutti i costi un mercato dei prodotti energetici basato sull’euro da contrapporre a quello basato sul dollaro. Si voleva imporre l’euro come valuta di scambio su una materia prima.

Ma imitare gli americani sul piano finanziario ci sta portando al collasso, anche perché loro il gas ce l’hanno, noi dobbiamo importarlo quasi tutto. La borsa TTF andrebbe chiusa.

Nella nostra condizione sarebbe stato molto meglio continuare ad affidarsi a contratti a lungo termine e a prezzi fissi, cioè a quanto ci garantiva la Russia.

 

Tutti i post di oggi si basano su un’unica fonte: effimera.org

 

[10] Un ritorno a quale Medioevo?

 

È evidente che l’effetto boomerang delle nostre sanzioni alla Russia ci porterà alla recessione, cioè ai fallimenti aziendali (o anche solo alle loro chiusure temporanee o delocalizzazioni), al crollo del PIL, a una crescente inflazione, alla disoccupazione di massa e all’aumento esponenziale del debito pubblico. Tutti elementi favorevoli allo scoppio di una guerra civile. Sembra che dietro vi sia una regia distruttiva vera e propria.

Senonché penso che dovremmo cogliere la palla al balzo e chiedere con insistenza che la fine dell’industrializzazione favorisca non solo la transizione energetica verso fonti pulite, ma anche un ritorno al Medioevo, in forme e modi naturalmente riveduti e corretti.

Un’economia di autosussistenza sappiamo tutti cosa vuol dire: primato della terra, autoconsumo, baratto delle eccedenze, autoproduzione artigianale, allevamenti non intensivi, rispetto della riproduzione della natura, ecc.

Se vogliono questo, lo dicano chiaramente, poiché in tal caso dovremmo rinunciare anche al valore di scambio che si registra sui mercati e nelle borse di tutto il mondo. Di più: dovremmo rinunciare all’uso di qualunque transazione monetaria, nel senso che non dovrà più esserci alcun equivalente universale.

Per non parlare del fatto che non avrebbe alcun senso neppure la democrazia rappresentativa nazionale, in quanto la democrazia sarà soltanto diretta e locale. Dovremmo chiudere persino tutte le istituzioni statali, in quanto i rapporti pubblici saranno di tipo “personale”, basati sulla fiducia reciproca. E per quanto riguarda l’esercito, non potrà essere composto da “professionisti”, ma solo dal popolo nella sua interezza, con finalità puramente difensive.

Ci dicano chiaramente che vogliono questo e ci attrezzeremo. Naturalmente per noi non ha alcun senso che il ritorno al Medioevo debba comportare anche tutte quelle forme insopportabili di servaggio e di clericalismo, dovute sostanzialmente alla presenza della proprietà privata dei mezzi di produzione. È assurdo tornare a qualcosa così com’era, inclusi tutti i suoi più grandi difetti.

 

W le donne!

 

Il regime di Kiev ha deciso di iscrivere le donne, comprese quelle incinte e quelle con bambini piccoli, nel registro militare a partire dal 1° ottobre.

Washington e Bruxelles chiedono a Zelensky di combattere una guerra fino all’ultimo ucraino, maschio o femmina che sia. D’altra parte non avrebbe senso un fiume di vedove sparse in tutta Europa coi loro figli. È giusto che anche loro muoiano sul fronte, tanto i loro figli verranno facilmente adottati da chi vive in un continente di vecchi e/o con pochissimi figli (senza poi considerare i problemi dell’infertilità).

Naturalmente la moglie di Zelensky, come quelle degli oligarchi ucraini, son già tutte all’estero che si godono la vita e non saranno minimamente interessate da questa decisione.

 

Un dubbio amletico

 

Il nostro rapporto con la Russia sta facendo emergere un dubbio amletico: continuare a comprare il suo gas (di ottima qualità, a prezzo contenuto e con contratti a lunga scadenza), oppure restare fermi sulle sanzioni per motivi etici, politici, giuridici o comunque extraeconomici?

Ha senso non comprare il gas proveniente dalla Russia quando lo stesso gas, a costi di molto superiori, andremo a comprarlo da Cina o India, che a loro volta lo stanno comprando dalla Russia? Possiamo metterci la coscienza a posto dicendo che non siamo tenuti a sapere da chi lo comprano? Per noi cos’è più difficile sopportare: un rincaro astronomico delle bollette o un’evidente ipocrisia? Ci preme di più il portafoglio o la coscienza?

Se davvero rifiutiamo le ipocrisie, dovremmo escludere dall’elenco dei nostri fornitori energetici tutti quelli che fanno acquisti dalla Russia.

Ma quanti sono i Paesi che dobbiamo escludere? Più di quanto possiamo immaginare. Soltanto in Sudamerica Brasile, Argentina, Messico ed Ecuador acquistano un’infinità di prodotti dalla Russia: petrolio, ferro, acciaio, carbone, alluminio, fertilizzanti minerali e chimici, oltre a gomma, grano, carta e cartone…

Che speranze abbiamo di poter restare coerenti coi nostri princìpi? Nessuna. Il globalismo l’abbiamo inventato noi, perché il capitale non sopporta gli angusti limiti nazionali, e ora dobbiamo accettarlo in tutte le sue conseguenze, che ci piaccia o no.

 

[11] Non sono petali profumati

 

Andrey Marochko, portavoce della Milizia popolare della repubblica di Lugansk, ha detto che ci vorranno 20 anni per bonificare la repubblica dalle mine ucraine. Questo perché è stata minata la regione in modo caotico: tutta la LPR è diventata un campo minato. Ma anche l’altra repubblica ne è piena. Di recente gli addetti allo sminamento hanno sgomberato un’area di circa 458 ettari, trovando più di 51.000 oggetti esplosivi.

Particolarmente pericolose sono le mine antiuomo PFM-1 Lepestok, conosciute anche come Petal o pappagalli per la loro forma. Sono ordigni delle dimensioni di una foglia (circa 10 cm di diametro ) che vengono lanciati all’interno di razzi a grappolo o delle granate. I “petali” sono progettati in modo che quando il loro contenitore si rompe, iniziano a ruotare rapidamente, rallentando la caduta e non esplodendo al contatto col suolo. Alla fine si mimetizzano tra le foglie e i sassi o nel fango. Per farli deflagrare può essere sufficiente una pressione minima di circa 5 kg, quindi basta anche un bambino molto piccolo. I primi a usarli sono stati gli americani (BLU-43/B) nell’operazione “Igloo White” in Laos durante la guerra del Vietnam. Ma anche i nazisti tedeschi avevano iniziato a produrre qualcosa del genere durante la II guerra mondiale, lanciabile da aerei (la SD 2).

È una mostruosità volta a colpire appositamente i civili. Generalmente strappano i piedi o le gambe alle persone lasciandole mutilate per tutta la vita. Sono vietate dalla Convenzione di Ginevra, poiché i loro effetti devastanti possono verificarsi anche a distanza di molti anni dalla fine del conflitto (i “petali” almeno un decennio), anche perché sono progettate per funzionare a qualunque temperatura (da -40 a +50 °С). Per es. migliaia di mine anticarro e antiuomo di fabbricazione italiana sono state scoperte nel 2018 dai corpi del genio militare irakeno nei pressi di Bassora, ove erano state collocate al tempo della guerra tra Iran e Iraq del 1980-88.

Il governo ucraino dichiarò che la sua scorta di mine PFM-1 nel 1999 era di 6.000.000 di unità. Gli fu chiesto di smantellarle sulla base di vari trattati, anche dietro congruo compenso, ma alla fine del 2021 le scorte ammontavano ancora a 3.363.828 mine, dopodiché il governo smise di dare ulteriori comunicazioni sulla loro distruzione.

Da notare che Wikipedia ha chiuso l’articolo sulle mine antiuomo Lepestok PFM-1 alle modifiche, rimuovendo ogni riferimento alla dispersione delle mine da parte dell’esercito ucraino a Donetsk. Com’è equidistante questa enciclopedia!

 

Uno sminamento da sfruttare

 

Una nave dragamine della Marina rumena ha rischiato di saltare in aria per colpa di una mina navale ucraina nel mar Nero. Illeso per fortuna l’equipaggio ma la nave è rimasta bloccata.

Già in precedenza i Paesi della NATO avevano cercato di promuovere l’idea d’inviare le loro navi da guerra in quelle acque, apparentemente per lo sminamento. Ora è facile che si rifacciano avanti per sfruttare l’incidente come pretesto per chiedere alla Turchia ad aprire il Bosforo alle navi militari occidentali.

Dall’inizio della guerra ad oggi 28 mine marine sono state distrutte solo nella parte occidentale del mar Nero.

Ribadisco che Erdoğan è uno statista assai poco affidabile: di recente, per es., ha ribadito che “L’integrità territoriale dell’Ucraina è fondamentale per la sicurezza e la stabilità globale. Il ritorno della Crimea all’Ucraina è un requisito del diritto internazionale”. Nello stesso tempo ha chiesto di poter far parte dei BRICS.

 

Grecia e Turchia ai ferri corti

 

La Grecia ha compiuto un passo senza precedenti: ha informato il quartier generale della NATO, la UE e l’ONU che una guerra in stile ucraino si profila con la Turchia. Motivo? Controversie sui diritti marittimi (soprattutto in relazione alla perforazione di petrolio e gas turchi nel Mediterraneo orientale); lo stato delle isole greche dell’Egeo (inclusa Cipro, per non parlare di Creta, che i turchi rivendicano come propria); violazioni dello spazio aereo.

Ankara ha già presentato una denuncia formale al quartier generale della NATO, affermando che Atene sta militarizzando le isole al largo della costa turca in violazione dei trattati storici.

Erdoğan odia profondamente i greci e non si preoccupa affatto di nasconderlo.

Fonte: zerohedge.com

 

La resa è la soluzione migliore per negoziare

 

Come han risposto i russi alla controffensiva ucraina nel Donbass? Attaccando coi missili le più grandi centrali termoelettriche dell’Ucraina orientale e centrale. I lanci sono stati effettuati dalle acque del Mar Nero e del Mar Caspio.

L’Ucraina finirà presto nel buio e nel freddo. Le stesse centrali nucleari non sono in grado di trasferire l’elettricità che generano alla rete. Le regioni occidentali e centrali sono state improvvisamente scollegate da quelle orientali e meridionali. I treni elettrici si sono fermati in quasi tutto il Paese. La centrale nucleare di Zaporozhye, continuamente bersagliata dai missili ucraini, ora ha tutti i reattori chiusi.

Gli esperti dicono che per disattivare completamente il sistema energetico del Paese bisogna colpire gli autotrasformatori di potenza 750/330kV nelle parti occidentali e centrali dell’Ucraina, oltre che sul Dnepr.

Ancora non si è capito il significato dell’espressione “operazione militare speciale”. Non è una guerra, ma se il governo ucraino la vuole, convinto dalle promesse di vittoria della NATO, dell’Ucraina non resterà più nulla.

 

[12] È iniziato l’orrore ukronazi

 

È lunga la lista degli abitanti dei villaggi dell’oblast di Kharkiv – prima liberati dai russi e ora rioccupati da Kiev – accusati di collaborazionismo e tradimento.

Si tratta di una vera e propria schedatura di massa. Sulla lista ci sono attivisti dei partiti politici antinazisti, membri delle amministrazioni civili, agenti di polizia, impiegati, insegnanti, negozianti che hanno accettato il pagamento in rubli.

Compare chi ha ottenuto il passaporto russo, ha espresso posizioni pubbliche a favore dell’annessione alla Russia (tramite p.es. un referendum) o, semplicemente, si è dimostrato “amichevole” verso i soldati di Mosca.

Per finire sulla lista dei ricercati basta un semplice sospetto o una delazione da parte di vicini di casa e rivali con cui si ha avuto un litigio. I banderisti hanno iniziato a segnalare le case dei filorussi con delle Z sui portoni.

La polizia ucraina già dice d’aver trovato i corpi di quattro cittadini “torturati e uccisi dai russi”, in uno dei villaggi rioccupati. Un copia e incolla di quanto già visto a Bucha. Diranno che le truppe di Mosca hanno ucciso così i loro oppositori. Ma in realtà si tratterà dei cittadini filorussi, accusati di tradimento, spionaggio e collaborazionismo, fatti fuori sommariamente. La prossima mossa della propaganda del regime di Kiev sarà sicuramente un fantomatico “ritrovamento”, nei villaggi abbandonati dai russi, di fosse comuni.

Dopo l’ingresso delle forze armate ucraine è iniziato il caos totale. Perquisizioni, saccheggi, omicidi. Prendono tutto ciò che vogliono: tv, smartphone, elettrodomestici, cibo. Chi si oppone al saccheggio viene fucilato sul posto.

 

L’importanza di uno stretto

 

Approfittando dell’importanza cruciale dello stretto del Bosforo e Dardanelli per l’invio di cereali a tutto il mondo, la Turchia ha annunciato che intende aumentare di cinque volte il prezzo del pedaggio, in accordo coi diritti internazionali concessile dalla Convenzione di Montreux, che determina il reddito dello stretto.

Intanto delle 63 navi che hanno lasciato i porti ucraini, solo 13 avevano grano, le altre erano piene di mais, soia e girasoli per nutrire il bestiame o produrre biocarburanti per l’occidente. Ma non c’era la fame nel Terzo mondo?

 

Meglio tardi che mai

 

L’aggancio del prezzo del gas all’ormai tristemente famoso TTF (Title Transfer Facility) di Amsterdam si sta dimostrando la più grande catastrofe nei sistemi di regolazione dell’Unione Europea. L’hanno ammesso gli stessi funzionari della Commissione in un loro documento.

La commissaria UE all’Energia, Kadri Simson, ha annunciato l’intenzione di sviluppare “un indice complementare”, poiché “l’attuale parametro di prezzo del gas, noto come TTF, è collegato a un mercato relativamente piccolo e basato su gasdotti, che non riflette l’attuale realtà nella UE”.

Ci voleva il conflitto ucraino per accorgersi di un’assurda anomalia che stava andando avanti da un bel po’ (il TTF è nato nel 2003). Il fatto è che nella UE siamo gestiti non tanto o non solo da persone incompetenti, ma soprattutto da persone che non mettono mai in discussione le esigenze del capitale e meno che mai quelle del capitale americano, da cui quella borsa dipende (gruppo ICE, Intercontinental Exchange). Salvo appunto in casi particolarmente gravi, che tutti possono constatare.

I valori del TTF sono del 30% superiori alla media dei prezzi registrati nei punti di scambio virtuali del gas dei singoli Paesi europei. Solo nel 2021 avevano registrato un aumento del 45%. Il bello è che tra gli operatori vi è la stessa Gazprom!

Ma l’art. del “Fatto Quotidiano” dice molto di più.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

 

[13] Un price cap basato sui princìpi

 

L’idea di porre un tetto massimo al prezzo degli idrocarburi russi non la capisco. Praticamente dopo il 5 dicembre sarà possibile acquistare petrolio e gas russi al prezzo massimo fissato dall’occidente, oppure a un prezzo inferiore. Altrimenti basterà non assicurare alcuna nave russa per non avere petrolio via mare.

Gli obiettivi di questa decisione sono noti: garantire un volume affidabile di fornitura di petrolio russo trasportato via mare sul mercato globale, poiché al momento non possiamo farne a meno; limitare la pressione che spinge al rialzo i prezzi dell’energia; ridurre le entrate petrolifere russe.

Siccome però la Russia ha detto che chiuderà tutti i rubinetti, alcuni Paesi europei han già messo le mani avanti: Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Croazia non aderiranno a questa iniziativa del price cap e continueranno a servirsi degli oleodotti via terra già esistenti.

In sostanza noi occidentali stiamo usando l’idea di embargo non in maniera univoca, ma a seconda della nostra convenienza. È impossibile per noi non ammettere che siamo ancora dipendenti dalle fonti energetiche provenienti dalla Russia. E tuttavia ci piace far vedere al nostro fornitore di energia che possiamo fargli del male in qualunque momento.

Il problema vero però è che più gli occidentali parlano di price cap e più il prezzo sale nelle loro borse. E con quel prezzo salgono tutti gli altri prodotti, energetici e non.

 

L’arma della delazione

 

In Svizzera sono apparsi dei manifesti che invitano i cittadini a denunciare anonimamente il vicino di casa nel caso in cui tenga il riscaldamento a più di 19 gradi. In tal caso, volendo, si può anche ricevere un premio in denaro per la delazione, come al tempo del Terzo Reich.

Lo riporta il quotidiano elvetico “Blick”, citando un documento governativo del ministero delle Finanze federale. “Infrazioni della legge statale sull’approvvigionamento sono un reato o addirittura un crimine e devono quindi essere perseguiti dalle autorità”, ha spiegato il portavoce del ministero delle Finanze svizzero Markus Spörndli. La multa partirebbe quindi da un minimo di 30 franchi fino a un massimo di 3.000.

Il ministro federale delle Finanze, Guy Parmelin, ha voluto però precisare in conferenza stampa: “Non siamo uno stato di polizia. Le forze dell’ordine non si recheranno casa per casa. Ma potranno esserci dei controlli”. “La violazione deve essere segnalata, controllata e quindi anche provata”, ha aggiunto Spörndli.

Le pene previste saranno ancora più severe per le imprese che volontariamente superano i consumi energetici stabiliti tout court dal governo.

Insomma piscine e saune devono rimanere al freddo, e la temperatura negli edifici non potrà superare i 19 gradi.

Fonte: byoblu.com

 

Non si festeggia per la morte di un grande statista

 

Non mi è piaciuta per niente la decisione di Marco Rizzo di stappare una bottiglia di spumante per la morte di Gorbaciov. L’Urss era allo sfacelo morale e materiale dai tempi dello stalinismo. E il post-stalinismo della stagnazione non risolse alcun problema. Gorbaciov diede una svolta decisiva, anche se fu sfruttata dai radicali come Eltsin nella maniera più scriteriata possibile. E fu l’unico statista a dare sicurezza all’umanità. Cosa che oggi non abbiamo minimamente.

 

[14] Ognun per sé e pochi privilegiati se la godono

 

Dopo lo stop alle forniture russe via Nord Stream 1 la Norvegia è diventata il primo fornitore di gas alla UE, pur non facendone parte. In sette mesi 60 miliardi di euro di ricavi, in aumento del 300%, nonostante i volumi venduti siano aumentati solo di poco.

I livelli di produzione potranno essere mantenuti fino al 2030, grazie all’entrata in funzione di nuovi progetti. Infatti Equinor, il più grande produttore norvegese di petrolio e gas, nonostante stia incrementando gli investimenti nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio, aumenterà anche i progetti di esplorazione di idrocarburi per soddisfare la domanda della UE. È già operativo il nuovo gasdotto tra Polonia e Slovacchia.

Il premier è naturalmente contrario al price cap sugli idrocarburi. E comunque il governo non si sentirà vincolato alle decisioni della UE.

La stessa Olanda non solo sta sfruttando a piene mani la borsa TTF di Amsterdam, ma sta valutando anche se proseguire le estrazioni nel maxi giacimento di Groningen (il decimo al mondo) che avrebbe dovuto chiudere tra il 2025 e il 2028, poiché le attività estrattive hanno trasformato l’area in una zona sismica e con problemi di subsidenza. E naturalmente il governo è contrario al price cap.

Ci sono poi gli esportatori americani che hanno interesse a mantenere alti i prezzi del gas alternativo a quello russo. Gli USA sono diventati i primi esportatori di GNL (14 miliardi di metri cubi, il 47% del totale mondiale), di cui il 45% destinato alla UE, che è diventata il primo importatore di GNL al mondo.

Insomma grazie a Putin alcuni Paesi occidentali fanno affari d’oro sul piano energetico a spese di tutti gli altri e mettendo in ginocchio il mondo intero.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

 

Alternative al gas urgono

 

In Germania il riscaldamento centralizzato a gas è la forma più comune di riscaldamento residenziale. Ma siccome la Russia sta chiudendo tutti i rubinetti, i tedeschi han cominciato a provvedere da soli al bisogno energetico. In che maniera? Dopo aver esaurito tutta la legna disponibile sui mercati, han cominciato ad acquistare dispositivi di riscaldamento elettrici: ben 600.000 durante la prima metà dell’anno, quasi il 35% in più rispetto all’anno precedente. Il numero finale arriverà sicuramente a svariati milioni, proprio perché si ha il terrore di non poter sostituire il gas russo.

Ma se tutti accendono contemporaneamente stufe o termoventilatori elettrici, la rete salta. E comunque le bollette saranno salatissime.

I tedeschi accetteranno una situazione del genere senza reagire? Ne dubito. La poltrona di Scholz ha i mesi contati o, considerando che nel suo Paese il freddo arriva presto, le settimane.

 

Classe media byebye

 

Gli esperti (si fa per dire) della UE stimano che le bollette elettriche domestiche aumenteranno di 2 trilioni di euro l’anno prossimo, pari al 12% del PIL della UE. Secondo gli analisti di Goldman Sachs il 90% della popolazione europea diventerà il classico povero quando tutto il reddito andrà a pagare cibo ed elettricità. Goldman Sachs prevede di registrare una distruzione della classe media in Europa fino al 5% della popolazione all’inizio del secondo trimestre del 2023.

Infatti è evidente che se prosciughi il 12% del potere d’acquisto da un motore economico solo per mantenere lo stato attuale del consumo di energia, tutto il resto inizia a crollare. Questo perché tutto ciò che viene creato, compreso il cibo, dipende dall’elettricità. Costi di produzione e prezzi delle merci saranno inimmaginabili.

Grazie agli statisti europei e alle loro sanzioni antirusse avremo la peggiore crisi energetica di tutti i tempi, molto più profonda della crisi petrolifera degli anni ’70.

Viaggiamo sul Titanic in tutta tranquillità.

Fonte: uncutnews.ch

 

[15] Anche i ricchi piangono

 

Il continuo rialzo dei prezzi del gas sta facendo volare le richieste di margine sui derivati che le utilities usano per proteggersi dalla volatilità. Le utilities sono società quotate in borsa che lavorano nel settore dell’energia e dell’elettricità (p.es. Hera o Enel), ora travolte da continue richieste d’integrazione dei margini di garanzia per mantenere aperta la loro posizione in borsa. Infatti i prezzi energetici non solo sono saliti alle stelle, ma oscillano con variazioni spesso superiori al 30-35% in un solo giorno.

Che significa? Significa che servono 1.500 miliardi di euro (un capitale praticamente morto) per coprire le richieste di margine nel settore energetico europeo, soprattutto quello legato al gas, altrimenti si rischia un crack borsistico, come quello americano del 2008.

Questo perché nelle borse esiste sempre il rischio che, per qualche motivo ritenuto, a torto o a ragione, grave (p.es. le bollette energetiche non pagate, le tasse sugli extraprofitti delle imprese...), chi dispone di molte azioni nel settore energetico, voglia venderle tutte per ottenere grossi guadagni immediati. Se questa cosa viene fatta contemporaneamente da molti trader, le borse crollano. Ma il problema sussiste anche solo quando si tratta di distribuire i dividendi.

Ecco perché i listini di borsa chiedono di accantonare maggiore liquidità (collaterale) man mano che i prezzi salgono (200 miliardi sono richiesti alle imprese italiane del settore). Per es. il collaterale richiesto al Nasdaq in Svezia è salito di 1 miliardo di euro a settimana! E non c’è di mezzo solo il gas ma anche i metalli e i prodotti agricoli. Paradossalmente alle utilities presenti in borsa conviene ridimensionare i volumi scambiati per sopravvivere.

Il problema sta nel fatto che siccome le banche non sempre sono in grado di garantire la liquidità alle imprese per coprire le richieste di margine, avendo in corpo ancora molti titoli tossici dai tempi del crollo dei subprime americani, a questo punto devono essere i governi a farlo. Cioè mentre i guadagni spropositati vengono acquisiti dagli speculatori borsistici, le eventuali perdite delle imprese quotate, nel caso in cui le vendite delle azioni fossero massicce e incontrollate, sono a carico di tutti. Infatti il rischio è un default a catena, e non servirebbe a niente dire che certe aziende sono troppo grandi per fallire.

Le aziende non sono in grado di garantire linee di credito multimiliardarie per far fronte alle richieste di margine pretese dalle borse, o alla vendita simultanea delle loro azioni da parte di chi investe in borsa. Peraltro la riduzione della fornitura dalla Russia ha costretto molte imprese, per adempiere ai contratti, ad acquistare gas nel mercato spot più costoso, tagliando i margini sulle azioni.

In tal senso un tetto al prezzo sull’elettricità potrebbe avere un senso, poiché i mercati dell’energia elettrica sono per lo più localizzati. Ma nel gas, data la natura globale di questo mercato, un price cap sarebbe estremamente difficile.

Tuttavia i governi han già il problema di dover sostenere gli agricoltori e le industrie colpiti dagli elevati costi energetici. Dove troveranno i soldi per proteggere anche le utilities? Non è paradossale che nel capitalismo debba essere lo Stato, con le tasse di tutti i cittadini, a dover proteggere sia le imprese che non sono troppo forti per reggere gli elevati e improvvisi costi dell’energia, sia quelle che, essendo quotate in borsa perché molto forti, rischiano di fallire a causa della speculazione o delle garanzie di protezione dalla speculazione?

La Lehman Brothers fallì nel 2008 proprio perché non fu in grado di fronteggiare la crisi dei mutui subprime, scoppiata attorno al problema dei collaterali in crescita sui derivati relativi alla situazione immobiliare.

Fonte: milanofinanza.it

 

Conflitto azero-armeno

 

Sono esplosi scontri su larga scala tra le truppe armene e azere sul confine comune dei due Paesi. L’obiettivo principale per Baku è sfondare il corridoio per ricongiungersi con la propria exclave di Nakhichevan, detta anche Repubblica Autonoma di Naxçıvan. Cioè in pratica Baku sta chiedendo agli armeni di riconoscere il Karabakh come parte dell’Azerbaigian.

Yerevan ha fatto chiaramente capire che, in caso di escalation del conflitto, chiederà alla CSTO d’intervenire nella situazione. Esiste infatti un accordo di mutuo soccorso militare con la Russia, che però al momento è contraria all’uso delle forze della CSTO nel conflitto transcaucasico, anche perché l’Azerbaigian si è dimostrato abbastanza neutrale riguardo al conflitto tra Mosca e Kiev.

L’Azerbaigian ritiene però che solo la Turchia possa svolgere il ruolo di peacekeeper. E infatti è difficile pensare che in questa crisi non vi sia l’assenso del governo turco, che a oriente ha una politica estera ostile alla Russia, mentre a ovest è ostile alla NATO e in particolare alla Grecia e alla Francia, che di Atene è alleata. Proprio in questi giorni Erdoğan ha fatto partire circa 40.000 siriani verso il confine con la Grecia, diretti verso la Germania.

L’Iran, che in precedenza aveva sostenuto l’Armenia, pare assumere una posizione neutrale, dato l’interesse per i contatti con la Turchia sulla Siria e per spingere la Francia verso l’accordo sul nucleare.

Va detto però che l’aggravamento della situazione nel conflitto tra Yerevan e Baku può portare a un cambio di potere in Armenia a favore dei militari.

Quando la guerra riguardava l’Azerbagian con la repubblica autoproclamata di Artsakh (sostanzialmente coincidente coi territori abitati da persone di etnia armena del Nagorno-Karabakh) la Russia si sentiva autorizzata a proporsi come mediatrice. Ma ora Mosca è disinteressata al conflitto transcaucasico, poiché non vuole aprire un secondo fronte dopo quello ucraino.

Tuttavia Erdoğan deve fare attenzione a come si muove: alla vigilia delle elezioni i successi in politica estera sono per lui estremamente importanti, ma se pensa di poter cacciare la Russia dalla Siria e dalla Libia, sta compiendo un passo falso.

Infine resta evidente che dietro l’Azerbagian c’è la manina degli americani, interessati a indebolire la Russia generando conflitti ai suoi confini. Il prossimo passo potrebbe essere la destabilizzazione del Kazakistan che è sotto elezioni presidenziali.

 

Dietro la rivolte in Kazakistan la manina degli americani?

 

Al momento il Kazakistan rimane uno dei principali alleati di Russia e Cina, tant’è che Putin è subito venuto in soccorso al premier Tokayev, facendo valere il Trattato di Sicurezza Collettiva stipulato 30 anni fa dalla Russia e dalle cinque ex repubbliche sovietiche (Armenia, Bielorussia, Kyrgyzystan, Tajikistan e Kazakistan). La proteste nascevano dell’aumento esponenziale del prezzo del carburante, ma anche dai licenziamenti di massa attuati dalla gestione “occidentale” dell’industria petrolifera e della politica economica improntata su modelli neoliberisti. Non a caso il 70% della produzione petrolifera kazaka viene destinato all’occidente.

La cosa strana è che mentre molti Paesi islamici dell’Asia Centrale han perso interesse nei confronti degli Stati Uniti (ritenuti non più indispensabili a controbilanciare l’influenza russa e cinese), preferendo per affinità culturale la Turchia, il Kazakistan (che confina con Cina e Russia) invece è rimasto ancorato agli Stati Uniti.

Infatti le compagnie americane gestiscono il 30% del petrolio kazako (che conta per il 44% delle entrate statali). La quota cinese è del 17%, mentre quella russa è solo del 3%. Il che però non vuol dire che i maggiori scambi commerciali siano con gli USA; anzi in questo momento quelli con la Cina sono superiori a tutti, mentre quelli con la Russia sono alti per le armi che il Paese riceve.

Tuttavia né a Mosca né a Pechino piace che il Kazakistan tenga annualmente, sin dal 2003, esercitazioni militari congiunte con la NATO. E men che meno piace che il Paese abbia consentito agli Stati Uniti di riaprire alcuni laboratori biologici di Almaty e Otar (vicino ai confini con la Russia e la Cina). Siccome l’americana Defense Threat Reduction Agency possiede laboratori simili in 25 Paesi, l’accusa è quella che si stiano sviluppando nuove armi biologiche. Infatti i gestori dei programmi militari sono costituiti da società private non direttamente responsabili di fronte al Congresso USA.

Fonte: eurasia-rivista.com

 

I dittatori vanno in Svizzera coi loro soldi

 

L’ex dittatore del Kazakistan, l’81enne Nursultan Nazarbayev (il “padre della nazione”) sarebbe scappato dal suo Paese per trovare rifugio in Svizzera.

Le recenti proteste popolari in questo Paese hanno obbligato l’attuale presidente Tokayev, delfino di Nazarbayev, a destituire quest’ultimo dalla presidenza del Consiglio di sicurezza, un ruolo che Nazarbayev deteneva dal 1991.

In Svizzera Nazarbayev è ben noto. L’ex uomo forte della capitale kazaka Astana – che nel 2019 ha cambiato il nome in Nur-Sultan in suo onore – avrebbe acquistato lo Château de Bellerive appena fuori Ginevra per 106 milioni di franchi, una dimora dei Savoia eretta nel 1666.

La famiglia Nazarbayev possiede beni immobili in tutta Europa per un valore di oltre 700 milioni di franchi. Ad amministrare questo patrimonio da Ginevra ci pensa la figlia Dinara Kulibayeva, 54 anni, moglie del magnate petrolifero Timur Kulibaiev. Questa donna d’affari abita ormai da 15 anni nel cantone di Ginevra e il suo patrimonio è stato valutato da “Forbes” in tre miliardi di franchi. Naturalmente beneficia della tassazione forfettaria come “globalista”, per cui è impossibile identificare la sua reale situazione fiscale e la provenienza del denaro.

In genere questi paperoni acquistano immobili a prezzi esorbitanti, senza alcun legame col reale valore di mercato, e fanno salire i prezzi di qualunque bene immobile, danneggiando parecchio le persone che hanno difficoltà a trovare un posto dove vivere a un prezzo ragionevole.

Infatti è abbastanza facile per i ricchi stabilirsi in Svizzera, qualunque sia il loro background. Chi è milionario e ha un permesso di soggiorno, può acquistare tutti gli immobili che vuole al prezzo che vuole.

Questi mercati immobiliari sono molto sensibili al riciclaggio di denaro, poiché non vi è alcun controllo sull’origine dei fondi. Peraltro gli intermediari finanziari vivono all’estero e la persona che vende non si preoccupa di sapere da dove provenga il denaro. E finché le banche accettano queste ambigue transazioni, non c’è nulla da fare.

 

Ucraina in svendita

 

Zelensky ha annunciato il 6 settembre alla borsa di New York  che il suo Paese è aperto alle società straniere che vorranno venire a sfruttare le sue abbondanti risorse e il lavoro sottopagato, in nome del più puro neoliberismo. Potranno guadagnare oltre 400 miliardi di dollari in opzioni d’investimento che abbraccino partnership pubblico-private o iniziative esclusivamente private. E avranno poche tasse da pagare.

Google, Alphabet e Microsoft hanno manifestato subito il loro entusiasmo sulle possibilità economiche offerte dall’Ucraina. Qualunque impresa occidentale non può che vedere favorevolmente l’apertura incondizionata al mercato, il taglio delle leggi sul lavoro, le tasse e le tariffe ridotte al minimo, la vendita di imprese statali a investitori privati, la totale deregulation a livello industriale.

Zelensky è il peggior nemico del suo Paese. Sta facendo la stessa cosa che fece Pinochet dopo il colpo di stato sostenuto dalla CIA nel 1973.

Fonte: multipolarista.com

 

[16] Ungheria fuori dalla UE?

 

Il parlamento europeo, a larga maggioranza (433 a favore, 122 contro, 28 astenuti), ha votato una risoluzione che condanna politicamente l’Ungheria, definita “autocrazia elettorale di regime ibrido”, cioè “lontana dagli standard democratici”.

Nel Paese non funzionerebbero:

- il sistema costituzionale ed elettorale,

- l’indipendenza della magistratura,

- libertà di stampa e pluralismo,

- libertà accademica,

- il diritto alla parità di trattamento e i diritti delle persone appartenenti a minoranze,

- i diritti fondamentali di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.

Poi ci sarebbero troppa corruzione e conflitti d’interesse.

Insomma tutto quello che si può trovare anche in Ucraina, la quale però, secondo la von der Leyen e Borrell, merita un percorso privilegiato per entrare nella UE.

La Commissione Europea, gestita da una che ormai è fuori da ogni grazia di Dio, è intenzionata a sospendere la concessione di oltre 15,7 miliardi di euro destinati a questo Paese (troppo autonomo nell’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia).

Intanto la Turchia comincia a considerare l’Ungheria come facente parte della propria proiezione di potenza. Il governo ha fatto capire che, per via della lingua e della cultura, il Paese rientra a pieno titolo nel “mondo turco”, idealizzato dalle teorie neo-turaniche e neo-ottomane sposate da Erdoğan (altro statista molto affidabile).

Si noti che la Turchia si sente per metà uno Stato europeo, in quanto occupa mezza Cipro e influenza nettamente in chiave politica e persino religiosa Paesi come Albania, Bosnia e Kosovo.

L’Organizzazione degli Stati Turchi ha perfino un membro – con lo status di osservatore – dentro l’Unione Europea. Si tratta appunto dell’Ungheria di Viktor Orbán. Non è un caso che nel conflitto tra armeni e azeri Budapest parteggi per questi ultimi.

 

CSTO imploso?

 

Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ha annunciato l’intenzione di sostenere le sanzioni antirusse e seguire la politica degli Stati Uniti. Non solo, ma il governo rifiuta l’idea d’inviare forze del CSTO per sostenere l’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian. E altri due Paesi, Bielorussia e Kirghizistan, si oppongono alla partecipazione al conflitto, negando così il principio di mutuo soccorso al governo armeno.

Il CSTO (alleanza militare intergovernativa composta da Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan) sembra essere imploso, anche se il ministero degli Esteri del Kazakistan ha smentito la volontà di uscire dal CSTO a partire dal 2023. Ma a questo punto, dentro o fuori, cambia poco. Con che faccia il Kazakistan parteciperà all’altra organizzazione, chiamata SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), che include, oltre a se stesso, Russia, Cina, India, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Pakistan e l’Iran, che vi ha appena aderito al recente summit di Samarcanda?

Appare sempre più evidente che gli USA vogliono aprire più fronti per indebolire la Russia nella sua guerra con l’Ucraina, in maniera da impedirle d’intervenire a sostegno della Cina quando gli USA decideranno di attaccare quest’ultima per la questione di Taiwan. Tutti sanno infatti che se la Russia è debole economicamente ma forte militarmente, la Cina è il contrario.

 

Contatori intelligenti, anche troppo

 

Contatori intelligenti: ecco lo strumento tramite il quale l’Unione Europea può mettere in atto il piano di razionamento dei consumi energetici allo studio della Commissione. Obbligare i cittadini a ridurre autonomamente l’utilizzo dell’elettricità è inattuabile. L’unico modo per applicare il taglio della corrente durante le ore di punta è il controllo da remoto da parte del fornitore tramite gli “smart meter”, cioè i sistemi che consentono la telelettura e telegestione dei contatori di energia elettrica, gas e acqua.

Come noto l’Italia è stato il primo Paese europeo a introdurre su larga scala gli smart meter elettrici per i clienti finali in bassa tensione. Oggi è il primo Paese al mondo per numero di contatori intelligenti: circa 35 milioni. Sono intelligenti perché permettono la riduzione di costi per le letture e per le operazioni di gestione del contratto (p.es. cambio fornitore, disattivazione ecc.), che possono essere effettuate in modo automatico a distanza, senza un intervento in loco dell’operatore. Inoltre aiutano l’utente a capire meglio i propri consumi. Praticamente ci spiano 24 ore al giorno, tutti i giorni.

La Commissione UE, gestita da una donna fuori controllo, ci obbligherà anche a ridurre i kilowattora (forse da 3 a 2,7). Il che vorrà dire: razionare internet e le telefonate. La fornitura mensile potrebbe essere tagliata del 10%, di cui il 5% nelle ore di punta, tra le 8 e le 19, in cui sarà impossibile usare più elettrodomestici contemporaneamente.

La UE, con le sue sanzioni antirusse, ha scelto il suicidio economico. Gli statisti lo sanno, ma non vogliono derogare al principio secondo cui qualunque cosa faccia, la Russia ha sempre torto.

 

Inutili ritorsioni

 

Gli Stati Uniti e la UE non vogliono assolutamente che le banche turche (al momento VakıfBank, Ziraat Bank, İş Bank, DenizBank e Halkbank) si integrino nel MIR, il sistema di pagamenti interni della Russia, come alternativa nazionale a Visa e Mastercard. Altrimenti le sanzioni antirusse troveranno un modo per essere eluse. Pertanto sono pronti a minacciare ritorsioni.

Purtroppo per gli occidentali anche l’istituto di credito privato di proprietà degli Emirati Arabi Uniti, DenizBank, e la Halkbank controllata dallo Stato (già nota per aver aiutato l’Iran a eludere le sanzioni statunitensi) si sono iscritti al MIR.

Dicono che quando arrivi a minacciare qualcuno, significa che nessuno ti rispetta. Dicono anche che quando uno Stato è disperato, è propenso a fare cose disperate.

 

[17] Apocalypse now

 

Non è da escludere che gli USA puntino a un peggioramento della situazione economica europea per fare in modo che si formino coalizioni governative di destra, nettamente filo-atlantiste e disposte a una guerra totale contro la Russia.

In Svezia è appena avvenuto. Nel Regno Unito la Truss non vede l’ora di premere il bottone nucleare. Da noi la triade inguardabile, Meloni-Salvini-Berlusconi, si prepara a vincere. Le destre presenti in vari ex Paesi sovietici, aderenti alla NATO, non sono per nulla rassicuranti, a prescindere dall’atteggiamento verso le sanzioni anti-russe. Macron e Scholz sono seduti sull’ultima gamba delle loro poltrone.

D’altra parte l’inflazione e il debito pubblico sono fuori controllo (oltre 45.000 euro a testa in Italia). E la UE non ha energia sufficiente per scongiurare razionamenti, blackout, fallimenti di imprese commerciali e industriali. Non siamo neppure stati capaci di garantire gli stoccaggi del gas al 100%, né d’impedire folli speculazioni al TTF di Amsterdam. L’euro sta morendo: il rialzo dei tassi d’interesse non ha alcun effetto positivo, anche perché la BCE ha completamente sottovalutato il problema dell’inflazione.

Ci vogliono governi autoritari per fronteggiare disordini sociali, proteste popolari, guerre civili incombenti. È difficile pensare che il conflitto ucraino sia la causa fondamentale di questo pandemonio. Ne è piuttosto il pretesto.

 

Ottimo Antonio Di Siena

 

Riguardo all’Ungheria la UE ci ha spiegato un altro principio fondante della moderna democrazia occidentale.

I popoli che abitano la grande casa comune europea non possono decidere liberamente delle proprie politiche interne ed economiche, di mitigare gli effetti violentissimi di mercato e globalizzazione, della collocazione internazionale del proprio Paese, di partecipare o meno a una guerra. Non possono farlo nemmeno attraverso un processo pienamente costituzionale, rispettoso dell’ordinamento giuridico democratico. Ai cittadini di una democrazia occidentale quindi è espressamente vietato decidere legittimamente di perseguire politiche diverse da quelle contemplate dall’attuale definizione di democrazia. Diversamente smettono all’istante d’essere democratici.

Affinché possa essere definito a pieno titolo “democratico”, oggi un Paese deve essenzialmente garantire la supremazia del mercato sullo Stato; gli interessi di banche e multinazionali rispetto a quelli diametralmente opposti dei cittadini; la fedele collocazione militare occidentale.

Il concetto novecentesco di democrazia liberale si è trasformato in quello di democrazia liberista. In occidente tutto ciò che non è democrazia liberista non è democrazia.

Ri-nazionalizzare i settori strategici (in primis l’energia), istituire banche pubbliche per controllare il credito e tutelare il risparmio, attuare politiche orientate alla piena occupazione, perseguire l’interesse nazionale attraverso una politica estera autonoma ecc. sarebbero tutte pratiche non democratiche, perché in palese contrapposizione con gli interessi del mercato e della potenza egemone.

La stessa Repubblica italiana non sarebbe più un paese “democratico” se solo si permettesse di tornare ad applicare alla lettera il dettato costituzionale nell’impianto originale del 1948. Nemmeno se a volerlo fosse la totalità dei suoi cittadini.

Nel moderno occidente i concetti di democrazia e libero mercato sono stati volutamente sovrapposti, finendo per farli suonare come sinonimi.

Fonte: https://t.me/channelzzzme

 

Non riconosco la Grecia

 

La Grecia ratifica la domanda d’ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia. Ora mancano all’appello Spagna, Portogallo, Ungheria, Slovacchia e Turchia. Le procedure NATO prevedono la ratifica da parte di tutti gli Stati membri prima dell’ammissione formale.

Mi meraviglio della Grecia: quanti russi sono morti per renderla indipendente dall’impero ottomano nei secoli XIX e XX?

Una volta poi si parlava di “Paesi fratelli”, in quanto della medesima religione, che peraltro è considerata “sacra” da entrambi i premier al governo. Oggi invece non c’è religione che tenga.

 

Altre falsità ukronaziste

 

Le autorità di Kiev hanno cominciato a parlare di altre “Bucha” a Izyum e negli altri luoghi da loro rioccupati nella controffensiva.

La realtà, come al solito, è rovesciata. Ormai diventa quasi inutile dirlo.

Nelle fosse comuni ci sono corpi di soldati ucraini seppelliti dai russi perché i comandanti dell’esercito di Kiev si erano rifiutati di recuperarli, lasciandoli in pasto agli animali selvatici. I russi avevano fatto dei video a maggio su queste fosse comuni.

Insomma delle falsità dei neonazisti non se ne può più.

 

Scuola di fascismo e delazione

 

Per insegnare ai bambini ucraini a diventare delle spie, gli insegnanti hanno appeso in una parete di una scuola di Odessa il seguente avviso:

“Riferisci al tuo insegnante:

- se hai parenti in Russia;

- se i tuoi genitori parlano russo a casa;

- se i tuoi genitori guardano la TV in russo;

- se i tuoi genitori parlano male di Volodymyr Zelensky”.

Va bene, abbiamo capito, anche Odessa è da liberare. Non avevamo dubbi.

 

[18] Ci siamo cascati come polli

 

È noto che il think tank di RAND Corporation è composto di 1.850 dipendenti e ha un budget di 350 milioni di dollari. È collegato al Dipartimento della Difesa degli USA ed è stato molto influente nello sviluppo di strategie militari durante la Guerra Fredda.

Ebbene questa agenzia – spiega il giornalista Markus Andersson – in un documento riservato del gennaio 2022 dal titolo “Indebolire la Germania, rafforzare gli Stati Uniti”, avrebbe delineato la strategia da adottare per far scoppiare in Europa una guerra e una crisi energetica.

Dunque, anzitutto si doveva favorire l’aggressività della politica estera dell’Ucraina, facendo capire ai russi che il governo di Kiev era intenzionato a smantellare le due repubbliche autonome del Donbass e di riprendersi la Crimea. In tale maniera sarebbe stato impossibile per Mosca non scatenare un intervento armato.

Il vero motivo di ciò era quello di spingere l’Europa ad adottare un’ampia gamma di sanzioni contro la Russia, che inevitabilmente avrebbe svolto la parte del Paese aggressore.

Gli USA davano per scontato che l’economia della UE sarebbe crollata e che di ciò sarebbero stati loro gli unici a guadagnarci economicamente.

In particolare l’obiettivo primario era quello di dividere la Russia dalla Germania, portando l’intera UE in un’economia di guerra. Dopodiché, inserendo o sfruttando utili idioti in posizioni politiche, si sarebbe impedito alle forniture energetiche russe di raggiungere il continente.

Ma perché una cosa così mostruosa nei confronti di un proprio alleato strategico? Per il semplice fatto che gli USA hanno un “bisogno urgente” di un afflusso di risorse finanziarie (calcolate in circa 7-9 trilioni di dollari) e intellettuali europei (fuga dei cervelli) per mantenere l’economia nel suo complesso, soprattutto il sistema bancario.[3]

Solo i Paesi europei vincolati dagli impegni della UE e della NATO potevano fornire queste linee di azione senza costi militari e politici significativi per gli USA.

Secondo RAND il principale ostacolo a questa strategia è la crescente indipendenza della Germania, nettamente aumentata dopo la Brexit. E la UE non può diventare, oltre che un rivale economico degli USA, anche un rivale politico. Distrutta quindi l’economia tedesca, si sarebbe distrutta anche quella europea.

Incredibilmente appare in questo documento che sarebbero stati i partiti verdi europei a costringere la Germania a “cadere nella trappola”, portando a termine le direttive dell’imperialismo americano.

Ma perché i verdi? Perché sono altamente dogmatici, se non fanatici, il che rende agevole convincerli a ignorare le argomentazioni economiche a favore del loro Paese. Sono citati i nomi dell’attuale ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, e del ministro del clima, Robert Habeck, come esempi di politici che facilmente sarebbero diventati accaniti sostenitori delle sanzioni antirusse.

Il documento dà per scontato che il danno tra Germania e Russia sarà così grande da rendere impossibile per i Paesi di ristabilire relazioni normali in seguito.

La RAND ovviamente ha negato che il documento sia un suo prodotto. E in effetti non è detto che sia autentico, per quanto sia molto verosimile.

Fonte: controinformazione.info

 

Masha e l’orso

 

Secondo il governo filonazista di Kiev il cartone animato per bambini “Masha e l’orso” minaccia la sicurezza nazionale dell’Ucraina a causa della presenza di simboli russi. Così è riportato nel testo paranoico della petizione sul sito ufficiale del presidente Zelensky.

I simboli sarebbero un cappello con paraorecchie aventi una stella rossa, indossato dal nonno pescatore, ragazze in kokošnik (un copricapo tradizionale russo), ecc. Questo perché “i simboli governano il mondo”, dice la petizione.

Il cartoon ostacolerebbe la divulgazione della lingua ucraina tra i bambini ucraini, rendendoli fedeli alle narrazioni russe.

Ormai la russofobia sta sprofondando nel ridicolo. Come la decisione del governo lettone di vietare di cantare in pubblico la canzone più bella che hanno i russi: “Katyusha”, pena una multa salatissima tra i 350 e i 2.900 euro. Cosa non si fa per fare cassa in un momento in cui l’inflazione è alle stelle!

Fonte: archyde.com

 

La verità non si può dire

 

L’ex ministro degli Esteri della Romania, Andrei Marga, ha affermato che l’Ucraina dovrebbe “cedere” parte del suo territorio ai Paesi vicini. Questo perché si trova entro “confini innaturali”.

E quali sarebbero questi territori? Sono noti da tempo: la Transcarpazia all’Ungheria, la Galizia alla Polonia (io avrei aggiunto anche la Volinia), la Bucovina alla Romania e il Donbass e la Crimea alla Russia.

L’ambasciatore ucraino a Bucarest a momenti sveniva.

Scommetto che se Putin promettesse a questi Stati di riavere i suddetti territori in cambio di un disimpegno dal conflitto, forse la guerra finirebbe prima.

 

Il saggio Orbán

 

Il premier ungherese Viktor Orbán in una riunione a porte chiuse del suo partito ha rilasciato una serie di dichiarazioni sugli eventi in Ucraina.

- “La guerra in Ucraina può continuare fino al 2030”. Questo forse per dire che i russi non hanno alcuna fretta di concluderla.

- “La colpa delle ostilità su vasta scala è dell’occidente. Le ostilità inizialmente erano locali, ma l’occidente è intervenuto e ha reso il conflitto globale”. Strano che dica questo, poiché era inevitabile che l’occidente reagisse in massa a difesa di Kiev. Se la NATO si prendeva l’Ucraina, la Russia era praticamente circondata e Mosca poteva essere colpita dai missili nucleari in 5 minuti.

- “L’Ucraina alla fine può perdere 1/3 o addirittura la metà del suo territorio”. Se poi si fanno avanti Polonia, Ungheria e Romania, intenzionate a rendere indipendenti le loro minoranze in Ucraina, Kiev perderà anche di più.

- “Introducendo restrizioni, l’Europa si spara sui piedi: in inverno, fino al 40% dell’industria europea può fermarsi”. Questo è un obiettivo esplicito degli USA.

- “Ci sono migliaia di sanzioni contro la Russia, ma non hanno scosso Mosca, mentre l’Europa ha già perso quattro governi ed è in una profonda crisi economica e politica. Inoltre i Paesi della UE hanno definitivamente perso l’occasione di mediare nel conflitto in Ucraina, dimostrando di non poter garantire l’attuazione degli accordi di Minsk”.

- “Le sanzioni antirusse hanno inferto un duro colpo all’intera economia globale, poiché si è verificato un aumento significativo dei prezzi di cibo, carburante ed elettricità, sicché le autorità son costrette a introdurre misure di austerità”.

Un plauso a questo realismo. Come si può notare essere di destra o di sinistra non conta nulla. Conta andare controcorrente rispetto all’ottuso mainstream occidentale.

Fonte: ria.ru

 

[19] Gli affari sporchi della famiglia Biden

 

Perché non sarà con questo governo americano che avverrà la guerra tra USA e Cina? Perché i Biden considerano i cinesi non concorrenti ma partner commerciali. Da loro han ricevuto almeno 31 milioni di dollari!

Nel 2013 l’allora vicepresidente Joe Biden e suo figlio Hunter volarono a bordo dell’Air Force Two in Cina. Meno di due settimane dopo l’azienda di Hunter Biden firmò un accordo di private equity da 1 miliardo di dollari (poi ampliato a 1,5) con una filiale della Bank of China del governo cinese. Era un accordo senza precedenti: il governo di uno dei più agguerriti concorrenti d’America entrava in affari con il figlio di uno dei più potenti leader politici d’America!

Il fulcro di questi accordi era Rosemont Seneca Partners LLC, una società d’investimento controllata da Hunter Biden e dai suoi soci: Chris Heinz, figliastro di John Kerry, e il socio di Heinz, Devon Archer. Il trio aveva fondato Rosemont Seneca nel 2009 e iniziato rapidamente a fare affari.

Per farsi assistere nella loro nuova impresa, il trio collaborò con una società di consulenza del Massachusetts, chiamata Thornton Group, guidata da James Bulger, figlio dell’ex senatore dello stato del Massachusetts Billy Bulger. Lo zio di James era il famigerato sicario della mafia James “Whitey” Bulger.

La Bank of China creò un fondo d’investimento unico nel suo genere chiamato Bohai Harvest RST (BHR), di cui Archer diventò vicepresidente.

Nel dicembre 2014 la BHR è diventata un investitore di riferimento nell’IPO della China General Nuclear Power Corp. (CGN), una società energetica statale coinvolta nella costruzione di reattori nucleari. La CGN è stata accusata nel 2016 dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di aver rubato importanti segreti nucleari degli USA, soprattutto in relazione ai sottomarini.

Dalle email del laptop di Hunter Biden si è poi scoperto che due degli individui chiave che han favorito l’affare, e che avevano stretti legami coi vertici dell’apparato d’intelligence cinese, erano un magnate di nome Che Feng, socio in affari con l’allora vice ministro per la sicurezza dello Stato cinese, e Zhao Xuejun, funzionario del partito comunista, partner commerciale di Jia Liqing, figlia dell’ex ministro della sicurezza dello Stato cinese.

Nel 2014 un conglomerato statale cinese chiamato Gemini Investments Limited concluse vari accordi con Rosemont di Hunter Biden su diversi fronti: in particolare investì 34 milioni di dollari in un fondo gestito da Rosemont.

L’anno dopo Rosemont Realty (altra società di Rosemont Seneca) annunciò che Gemini Investments stava acquistando una partecipazione del 75% della stessa Reality, cioè circa 3 miliardi di dollari, affinché Gemini potesse acquistare nuove proprietà immobiliari di alta qualità negli USA. La Rosemont Realty, che possiede edifici commerciali in tutto gli USA, fu ribattezzata Gemini Rosemont. La Gemini è controllata da Sino-Ocean Land, presieduto anche dal capo della China Ocean Shipping Corporation (COSCO). COSCO è il “quinto braccio della marina cinese”, a motivo delle sue attività strategiche in Europa, soprattutto in Grecia.

Nel 2015 la BHR ha unito le forze con una sussidiaria dell’appaltatore statale cinese dell’aviazione militare Aviation Industry Corporation of China (AVIC) per acquistare il produttore americano di componenti di precisione Henniges. Poiché Henniges produceva tecnologia con possibili applicazioni militari, la transazione richiedeva l’approvazione del Committee on Foreign Investment degli USA, poiché vi potevano essere problemi per la sicurezza nazionale. Grazie ai Biden tutto filò liscio.

Ye Jianming, un ricco uomo d’affari cinese e capo di CEFC China Energy, fornì 6 milioni di dollari alla famiglia Biden (incluso il fratello di Joe Biden, James). Hunter lavorava per Ye come consulente e consigliere per favorire la strategia energetica nazionale cinese. Ye aveva una posizione di leadership all’interno della China Association for International Friendly Contact (CAIFC), finanziata direttamente dall’intelligence militare cinese, e aveva stretti rapporti col governo cinese.

Nel 2017, uno dei “migliori luogotenenti” di Ye Jianming, Patrick Ho, è stato arrestato con l’accusa di corruzione dall’FBI per aver offerto denaro a funzionari africani in cambio di accordi energetici. Patrick Ho fu difeso in tribunale dallo stesso Hunter.

La famiglia Biden ha fatto enormi affari anche in Ucraina, già a partire dal 2014, soprattutto in campo energetico.

Presto gli USA e il Fondo Monetario Internazionale avrebbero pompato più di 1 miliardo di dollari nell’economia ucraina. In cambio sia Archer che Hunter Biden entrarono nel consiglio di Burisma, una società ucraina di gas naturale, pur non avendo alcuna competenza in merito, né sapendo nulla di diritto ucraino. Ciononostante Hunter riceveva uno stipendio fino a 50.000 dollari al mese, anche mentre Burisma era sotto inchiesta per corruzione da parte della Procura generale ucraina.

A tale proposito Joe Biden fece un viaggio a Kiev nel marzo 2016, minacciando di trattenere 1 miliardo di dollari in aiuti esteri se i funzionari ucraini non avessero licenziato il principale procuratore del Paese, Victor Shokin. Fu esaudito. Il nuovo procuratore generale, Yuriy Lutsenko, archiviò il caso nello stesso anno.

Fonti: https://t.me/channelzzzme e nypost.com

 

Sempre più chiara la strategia americana

 

La commissione per le relazioni estere del Senato americano ha appena approvato (17-5) un disegno di legge (Taiwan Policy Act) che aumenta drasticamente il sostegno militare a Taiwan. Inevitabilmente ciò renderà la guerra molto più probabile, anche se il testo afferma esattamente il contrario: “si promuove la sicurezza di Taiwan, si garantisce la stabilità regionale e si scoraggia l’aggressione della Repubblica cinese contro Taiwan, anche tramite severe sanzioni”. Queste non possono mai mancare nella strategia americana, altrimenti si verrebbe meno al ruolo di “gendarme internazionale” a difesa della democrazia e dei diritti umani.

Per fortuna che l’amministrazione Biden era stata contraria al viaggio provocatorio della Pelosi! Che ora, peraltro, è corsa in Armenia per assicurare l’appoggio militare e finanziario degli USA in una guerra contro l’Azerbaigian.

Il bello è che abbiamo i filo-ucraini (come p.es. il canale Parabellum di Telegram e YouTube) sostenere che Xi Jinping sia insofferente nei confronti del conflitto ucraino e che non abbia alcuna intenzione di fornire armi alla Russia. Ma quando mai Mosca ha avuto bisogno delle armi di Pechino? C’è forse stato un momento, dal 24 febbraio ad oggi, in cui Putin abbia chiesto armi alla Cina? Semmai sarà vero il contrario: sarà il governo cinese che, in caso di guerra contro gli USA, non si accontenterà della dichiarazione di Putin relativa al riconoscimento di un’unica Cina e inizierà a chiedergli un concreto appoggio militare.

Comunque la strategia americana sembra essere molto chiara: sfiancare la Russia in una lunga guerra contro l’Ucraina; destabilizzare altri Paesi ex sovietici o armare il più possibile quelli che si trovano ai confini della Russia; tenere la UE completamente separata dalla Russia, anche a costo di vederla fallire sul piano economico; aumentare il più possibile il numero dei Paesi NATO; far intervenire la NATO in qualunque teatro di guerra mondiale; e sferrare un attacco improvviso alla Cina sfruttando la questione di Taiwan. Dopodiché gli USA riprenderanno il controllo di tutta l’America latina, poiché è evidente che a causa della presenza economica cinese e militare russa le sta sfuggendo di mano. Il Sudamerica è il suo cortile di casa e non può permettere che qualcuno ci metta piede senza il suo consenso.

 

Ursula contro tutti

 

I sindacati europei accusano la Commissione UE di voler limitare il diritto di sciopero in tempi di crisi (come p.es. la pandemia o la guerra in Ucraina). Infatti il Single market emergency instrument (SMEI) prevede misure per garantire la libera circolazione e la disponibilità di beni e servizi essenziali in caso di crisi future.

Nella bozza della nuova legge si prevede l’abrogazione di un regolamento attualmente in vigore, che tutela espressamente “l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti negli Stati membri, compreso il diritto o la libertà di sciopero”, nonché “il diritto o la libertà d’intraprendere altre azioni” da parte dei lavoratori.

Il diritto di sciopero è indissociabile dal diritto dei lavoratori alla contrattazione collettiva e come tale non può essere limitato da misure di emergenza. Sveglia Ursula! Smettila di fare la Rambo! E studia la legge! Nessuna risposta alle crisi può mai essere usata come mezzo per minare i diritti fondamentali dei lavoratori. Il rispetto dei diritti dei lavoratori non può mai essere trattato come un ostacolo al funzionamento del mercato unico.

Il bello è che la bozza (neonazista) di legge prevede che, in caso di crisi, la UE possa adottare delle limitazioni alla libertà delle imprese nello scegliere i fornitori cui affidarsi (anzi, esse dovranno consegnare alle autorità pubbliche informazioni sulle loro catene di approvvigionamento).

L’idea di Bruxelles è di replicare in salsa europea il Defense protection act degli USA. Lo vedete che la von der Leyen è un emissario di Biden?

Fonte: imolaoggi.it

 

Torturare costa

 

Biden sta pensando (si fa per dire) di chiudere il carcere di Guantanamo Bay a Cuba, aperto nel 2002 e da allora ha ospitato circa 800 detenuti. Ne parla il “Wall Street Journal”.

Sono rimasti 36 prigionieri, di cui una parte senza processo da 20 anni. L’ultimo è arrivato nel 2008 (no, non era un broker o un banchiere che fece crollare la borsa di Wall Street).

E non si pensi che la vogliano chiudere perché è una vergogna dell’umanità, ma semplicemente perché per la manutenzione ci vogliono 540 milioni di dollari all’anno! Costa torturare le persone!

 

La Polonia vuole la sua parte!

 

Il presidente polacco Andrzej Duda vuole ricevere dalla Russia come “riparazione” per la seconda guerra mondiale il consenso all’annessione della regione ucraina di Leopoli, ha scritto su Telegram l’ex deputato della Rada Ilya Kiva, accusato di tradimento in Ucraina e rifugiatosi in Russia.

Non ho capito.

- La Polonia sta dando per scontato che l’Ucraina perderà la guerra? Se fosse così, sarebbe la prima volta che un leader politico polacco fa capire una cosa del genere!

- La “riparazione” la chiederebbe all’Ucraina, poiché qui i nazisti ucraini sterminarono molti polacchi, o la chiederebbe alla Russia, poiché Mosca, dopo aver vinto i nazisti anche in Polonia, si prese quest’ultima? In un certo nessuna delle due: il risarcimento viene chiesto perché quei falsificatori della storia del governo polacco ritengono che la Polonia abbia subito dei danni materiali a causa del fatto che la II guerra mondiale sia stata scatenata in maniera congiunta da Russia e Germania col patto Molotov-Ribbentrop. Tant’è che alla Germania Duda ha già chiesto risarcimenti per circa 1,3 trilioni di dollari. E comunque i polacchi hanno intentato più di 1.500 cause nei tribunali ucraini per la restituzione di beni perduti durante la II guerra mondiale nell’Ucraina occidentale. Son come iene che s’avventano su un animale ferito.

- O forse il governo polacco sta dicendo che se non gli si concede la Galizia e la Volinia, deciderà di entrare in guerra contro la Russia, usando esplicitamente le proprie truppe?

Insomma sembra che Duda stia cercando di contattare segretamente Putin per spartirsi l’Ucraina. E Putin in cambio della concessione cosa gli chiederebbe? O forse si deve sentire in dovere di concedere una parte dei territori ucraini, sperando di ottenere un disimpegno militare da parte dei polacchi? Ma ci si può fidare di un governo così smaccatamente filo-atlantista come quello polacco? E la NATO gli permetterebbe di fare questi giochini sotto banco? O forse la NATO sta usando quei mentecatti dei politici polacchi al potere per trovare un altro pretesto con cui spingere la Russia ad attaccare un Paese dell’Alleanza atlantica, ponendo così le premesse per una guerra mondiale?

 

Guerra civile alle porte negli USA

 

Trump sembra essere pronto alla guerra civile. Ha appena detto, testuale: “I democratici radicali considerano 75 milioni di americani come nemici da cancellare e sopprimere. Non succederà. Vogliono censurarvi da internet, bandirvi dalla pubblica piazza, farvi licenziare dai vostri posti di lavoro, bersagliarvi per distruggervi con 87.000 nuovi agenti dell’IRS. Ci siamo opposti a tutto questo. Usare l’FBI per spiare i genitori patrioti e criminalizzare il dissenso politico come se fossimo un Paese del terzo mondo, una dittatura del terzo mondo. Ma i delinquenti e i tiranni che attaccano il nostro movimento (e non c’è mai stato un movimento simile nella storia degli Stati Uniti), non hanno idea del gigante addormentato che hanno risvegliato”.

Fonte: https://t.me/RossellaFidanza/29524

 

Chi votare?

 

Se il 25 non sai chi votare, orientati su almeno questi princìpi:

- Italia denuclearizzata, sia nel civile che nel militare

- Fuori l’Italia dalla NATO

- Fuori la UE dalla NATO

- Ripensare completamente i criteri di adesione alla UE

- Libertà di adesione nazionale a qualsivoglia organismo internazionale

- Favorire decentramento dei poteri politici

- Favorire autogestione delle risorse locali

- Favorire la democrazia diretta

- Garantire la sovranità monetaria

- Tutela ambientale come priorità assoluta

- Parità di genere come priorità assoluta

 

[20] La Bestia di Carlo Palermo

 

È il titolo dell’ultimo libro (ed. Sperling & Kupfer) che ha scritto l’ex magistrato, sopravvissuto alla strage di Pizzolungo.

Parte da Yalta (1945) e arriva a oggi. Parla di poteri occulti e servizi segreti, criminalità organizzata e massoneria, terrorismo e stragi, riciclaggio di denaro, droga, processi giudiziari, sequestri di persona e segreti di Stato, a partire dalla strage di Portella della Ginestra, sulla quale c’è ancora il segreto di Stato. Collega tutto il peggio del nostro Paese a una direzione strategica estera che ci vuole schiavi. Siamo un Paese a sovranità limitata, una colonia degli Stati Uniti, che si sono serviti della criminalità organizzata (da quando han messo piede nel nostro Paese) fino al terrorismo rosso e nero e ai poteri forti degli apparati statali ed ecclesiastici.

L’obiettivo è sempre stato quello di contrastare l’avanzata del comunismo fino all’abbattimento del Muro di Berlino. Ma anche quello di favorire l’instabilità del Medio Oriente tutelando gli interessi di Israele.

Dopo il crollo dell’URSS gli USA hanno avuto bisogno di crearsi un nuovo nemico: l’integralismo islamico. Serviva cambiare l’avversario perché l’imperialismo, per essere esercitato e per legittimare se stesso, deve sempre combattere contro qualcuno. Oggi i nuovi nemici sono Russia e Cina.

Le componenti nefaste che in Italia fanno gli interessi degli americani, esistono ancora oggi, tant’è che mentre sugli esecutori delle stragi e dei delitti politici sappiamo ormai quasi tutto, ci manca ancora tutta la parte relativa ai mandanti e ai finanziatori. Su questo le indagini giudiziarie sono quasi a zero.

Fonti: antimafiaduemila.com

 

Inattingibile il petrolio venezuelano

 

A causa della carenza di petrolio e dell’aumento dei prezzi, dovuto alle sanzioni contro la Russia, sembrava che ci fossero grandi speranze che gli Stati Uniti revocassero le sanzioni sul Venezuela, permettendo all’oro nero e al gas di tornare a fluire verso la UE. Purtroppo questo non si è ancora realizzato. E la responsabilità va cercata nel governo di Biden, che preferisce nettamente l’instabilità mondiale.

Il premier Maduro ha detto che attualmente la produzione si aggira intorno ai 700.000 barili al giorno rispetto ai 2,3 milioni di due decenni fa, ma questo è dovuto alle sanzioni statunitensi imposte sul commercio del greggio, che in precedenza forniva circa il 96% delle entrate del Paese.

A maggio, per convincere la UE ad accettare tutte le sanzioni antirusse, Biden aveva permesso al Venezuela di esportare petrolio in Europa per pagare i propri debiti. L’azienda italiana ENI e la compagnia petrolifera spagnola Repsol erano state autorizzate a spedire il greggio venezuelano in Europa.

In agosto, però, Maduro ha deciso di sospendere le spedizioni di petrolio in cambio di debito verso l’Europa, dichiarando di volere combustibili raffinati da ENI e Repsol in cambio del greggio. Questo perché negli ultimi mesi il Venezuela ha avuto molte difficoltà a reperire combustibili raffinati, avendo molte raffinerie in stato di abbandono. Se il Venezuela riuscisse a importare più oli raffinati, potrebbe sostenere meglio la ripresa dell’industria petrolifera. Ma l’Europa non ha accolto questa richiesta, poiché è notoriamente autolesionista.

Eppure il Venezuela possiede le maggiori riserve di greggio al mondo, pari a circa il 18,2% dei barili di petrolio mondiali nel 2016. Sebbene la produzione attuale sia bassa a causa delle sanzioni, Maduro ritiene che il Paese potrebbe aumentare rapidamente la sua produzione di diverse centinaia di migliaia di barili di petrolio al giorno, se potesse risolvere i problemi connessi alle attrezzature rotte, i campi petroliferi abbandonati e la mancanza di talenti tecnoscientifici.

Purtroppo a causa delle sanzioni americane le compagnie petrolifere straniere o hanno abbandonato il Paese o hanno smesso d’investire. Attualmente le ultime tre rimaste sono la statunitense Chevron, l’italiana ENI e la spagnola Repsol.

Se la situazione va avanti così, i rapporti tra Venezuela e Cuba, Russia e Cina diventeranno sempre più stretti e chi ci rimetterà sempre più sarà soltanto l’Europa.

Fonte: scenarieconomici.it

 

Berlino ha le mani lunghe

 

Ora che la Russia ha interrotto le forniture attraverso il Nord Stream 1, il governo tedesco ha naturalmente pensato di mettere sotto gestione fiduciaria le tre filiali tedesche della major petrolifera russa Rosneft, costruite a Schwedt, Karlsruhe e Vohburg.

Il controllo sarà affidato all’Agenzia federale di rete tedesca. I funzionari hanno spiegato che il passo è stato adottato per garantire il funzionamento delle raffinerie, messa a rischio dopo che fornitori di servizi tecnici, assicuratori e banche han rifiutato di lavorare con la compagnia russa.

Quella di Schwedt è la quarta raffineria più grande della Germania: è posseduta al 54% dalla Rosneft e riceveva il petrolio dall’oleodotto Druzhba. Forniva il 90% del fabbisogno di carburante di Berlino. Le imprese Rosneft rappresentano circa il 20% delle capacità delle raffinerie di petrolio in Germania.

A chi daranno in gestione queste strutture non si sa. Scholz ha detto che Berlino non prevede di cambiare la proprietà di Rosneft Deutschland in futuro. Però il governo ha rilevato un’altra filiale russa, Gazprom Germania, e il mese scorso sono emerse notizie secondo cui il governo aveva segretamente creato una holding per nazionalizzare l’azienda.

 

Ricerca scientifica è stato bello

 

Il Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle situato presso il CERN di Ginevra, utilizzato per ricerche sperimentali nel campo della fisica delle particelle, potrebbe essere fermato completamente per poter garantire la stabilità della rete elettrica nelle vicine regioni francesi e svizzere, in difficoltà già adesso.

Il combinato disposto della crisi energetica senza precedenti, a causa dell’interruzione delle forniture di gas russo attraverso il gasdotto Nord Stream, della scarsa produzione di energia nucleare in Francia, della crisi energetica in Svizzera e dell’aumento vertiginoso dei prezzi di gas ed elettricità metterà fuori uso anche il collisore più potente del mondo.

La Svizzera e la Francia – le cui reti sono utilizzate dal CERN per alimentare il supercollisore e altri sette acceleratori di particelle per lo studio della materia e due deceleratori per lo studio dell’antimateria – sono tra le più colpite.

La Svizzera ha già ammesso che quest’inverno dovrà ricorrere al petrolio per la produzione di elettricità, dato che l’Europa sta facendo i conti coi bassi livelli di fornitura di gas naturale russo, che potrebbero essere interrotti del tutto.

In Francia i prezzi dell’energia elettrica sono saliti per la prima volta in assoluto oltre i 1.000 euro per MegaWattora, sono praticamente decuplicati nell’ultimo anno, poiché la siccità e il caldo di quest’estate hanno aggravato i problemi di produzione di energia nucleare nel momento peggiore. E da noi la ridicola Lega punta sul nucleare per risolvere tutti i problemi!

Uno dei maggiori clienti della maggiore azienda elettrica francese, EDF, è proprio il CERN, che consuma 1,3 TeraWattora di elettricità all’anno. Si tratta di una quantità di energia sufficiente ad alimentare 300.000 abitazioni in un anno. Nei picchi di consumo, da maggio a dicembre, il CERN utilizza circa 200 MW, pari a circa 1/3 dell’energia utilizzata per alimentare la vicina città di Ginevra.

 

Facciamo il punto sul nucleare civile

 

Ancora oggi si è convinti che le centrali nucleari generino più energia a zero emissioni di quanta ne producano eolico e solare messi insieme. In realtà l’energia nucleare ha una grande impronta carbonica, poiché per estrarre l’uranio sono usati combustibili fossili, anche se la stessa critica potrebbe essere mossa ai combustibili usati per estrarre litio, silicio e altri minerali coi quali si producono energie rinnovabili.

Insomma non se ne esce. Sappiamo solo che il nucleare (incredibile a dirsi) è diventato una parte irrinunciabile della strategia di decarbonizzazione di molti importanti Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Brasile… Anche la Romania provvederà in tale direzione: una start-up statunitense (NuScale) installerà cinque dei sue reattori nucleari avanzati al posto delle centrali a carbone, destinate a essere definitivamente chiuse entro il 2032, e che da sole forniscono 1/7 di tutta l’elettricità, producendo 45 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno.

Si è cominciato a parlarne alla Cop 25 delle Nazioni Unite che si è tenuta a dicembre a Glasgow, in Scozia. E da allora non si è più smesso.

D’altra parte anche negli USA stanno pensando, in considerazione del fatto che 1/3 degli impianti nucleari è destinato a chiudere prima del previsto, che non ha alcun senso sostituirli con altri a carbone e gas naturale. Il nucleare a fusione sta diventando una scelta obbligata. Entro il 2035 gli USA vogliono decarbonizzare la rete elettrica. Quanto più si vuole agire in fretta, per essere i primi della classe, tanto più si scelgono soluzioni che col tempo si riveleranno incredibilmente disastrose. E non solo per il problema dello smaltimento delle scorie, non solo per le eventuali contaminazioni di terra, aria e acqua (disastrose quelle di Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima), ma anche perché tali centrali possono diventare obiettivi sensibili quando scoppiano delle guerre.

Naturalmente la motivazione con cui si vuol procedere in direzione del nucleare a fusione non è affatto ecologica, ma economica (quanto più un Paese è avanzato, tanta più energia ha bisogno), e anche geopolitica: infatti i Paesi che hanno costruito la loro politica estera sulla vendita di petrolio e gas naturale perderanno peso sulla scena internazionale.

 

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A più di vent’anni dalla sua creazione, e dopo essere costata finora – a chi paga le bollette della luce – 4 miliardi di euro, la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) si avvia al commissariamento da parte del Ministro della Transizione ecologica.

Quella di Sogin è una storia di tempo e denaro perso per mettere in sicurezza, senza riuscirci, i rifiuti nucleari italiani. Un compito affidatogli dopo che nel 1987 un referendum popolare aveva deciso l’abbandono dell’energia nucleare. Dei 4 miliardi finora pagati dai cittadini, più della metà sono serviti a coprire gli stipendi del personale e dei dirigenti. Sono perfino scattate perquisizioni della Guardia di finanza nella sede dell’azienda.

 

[21] L’occidente non riconoscerà alcun referendum in Ucraina

 

Le Repubbliche popolari di Luhansk e di Donetsk, e le regioni di Kherson e Zaporizhia terranno un referendum sull’adesione alla Federazione Russa dal 23 al 27 settembre. Lo chiedono proprio perché le condizioni di sicurezza ideali non esistono. Sono convinti che quanto prima apparterranno alla Russia, tanto prima avranno la pace.

Infatti quando questi territori faranno parte della Russia e continueranno a essere bombardati dai missili della NATO sparati dai nazisti ucraini, non si potrà più parlare di “operazione speciale” ma si dovrà per forza usare la parola “guerra”. A quanto pare la Russia ci tiene alle questioni giuridiche. Non si muove militarmente se prima non si sente autorizzata dal diritto. È quindi pronta a introdurre in queste regioni un esercito permanente e a utilizzare le armi più opportune, se l’esito dei referendum sarà favorevole e se si sentirà gravemente minacciata.

“Qualsiasi falso referendum russo in Ucraina sarebbe illegittimo, perché violerebbe la sovranità e l’integrità territoriale che sono alla base della Carta dell’ONU”. Così invece scrive in un tweet il segretario di Stato americano, Blinken.

Questo povero essere analfabeta dovrebbe sapere che una dichiarazione come la sua dovrebbe farla l’ONU e non gli USA, senza poi considerare che proprio l’ONU garantisce la sovranità o autodeterminazione popolare, che, essendo un diritto umano, è un diritto più importante della sovranità statale e integrità territoriale, che sono diritti politici. La stessa Ucraina si avvalse nel 1991 dello strumento del referendum per staccarsi dall’URSS moribonda.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita attraverso lo Stato, ma se lo Stato è nemico del popolo, il popolo ha diritto a esercitare la propria sovranità come meglio crede: dal tirannicidio previsto da Tommaso d’Aquino alla disobbedienza civile di Gandhi, sino alla resistenza popolare di Locke. Il diritto alla ribellione è previsto dalle Costituzioni di 37 Paesi del mondo.

Anche la Scozia, se deciderà di staccarsi dal Regno Unito, lo farà tramite un referendum. Anche la Catalogna, se glielo avessero permesso, avrebbe fatto la stessa cosa.

L’intero occidente ha permesso al Kosovo di staccarsi dalla Serbia nel 2008 senza neanche l’uso del referendum, che è il principale strumento della democrazia diretta, usatissimo in Svizzera.

Kiev non riconosce neanche il referendum fatto in Crimea nel 2014, dove quasi il 100% dei partecipanti chiese di stare sotto la Russia. È che quando si è fondamentalmente fascisti non si riconosce mai alcuna volontà popolare. Fare trattative di pace con un governo così, sostenuto da un occidente ancora più fascista, è impossibile. Non a caso il Dipartimento di Giustizia degli USA ha subito chiesto al Congresso di legalizzare il trasferimento dei beni russi (almeno 300 miliardi di dollari) all’Ucraina in risposta agli annunciati referendum. Hanno il terrore dello strumento del referendum popolare, perché sanno benissimo che vari Stati federali americani lo vogliono usare per staccarsi dal governo centrale.

Vorrei inoltre ricordare che non esiste solo l’ONU come organismo internazionale. In America Latina funziona il Parlamento latinoamericano, chiamato anche “Parlatino”. In Africa è entrato in funzione il Parlamento Panafricano. Ci sono anche l’Assemblea parlamentare paritetica UE-ACP (Paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico) e l’Assemblea parlamentare Euromediterranea nel quadro del Partenariato Euromediterraneo. E naturalmente c’è il Parlamento Europeo, direttamente eletto dai cittadini della UE. Non può più essere solo l’ONU a decidere che cos’è la democrazia e la sovranità popolare.

 

Ognuno dovrebbe fare il suo mestiere

 

Maurizio Landini, segretario generale della CGIL. ha detto che la guerra russo-ucraina va fermata a tutti i costi. Questo perché il mondo del lavoro sta soffrendo moltissimo. Ha già indetto uno sciopero nazionale per l’8 di ottobre. Ha detto che le sanzioni antirusse non bastano per fermare la guerra, anzi non servono a niente contro un immenso Paese come la Russia. Ha detto che gli ucraini hanno il diritto di difendersi. Ha detto che non ha senso riarmare tutto il mondo, rinunciando alla tutela ambientale e diminuendo i diritti dei lavoratori. Per lui ha ragione il papa quando parla di pace.

Un uomo di buon senso? Sì ma dovrebbe fare solo il sindacalista, perché quando parla come politico rivela subito tutti i suoi limiti.

Infatti la guerra russo-ucraina non va fermata in tutti i modi ma solo in un modo: riconoscendo ai filorussi il diritto di staccarsi dal Paese e di decidere una volta per tutte di aggregarsi alla Russia. Il governo di Kiev non conosce per nulla né la democrazia né il pluralismo. Qui non vale la differenza tra aggredito e aggressore. Il Donbass è aggredito dal 2014.

 

Contro Draghi

 

Il diritto al referendum non va mai condannato a priori. L’ha fatto Draghi, mostrando tutto il suo analfabetismo giuridico. Ha detto che sarebbe contrario al diritto internazionale, quando invece è uno strumento fondamentale della sovranità popolare. Solo una persona strapiena di pregiudizi e lontanissima dalla democrazia può sostenere una cosa del genere. Appare evidente che è convinto, come i suoi amici americani, che un qualunque referendum nel Donbass verrà perso dai filo-ucraini.

 

Ha senso pensare che Putin bleffi?

 

Ormai è ufficiale: l’Ucraina non sta più combattendo con armi proprie, essendo state tutte distrutte, ma solo con armi occidentali. Quindi la guerra è diventata tra Russia e NATO. Se i referendum vengono vinti dai filorussi, i territori ove risiedono apparterranno alla Federazione Russa. Putin ha deciso di inviare altri 300.000 riservisti in quell’area (pare che i soldati in servizio attivo siano 850.000, mentre 25 milioni il totale dei riservisti richiamabili al fronte). La mobilitazione non è generale ma parziale. Questo vuol dire che ne potrebbe inviare molti di più. Se la UE va avanti così, rischia di scomparire dalla faccia della terra, poiché la Russia non rinuncerà alle armi nucleari se si sentirà fortemente minacciata. Ma da noi gli statisti pensano che Putin stia bleffando.

Mi chiedo: quando si rischia un’estinzione di massa, è normale o è giusto pensare che una catastrofe del genere, in ultima istanza, non sia mai possibile? Non è che ci sta succedendo la stessa cosa di quando vediamo le borse crollare? Quando cioè tutti in coro ci mettiamo a dire: “No, questa è un’azienda troppo grande per fallire”.

 

[22] Anzitutto e soprattutto autodeterminazione dei popoli

 

Nel 1992 fu elaborato un documento molto importante da parte della direzione del Centro dell’Università di Padova. Parlava di diritti umani e diritti dei popoli da intendersi come il nuovo diritto internazionale.

Diceva che la Carta delle Nazioni Unite stabilisce all’art. 1 che il rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione dei popoli costituisce uno dei fini principali delle Nazioni Unite.

Diceva anche che le fonti di questo nuovo diritto van ricercate in altri documenti d’importanza capitale dopo quello dell’ONU: l’ultimo è l’Atto finale di Helsinki del 1975. Non stiamo quindi parlando di cose sconosciute o amene.

Eppure l’occidente sembra cadere dal susino, come al solito affetto da un morbo pestifero: quello dei due pesi e due misure. Ancora non riesce ad accettare sino in fondo che se ogni essere umano ha diritti innati, quindi inviolabili, inalienabili e imprescrittibili, che preesistono alla legge scritta, è evidente che l’individuo o le collettività umane sono soggetti originari di sovranità e vengono prima dello Stato e del sistema degli Stati. Alcuni diritti innati (p.es. all’esistenza, all’identità, all’autodeterminazione) sono riconosciuti anche alle comunità umane che hanno il carattere di popolo.

Cosa vuol dire questo? Semplicemente che non ha alcun senso parlare di sovranità politica dello Stato e integrità territoriale di una nazione quando una parte di questa nazione vuole dichiararsi indipendente perché sotto quello Stato si sente in pericolo di vita.

L’occidente non si è quasi mai interessato ai problemi di sopravvivenza della popolazione del Donbass. La stragrande maggioranza degli occidentali non ne conosceva neppure l’esistenza. E l’ONU non ha mai preso seriamente in considerazione la gravità di una guerra civile durata 8 anni.

Oggi gli abitanti russofoni o filorussi di questa grande regione vengono a chiedere il conto di questa indifferenza. Con un referendum vogliono dichiararsi facenti parte della Federazione Russa. Ne hanno facoltà, proprio perché il diritto internazionale, checché ne pensi l’occidente, è dalla loro parte. Se l’ONU non capisce questa cosa, è ora di sostituirlo con un altro organismo più democratico.

Fonte: unipd-centrodirittiumani.it

 

Ognuno a casa sua

 

L’incredibile successo che ha l’attività diplomatica russa nell’ambito di vari organismi internazionali (BRICS, CSTO, SCO...) è sicuramente dovuto anche al fatto che per tenere uniti Paesi così diversi tra loro, a volte addirittura in conflitto per questioni di confine, si deve partire da un presupposto giuridico fondamentale: la non ingerenza negli affari interni di uno Stato.

Si può discutere di tutto, ma uno Stato non può permettersi di dire agli altri Stati come devono vivere la democrazia, il pluralismo o come devono rispettare i diritti umani.

Il successo politico-diplomatico della Russia è dovuto anche al fatto che il mondo intero si è stufato della pretesa occidentale di esportare il proprio concetto di democrazia e di imporre la propria interpretazione dei diritti umani. Il mondo vuole anzitutto stabilità, sicurezza, poiché senza pace e con le continue interferenze esterne di chi si sente più forte, è impossibile costruire la giustizia sociale.

Gli Stati Uniti sono diventati il Paese che, più di ogni altro, tende a destabilizzare il mondo intero. Che lo facciano perché hanno una montagna di problemi interni è pacifico. Tutti sanno che i governi americani usano una politica estera guerrafondaia per distrarre la propria popolazione dall’incapacità delle istituzioni di risolvere i problemi più gravi del Paese. Tutti sanno che gli USA, per imbonire le masse, si servono di una narrativa assolutamente fantastica e illusoria, di tipo hollywoodiano.

Ora però basta. Ognuno se ne stia a casa propria e quando vuole partecipare a organismi internazionali, lo faccia su un piede di parità, senza imporre niente a nessuno. A ogni popolo venga data la possibilità di scegliere liberamente il proprio destino. Non ne possiamo più di veder minacciare o intimidire i Paesi più piccoli o più deboli da parte di quelli che si considerano più forti.

 

Un teatro dell’assurdo

 

Non sarà sfuggito a nessuno che mentre Draghi parlava all’ONU, la metà delle sedie (o forse addirittura i 2/3) erano vuote. A chi stava parlando con quel tono minaccioso e guerrafondaio così somigliante a quello del soldatino Stoltenberg? Per me c’erano solo i Paesi occidentali (incluso qualche Paese lacchè) ad ascoltarlo.

Sembra di assistere a una commedia pirandelliana (per chi non è italiano rimando a Ionesco o a Beckett). Siamo all’assurdo: mentre si parla di pace, si vuole la guerra; mentre s’invoca la democrazia, si auspica la dittatura. Esattamente come facevano gli occidentali dopo quella porcata di Conferenza di Monaco del 1938, quando dopo aver tradito la Cecoslovacchia, dicevano che la guerra mondiale era stata scongiurata.

Dopo il forum di Samarcanda, in cui è nato in maniera ufficiale il mondo multipolare, e dopo la decisione di indire i referendum in varie regioni del Donbass e la dichiarazione di Putin sulla parziale mobilitazione, l’occidente è come se avesse subìto un attacco epilettico. Non si controlla più. Schiuma come un cane idrofobo. Non vuole rassegnarsi a uscire dalla storia dei Paesi che contano. Dalle mie parti si dice “Siamo sulla schiena del buratello”, cioè stiamo cavalcando un’anguilla, che come tutti sanno è molto scivolosa. Segno che la situazione è al limite e che qualcuno sicuramente si farà molto male.

 

p.s.

Certo che sentire Biden all’ONU dire che gli USA non permetteranno a nessun Paese di dotarsi di armi nucleari, fa un po’ ridere. Per dire una cosa del genere uno Stato dovrebbe anzitutto dare il buon esempio, iniziando per primo a denuclearizzarsi. Peraltro nessuno Stato nucleare, se non appunto gli USA, ha distribuito le proprie armi nucleari nelle proprie basi militari sparse nel mondo e nessuno, a differenza di loro, le ha usate contro una popolazione civile (un gesto, peraltro, di cui non si sono mai pentiti, come non si sono pentiti d’aver usato armi chimiche, al fosforo e all’uranio impoverito in vari teatri di guerra).

 

[23] Serve ancora l’ONU?

 

Nel Preambolo della Carta dell’ONU si legge: “noi popoli delle Nazioni Unite siamo decisi a salvare le generazioni future da ulteriori guerre”. Infatti l’ultima guerra mondiale, con oltre 50 milioni di morti, era stata davvero devastante. Si ebbe bisogno di sostituire quell’ente vergognoso, chiamato Società delle Nazioni (a guida anglo-francese), nato dopo la I guerra mondiale, con un altro organismo più democratico.

Oggi però anche l’ONU fa acqua da tutte le parti. Non solo perché dal 1945 ad oggi non ha saputo evitare neppure uno degli oltre 100 conflitti armati, che hanno comportato più di 20 milioni di vittime. Ma anche perché non vede la vera natura dei problemi (o non la vuol vedere), lasciandosi completamente determinare dalla propaganda occidentale.

Nel caso in cui dovesse scoppiare una nuova guerra mondiale, di sicuro, se riusciremo a sopravvivere, l’ONU andrà completamente rifatto. L’attuale segretario generale, António Guterres, sembra non capire assolutamente nulla del conflitto russo-ucraino. Non capisce p.es. che la popolazione filorussa del Donbass, continuamente bombardata dai mezzi della NATO usati dagli ucraini, si sentirebbe molto più sicura se, dopo il referendum, il loro territorio venisse riconosciuto come parte integrante della Federazione Russa.

Quando uno dice che “Qualsiasi annessione del territorio di uno Stato da parte di un altro Stato risultante dalla minaccia o dall’uso della forza costituisce una violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”, dimostra solo la propria totale ignoranza del fatto che il Donbass è da 8 anni soggetto a una guerra civile da parte del governo di Kiev.

Una persona di così alto livello che dice, riferendosi al solo conflitto ucraino: “Gli Stati dotati di armi atomiche dovrebbero impegnarsi a non usarle e a eliminarle totalmente”, dimostra solo di avere una mente viziata da un pregiudizio di fondo, quello russofobo. Se fosse stato più equilibrato avrebbe dovuto dire: “L’Assemblea dell’ONU condanna fermamente l’uso di qualunque arma di sterminio di massa, sia essa nucleare, chimica o biologica, e di qualunque arma usata per colpire anzitutto le popolazioni civili, e deplora fortemente che il governo ucraino usi armi convenzionali dirette su centrali nucleari a scopi civili”. Quest’ultima cosa, infatti, non si era mai vista dal 1945 ad oggi.

A una persona davvero democratica basterebbe un’azione così aberrante per legittimare la decisione dei filorussi del Donbass di separarsi dai confini territoriali della nazione in cui vivono.

 

Quando l’ingerenza è giusta?

 

Che poi, a pensarci bene, non sarebbe una cattiva idea se il principio di non ingerenza negli affari interni di un Paese venisse sostituito dal principio d’ingerenza nel caso in cui vengano violati diritti fondamentalmente umani, facilmente riconoscibili da tutto il pianeta, come p.es. il diritto a usare la propria lingua madre, a praticare la religione in cui si crede, ad avere una difesa in caso di processo, a non permettere violazioni dell’integrità psicofisica della persona, ecc. Non dovrebbe essere difficile mettersi d’accordo su quali diritti fondamentali dell’essere umano non si può tergiversare.

Nel far questo però uno Stato dovrebbe dimostrare d’essere migliore di quello cui contesta determinate violazioni. Se uno per primo non dà il buon esempio, è ridicolo che si metta a puntare il dito contro un altro.

Inoltre si dovrebbero usare mezzi assolutamente pacifici, di tipo diplomatico. Sanzioni economiche o finanziarie, minacce militari andrebbero escluse a priori. Sarebbe un controsenso chiedere d’essere umani usando mezzi che non lo sono. Qualunque sanzione che arrivi a colpire l’intera popolazione di un Paese, senza fare distinzione tra persone democratiche e autoritarie, è semplicemente un abominio. Se una sanzione ci può essere, al massimo può essere comminata dopo molti richiami al rispetto dei diritti umani, e può riguardare soltanto gli organi di governo, per cui, volendo, potrebbe comportare l’espulsione da un organismo internazionale o interstatale, ma nulla di più.

Detto questo, possiamo dire con sicurezza che l’intero occidente si è sempre comportato, quando commina sanzioni, nella maniera più corretta possibile? Mi sbaglierò, ma penso che nell’ultimo mezzo millennio non l’abbia fatto neppure una volta. Ho cioè l’impressione che quando si chiede, sulla base di princìpi umanitari, di abrogare l’art. 2,7 della Carta delle Nazioni Unite, che fa divieto d’interferire negli affari interni degli Stati,  l’occidente ne approfitterebbe subito per far valere il proprio punto di vista.

Mezzo millennio di dominio quasi mondiale ci ha reso incapaci di vedere oltre il nostro naso.

 

La paura fa 90

 

Il governo estone ha ordinato la convocazione dei riservisti dell’11° battaglione di fanteria e del 16° battaglione di difesa aerea, nonché i membri della milizia paramilitare “Kaitseliit” (“Unione di difesa”), per un addestramento integrativo “Okas 2022”, che si terrà dal 22 al 28 settembre.

È giusto che una grande potenza militare come l’Estonia, di 45.000 kmq (come Lazio e Sicilia insieme), e con 1,3 milioni di abitanti (come Milano), di cui il 25% russi, si tenga pronta a combattere contro quel cattivone di Putin, che ha minacciato di usare l’atomica se la NATO avrà intenzione di lanciare missili nei territori ucraini che, dopo il referendum, passeranno sotto la Federazione Russa.

Chissà perché a nessuno viene in mente d’intavolare delle trattative di pace. L’Estonia mi sembra come quei cagnolini piccoli piccoli che si mettono ad abbaiare come matti per far vedere che non hanno paura di nessuno.

Non sarebbe stato meglio, prima di chiamare i riservisti, indire un referendum per vedere se quel 25% dei propri russofoni ha davvero intenzione di combattere contro la nazione da cui proviene? Così, giusto per farsi una vaga idea del numero di cittadini su cui il governo russofobo e neonazista di Tallinn può effettivamente contare.

Questo perché non è che 1/4 della popolazione potrà sopportare in eterno che venga minacciata di privazione della cittadinanza o del permesso di soggiorno, di espulsione dal Paese, di licenziamento sui luoghi di lavoro e persino di reclusione se usa la lingua russa nei luoghi pubblici. Già adesso gli asili nido, le scuole e i programmi di studio di lingua russa sono in fase di liquidazione. A un certo punto, poi, la gente si stanca: la Transnistria si è staccata dalla Moldavia per le stesse ragioni linguistiche.

 

[24] Occidente smemorato

 

Tutti sanno che la Carta dell’ONU vieta la minaccia e l’uso della forza tra gli Stati (art.2 par.4). Ma in questi giorni non c’è uno statista occidentale o un giornalista che ricordi le eccezioni in cui si può ricorrere a questa regola generale: la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato e le misure coercitive di sicurezza collettiva che possono essere prese o autorizzate dal Consiglio di Sicurezza.

Che significa questo? Semplicemente che non si può escludere a priori il diritto alla legittima difesa. Quando una porzione di territorio di una nazione viene costantemente sottoposta all’uso della forza da parte del governo centrale (p.es. il Donbass, ma di esempi potremmo farne mille), è evidente che quella porzione ha diritto a difendersi, anche cercando un aiuto esterno alla propria nazione. E col concetto di “forza” non bisogna intendere solo quella militare, ma anche qualunque discriminazione assolutamente insopportabile (p.es. vietare l’uso della lingua madre nei luoghi pubblici).

Cioè non c’è bisogno che uno Stato usi la forza (o minacci di usarla) contro un altro Stato per invocare il diritto alla difesa legittima. È sufficiente che uno Stato la usi nei confronti di un proprio territorio, interno ai suoi stessi confini nazionali.

Se non fosse così, l’ONU a che servirebbe? Ha senso che in nome della non ingerenza negli affari interni di uno Stato, l’ONU si astenga dal giudicare negativamente l’uso della forza esercitata da un governo centrale contro una parte dei propri cittadini? Eppure questo, nella sostanza, è proprio quello che l’ONU ha fatto nel conflitto in atto dal 2014 tra Kiev e il Donbass. Questo il motivo per cui diciamo che l’ONU è un organismo che fa gli interessi soltanto dell’occidente.

Si dirà: nell’ONU l’organo che ha la responsabilità primaria di mantenere la pace e la sicurezza internazionale è il Consiglio di Sicurezza. Questo perché qualsiasi decisione riguardante la minaccia o la violazione della pace deve passare sotto l’analisi del Consiglio di Sicurezza.

Ma in questo organo sono soltanto 5 i Paesi che comandano, quelli che han vinto la II guerra mondiale. E ognuno di loro ha il diritto di veto sulle decisioni che possono prendere gli altri. Cioè non si va a maggioranza. Dunque è in grado un organo del genere d’essere operativo in tempo reale quando si verificano situazioni gravemente conflittuali? Se lo è, è soltanto per un caso fortuito. Se poi a creare il conflitto è uno degli stessi 5 Paesi, di sicuro il Consiglio di sicurezza non sarà in grado di prendere alcuna decisione, a prescindere da qualunque votazione in merito possa venir fuori dall’Assemblea generale.

L’Italia quindi non solo dovrebbe uscire dalla NATO, ma, per come sono strutturati, anche dalla UE (perché le nega la sovranità nazionale a tutti i livelli) e dall’ONU (perché è un organismo del tutto inutile).

 

Una testa vuota

 

Quando il soldatino Stoltenberg dice che i referendum nei 4 territori del Donbass sono una “farsa”, pertanto “la risposta della NATO è rafforzare il sostegno a Kiev”, fa capire chiaramente che la NATO non dipende dalle decisioni politiche della UE, ma le previene.

Uno che riveste il suo ruolo, prima di affermare una cosa del genere, dovrebbe come minimo attendere il giudizio del Congresso americano e del Parlamento europeo, perché non può sapere, mentre ancora si sta votando, che l’esito sarà favorevole alla Russia. Infatti se fosse favorevole agli ucraini, direbbe ancora che sono stati una “farsa”? Semmai lo sarebbero se un esito favorevole a Kiev non verrebbe preso in alcuna considerazione da Mosca.

Da noi quando uno ragiona così, si dice che ha la testa come un bidone sfondo. Ha fatto lo stesso ragionamento di quando nel 2017 andò in Corea del Sud. Siccome i missili nordcoreani sono in grado di raggiungere anche l’Europa, fece capire ai sudcoreani che, in caso di guerra con la parte nord, il generale a capo del contingente USA a Seoul avrebbe assunto il comando dell’esercito sudcoreano. Disse questo senza rendersi conto che una decisione del genere avrebbe dovuto prenderla il Parlamento sudcoreano.

Ma sappiamo bene come reagisce l’occidente di fronte ai referendum che minacciano l’integrità nazionale degli Stati: non riconobbe quello catalano nel 2017 e cercherà sicuramente d’impedire quello scozzese nel 2023.

 

Obiettivo: imbavagliare

 

Ha senso che l’Arma dei Carabinieri e l’Ordine dei Giornalisti stipulino un protocollo d’intesa (come quello del 13 settembre) che abbia tra le sue finalità principali quella di “promuovere la cultura di una corretta informazione professionale”? Sì, un senso ce l’ha, quello di porre sotto controllo qualunque tipo d’informazione disallineata rispetto a quella dei media dominanti, il cosiddetto mainstream.

In forza di tale protocollo sarà impossibile per qualunque giornalista dire la minima cosa che possa dispiacere ai carabinieri, cioè a quell’ordine pubblico ch’essi devono tutelare. L’informazione quindi diventa di regime, sottoposta a una preliminare censura militare. Siamo tornati al fascismo e alle sue veline e al suo MinCulPop.

 

La memoria corta di Draghi

 

Contro Draghi, che ha la memoria corta, è intervento all’ONU il premier serbo Vučić:

“Molti qui han parlato di aggressione e violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Molti dicono che questo sia il primo conflitto nella UE dalla seconda guerra mondiale, ma la verità è che anche l’integrità territoriale serba è stata violata e la Serbia non aveva attaccato nessuno. Dunque qual è la differenza tra la sovranità e l’integrità territoriale di Ucraina e Serbia? Perché avete dato legittimità internazionale alla violazione dell’integrità territoriale della Serbia? La Serbia non meritava l’aggressione nel 1999. Questo però non ha impedito a 19 Paesi della NATO di attaccare il nostro Paese, minando la sovranità senza il consenso delle Nazioni Unite. Ciò non ha impedito ad alcuni Paesi di riconoscere il Kosovo e violare l’integrità del nostro Paese”.

Più chiaro di così non si può. Draghi vai a casa.

 

Fosse comuni di chi?

 

Il governo filonazista di Kiev ha negato ad Amnesty International l’accesso alle presunte “fosse comuni” di Izyum. Che strano! Non erano piene di ucraini russofobi? Stai a vedere che invece erano soldati ucraini uccisi in battaglia che il governo ha abbandonato a se stessi, lasciando che fossero i soldati russi a seppellirli…

Ma io mi chiedo: quando questa guerra sarà finita, i giornalisti italiani che dal 24 febbraio hanno mentito spudoratamente (e sono davvero tanti!), non dovrebbero subire qualche sanzione? Per es. essere espulsi dall’ordine o addirittura essere denunciati per tutte le falsità che han detto…

 

La realtà con la fantasia

 

Oltre 10.000 cittadini della Federazione Russa si sono presentati da soli agli uffici di registrazione e arruolamento militare durante il primo giorno di mobilitazione parziale. Cioè a prescindere dai 300.000 riservisti richiamati.

E Putin sarebbe isolato? E le frontiere finlandesi sarebbero al collasso a causa del fuggi fuggi dei cittadini russi? Quand’è che smetteremo di confondere la realtà con le nostre fantasie?

 

Cosa ottiene la Russia e cosa perde l’Ucraina dopo i referendum?

 

L’area della Russia aumenterà di 107.600 kmq (1/3 dell’Italia), mentre l’area dell’Ucraina diminuirà del 20%.

La popolazione della Russia aumenterà di oltre 8 milioni di persone, mentre quella ucraina sarà ridotta del 21%.

La regione di Kherson è la più grande area di terreno agricolo: oltre 2 milioni di ettari, soprattutto di ortaggi, colture di meloni e frutta.

Quest’anno gli agrari delle regioni di Kherson e Zaparozhye hanno raccolto più di 2 milioni di tonnellate di grano.

Prima del golpe di Maidan, il PIL della regione di Donetsk era il 16% del PIL dell’Ucraina.

Gli impianti metallurgici di Lugansk e Donetsk sono pronti a fornire i loro prodotti in tutte le regioni della Russia.

 

[25] Basta col nucleare militare!

 

Per leggere qualcosa sulle manifestazioni italiane anti-NATO, uno deve cercarle sul web, perché nei TG e nei quotidiani sono irreperibili. Per es. il 17 scorso ve ne sono state tre a Ghedi, Aviano e Iglesias, organizzate da molte associazioni pacifiste.

Gli slogan erano precisi: Fuori l’Italia dalla NATO; Fuori le armi nucleari dall’Italia; Contro la partecipazione dell’Italia a tutte le guerre in corso (al momento sono 38); No all’invio di armi in giro per il mondo; No alle sanzioni di guerra; No ai concetti strategici aggressivi che violano l’art. 11 della nostra Costituzione; No alle esercitazioni di guerra su suolo italiano, in cielo e in mare; Usare i soldi per far fronte alla crisi economica e ambientale e al carovita anziché per le spese militari.

In particolare si teme che le 130 basi o strutture militari NATO-USA rendano il nostro Paese bersaglio di guerre sempre più vicine.

Le parlamentari Simona Suriano e Yana Ehm han potuto entrare nella base di Ghedi per vedere il livello di sicurezza degli armamenti. Han constatato lo stato di realizzazione degli hangar che ospiteranno i nuovi aerei F-35 in vista dell’arrivo delle nuove bombe atomiche “tattiche” B61-12.

Han fatto alcune domande al colonnello Giacomo Lacaita, a comando della base, che però si è trincerato dietro il paravento della classificazione militare delle informazioni.

Alla domanda sull’entità dei militari USA all’interno, il comandante ha però dichiarato che la base è assolutamente italiana, e che i militari americani, presenti in poche unità, sono solo manutentori e tecnici (beato chi ci crede!). Dicendo questo non si è reso conto che la base stava violando apertamente il Trattato di non Proliferazione Nucleare ratificato dall’Italia nel 1975, il quale prevede un uso esclusivamente pacifico dell’energia nucleare.

Fonte: pressenza.com

 

La prigione più grande del mondo

 

Qual è la prigione più grande del mondo? Lo spiega l’editore Fazi nel libro appena pubblicato avente lo stesso titolo (l’edizione originale è del 2017). Si parla della politica israeliana nei confronti del popolo palestinese.

L’autore è Ilan Pappé, autorevole storico israeliano (docente all’Università di Exeter, in Inghilterra), già autore di diversi bestseller fra i quali Palestina e Israele: che fare? (con Noam Chomsky). Una mosca rara in un Paese dove le uniche forze che denunciano la politica israeliana nei Territori Occupati come ingiusta, crudele, per non dire criminale, sono il piccolo Partito comunista, qualche minuscolo movimento antisionista e quella esigua minoranza di intellettuali “illuminati” di cui lo stesso Pappé è un esponente.

Il suo è un lavoro da storico, quindi pieno di fonti di varia natura. Le principali indicano un fatto piuttosto sconcertante: nessuna delle guerre contro gli arabi intraprese da Israele dal 1948 a oggi è nata dalla necessità di fronteggiare le provocazioni e le minacce di un nemico deciso a cancellare lo Stato ebraico dalla carta geografica. La verità è che si è trattato piuttosto di un lucido disegno strategico, premeditato e perseguito con spietata determinazione e con l’appoggio fattivo di tutte le correnti ideologiche: laburisti, liberali laici, religiosi e ultra religiosi, senza differenze sostanziali fra destra e sinistra. I principali nemici sono sempre stati Egitto e Siria.

L’occupazione sionista di nuovi territori non fu mai concepita come un fatto transitorio, anche perché Israele ha sempre perseguito il disegno di diventare una potenza “imperiale”: la sovranità assoluta su Gaza e Cisgiordania (ma anche su Gerusalemme est) non è negoziabile. Senza l’appoggio militare e finanziario degli USA il progetto di edificare uno Stato ebraico “puro” dal punto di vista etnico-religioso sarebbe stato irrealizzabile (fatto salvo lo sfruttamento della manodopera palestinese sotto costo).

I metodi autoritari per realizzare la più grande prigione mai esistita (inizialmente 1,5 milioni di “detenuti”, saliti poi a quasi 5 milioni), furono presi dagli inglesi, che li adottarono in Egitto e India.

Cosa fece l’ONU per impedire questa vergogna? Nulla di concreto. E l’occidente? Peggio ancora: accettò senza battere ciglio la colonizzazione ebraica. Anzi, al tempo della guerra fredda Israele veniva considerato un alleato indispensabile nella lotta contro i regimi dell’area mediorientale alleati con Mosca e, caduta l’URSS, contro i Paesi arabi che insistevano a opporsi all’egemonia occidentale (da Johnson in poi nessun presidente americano ha rifiutato di fornire agli israeliani gli armamenti più avanzati).

Il recensore ha poi fatto un parallelo con l’attuale conflitto ucraino, e ha scritto: “a prescindere dalla legittimità dell’intervento militare nel Donbass (che visto da Mosca potrebbe essere giustificato, con argomenti più solidi di quelli accampati da Israele nel 1967, come una mossa preventiva per evitare l’accerchiamento da parte della NATO), la Russia ha invaso aree abitate da minoranze russofone che erano oggetto di pulizia etnica da parte delle milizie parafasciste di Kiev e non, come nel caso delle guerre israeliane, aree abitate da secoli da un popolo che non aveva aggredito né minacciato nessuno”.

Fonte: socialismodelsecoloxxi.blogspot.com

 

Mentana continua a mentire

 

Non bastava la scemenza clamorosa del suo sito Open.online che, insieme ad altri media, ha diffuso un video attestante lunghe code di automobilisti russi che per sfuggire alla guerra di Putin starebbero già alla frontiera con la Finlandia. Peccato che gli automobilisti stiano in maglietta e sandali nonostante la temperatura lì oscilli tra i 6 e gli 11 gradi. E peccato anche che il comandante della Polizia di Frontiera finlandese Matti Pitkäniitty abbia smentito questa “notizia”.

Ora Mentana ne ha prodotta un’altra, come se fosse pagato da qualcuno a svolgere questo ruolo infame. Il Cremlino starebbe arruolando con forza coloro che manifestano contro la “guerra di Putin”. “Una pratica denunciata da vari media internazionali, come Bbc, ma che il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, sostiene essere legale.”

Peccato che il link alla Bbc messo da Open rimandi a un articolo nel quale non c’è parola che attesti questa bufala; anche il link a Dmitry Peskov rimanda a una sua fotografia senza nessun altro riferimento.

Quand’è che questo pseudo giornalista viene espulso dall’ordine? Mi chiedo però chi potrebbe farlo, visto che gli altri sono spesso peggio di lui.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

Situazione esplosiva in SudCorea

 

Il 3 settembre il Fronte Democratico Nazionale Antimperialista della Corea del Sud ha lanciato un appello al popolo sudcoreano intitolato “Costruiamo una resistenza nazionale per gettare in mare il capo della banda antipopolare di Yongsan (il distretto di Seoul ove vi è l’Ufficio presidenziale)”. Le manifestazioni si sono svolte in 70 regioni e persino in 30 città all’estero.

Ce l’hanno col premier Yoon Suk-yeol, in carica solo dal maggio scorso: prima era procuratore generale, senza alcuna esperienza politica. Non c’era mai stato nel Paese un tale risentimento pubblico nei confronti di un presidente dopo soli 100 giorni dal suo insediamento.

È già accusato di crimini fraudolenti con le sue politiche antipopolari, che portano la gente a impoverirsi. I prezzi sono alle stelle, le piccole e medie imprese sull’orlo del fallimento, le tasse sono molto pesanti. I giovani si sentono traditi dalle sue false promesse.

La popolazione non sopporta più le frequenti esercitazioni militari congiunte Corea del Sud-USA, che fanno temere un’imminente guerra nucleare. Vogliono fargli fare la fine di Park Geun-hye, la ex premier condannata a molti anni di carcere per corruzione negli anni 2017-18 (poi graziata nel 2021).

Naturalmente il governo Yoon (simile a una cricca di parenti e amici) ha reagito con una dura repressione e ha fatto chiaramente capire d’essere contrario al confronto intercoreano; anzi, sta compiendo manovre di guerra contro la Corea del Nord, anche servendosi dell’appoggio del Giappone, che dal governo di Yoon viene incitato a militarizzarsi sempre più.

Di tutto ciò naturalmente il nostri media non sanno nulla.

Fonte: marx21.it

 

Quale proprietà?

 

Non è ridicolo che il partito Vita abbia messo tra i punti fondamentali del suo programma “Diritto a salvaguardia della proprietà privata, inviolabile”? Quale proprietà, quella dei fondamentali mezzi produttivi o del tuo spazzolino da denti? Se la prima, è inutile definirsi “partito antisistema”.

 

[26] In questa tornata elettorale

 

Quali sono i voti che più stupiscono in negativo? Quelli dati a Calenda e Renzi: dato il livello politico dei due soggetti, sinceramente son troppi.

Quali sono i voti che più stupiscono in positivo? Quelli dati ai 5Stelle, perché gli italiani dimostrano di saper distinguere l’atteggiamento sbagliato nei confronti del conflitto ucraino (troppo favorevole al governo neonazista di Kiev) dagli obiettivi sociali e ambientali perseguiti dal movimento.

Quali sono i voti che più fanno rabbia? Quelli che, dati ai partiti antisistema, non han permesso a nessuno di loro di entrare in parlamento perché si sono presentati divisi.

Quali sono i voti che più preoccupano? Quelli dati a una destra simile a quella che nel passato era guidata da Berlusconi e che fu disastrosa per il nostro Paese.

Quali sono i voti che han dato maggiore soddisfazione? Quelli non dati a Di Maio e, più in generale, a un centrosinistra dichiaratamente atlantista e guerrafondaio.

Quali sono i non voti che avrebbero dovuto comportare un rinvio delle elezioni? Quelli che all’estero non hanno potuto dare ai partiti antisistema perché i loro simboli non erano presenti nelle schede elettorali.

Quali sono i non voti che più rammaricano? Quelli del 36% che non è andato a votare e che avrebbero potuto fare la differenza se la loro protesta avesse appoggiato i partiti antisistema.

Quali sono i voti più imbarazzanti? Quelli dati a un PCI (0,09%) che un tempo era il più grande partito comunista dell’Europa occidentale e che terrorizzava una DC serva degli americani.

Quali sono i voti più indicativi del malessere profondo del centrosinistra? Quelli dati a una coalizione a guida PD, ai 5S e ad Azione/Italia Viva, che, pur essendo superiori a quelli del centrodestra, non gli permetteranno di governare a causa dei rancori che li dividono.

Quali sono le previsioni che si possono fare, dando per scontato che la destra governerà? La destra non riuscirà a risolvere nessun problema sociale e ambientale (anzi li aggraverà), garantirà una dipendenza assoluta nei confronti di USA, UE e NATO, trasformerà la repubblica da parlamentare a presidenziale, peggiorerà di molto le discriminazioni sociali e il razzismo, aumenterà il centralismo autoritario dello Stato e porterà probabilmente il Paese a una guerra esplicita contro la Russia e, di conseguenza, a una guerra civile a livello nazionale. Consoliamoci però, perché molte di queste cose oggi sarebbero potute accadere anche con l’attuale PD, non essendoci più molta differenza tra destra e sinistra.

Insomma questo è un Paese destinato a diventare sempre più pericoloso, anche se avremo da mantenere 300 parlamentari in meno.

Ciò detto, qual è l’anomalia tecnica, che però comporta una discriminazione di genere, che andrà superata alle prossime elezioni? Il fatto che i registri elettorali, essendo divisi per sesso, obbligano le persone trans e non binarie a fare coming out. Dunque dividiamoli in maniera alfabetica. Sempre che sia ancora possibile andare a votare.

 

*

 

Han votato circa 29,5 milioni di persone su poco più di 46 milioni.

La destra ha preso poco più di 12 milioni di voti.

Dunque una coalizione con 1/4 dei voti degli aventi diritto garantisce la democrazia rappresentativa parlamentare nazionale.

Se contassero i non voti, il parlamento dovrebbe essere composto di 400 parlamentari, anzi, qualcosa in meno, visto che un milione di persone ha votato scheda bianca o nulla.

 

Che ci fanno i nostri militari in Sudan?

 

Massimo Alberizzi, che dirige il sito “Africa ExPress”, ha descritto una realtà abbastanza sconcertante, naturalmente ignorata dai nostri media, anche se ne aveva parlato il senatore del Movimento 5 Stelle, Alberto Airola, in parlamento.

Dall’agosto scorso una squadra di 12 militari italiani sta addestrando in segreto a Khartoum i paramilitari sudanesi delle Forze di Supporto Rapido (RSF). L’iniziativa è finanziata dalla UE: circa 106 milioni di euro, sulla base del rapporto di Christos Stylianides, commissario della UE. Ufficialmente i soldi sono stati dati per aiuti umanitari e sviluppo, da gestirsi attraverso organizzazioni umanitarie. Dal 2011 ad oggi la UE ha devoluto al Sudan ben 422 milioni di euro per soccorrere le popolazioni toccate da conflitti, catastrofi naturali, epidemie, insicurezza alimentare e malnutrizione.

La squadra italiana fa capo al Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), agenzia che dipende dalla presidenza del Consiglio. L’uomo di riferimento è il colonnello Antonio Colella.

I RSF sono formati in gran parte dagli ex janjaweed, famigerati terroristi arabi che in Darfur attaccavano i villaggi africani (ammazzavano gli uomini, stupravano le donne e rapivano i bambini). Il gruppo di tagliagole è guidato, sin dal 2013, dal generale Mohamed Hamdan Daglo (detto Hemetti), ben conosciuto per essere stato il mandante di efferati massacri non solo nel Darfur meridionale, ma anche in riferimento alla strage di Khartoum del 3 giugno 2019.

Dal 2017 Hemetti dispone del controllo delle operazioni di estrazione dell’oro in Sudan. Nel 2019 era una delle persone più ricche e potenti del Paese, grazie alla sua società al-Junaid, che ha una vasta gamma d’interessi commerciali, tra cui investimenti, miniere, trasporti, noleggio auto, ferro e acciaio.

Il suo gruppo dovrà bloccare i migranti che dall’Africa Centrale attraversano il Sudan e poi la Libia (passando dall’oasi di Kufra) per raggiungere il Mediterraneo. Ha pure il compito di reprimere nel sangue le manifestazioni pacifiche per la democrazia che da mesi si susseguono nel Paese africano, soggiogato dalla dittatura militare.

Il Sudan accoglie oltre un milione di rifugiati provenienti dal Tigray (Etiopia), dove si combatte una cruenta guerra civile. Una parte di questi profughi, intenzionata a raggiungere il Mediterraneo e l’Europa, rischia di cadere nelle mani delle bande di trafficanti di uomini.

Fonte: africa-express.info

 

Il diritto di veto all’ONU

 

Guardando chi ha usato di più il diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, verrebbe da pensare che la Russia sia la meno democratica dei 5 fondamentali Paesi che lo compongono.

Infatti il primo veto fu usato dall’URSS nel 1946 per una risoluzione su Siria e Libano e da allora la Russia lo ha usato 143 volte. Quasi il doppio rispetto agli 86 veti espressi dagli Stati Uniti, i 30 del Regno Unito, mentre Cina e Francia lo hanno fatto 18 volte ciascuno.

Tuttavia se si guardano le cose da vicino, ci si accorge che la Russia è ricorsa al veto soprattutto durante il periodo della guerra fredda, mentre dopo la decolonizzazione c’è stato un aumento dei veti occidentali, soprattutto da parte degli Stati Uniti.

Questo cosa induce a pensare? Semplicemente che l’ONU è un organo in mano ai Paesi occidentali.

 

[27] Quali rischi militari stiamo correndo?

 

Se l’Unione Europa fosse priva di pregiudizi antirussi, se non fosse dominata dalla propaganda guerrafondaia degli americani (che devono per forza crearsi dei nemici da combattere), se accettasse definitivamente l’idea di un mondo multipolare, avrebbe potuto giudicare la cosiddetta “operazione speciale militare” voluta da Putin sulla base di criteri diversi da quelli che sta usando.

Al momento quell’intervento viene risolutamente condannato sulla base di due criteri: violazione della sovranità politica di uno Stato indipendente e dell’integrità nazionale del suo territorio. È un modo schematico di dire: la Russia è un Paese aggressore, quindi ha torto; l’Ucraina è un Paese aggredito, quindi ha ragione. E in questa maniera vengono giustificati il golpe neonazista del 2014 e la guerra civile del governo di Kiev contro le due repubbliche autonome del Donbass condotta per 8 anni, che ha comportato 14.000 morti e milioni di profughi.

In realtà c’era un altro criterio per giudicare la Russia, anch’esso previsto dalla Carta dell’ONU: Putin e i suoi generali stanno conducendo l’operazione militare in maniera tale che l’aiuto offerto alle due repubbliche del Donbass è o non è superiore all’offesa ch’esse hanno subìto? Cioè stanno rispettando il criterio della proporzionalità oppure no?

Questo è un criterio importante, perché per es. Israele nella sua guerra contro i palestinesi non lo rispetta mai, proprio perché sa a priori che non verrà mai condannata dagli USA e dalla UE.

Se gli analisti tenessero questo criterio in considerazione, smetterebbero di dire che l’esercito russo non vale niente o è costretto a compiere nefandezze proprio perché non è all’altezza della situazione e altre stupidaggini del genere. E dovrebbero finalmente accettare l’idea di distinguere tra un’operazione militare condotta in un territorio in cui esistono molti amici e parenti dei russi e una guerra in cui non si guarda in faccia a nessuno.

Ora, siccome l’occidente non ha accettato d’intavolare trattative di pace sul criterio della proporzionalità, ma anzi ha preferito armare il più possibile il governo di Kiev, facendo capire che è in atto una guerra per procura tra NATO e Russia, ci troviamo di fronte a una svolta capitale: se i cittadini dei territori già liberati dai neonazisti ucraini accettano, tramite i referendum, di far parte integrante della Federazione Russa, allora il conflitto in atto si trasforma in una guerra esplicita o diretta tra NATO e Russia. A questo punto tutti i Paesi NATO che vi partecipano inviando armi e personale militare possono essere oggetto di bersaglio da parte dei russi. Cioè potremmo aspettarci degli attacchi militari all’interno dei nostri confini nazionali contro le basi da cui partono gli aiuti militari.

Ora chiediamoci: le popolazioni europee degli Stati cobelligeranti sono consapevoli del rischio che stanno correndo? Se Putin non sapesse che le basi NATO possono contenere armi nucleari, non avrebbe mai usato il criterio della proporzionalità dicendo che, in caso di un nostro attacco nucleare, la risposta sarebbe stata conseguente. La dottrina militare russa (a differenza di quella americana) esclude che l’arma nucleare possa essere usata in maniera preventiva, ma ovviamente non esclude che venga usata in maniera ritorsiva. E se ciò dovesse avvenire, non facciamoci illusioni sulla differenza tra armi nucleari tattiche e strategiche: l’Europa tornerebbe comunque al Medioevo.

Mi chiedo come mai i nostri statisti non riescano a capire dei concetti così elementari. Sembra che la politica non abbia facoltà di ragionare in maniera autonoma, ma sia continuamente condizionata da una visione militare delle cose, necessariamente schematica, che supera addirittura la tradizionale visione economicistica con cui stabiliamo i rapporti con gli Stati non europei.

 

Quei gasdotti non andavano fatti

 

Björn Lund, docente di sismologia e direttore della Rete Sismica Nazionale Svedese, ha registrato lunedì scorso forti esplosioni sottomarine (di magnitudo 2,3) nella stessa area delle fughe di gas sul Nord Stream 1 e 2. Le esplosioni sono state avvertite non solo in 30 stazioni di misurazione nel sud della Svezia, ma anche in Danimarca.

È un evidente sabotaggio, un attacco deliberato, per almeno tre ragioni: 1) non si tratta assolutamente di terremoti; 2) quella non è un’area solitamente utilizzata per le esercitazioni dalla difesa; 3) di solito la Rete Sismica riceve informazioni su esplosioni che avvengono sott’acqua. L’ultima volta che un evento sismologico simile è stato registrato nell’area è stato nel 2016.

Gli USA non vogliono assolutamente che quei due gasdotti vengano riaperti.

Mi sa che questo direttore dovrà ritrattare qualcosa, altrimenti rischia di finire male. Anche perché il servizio stampa delle forze armate svedesi si è rifiutato di commentare le informazioni ricevute da lui.

 

*

 

Chi si è posto la seguente domanda dovrebbe indurci a riflettere seriamente: “Se gli USA han fatto saltare il gasdotto Nord Stream, perché la Russia non dovrebbe tagliare i cavi internet sottomarini?”.

In effetti cosa succederebbe se le banche di Londra non potessero comunicare con quelle di New York per un giorno? Quale sarebbe l’effetto economico? L’occidente potrebbe avere un vero e proprio collasso. E la Russia non ne soffrirebbe affatto, visto che è già stata tagliata fuori dai rapporti con noi.

 

Referendum nel Donbass

 

Il 93,11% degli elettori nella regione di Zaporozhye e l’87,05% degli elettori di Kherson hanno votato per l’adesione alla Russia.

Nella Repubblica di Donetsk il 99,23% ha votato per unirsi alla Russia, mentre a Lugansk il 98,42%.

L’affluenza è stata: nella DPR 97,5%; nella LPR 92,6%; nella regione di Zaporozhye 85,4% e nella regione di Kherson 76,9%.

Nonostante le provocazioni del regime di Kiev, che ha emesso ordini criminali per infliggere massicci colpi di artiglieria su luoghi affollati e obiettivi civili, le persone non hanno avuto paura di presentarsi alle urne ed esprimere la propria volontà.

Naturalmente nelle lunghe file ognuno aveva un kalashnikov puntato sulla testa. Vero Letta? Tu che ti vantavi che solo le nostre elezioni erano “libere”...

Ma quanti sono questi soldati russi? Perché non vanno a combattere in prima linea? Il risultato non era scontato?

Chissà perché anche da noi il risultato era scontato. Vero Letta?[4]

Studia diritto Letta, perché devi conoscere il parere della Corte Internazionale di Giustizia sul Kosovo del 22 luglio 2010, secondo cui una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte di una regione di uno Stato non viola alcuna norma di diritto internazionale.

 

[28] Mutamento radicale di paradigmi politici

 

Ormai è evidente che la nozione politica, risalente alla rivoluzione francese, di “destra e sinistra” ha perso di significato. Alla luce di quanto accaduto in Ucraina, va definitivamente sostituita con un’altra: “pro-occidentale/post-occidentale” o, secondo il modo di esprimersi dei russi, “unipolare/multipolare” (un’espressione che usano da almeno un quinquennio).

Allarmare gli italiani, come ha fatto Letta, paventando il rischio di un ritorno al fascismo nel caso di una vittoria elettorale della destra, è stato un atteggiamento ridicolo. E non perché la destra non sia favorevole all’autoritarismo politico, quanto perché anche il PD lo è, visto che si è schierato decisamente dalla parte del governo neonazista di Kiev, approvando qualunque decisione politica degli USA e qualunque strategia militare della NATO.

Davvero con questa guerra siamo a una svolta epocale, che il PD non ha capito in alcuna maniera. Chi dovevano votare gli italiani, se il principale partito “democratico” è favorevole alla guerra? È già stato molto che siano andati a votare. In altre condizioni elettorali (cioè con meno fretta e con più informazione) avrebbero scelto un qualche partito antisistema, invece di trovarlo nascosto nei sondaggi alla voce “Altri”.

Ormai tra il PD americano e quello italiano non vi è più alcuna differenza. La dittatura viene portata avanti in nome della democrazia, che naturalmente non ha nulla di “sostanziale”. A questi livelli anche la destra della Meloni non ha alcuna difficoltà a rispettare tutte le regole formali della democrazia, e guarda con commiserazione chi le rimprovera di non aver mai fatto i conti col fascismo.

Poiché la politica estera della destra è identica a quella del PD, non si può escludere a priori che, per quanto riguarda la politica interna, gli elementi peggiori del PD (quelli che della vecchia sinistra non hanno più nulla) abbiano preferito mandare al governo l’attuale centrodestra per indurlo a compiere il lavoro sporco della repressione poliziesca. Tanto è sicuro che tra un po’ gli italiani scenderanno in piazza a protestare (nella UE sono sempre gli ultimi a farlo), e a quel punto ci vorrà un governo che li bastonerà senza tanti scrupoli.

La dura repressione non verrà gestita per impedire che il dominio occidentale del pianeta volga al termine (questa ormai è una realtà incontrovertibile), ma per impedire che venga sostituito da un nuovo ordine che minacci i privilegi acquisiti di chi vive sfruttando il lavoro altrui.

 

Cosa vuol dire militarizzare l’economia?

 

Forse a qualcuno non è ancora ben chiaro che l’apparato bellico americano è di tipo industriale-militare, cioè non è semplicemente una spesa (per la difesa nazionale e per il controllo del dissenso), ma fa anche parte del PIL (per l’export delle armi e l’egemonia unipolare mondiale). È nell’interesse degli USA che nel mondo vi siano tensioni e conflitti senza soluzione di continuità.

Già da tempo si sa che l’industria bellica non rappresenta solamente una crescita del carattere aggressivo-repressivo del capitalismo in generale, ma anche una necessità per il funzionamento del capitalismo in sé. Per es. l’invasione dell’Iraq da parte degli USA aveva l’obiettivo di controllare il petrolio del Medio Oriente.

Sin dalla fine della II guerra mondiale era emerso quello che viene comunemente definito coi termini di “keynesismo militare” o “economia di guerra” o “economia del Pentagono”. Cioè l’apparato industriale-militare non aveva più negli USA un carattere congiunturale, imposto da crisi politico-militari momentanee, ma si era convertito in un fenomeno strutturale del meccanismo generale di funzionamento della riproduzione capitalista, anche grazie al clima della guerra fredda. Era lo stesso Stato che finanziava i monopoli militari. E da allora non è cambiato niente. Tutta la loro economia civile (soprattutto l’industria elettronica e quella petrolifera) è pesantemente condizionata dalla crescente militarizzazione.

La tendenza all’aumento della spesa militare si è acutizzata a partire dall’Amministrazione Reagan (1981-88) e da allora non ha mai smesso di crescere. Oggi è alle stelle. L’astronomico incremento del deficit di bilancio (circa 29.000 miliardi di dollari) può portare il Paese al fallimento.

A partire dal 2001, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, la motivazione che spiegava la crescente militarizzazione dell’economia è sempre stata la stessa: “strategia di lotta contro il terrorismo” e “guerra preventiva”, da cui scaturirono le invasioni congiunte dell’Afghanistan e dell’Iraq.

La necessità di crearsi forti nemici nello scenario internazionale è una costante irrinunciabile. Oggi gli USA se ne sono dati tre: Russia, Cina e, per quanto possa sembrare strano, la stessa Unione Europea. La prima sul piano militare ed energetico, le altre due su quello economico e finanziario. Il bello è che la UE deve dividere con gli USA i costi di sicurezza del sistema neoliberista mondiale.

Tre nemici in contemporanea sono tanti, ma i governi americani hanno assolutamente bisogno di destabilizzare il mondo intero, avendo a che fare in politica interna con antagonismi sociali spropositati, ai limiti della guerra civile, e col rischio di una frantumazione dell’unità nazionale a causa delle tendenze separatiste di vari Stati federali.

 

Ius soli subito per tutti

 

Drammatiche le previsioni ISTAT per la popolazione italiana:

- da 59,2 milioni al gennaio 2021 si passerà a 57,9 nel 2030 per arrivare a 54,2 milioni nel 2050, fino a 47,7 nel 2070. In meno di 50 anni una diminuzione di 11,5 milioni, all’incirca la popolazione del Belgio;

- il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa 3 a 2 nel 2021 a circa 1 a 1 nel 2050. A rischio la tenuta del sistema previdenziale e, più in generale, del welfare. Senza dimenticare la possibile carenza di lavoratori.

Tutto ciò è inevitabile: vivere è diventato troppo rischioso, soprattutto perché troppo oneroso. Dobbiamo spalancare le porte a tutti gli stranieri del mondo, concedendo lo ius soli. Non bastano lo ius sanguinis e lo ius culturae.

 

[29] Venti di guerra globale

 

“Se Kiev decide di attaccare il territorio del Donbass dopo il referendum, la reazione della Russia sarà quella di distruggere tutte le centrali elettriche ucraine e di chiudere tutti i gasdotti che portano ancora il gas in Europa”. Lo ha annunciato il presentatore della TV russa, Andrey Norkin.

L’eufemismo di “guerra ibrida” non vale più, visto che l’offensiva USA/NATO si è sparsa per tutti i continenti e sono stati aperti più fronti, incluso nei Paesi alleati (vedi i ricatti della von der Leyen sulle elezioni in Italia, ma anche le minacce rivolte all’Ungheria di tagliarle i fondi).

L’ex capo dell’intelligence degli USA, David Sheed, ha detto alla rivista “Politics” che gli USA non abbandoneranno mai le loro intenzioni d’interferire all’interno della Russia per affossare la fiducia della gente nei confronti del governo di Mosca.

Questa tattica prevede: 1) convincere la gente russa che l’operazione militare in Ucraina ha trasformato la Russia in un paria internazionale; 2) incitare all’odio etnico le minoranze interne per convincerle che sono oppresse dallo Stato russo; 3) introdurre la tesi secondo cui la guerra in Ucraina non viene condotta dai russi ma dalle comunità delle regioni periferiche della Federazione.

Intanto le nazioni di Africa, Asia e America Latina si stanno schierando su due fronti, quello occidentale e quello russo/cinese.

“Un attacco alla Russia sarebbe un attacco all’Africa”, ha detto il figlio del presidente dell’Uganda, sottolineando che l’occidente continua a comportarsi in maniera neocolonialistica. Lo stesso ha fatto il premier del Mali che si è affrancato dalla dominazione francese e si è posizionato con Cina e Russia.

La Corea del Nord (come già Siria e Venezuela) ha riconosciuto le repubbliche del Donbass e ha inviato personale per la ricostruzione di Mariupol. L’Iran ha venduto alla Russia i suoi UAV, droni senza pilota, con un raggio di 2.500 Km e un micidiale carico esplosivo, suscitando le ire di Zelensky.

Sul fronte asiatico Pechino ha dichiarato che le relazioni con gli USA hanno raggiunto uno stato critico, soprattutto dopo le intenzioni di Washington di fornire un altro pacchetto di armamenti a Taiwan per oltre 1,1 miliardi di dollari.

Sul fronte dei Balcani la Serbia ha annunciato l’inizio di un reclutamento di volontari per aiutare le forze russe nel Donbass.

Gli USA invece vogliono intromettersi direttamente nel conflitto tra azeri e armeni.

 

Tutti la vogliono morta

 

Sembra che la Germania non si renda conto che è in atto una guerra contro di lei. Sembra soprattutto che non si renda conto che uno dei principali nemici è proprio Scholz, il suo cancelliere.

Ovviamente non è solo lui. Si pensi per es. al premier polacco, Jaroslaw Kaczynski, che ha improvvisamente chiesto circa 1,3 trilioni di dollari di risarcimenti per l’occupazione del suo Paese da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Una cosa già risolta negli anni successivi alla guerra, al punto che la Polonia ha persino ottenuto delle terre tedesche prebelliche.

Ma il vero problema per i tedeschi è che devono rinunciare ai due gasdotti del Nord Stream, costruiti proprio per renderla indipendente da quelli che attraversano la Polonia e l’Ucraina. Al più recente ci ha pensato lo stesso Scholz, che non l’ha mai aperto. Al più vecchio ci ha pensato la Siemens, che non ha riparato i compressori difettosi per non violare le sanzioni.

La Polonia aveva già bloccato il gasdotto Yamal, anch’esso diretto in Germania. L’Ucraina ha poi tagliato altri due gasdotti russi.

Ora poi che tre linee offshore del sistema di gasdotti Nord Stream sono state fatte saltare da qualche Paese occidentale in un solo giorno, la Germania è letteralmente in ginocchio. Incolpare la Russia di questa sua condizione è ridicolo: la Gazprom sarebbe ben contenta di venderle quanto più gas possibile. Biden, la von der Leyen, Scholz, i Verdi tedeschi, la Polonia, l’Ucraina, il Regno Unito la vogliono morta.

Quanto tempo potrà durare una situazione così assurda?

 

Cellulari a singhiozzo

 

I cellulari potrebbero essere oscurati quest’inverno in Europa se le interruzioni di corrente o il razionamento energetico mettessero fuori uso parti delle reti mobili in tutto il continente. Dipenderà da quanto sarà freddo l’inverno. Cioè ci dovremo affidare al caso!

Anche la Francia non potrà far nulla, poiché diverse centrali nucleari sono chiuse per manutenzione. Prevedono due ore al giorno, a rotazione tra le varie regioni, escludendo ospedali, polizia e governo, oltre naturalmente alle installazioni industriali chiave e militari.

L’Europa ha quasi mezzo milione di torri di telecomunicazioni e la maggior parte di esse dispone di batterie di riserva che durano circa 30 minuti per far funzionare le antenne mobili. Troppo poco. Abituati da decenni all’alimentazione ininterrotta, i Paesi europei non dispongono di generatori di backup per periodi più lunghi.

Ma lo sanno i governi che le interruzioni improvvise di corrente aumentano la probabilità che i componenti elettronici si guastino?

E poi quanti risarcimenti di danni verranno chiesti da parte degli utenti? Quante vertenze in tribunale per i contratti non rispettati?

 

Biglietto verde di rabbia

 

L’Egitto non solo consentirà scambi commerciali in rubli ma accetterà la valuta russa direttamente sul suo territorio. Il dollaro è morto. Il futuro è delle valute nazionali.

Verrebbe quasi voglia di ripristinare la lira e di uscire dalla UE, attualmente guidata da gente fuori di testa, come la von der Leyen (che si dispera per il suo pony ucciso da un lupo e se ne frega di tutti gli europei) e il catalano Borrell che, oltre a odiare a morte la Catalogna, si cruccia per l’esaurimento delle scorte di armi convenzionali date all’Ucraina e vorrebbe passare direttamente a quelle nucleari, perché sa bene che ci vorranno molti mesi per sostituire quelle convenzionali. Questo diplomatico guerrafondaio è diventato peggio del soldatino Stoltenberg.

 

[30] Un biolab pure a Sigonella

 

Gli USA intendono trasferire frettolosamente in Paesi dello spazio post-sovietico (in Asia Centrale, nonché in Stati dell’Europa Orientale come Bulgaria, Repubblica Ceca e Paesi Baltici) i programmi criminali di ricerca batteriologica a scopi militari in corso in una trentina di biolaboratori di massima sicurezza controllati in Ucraina dal Pentagono, Metabiota, Black & Veatch e dal Southern Research Institute. Hanno il terrore che la Russia possa squarciare il velo di segretezza che copre queste nuove armi batteriologiche.

Vari Paesi dell’Asia centrale confinano non solo con la Russia, ma anche con Cina e Iran, nemici di vecchia data degli USA. Alcuni di questi Paesi (Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan) hanno già una rappresentanza dei Centri statunitensi per il controllo delle malattie.

La cooperazione con gli Stati Uniti nella ricerca biologica è confermata anche in Armenia, e una ricerca su peste, colera, malaria, epatite, coronavirus ed encefalite viene intrapresa in Mongolia. Alcune di queste ricerche sono vietate negli Stati Uniti in quanto costituiscono un grave pericolo batteriologico.

Nei biolaboratori presenti in Ucraina si studiano colera, tularemia, peste, febbre Congo-Crimea, Hantavirus, malattie generalmente inesistenti nel Paese.

Un biolaboratorio è stato trasferito nel 2020 dal Cairo alla base aerea siciliana di Sigonella, geograficamente centrale per i tre comandi che supporta, U.S. Central Command, U.S. European Command e U.S. Africa Command. Ufficialmente i compiti sono sanitari, ma è solo una facciata di comodo.

La base militare è fuori dalla giurisdizione italiana, quindi gli americani fanno quello che vogliono. Nessuno, se non il governo, ha mai saputo niente.

Gli animali che si studiano sono soprattutto gli insetti, concepiti come vettori di agenti patogeni per un tipo di guerra batteriologica o entomologica.

Entomologi, microbiologi e medici di malattie infettive americani sono presenti in Italia, Egitto, Ghana e Gibuti: loro compito è quello di “migliorare la letalità delle nostre forze dispiegate in Europa, Africa e Medio Oriente”. Così ha detto il capo dell’operazione, il capitano Marshall Monteville, sostituito di recente dal capitano Virginia Blackman.

Fonte: t.me/breakingnewspost

 

USA ladri in Siria

 

Ancora oggi nel confine nord tra Siria e Iraq, dove la coalizione internazionale guidata dagli USA giustifica la sua presenza col pretesto di combattere l’ISIS, si ruba il petrolio alla Siria.

Di fatto l’esercito americano controlla il valico di Fishkhabour-Semalka, il valico illegale di Al-Waleed tra il Kurdistan iracheno e il territorio siriano occupato dagli Stati Uniti e il valico di Mahmoudiyah. Tutti questi valichi di frontiera sono diventati famosi per il contrabbando illecito di petrolio greggio siriano nel nord dell’Iraq, col coinvolgimento diretto delle forze militari statunitensi.

Esiste un controllo congiunto tra il Pentagono e il governo dei Peshmerga nel Kurdistan iracheno ed è impossibile che a Baghdad non sappiano nulla. D’altra parte i premier irakeni sono tutti fantocci in mano agli americani.

Decine di camion cisterna cariche di petrolio passano settimanalmente in convogli illegali che trasportano petrolio siriano di contrabbando in Iraq, accompagnati da aerei da guerra o elicotteri statunitensi.

I pastori della regione indicano che il petrolio siriano viene trasportato al sito militare di Harir a Erbil, capitale della regione del Kurdistan iracheno, a beneficio della compagnia petrolifera curda KAR Group, di proprietà dello sceicco Baz Karim Barzinji, vicino alla famiglia del capo del Partito democratico del Kurdistan, Massoud Barzani.

Barzani ha stretti rapporti col nuovo cosiddetto “Club dei Paesi Influenti” in Iraq, con riferimento agli Emirati Arabi Uniti e alla Turchia. Barzani mantiene anche una forte relazione con le forze democratiche siriane sostenute dagli Stati Uniti e guidate dai curdi in Siria.

Le frontiere sono il punto dolente della Siria. Quando infuriava la guerra, vi entrarono centinaia di migliaia di terroristi dalla Turchia, dal Libano, da Israele, dallo stesso Iraq e dalla Giordania. Ora, la fragilità di queste frontiere serve a saccheggiare le risorse del Paese.

In ogni caso i kurdi han scelto di stare dalla parte sbagliata.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

Bum Bum! Spariamole grosse

 

Lo spaccone Salvini ha detto: “La Germania annuncia un maxi intervento da 200 miliardi di euro per bloccare gli aumenti di luce e gas. Urge intervenire anche in Italia, altrimenti le nostre aziende non potranno più competere e lavorare.” Scoperta eccezionale del “Cazzaro verde”, come lo chiama Scanzi.

Considerando che la Germania ha il doppio del nostro PIL, come minimo ci vorrebbe uno scostamento di bilancio di 100 miliardi di euro. Una bazzecola.

Intanto però il governo sta preparando il quinto decreto per l’invio di nuove armi all’Ucraina. Ma i conti quelli della Lega li sanno fare? Almeno Draghi al liceo andava benissimo in matematica.

 

Onorificenza ucraina a Draghi

 

Zelensky conferirà a Draghi la 1° Classe dell’Ordine del Principe Jaroslav il Saggio. Draghi si è detto “orgoglioso e commosso” e “felice di riceverla a Kiev”.

Bisogna che però qualcuno gli dica che Jaroslav era un russo: fu sovrano della Rus’ di Kiev dal 1019 al 1054. Lo chiamavano “saggio” perché ebbe dei maestri bizantini e serbi di religione ortodossa. Tutte cose antitetiche al background culturale del nostro “vile affarista” (a detta di Cossiga), formatosi tra i gesuiti.

L’unica somiglianza con Jaroslav sta forse nel carattere autoritario. Infatti il sovrano, dopo un lungo periodo di tensioni con suo padre, portò avanti una guerra spietata e sanguinosa contro suo fratello Svjatopolk per il dominio sul territorio di Kiev.

Oggi Draghi mira più in alto, a far crollare Mosca.


Ottobre

 

 

 

[1] Un’ambiguità da chiarire

 

L’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite prevede, in maniera ambigua, che uno Stato abbia diritto all’autodifesa armata. Tale autodifesa può essere preventiva, individuale o collettiva, “qualora si verifichi un attacco armato contro un Paese membro delle Nazioni Unite”.

Dove sta l’ambiguità in questa formulazione? Nel fatto che tale diritto viene riconosciuto solo a uno Stato già membro dell’ONU. Cioè non viene concesso a una popolazione (presente in una parte di uno Stato) e neppure a Stati non facenti parti dell’ONU perché non riconosciuti ufficialmente.

L’inghippo sta proprio qui. Non avendo mai riconosciuto l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass, l’ONU ha sempre negato che avessero diritto a difendersi nella guerra civile condotta contro il governo di Kiev.

Una posizione assurda, poiché il diritto all’autodifesa andrebbe riconosciuto anche a delle popolazioni perseguitate che non si sono costituite come “Stato”.

Ora che quelle popolazioni han deciso, tramite referendum, di passare de jure e de facto sotto la sovranità della Federazione Russa, poniamoci questa domanda: l’ONU continuerà a sostenere la posizione assurda degli occidentali, che pur di non riconoscere nulla alla Russia, sono disposti a scatenare una guerra mondiale? Oppure l’ONU si deciderà ad accettare l’idea che i popoli sono più importanti degli Stati? I popoli che si ribellano non necessariamente vanno considerati dei “terroristi”, come invece ha sempre fatto il governo neonazista di Kiev nei confronti dei filorussi del Donbass.

Il diritto all’autodifesa è naturale, inalienabile e preesistente alla Carta delle Nazioni Unite.

 

Cosa vuol dire autodifendersi?

 

È noto che il diritto all’autodifesa (previsto dall’art. 51 della Carta dell’ONU) è la principale eccezione al divieto generale dell’uso della forza sancito dall’art. 2,4 della medesima Carta.

Ora perché nei confronti del Donbass l’occidente non ha mai previsto il diritto all’autodifesa? Semplicemente perché ha sempre negato che dal 2014 ad oggi sia stato oggetto di gravi persecuzioni da parte del governo di Kiev, o comunque ha sempre negato che tali persecuzioni fossero così gravi da legittimare l’aiuto militare esterno da parte della Russia, e soprattutto ha sempre rifiutato l’idea che l’autodifesa dei filorussi del Donbass dovesse contrapporsi all’integrità territoriale della nazione ucraina. Il governo di Kiev ha sempre rifiutato che quelle popolazioni potessero autoproclamarsi indipendenti in presenza di una sovranità politica di uno Stato nazionale, per cui le ha sempre classificate come “terroristiche”.

Tutti questi atteggiamenti sbagliati, tipici di un governo autoritario, nazionalista e guerrafondaio, sostenuto non solo dall’occidente collettivo ma anche da un organismo internazionale chiaramente di parte, ora vengono pagati in maniera salatissima, nel senso che Kiev ha perduto definitivamente sia le due repubbliche del Donbass (Lugansk e Donetsk), che nel corso dell’attuale guerra si sono parecchio estese geograficamente rispetto a com’erano prima, sia altre due regioni di filorussi (Kherson e Zaporizhzhya) che prima della guerra non si erano dichiarate repubbliche indipendenti.

Praticamente Putin ha detto d’essere disposto alle trattative lasciando a Kiev la gestione del porto di Odessa. È un’offerta molto generosa, perché anche in quella città i russi sono tantissimi, e la sua liberazione dai nazionalisti che la gestiscono avrebbe comportato l’unificazione del Donbass alla Transnistria, soddisfando la volontà degli abitanti di quest’ultima di unirsi, tramite referendum, alla Federazione Russa.

Il che non è detto che non avverrà, poiché ora qualunque attacco a questi nuovi 4 territori annessi alla Russia comporterà una risposta diversa da quelle operazioni militari iniziate a partire dal 24 febbraio. L’Ucraina, a fronte di una mobilitazione di riservisti russi che potrebbe arrivare anche a un milione di uomini, pronti a utilizzare armi convenzionali molto più potenti, rischia d’essere ridotta a uno Stato insignificante, se non addirittura a subire ulteriori smembramenti.

 

George Friedman senza peli sulla lingua

 

George Friedman, americano di origini ungheresi, fondatore del think-tank Stratfor, un’autorità in materia di intelligence tattica e strategica globale, ha detto in una conferenza stampa il 4 febbraio 2015:

- L’idea di una “esclusività europea” condurrà la UE a delle guerre. L’ha già fatto in Jugoslavia. Rischia di farlo anche in Ucraina. Gli USA non hanno relazioni con l’Europa, ma coi singoli Paesi che la compongono, perché la UE non esiste come soggetto politico unitario.

- L’estremismo islamico è un problema per gli USA ma non rappresenta una minaccia. La questione primaria per gli USA, per la quale facciamo delle guerre da un secolo (guerre mondiali I e II, guerra fredda), è la relazione fra Germania e Russia, perché uniti rappresentano la sola forza che potrebbe minacciarci.

- Gli USA controllano tutti gli oceani, di conseguenza possiamo invadere ogni Paese al mondo, mentre nessuno può invaderci. Mantenere il controllo del mare e dello spazio è la base del nostro potere. Il miglior modo per vincere una flotta nemica è impedire che venga costruita, come fecero i britannici con gli europei.

- Gli USA non possono intervenire direttamente in tutta l’Eurasia. Però possiamo sostenere i diversi poteri rivali, in modo che si combattano gli uni contro gli altri; poi, come ultima ratio, prenderemo misure di disorganizzazione. L’obiettivo non è vincere il nemico ma destabilizzarlo. Non c’interessa né instaurare una democrazia, né controllare direttamente i territori. Semmai ci basta piazzare dei premier a nostro favore.

- In Ucraina il generale Hodges, comandante dell’armata americana in Europa, ha detto che gli addestratori americani sarebbero entrati ufficialmente nel Paese. Ha dato delle medaglie ai combattenti ucraini (cosa riservata ai militari americani), per mostrare ch’era il suo esercito.

- Ci stiamo posizionando in tutti i Paesi dell’Est europeo, approfittando della loro russofobia. Ovviamente agiamo al di fuori del quadro NATO, perché qualcuno potrebbe opporsi, i Turchi per es.

- Per la Russia lo status dell’Ucraina è una fatto esistenziale: non possono lasciar perdere. La questione per i russi è sapere se riusciranno a mantenere una zona neutrale cuscinetto, o se l’occidente vi penetrerà così profondamente da ritrovarsi a 100 km da Stalingrado e a 500 km da Mosca. Per gli USA la questione è: dove si fermeranno i russi? Il nostro scopo è creare un cordone sanitario intorno alla Russia. La Russia lo sa. La domanda a cui non abbiamo risposta è: cosa farà la Germania, gigante economico, fragile a livello geopolitico? Per gli USA la paura fondamentale è che il capitale finanziario e la tecnologia tedeschi si saldino con le risorse naturali e la mano d’opera russe. È l’unica alleanza che fa paura agli USA, cerchiamo d’impedirla da un secolo.

Fonte: youtube.com/watch?v=QeLu_yyz3tc

 

[2] Non siamo poi così stupidi

 

Le opinioni pubbliche occidentali stanno inevitabilmente cominciando a collegare la recessione in arrivo col coinvolgimento deciso dai propri governi nella guerra russo-ucraina.

Inizialmente molti hanno accettato le sanzioni contando sul fatto che la Russia, giudicata debole economicamente (fatta salva l’indiscussa superiorità sul piano energetico), avrebbe iniziato a trattare la pace dopo pochi mesi. Cioè si è sperato che le truppe russe se ne andassero dal Donbass, accontentandosi della Crimea.

Ora però, nonostante i successi dell’esercito ucraino, il riconoscimento russo degli esiti referendari rende impossibile pensare che in una qualunque trattativa verranno messi in discussione i territori acquisiti militarmente.

Gli USA, la NATO, il governo neonazista di Kiev, ma anche molti Paesi europei e soprattutto i loro statisti e quei due soggetti altamente irresponsabili come la von der Leyen e Borrell escludono qualunque trattativa che non sia una resa incondizionata da parte di Mosca. Una cosa che per i russi non sta né in cielo né in terra.

A questo punto la parola e soprattutto l’azione spetta alle popolazioni europee. Qui non resta che scendere in piazza e chiedere che vengano urgentemente riprese delle trattative con Mosca. I governi che non ci stanno vanno tolti di mezzo.

 

Su cosa contiamo?

 

Su cosa contiamo in questa guerra Russia-NATO in Ucraina? Contiamo sul fatto che le sanzioni economiche e finanziarie dovranno prima o poi avere effetti micidiali, in quanto la struttura dell’economia russa dipende soprattutto dall’export energetico e prima di costruire tutte le infrastrutture per soddisfare le esigenze di Cina e India ci vorrà molto tempo.

La Russia non ha una diversificazione merceologica o una innovazione tecnologica ad uso civile paragonabile a quella occidentale o cinese. Il PIL nel 2021 è stato di 1.776 miliardi di dollari, ma quest’anno se arriva a 1.600 sarà molto.

È vero che i russi sono abituati alle ristrettezze e a non opporsi ai loro governi per motivi patriottici, ma l’area europea della Federazione potrebbe non sopportare una crescente inflazione, una diminuzione consistente della produttività e del benessere, un aumento della disoccupazione. E l’area asiatica potrebbe cominciare a opporsi al continuo invio di truppe in Ucraina per una guerra che non sente come propria e che vorrebbe concludere anche con mezzi molto pesanti, la cui efficacia fosse immediata.

Se il malcontento delle due aree geografiche si unisce, per Putin è finita.

Tuttavia la parte occidentale è quella che più somiglia a noi europei. Se loro, abituati a un benessere inferiore al nostro, cominciano a stufarsi delle ristrettezze, noi, coi nostri standard molto elevati e senza nutrire particolare fiducia verso i nostri Stati e governi, ci stuferemo prima o dopo di loro?

Che cos’è questa, una partita a poker, in cui il bluff gioca una parte rilevante, o una partita a scacchi, in cui l’intelligenza tattico-strategica è decisiva? Se la prima, vinceremo di sicuro.

 

L’oppofinzione della Meloni

 

Dal febbraio 2021 Giorgia Meloni è membro dell’Aspen Institute, potente think tank del Rockefeller Group. È una struttura di stretta osservanza NATO-americana. Il CEO è pure membro del World Economic Forum, che si riunisce a Davos. L’Aspen annovera tra i finanziatori anche Soros e Gates.

Nella sede nazionale il presidente è Giulio Tremonti. Tra i presidenti onorari troviamo Giuliano Amato, Giuseppe De Rita, Carlo Scognamiglio. Direttore responsabile della rivista “Aspenia” è Lucia Annunziata. Insomma il peggio sulla piazza occidentale.

La Meloni ha garantito la continuità del prossimo governo sulle tematiche essenziali: fedeltà all’atlantismo, allineamento alla UE e a tutti i suoi vincoli economici, pieno appoggio all’Ucraina e pertanto alle sanzioni alla Russia, ecc. Già si parla del suo partito come di una oppofinzione: opposizione all’apparenza e finzione nella sostanza. Un partito di governo nella UE deve non solo rinunciare a richiami espliciti al fascismo, ma anche a qualunque ipotesi sovranista. Cioè in sostanza deve diventare “democratico”, essere capace di fingere.

Riuscirà il suo governo a durare, ora che la UE sembra implodere sulla crisi energetica e sull’inflazione (senza dimenticare una possibile recrudescenza invernale della pandemia)? 5 anni no di sicuro, forse 5 mesi. A un certo punto si dovrà decidere se sparare su una folla inferocita o tornare a essere amici della Russia. Nel frattempo molte imprese ed esercenti avranno chiuso: nel migliore dei casi si saranno trasferiti in quei Paesi esteri non aderenti alle sanzioni antirusse.

Soluzioni come il price cap su gas e petrolio sarebbero efficaci se le imprese energetiche venissero nazionalizzate, ma nessun governo europeo lo farà mai. Al massimo i nostri Stati compartecipano agli utili, essendo comproprietari.

Insomma l’agenda Draghi, che la porti avanti il PD o il centrodestra, resta quella.

 

I burkinabé filorussi

 

In Burkina Faso il leader del colpo di stato del gennaio scorso, il colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, è fuggito e si trova in una base militare francese vicino alla capitale. I diplomatici francesi, al momento, negano.

La nuova giunta militare, dopo un nuovo golpe, ha affermato d’essere pronta a collaborare con la Russia sulla questione della lotta al terrorismo nel Paese.

Il Burkina Faso è un Paese noto per appartenere alla sfera d’influenza neocoloniale della Francia e ha voluto emanciparsi come il Mali. Gli abitanti sono scesi in strada avvolti da bandiere della Russia e hanno dato fuoco all’ambasciata francese, scandendo in coro “Vogliamo la Russia”.

Alcuni dati pregressi.

Come in Mali, Guinea e Sudan l’impotenza contro il terrorismo jihadista (dall’Isis nel Sahel a Boko Haram tra Nigeria e Niger) ha minato l’apparato statale del Burkina Faso, che pur vuole essere laico e multiconfessionale, come dimostra la lunga tradizione di convivenza pacifica tra le etnie e i gruppi religiosi presenti al suo interno.

Il presidente Roch Marc Christian Kaboré è stato vittima di un golpe militare orchestrato con l’aiuto dei mercenari dell’azienda militare privata russa Wagner. Sotto la custodia dei golpisti sono anche il presidente del parlamento e alcuni ministri. I golpisti hanno annunciato la sospensione della Costituzione, lo scioglimento del parlamento e del governo, la chiusura delle frontiere e il coprifuoco dalle 8 di sera alle 5 di mattina. Il movimento che ha preso il potere è guidato dal colonnello Paul Henri Sandaogo Damiba. Si prevede il ritorno alla vita civile con una transizione di ben cinque anni. Assurdo.

La società civile aveva riconquistato la democrazia nel 2014, dopo il lungo regno di Blaise Compaoré, un altro ex golpista, mandato su dai francesi nel 1987, dopo aver ucciso il suo predecessore (e amico personale) Thomas Sankara, considerato un rivoluzionario africano contro il colonialismo subìto dall’Africa.

Compaoré fuggì in Costa d’Avorio. I suoi successori non sono stati capaci di far nulla per i 2,2 milioni di persone (oltre il 10% del totale) bisognose di aiuti e i 500mila sfollati. Se ci si abitua troppo alla dittatura, poi quando viene la democrazia si è solo degli inetti.

 

[3] Hezbollah e i pugni sul tavolo

 

Scongiurata la guerra tra Israele e Libano per la questione energetica? Speriamo. Da tempo esistono negoziati per la delimitazione del confine marittimo e quindi per lo sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale tramite i campi di estrazione di Karish e Qana.

Fino ad oggi non si era venuti a capo di nulla. Infatti i negoziati erano stati affidati non a un organismo super partes ma a un mediatore americano, Amos Hochstein, che naturalmente faceva finta di venire incontro agli interessi del Movimento di resistenza sciita libanese Hezbollah e che in realtà voleva fare solo gli interessi dei sionisti.

Poiché Hezbollah era pronto non solo a distruggere la piattaforma di gas nel campo di Karish, ma anche a una guerra totale, Israele è stata costretta a scendere a un compromesso, almeno per adesso: il Libano sfrutterà il giacimento di Qana, mentre Israele quello di Karish.

Speriamo che i due giacimenti siano sufficienti per ottenere una relativa autonomia energetica. Dei due Paesi infatti ne ha soprattutto bisogno il Libano, che ha un sistema bancario al collasso e una svalutazione della moneta enorme. La crisi finanziaria iniziata nel 2020 ha portato il default sul debito estero. Tre libanesi su quattro vivono in povertà. Il PIL pro-capite si è dimezzato in un decennio: il reddito medio dei libanesi è tornato ai livelli degli anni ’90, quando il Paese era in macerie dopo 15 anni di guerra civile.

 

Una pandemia mentale

 

È impossibile che gli statisti europei non si rendano conto che è in atto una nuova guerra fredda tra USA e Russia, una guerra potenziale tra USA e Cina e una guerra non dichiarata tra USA e UE.

Queste son cose che si vedono a occhio nudo. In caso contrario dovremmo dire che l’Europa è governata da statisti assolutamente idioti, il che non può essere in maniera così generalizzata.

Se in questo momento li vediamo predisposti all’autodistruzione del benessere europeo è perché l’ideologia antirussa e la sudditanza servile nei confronti degli USA li rende ciechi. I nostri statisti si sono lasciati convincere di due cose rivelatesi inconsistenti: che, a fronte delle nostre mostruose sanzioni economiche e finanziarie, la Russia sarebbe crollata in pochi mesi, e che l’esercito russo fosse del tutto impreparato a sostenere una guerra di lunga durata in una Ucraina appoggiata finanziariamente e militarmente dall’occidente.

Queste due convinzioni farlocche ci hanno impedito d’essere pragmatici e di scendere a patti. Abbiamo preferito sostenere a spada tratta un governo filonazista o comunque vergognosamente nazionalista come quello di Kiev, promettendogli persino un ingresso privilegiato nella UE e una pronta ricostruzione del Paese semidistrutto.

Conseguenza imprevista in questo scontro a muso duro tra Occidente e Russia è che la stragrande maggioranza dell’umanità, quella residente nei continenti africano, asiatico e sudamericano, un tempo da noi colonizzata, si è messa dalla parte di Mosca. Anche nel Medio Oriente islamico sta avvenendo la stessa cosa.

L’Europa, così altamente capace di pragmatismo e di mediazione diplomatica, ora va a ruota all’atteggiamento da cowboy che hanno gli americani, capaci solo di pretendere duelli all’O.K. Corral.

Abbiamo persino accettato supinamente la distruzione fisica che gli USA han fatto dei due gasdotti del Nord Stream. Anzi abbiamo dato la colpa ai russi di questo sabotaggio, come prima li accusavano di bombardare la centrale nucleare di Zaporizhzhia sotto il loro controllo.

No, non è possibile che i nostri statisti siano idioti in senso assoluto. Anche perché dovremmo dire che lo sono anche tutti i politici e i giornalisti. Qui si sta diffondendo una nuova pandemia, il cui virus è esclusivamente mentale.

 

Non basta rifarsi alla Costituzione

 

Mi sono letto il Manifesto della Confederazione per la Liberazione Nazionale e l’ho condiviso in gran parte. È giusta la critica al neoliberismo, al globalismo, al primato tedesco nella UE, alle politiche di austerità, al pareggio di bilancio, al fiscal compact che hanno ridotto di molto il benessere degli italiani.

Devo dire però che essere contro l’Unione Europea in sé e per sé non ha senso. Fa solo il gioco degli americani, che preferiscono avere a che fare con singole nazioni rivali tra loro da colonizzare che non un intero continente.

Noi dobbiamo pretendere una UE diversa, non la sua dissoluzione. A meno che non decidiamo di aderire come nazione a un altro organismo internazionale, come p.es. i BRICS.

Già adesso la UE è un nano politico, benché molto forte economicamente, sulla scena internazionale. Che saremmo noi come singole nazioni di fronte a colossi come India, Cina, USA, Russia ...? Un microbo. Senza poi contare che liberarsi della NATO sarebbe impossibile. Il nazionalismo fa il gioco delle superpotenze. Non possiamo prendere la Brexit come un modello da imitare, poiché gli italiani non hanno nessun Commonwealth alle spalle, per quanto anche quello inglese si sia di molto ridimensionato. Quando non avevamo l’euro, dominava il dollaro nei nostri scambi commerciali mondiali. Se l’euro non fosse diventato più potente del dollaro, gli USA non avrebbero considerato la UE una rivale da sottomettere in tutto e per tutto in questa guerra per procura condotta in Ucraina contro la Russia.

Inoltre la difesa della Costituzione italiana, con o senza le varianti aggiunte o tolte dal 1948 ad oggi, non tiene conto di un suo limite fondamentale: quello è un testo frutto di molti compromessi tra idee capitaliste e socialiste. Non può essere preso come punto di riferimento teorico privilegiato, neppure nei suoi primi 12 art. considerati fondamentali. Per es. è un testo che non sa nulla di democrazia diretta, di proprietà sociale dei principali mezzi produttivi, di Stato davvero laico e aconfessionale, che preveda il superamento del Concordato e la libertà di non credere in alcuna religione... Non prevede neppure che il lavoro non sia solo un diritto che il cittadino può rivendicare ma anche un dovere che le istituzioni devono garantire. E che nessun tipo di lavoro può essere incompatibile con le esigenze riproduttive della natura. Assurdo inoltre accettare l’idea che all’interno di una nazione esistano territori che fruiscono della extraterritorialità, come p.es. il Vaticano, San Marino e le basi NATO (queste ultime poi vanificano qualunque concetto di sovranità nazionale, in maniera assai più grave di quanto faccia la UE). Inoltre prevede che lo Stato sia centralizzato e non federato: da noi il decentramento regionale non ha nessun valore politico.

Vedere poi nel PD il principale nemico da abbattere è semplicemente ridicolo. Proprio in occasione dell’attuale guerra russo-ucraina si è potuto constatare che tutti i partiti presenti in parlamento sono atlantisti ed europeisti, anche a costo di voler autodistruggere la stessa UE. Nessun partito antisistema è riuscito a superare la soglia del 3% alle ultime elezioni.

Insomma la Costituzione è un testo da riscrivere in parecchie sue parti, al punto che faremmo prima a darci come UE una Costituzione democratica e pluralista.

Fonte: confederazioneliberazionenazionale.blogspot.com/2017/

 

Ipotesi suggestive

 

Papa Bergoglio avrebbe ricevuto in udienza privata in Vaticano una delegazione di alti funzionari ucraini. Tra di essi vi era pure Alyona Verbitskaya, consigliere di Zelensky, legata al controspionaggio che tesse le fila tra Ucraina, Israele e Vaticano.

Zelensky pare insista per una visita di Bergoglio a Kiev, ma i servizi segreti vaticani lo sconsigliano, anche in virtù della brutta esperienza vissuta dal cardinale Konrad Krajewski, in visita in Ucraina a metà settembre, scampato per un pelo a un bombardamento.

Il cardinale Krajewski, uomo di fiducia di Bergoglio, cosa ci faceva in Ucraina a settembre? E come mai i bombardamenti l’hanno coinvolto da “molto vicino”? Forse i russi, informati della visita, gli hanno lanciato un avvertimento? Oppure gli ucraini han cercato di eliminarlo facendo cadere la responsabilità sui russi? E ora vorrebbero ripetere l’esperimento col papa? Sarebbe uno scandalo mondiale se il papa venisse ucciso a Kiev.

Ma c’è chi pensa che Zelensky stia chiedendo a Bergoglio di trovargli una via di fuga e di mediare presso quei vertici dell’anglosionismo che invece pare vogliano sacrificarlo. Ancora però non si sa se vogliono sacrificarlo per scatenare una guerra mondiale vera e propria, poiché di questa eliminazione incolperebbero inevitabilmente i russi. Oppure se il sacrificio servirebbe per intavolare delle trattative di pace e scongiurare il crollo catastrofico sul piano economico della UE.

 

Da che pulpito!

 

La Casa Bianca ha definito la morte di Amini in Iran come una “flagrante e chiara violazione dei diritti umani”, nonostante le prove video mostrino la ragazza collassare da sola all’interno della stazione di polizia, senza nessuna violenza. Il che non vuol dire che il regime teocratico iraniano non vada democraticamente superato.

Ancora una volta vediamo la Casa Bianca giocare la “carta dei diritti umani”, ponendosi su un piano morale superiore, quando il governo statunitense spende più di 1,5 miliardi di dollari all’anno per risarcire i parenti delle persone assassinate dalla polizia.

Fino all’8 settembre 2022 sono stati uccisi negli USA dalla polizia 730 civili, di cui 71 neri, mentre nel 2021 ci furono 1.055 uccisioni da parte della polizia e nel 2020 circa 1.020.

Non solo ma, secondo l’OSCE, “il tasso di morti con armi da fuoco negli USA è 10 volte superiore alla media degli altri Paesi e non perché i crimini siano di per sé più violenti, ma perché più letali”. D’altra parte su quasi 14.000 vittime di omicidio, oltre 10.000 sono state provocate da armi da fuoco (comprare un AK471 costa solo 75$ e una pistola automatica 25$).

 

[4] Che cos’è la ex-Italia?

 

La ex-Italia è un Paese a sovranità limitata per tutta una serie di ragioni, tra cui le principali sono le seguenti:

1) è occupata da 164 basi NATO / NSA (National Security Agency) / CIA (Central Intelligence Agency) / Pentagono;

2) è dilaniata da 8 mafie il cui compito principale è il riciclaggio di decine di miliardi di euro ogni giorno con cui si finanziano anche conflitti regionali fra gli oltre 500 in corso nel mondo. Questo titanico riciclaggio di denaro sporco, proveniente da tutte attività illegali, è notevolmente superiore alla diffusione delle criptovalute, ma inferiore alla massa di derivati in circolazione (prossima bomba ad orologeria);

3) è controllata e condizionata da strutture spionistiche inglesi, americane, germaniche che la espongono a una serie di attentati, se non obbedisce agli ordini degli intoccabili pretoriani di Bruxelles, della NATO, del BND (Bundesnachrichtendienst, Servizio Informazioni Federale della Germania), del B’nai B’rith (la maggiore organizzazione mondiale che sostiene gli Ebrei. Draghi ha ricevuto un premio dalla Appeal of Conscience Foundation, organizzazione ebraica affine alla B’nai B’rith), del Vaticano, del SIS (Secret Intelligence Service, l’intelligence spionistica per l’estero del Regno Unito), più comunemente nota col nome di MI6 (Military Intelligence, Sezione 6). Non va dimenticato che Roma è l’unica capitale del pianeta che ospita due ambasciate di moltissimi Paesi del mondo (una presso l’Italia e una presso il Vaticano), con le conseguenze che si possono immaginare;

4) è spietatamente condizionata dalle clausole capestro del Trattato di pace siglato a Parigi nel 1947, che decise l’assenza di sovranità militare e politica italiana nel dopoguerra;

5) sta subendo danni enormi col suo coinvolgimento nel conflitto russo-ucraino, grazie alla ricattabilità, diretta o indiretta, dei suoi principali parlamentari. Come se la UE dovesse subire un lento processo di demolizione controllata da USA e NATO...

 

Il caso Caroline

 

Nel 1837-38 gli abitanti del Basso Canada (odierno Québec) e dell’Alto Canada (odierno Ontario), al tempo sudditi britannici, insorsero per avere più rappresentanza politica. Immagina che somiglino ai filorussi delle due repubbliche dell’attuale Donbass e che gli inglesi siano i neonazisti del governo di Kiev.

Un gruppo di cittadini statunitensi aiutò i ribelli canadesi, occupando con loro un’isola disabitata nel fiume Niagara, in territorio canadese, e utilizzando una nave statunitense, denominata Caroline, per trasportare viveri e armi dalla riva statunitense del fiume all’isola. Immagina che gli statunitensi siano i russi di oggi che aiutano le due repubbliche del Donbass.

Nella notte del 29 dicembre 1837 un gruppo di soldati britannici penetrò in territorio statunitense e distrusse la nave Caroline, uccidendo due cittadini statunitensi che vi si trovavano a bordo. Alle rimostranze del governo degli USA l’ambasciatore britannico addusse come giustificazione principale dell’attacco la “necessità di autodifesa e di autoconservazione”. Cioè in pratica si avvalse del principio della sovranità dello Stato inglese e dell’integrità territoriale della sua colonia canadese.

Gli USA non accettarono questa giustificazione, al punto che buona parte dell’opinione pubblica era favorevole a una dichiarazione di guerra contro gli inglesi.

Il presidente americano, Van Buren, era però un moderato (come Putin) e non aveva nessuna intenzione di far scoppiare una guerra, anzi, proclamò ufficialmente la neutralità degli USA sulla questione dell’indipendenza del Canada e scoraggiava la partecipazione di cittadini statunitensi nei conflitti esteri.

Senonché il 12 novembre 1840 venne arrestato a New York un cittadino britannico, Alexander McLeod, con l’imputazione di omicidio e incendio, in relazione alla distruzione della Caroline.

Il governo britannico chiese l’immediato rilascio di McLeod, adducendo come motivazione che la distruzione della Caroline costituiva “un atto pubblico di persone al servizio di Sua Maestà, che eseguivano ordini dei loro superiori”.

Per tutta risposta il segretario di Stato americano, Daniel Webster, precisò i limiti in cui era giustificato l’uso della forza come legittima difesa. Secondo lui il governo britannico avrebbe dovuto dimostrare “una necessità di autodifesa immediata, imponente e che non lasciava scelta di mezzi e tempo per esaminare altre soluzioni”.

Che senso avevano queste parole, rimaste famose nel diritto internazionale? Che l’autodifesa ha senso se è “immediata”, altrimenti è solo un pretesto per affermare un atto d’imperio, ovvero la propria egemonia.

Oggi, mutatis mutandis, avremmo detto: quando una popolazione rivendica la propria autonomia, il governo che la opprime non può parlare di “autodifesa”. Semmai sono gli insorti ad avere questo diritto, soprattutto quando non si trovano soluzioni sul piano diplomatico.

Non solo, ma i filorussi dell’Ucraina sud-orientale reagirono subito al golpe neonazista del 2014: lo dimostra l’orrenda strage di Odessa.

 

[5] Il diritto all’autodifesa oggi

 

Nella Carta dell’ONU l’autodifesa è concessa solo a uno Stato che si veda ingiustamente attaccato da un altro Stato. Pertanto restano escluse le cosiddette operazioni militari che uno Stato esplica all’interno del proprio territorio contro una parte della propria popolazione, giudicata terroristica. La faccenda andrebbe risolta coinvolgendo l’ONU. Una cosa infatti è usare la polizia, un’altra è usare l’esercito.

Tuttavia molti Stati, tra cui USA, Regno Unito, Israele, sono del parere che il diritto all’autodifesa militare nel diritto internazionale vada considerato come una risposta legittima di uno Stato sovrano nei confronti di un’entità non statale che all’interno del territorio nazionale ha compiuto un attacco armato effettivo. Questo implicherebbe la non necessità di risolvere il problema usando lo strumento dell’ONU.

Dunque aveva ragione Kiev, ai tempi di Poroshenko, a scatenare la guerra civile contro il Donbass? No, perché il diritto a rivendicare una particolare autonomia amministrativa, da parte dei filorussi del Donbass, non si era espresso in forma militarizzata ma solo in chiave politica. Infatti per poter giustificare l’intervento armato il governo neonazista di Kiev dovette qualificare i filorussi come “terroristi”.

Certo, quando non si vuol concedere nessuna autonomia, è facile che le azioni di resistenza dei separatisti o secessionisti si configurino come terroristiche. Ma chi è maggiormente responsabile di questa interpretazione distorta? Chi è che li induce ad armarsi? Kiev o Donetsk e Luhansk? Londra o Belfast? Madrid o l’ETA del Paese Basco? Roma o il Sudtirolo? E si potrebbe continuare per un bel po’. Quando un governo centrale non riconosce a una certa parte della propria popolazione il diritto ad autodeterminarsi, è molto facile che lo stesso governo parli di terroristi da cui deve difendersi.

Immaginiamo se al tempo di Bossi la Lega avesse costituito una mega regione autonoma chiamata Padania e l’avesse considerata secessionista rispetto al governo centrale di “Roma ladrona”. Difficile pensare che da Roma non gli avrebbero mandato i carri armati. Per fortuna che la Lega poté andare al governo ai tempi di Berlusconi (rubando, peraltro, come tutti gli altri partiti). La rivendicazione finì lì e oggi non ne parla più nessuno, anche se ci si era andati vicini.

Ebbene in quel caso cosa sarebbe stato più giusto fare? Chiedere l’intervento dell’ONU o agire d’imperio, smantellando le sedi della Lega e occupando militarmente le principali città del nord Italia?

Ebbene, nei confronti del Donbass Kiev scelse la seconda strada. L’intervento dell’ONU fu preteso dalla Russia, non dai Paesi occidentali. E il governo golpista del 2014 poté snobbare tranquillamente gli accordi di Minsk proprio perché si sentiva spalleggiato da Stati Uniti e Unione Europea.

 

Le questioni giuridiche sono sostanziali

 

Già si è detto che una delle caratteristiche necessarie per un’azione autodifensiva è la proporzionalità. Infatti qualsiasi uso della forza per autodifesa ai sensi dell’art. 51 della Carta dell’ONU dev’essere, oltre che necessario, anche proporzionato alla minaccia affrontata e limitato a quanto necessario per sconfiggerla. Inoltre l’azione armata per legittima difesa dovrebbe essere utilizzata solo come ultima risorsa in circostanze in cui non sono ragionevolmente disponibili altri mezzi efficaci per affrontare un imminente attacco armato.

È difficile credere che Putin non abbia usato il criterio della proporzionalità in questa guerra. Anche perché se non l’avesse fatto, l’avrebbe vinta subito. Sarebbe stato sufficiente bombardare a tappeto non solo le basi militari ma anche le grandi città, cioè non fare differenza tra gli obiettivi da colpire.

Se le bombe dei russi han colpito i civili, è stato perché le truppe ucraine li han sempre utilizzati come scudi umani. Quanto alle altre efferatezze (come p.es. Bucha), si tratta di mera propaganda occidentale, ben esperta di azioni immorali e di guerra psicologica.

Sin dall’inizio del conflitto Putin ci ha tenuto a precisare che il ricorso all’assistenza militare nei confronti della legittima difesa dei filorussi del Donbass era l’ultima soluzione rimasta dopo 8 anni di inutili trattative sugli accordi di Minsk, di cui peraltro si erano fatti garanti l’OSCE, la Francia e la Germania.

Anche quando ha parlato di referendum (Crimea e le altre 4 regioni del Donbass), Putin ha sempre fatto riferimento a situazioni pregresse che l’occidente ha appoggiato o considerato legittime. Solo una persona in malafede può negare che Putin consideri il diritto internazionale una mera espressione verbale.

Questo dovrebbe rassicurarci. Qualunque uso del nucleare da parte dei russi sarebbe sproporzionato in questo momento, e contrario a qualunque documento giuridico. La Russia non userà mai l’atomica come arma preventiva. Semplicemente perché sarebbe un’azione vergognosa. Sono invece gli ucraini che si sentono traditi dai russi per aver dovuto smantellare il proprio arsenale nucleare secondo il Memorandum di Budapest del 1994. Infatti se il governo di Kiev disponesse dell’atomica, l’avrebbe già usata. Ricordiamo tutti quando la Timoshenko assicurava nel 2014 che se fosse dipeso da lei avrebbe lanciato l’atomica sugli 8 milioni di russi in Ucraina. “Di questa Russia non deve restare neppure un campo bruciato”, diceva.

Tuttavia gli accordi di Budapest nacquero perché furono gli occidentali a chiedere espressamente ai russi di eliminare tutte le armi nucleari dell’Ucraina. Si fecero garanti USA e Regno Unito.

È vero, per accettare lo smantellamento totale dell’arsenale e la non proliferazione nucleare, il governo ucraino pretese dai russi il rispetto dell’indipendenza e dell’integrità territoriale del proprio Paese. E in effetti dal 1994 al 2014 (anno del golpe neonazista) i russi han sempre rispettato quel trattato. Zelensky dovrebbe ricordare che né gli USA né il Regno Unito ritennero che vi fossero gli estremi giuridici per un intervento militare diretto dopo che la Crimea accettò di passare sotto la Federazione Russa. La guerra civile contro il Donbass l’ha fatta scoppiare il governo di Kiev, che non poteva certo far leva sul diritto all’autodifesa. I russi ci han messo 8 anni prima d’intervenire militarmente.

Nelle relazioni internazionali il diritto ha la sua importanza. Peccato che non si trovi una soluzione al conflitto solo perché lo staff di Zelensky si è lasciato convincere dall’occidente a usare unicamente la forza.

 

Le proposte di pace di Elon Musk

 

Elon Musk, uno degli uomini più influenti al mondo, ha proposto un piano di pace in 4 punti che ha fatto infuriare Zelensky.

- Rifare i referendum con supervisione ONU. La Russia se ne va se li perde. Ma Zelensky sa bene che non li perderà.

- Crimea è Russia. Ma Zelensky l’ha sempre negato perché è convinto che con l’appoggio della NATO la riprenderà.

- Fornitura dell’acqua alla Crimea assicurata. Ma Zelensky è intenzionato a toglierla, come il governo di Kiev aveva fatto subito dopo il referendum in Crimea a favore della Russia (2014).

- Ucraina neutrale. Ma Zelensky vuole assolutamente entrare nella NATO allargando il conflitto il più possibile, tant’è che ha firmato un decreto che vieta di negoziare con Putin.

Musk ha fornito il satellite Starlink all’Ucraina, con cui individuare le truppe russe. È molto più efficiente di quello russo.

Chissà, forse anche Musk ha capito che Zelensky è un megalomane privo di senso della realtà.

Intanto ha risposto per le rime al grande scacchista russo, Garry Kasparov, che lo ha accusato di “idiozia morale” e di “ripetizione della propaganda del Cremlino”. Gli ha detto: “abbiamo dato all’Ucraina Starlink, speso oltre 80 milioni di dollari per questo, messo SpaceX e personalmente a serio rischio di attacchi informatici da parte della Russia. E cosa hai fatto tu oltre a questo tweet?”.

Sicuramente Musk si ritroverà sulle liste del Myrotvorets, accusato d’essere un nemico dell’Ucraina per aver osato mettere in discussione l’integrità territoriale.

 

La richiesta di Zelensky approvata da 1/3

 

La richiesta di Zelensky di entrare nella NATO è stata accettata da 11 Paesi: Canada, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord.

Ne rimangono 19. Mi meravigliano la Cekia (con tutte le imponenti manifestazioni di protesta antigovernativa che ha già avuto), il Canada (lo facevo più pacifista e più estraneo ai problemi della UE), la Romania (liberata dal nazifascismo dai russi e senza contenziosi aperti né con l’URSS né con la Russia, e con la medesima religione) e la Macedonia del Nord (che interessi ha a esprimersi così in fretta per una soluzione così grave?).

Il paradosso è che, in questo momento, gli USA fanno parte del blocco dei Paesi “più cauti” verso tale richiesta.

Intanto il presidente bulgaro Radev ha detto che l’Ucraina potrà entrare nella NATO solo dopo che avrà fatto la pace con la Russia.

 

Lituania e Russia ai ferri corti

 

I rapporti tra Lituania e Russia sono a un punto di rottura. Per due motivi: il governo lituano ha espulso l’incaricato d’affari russo ad interim, Sergey Ryabokon, chiamato così dopo che la Lituania ha declassato le sue relazioni diplomatiche con la Russia espellendo l’ambasciatore russo Alexei Isakov. Poi perché il parlamento ha vietato l’uso della lingua russa a tutti i livelli.

Su questo secondo aspetto aveva già detto Sergey Lavrov: “Immaginate per un momento se l’Irlanda avesse vietato l’inglese nelle scuole, nei cinema e nelle comunicazioni. O se il Belgio avesse fatto lo stesso coi francesi e la Finlandia con gli svedesi. Sarebbe stato un oltraggio, uno scandalo. Ma nel caso dell’Ucraina, la politica di eliminazione di tutto ciò che è russo non ha attirato l’attenzione dei media occidentali”. Ora ci si è messa anche la Lituania, dove i russi sono il 6% della popolazione, la terza minoranza nazionale.

Intanto 11 Paesi, tra cui Russia, Bielorussia e Cina, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta alla 51a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, a Ginevra, in cui condannano la discriminazione nei confronti di russi e residenti di lingua russa scatenata dalle autorità di diversi Stati negli ultimi mesi e hanno chiesto “l’immediata fine delle persecuzioni russofobe”.

 

*

 

Da notare che la Lituania nel febbraio di quest’anno ha messo in vendita un grosso casale, vicino a una foresta a nord-est di Vilnius, usato dalla CIA tra il 2005 e il 2006 per imprigionare e torturare sospetti terroristi catturati durante le guerre che gli Stati Uniti stavano combattendo in Iraq e in Afghanistan.

Le torture rimasero segrete per diversi anni (anche perché l’edificio aveva molte stanze insonorizzate ed era senza finestre), e solo nel 2014 il Senato americano diffuse il rapporto sulle prigioni segrete della CIA. Nel 2018 ciò costò alla Lituania una condanna da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo.

In particolare si sa cosa successe a Abu Zubaydah, un palestinese nato in Arabia Saudita, arrestato in Pakistan sei mesi dopo gli attentati alle Torri Gemelle con l’accusa di essere uno dei membri più importanti di al Qaida. Fu spostato nelle prigioni di vari paesi: in Thailandia, in Afghanistan, in Lituania e poi a Guantanamo, dove ancora si trova.

Nel casale lituano rimase dal febbraio 2005 al marzo 2006. Al suo arrivo fu rasato a zero, bendato, incappucciato e ammanettato. La CIA gli riservò per 83 volte il “waterboarding” (annegamento simulato), poi la privazione del sonno e del cibo solido, l’isolamento e le sedute continuative di rumore assordante e luce accecante, la nudità forzata e le aggressioni fisiche.

La suddetta Corte europea ha ordinato al governo lituano di pagargli 100mila euro di risarcimento.

Fonte: Ilpost.it

 

[6] Ci vuole più buon senso

 

Minacce attuali, come la proliferazione di armi di distruzione di massa e il terrorismo di matrice non statale, sfidano il tradizionale regime di legittima difesa, previsto nell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. La legittima difesa si configura, infatti, come un’eccezione al divieto dell’uso della forza previsto nell’art. 2, par. 4, della medesima Carta.

Che significa questo ora che i confini della Russia si sono allargati fino a includere il Donbass ucraino? Semplicemente che quando si ha a che fare con una potenza nucleare, piccola o grande che sia, bisognerebbe essere più predisposti a una trattativa che non a una guerra a oltranza. Una cosa infatti sono le sanzioni, un’altra il sostegno militare all’Ucraina espresso in varie forme e modi.

Infatti non ci sono le condizioni per definire la Russia uno Stato terroristico. È intervenuta per impedire un genocidio della popolazione russofona o filorussa di 8 milioni di abitanti, situata in una specifica area di una nazione confinante. L’ha fatto dopo che per 8 anni i due accordi di Minsk non sono stati rispettati dal governo golpista di Kiev, né garantiti dall’ONU e dalle due potenze europee firmatarie, Francia e Germania. Non si è comportata nell’operazione bellica con l’intenzione di bombardare in maniera indiscriminata le città dell’Ucraina, anzi ha cercato il più possibile di tutelare i civili. Prima di scatenare il conflitto ha posto delle condizioni sul piano diplomatico, relative alla sicurezza degli abitanti del Donbass e della stessa Federazione russa, che l’occidente non ha voluto prendere in considerazione. A partire dal momento in cui è iniziato il conflitto si sono intavolate delle trattative tra le delegazioni di Mosca e Kiev che l’occidente ha pervicacemente sabotato. Ha sopportato azioni cleptocratiche di tipo economico-finanziario da parte dell’occidente, che praticamente sono senza precedenti storici ed estranee a qualunque legislazione internazionale. Ha subìto un attacco proditorio di tipo militare alle proprie infrastrutture metanifere, la cui realizzazione era stata possibile con la partecipazione della Germania. Infine l’intero occidente, attraverso i 30 Paesi della NATO, sta conducendo una guerra per procura sul suolo ucraino contro le forze armate della Federazione Russa (una guerra che ha colpito coi missili la penisola della Crimea, diventata russa dal 2014, e alcune navi russe nei mari d’Azov e Nero).

Un qualunque Paese occidentale, se avesse dovuto subire i medesimi soprusi, avrebbe reagito molto diversamente.

Ora che col riconoscimento delle 4 regioni del Donbass sono mutati i confini della Federazione, è evidente che non si può più parlare di “operazione speciale militare”. Se questi confini vengono superati, si entrerà per forza in una nuova fase, molto più conflittuale della precedente: una fase in cui l’Ucraina rischia di scomparire dalle carte geografiche e in cui qualunque Paese NATO cobelligerante (soprattutto se dispone di armi atomiche pronte all’uso) può diventare per i russi un legittimo bersaglio.

La domanda che a questo punto è lecito porsi è: se gli statisti occidentali continuano a rifiutare qualunque trattativa su basi realistiche, al punto da mettere in forse la sicurezza o anche solo il benessere dei propri Paesi, i popoli di questi Paesi hanno il diritto o no a ribellarsi ai loro statisti? Oppure dobbiamo considerare necessaria una nuova guerra mondiale, che inevitabilmente sarà nucleare?

 

Due pesi due misure

 

Il Kosovo, autoproclamatosi indipendente nel 2008, non con un referendum, ma col voto di un parlamento, peraltro provvisorio, scatenò le ire di Belgrado. Investita della questione, la Corte Internazionale di Giustizia concluse che nel diritto internazionale “non esiste una norma che vieti a un popolo di proclamare l’indipendenza”. E così l’indipendenza del Kosovo è stata riconosciuta da 111 Stati membri dell’ONU.

Ma allora perché quello nel Donbass viene definito “referendum farsa”? Il motivo è molto semplice: perché con esso i confini territoriali della Russia si sono allargati di altri 108.844 kmq (più dell’intera Islanda), inglobando circa 8 milioni di cittadini, in un’area molto ricca di risorse minerarie e di terre coltivabili. Un danno colossale non solo per il governo di Kiev ma anche per tutte le multinazionali occidentali.

Si noti che nel 1995 la regione francofona del Quebec perse per un pugno di voti il secondo referendum per la secessione dal Canada. Ottawa, per scongiurare repliche, si appellò alla suddetta Corte, che bocciò il referendum, ma scrisse una regola fondamentale. Il principio di autodeterminazione può essere invocato non soltanto dai popoli soggetti a dominio coloniale, ma anche da quelli che “all’interno di uno Stato sovrano si vedono rifiutare un accesso effettivo all’esercizio del potere di governo”. Cosa che non era certo il caso del Quebec in Canada. Ma che invece è sempre stata vera per il Donbass a partire dal golpe neonazista di Kiev nel 2014.

Da notare anche che il governo canadese, pur avendo avuto l’esito del referendum a suo favore, si preoccupò subito di riconoscere unilateralmente il Québec come una società distinta ed eterogenea rispetto al Canada. E nel 2000 emanò la cosiddetta “legge sulla chiarezza”, che stabilisce le condizioni attraverso le quali il governo del Canada può avviare i negoziati che permettono la secessione di una delle sue province o territori.

Insomma oggi ci si può appellare al principio di autodeterminazione anche quando esistono minoranze etniche, linguistiche e religiose, sparse per il globo, che non trovano spazio nella vita pubblica di uno Stato sovrano.

 

[7] L’ottavo comandamento della NATO

 

L’ottavo Concetto Strategico (CS) della NATO, approvato a Madrid nel giugno 2022, sostituisce il settimo (Lisbona 2010). Guiderà la politica militare dell’Alleanza nel prossimo decennio. Il documento che precisa gran parte dei dettagli impliciti nel CS è invece mantenuto segreto.

In quello reso pubblico non si esclude la possibilità che la Russia, definita come principale Paese aggressore, voglia minare la sovranità politica e l’integrità territoriale degli alleati europei.

Tuttavia dal 1991 ad oggi la NATO aveva sempre sostenuto il contrario, proprio perché aveva apprezzato positivamente la fine del socialismo reale e quindi la possibilità di espandersi in molti Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Attualmente è previsto un ulteriore allargamento verso Ucraina, Georgia e Moldavia.

Il CS 2022 è anche il primo documento della NATO a considerare la Cina un nemico da tenere sotto controllo, poiché agisce su scala planetaria, soprattutto a livello economico. Taiwan naturalmente rappresenta il pretesto migliore per far scoppiare la prossima Pearl Harbor.

La NATO si preoccupa della Cina perché non si configura più come mera Alleanza atlantica ma come organismo di difesa degli interessi occidentali in generale. Tant’è che ai suoi summit partecipano come osservatori i capi di stato o di governo di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Sud Corea. In tal senso non viene fatta nessuna differenza tra Cina, Russia, Iran, Siria e NordCorea: son tutti Paesi da neutralizzare o quanto meno da monitorare.

In particolare la NATO mette sullo stesso piano strategico la sicurezza della UE e dell’Indo-pacifico. Anzi ritiene impossibile collaborare con Cina e Russia per combattere il terrorismo internazionale, le tensioni militari in Africa o in Medio Oriente, gli attacchi nel cyber-spazio e persino il degrado del cambiamento climatico, quando questo minaccia la sicurezza dei Paesi in generale.

La NATO si sente autorizzata a intervenire, direttamente o indirettamente, in tutte le questioni globali di grande importanza economica, tecnologica, commerciale e scientifica. Questo perché tutto il mondo è considerato un potenziale o effettivo nemico dell’occidente. Parole come controllo degli armamenti, disarmo, non proliferazione nucleare e sicurezza comune o reciproca vengono considerate obsolete, a meno che non servano a ridurre la capacità bellica dei propri nemici.

Tutti i vari documenti precedenti sulla sicurezza europea, redatti insieme all’URSS e alla Russia, dall’Atto finale di Helsinki (1975) al più recente Documento di Vienna (2011), non vengono neppure citati. Persino l’ONU è considerata irrilevante. La pace è garantita solo dalla subordinazione, anche perché la NATO vuole salvaguardare e anzi potenziare una superiorità tecnologica in tutti i campi.

Si può con sicurezza sostenere che la NATO è diventata una potenza sovranazionale che tende a definire la politica estera di difesa di tutti i Paesi membri e di tutte le possibili alleanze internazionali secondo i criteri esclusivi e gli interessi prioritari degli Stati Uniti. Sotto questo aspetto bisogna ammettere che le stesse sanzioni economico-finanziarie non sono solo interventi coercitivi contro i Paesi nemici, ma promuovono determinate politiche economiche che avvantaggiano palesemente gli USA e rendono tutti gli alleati più sottomessi. Prepariamoci quindi a destinare al riarmo ben più del 2% del PIL e togliamoci dalla testa di poter creare una difesa europea alternativa alla NATO.

Tutto ciò si deduce abbastanza facilmente dal suddetto documento pubblico. Bastava la premessa per capirlo: “il nostro mondo è conflittuale e imprevedibile”. Ci si chiede cosa in aggiunta sia stato scritto in quello segreto. Forse il momento esatto in cui tenersi pronti all’Apocalisse? Di sicuro la seconda Belle Époque in Europa è finita.

 

Un finto socialista

 

Il premier spagnolo Pedro Sánchez, nel suo desiderio di allinearsi saldamente con gli Stati Uniti, ha fatto un passo avanti verso il Marocco. In cambio del controllo dei flussi migratori e in cambio dell’integrità territoriale della enclave di Ceuta e Melilla (che la Spagna domina da mezzo millennio e che l’ONU non considera come territori occupati), il premier ha assicurato al monarca marocchino Mohamed VI l’inaspettata decisione di appoggiare le aspirazioni del Marocco sull’ex colonia spagnola del Sahara occidentale (un vasto territorio ricco di fosfati e con un mare tra i più pescosi del mondo).

In questa maniera Sánchez ha tradito la soluzione referendaria auspicata dalle Nazioni Unite. Ha tradito anche il Fronte Polisario, il movimento indipendentista saharawi che nel Sahara occidentale conduce dal 1975 una guerra d’indipendenza contro il Marocco, dopo essersi liberato del colonialismo spagnolo. E ha fortemente indispettito il principale sostenitore del Fronte Polisario, l’Algeria, che peraltro è sempre più filorussa.

Il Marocco sta diventando (grazie agli Stati Uniti e alla UE) lo Stato gendarme di un’area geografica vitale e di un continente in conflitto geopolitico. Le stesse frontiere tra Marocco e Algeria sono chiuse dal 1994.

Accettando il ruolo preponderante del Marocco, la Spagna mette a repentaglio le relazioni economiche ed energetiche con l’Algeria (suo principale fornitore di gas naturale) e invia un segnale di subordinazione agli interessi statunitensi in un momento in cui l’Africa subsahariana sta iniziando a ridefinire il proprio futuro al di fuori delle ex potenze coloniali, anzi spesso in opposizione a loro, come già successo nel Mali e nel Burkina Faso, nettamente antifrancesi.

Fa specie che Sánchez sia anche il leader del Partito Socialista Operaio del suo Paese. Costui non sa nulla né di socialismo né di classe operaia.

 

[8] La Legge sulla Chiarezza

 

Che cos’è la Legge sulla Chiarezza (The Clarity Act)? È una legge approvata dal parlamento del Canada che stabilisce le condizioni attraverso cui il governo può avviare negoziati che condurrebbero alla secessione di una delle sue province o territori. È stata approvata nella sua versione definitiva il 29 giugno 2000, in risposta al referendum del Québec del 1995, che gli indipendentisti persero per pochi voti: 49,42% contro 50,58%. Il Québec è largamente francofono, tant’è che il francese è l’unica lingua ufficiale.

Due giorni dopo l’introduzione del Clarity Act e contro questa legge il governo del Québec ha approvato una legge intitolata “Rispetto dell’esercizio dei diritti e delle prerogative fondamentali del popolo e dello Stato del Québec”. L’atto stabilisce che i Quebecers (cittadini del Québec) possono determinare unilateralmente come esercitare il diritto a scegliere il loro regime politico, compresa la sovranità, e che l’opzione vincente in un referendum è quella che ottiene il 50% dei voti più uno. Una cosa che all’attuale governo nazionalista di Kiev sarebbe parsa una bestemmia.

Tutti i premier canadesi non hanno mai approvato le intenzioni dei Quebecers di separarsi in maniera autonoma. In particolare negano che una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, senza il riconoscimento del governo centrale, sia sostenuta dal diritto internazionale. Un’affermazione, questa, abbastanza ridicola e pretestuosa. Una volontà popolare, quando largamente maggioritaria, è legittima di per sé, non ha bisogno di ulteriori conferme.

Inoltre affermano altre cose che lasciano il tempo che trovano:

- che il governo federale deve avere un ruolo decisivo nella scelta della domanda referendaria;

- che la secessione può essere raggiunta solo attraverso la negoziazione col parlamento federale e non con una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del governo del Québec;

- che la secessione di una provincia va approvata da tutte le province. Eccetera.

In sostanza a Ottawa non si rendono conto che se una popolazione chiede la secessione, vuol dire che nel Paese si sente discriminata, patisce ingiustizie, vuole più libertà e diritti.

La secessione non va concepita come una benevola concessione da parte di un governo centrale, ma come un legittimo diritto di una parte della popolazione nazionale.

Di fatto tutti i governi canadesi non hanno mai riconosciuto il diritto all’autodeterminazione dei popoli come superiore alla sovranità politica dello Stato e alla sua integrità nazionale.

Su una cosa però hanno ragione: negano che una maggioranza del “50% più uno” sia una soglia sufficiente per la secessione. Tuttavia, per evitare guerre civili, sarebbe bene che il governo centrale, a fronte di una chiara volontà secessionista, prendesse provvedimenti a favore di una maggiore concessione di autonomia. Quello che in Ucraina non è mai stato fatto.

A proposito di questa percentuale, si noti come tutti i referendum fatti nel Donbass e nella Crimea dal 2014 ad oggi, superavano tranquillamente la soglia dell’80% a favore dell’annessione alla Federazione Russa. Strano che i Quebecers non abbiano detto nulla a favore del Donbass. Invece appare del tutto normale che gli USA, a suo tempo, approvassero nettamente il Clarity Act. Bill Clinton sapeva bene che se qualche Stato federale degli USA inizia a comportarsi come i Quebecers, scoppia una reazione a catena. Altro che bomba nucleare...

La suddetta legge contro il Clarity Act, che meriterebbe un commento a sé, è qui: canlii.org/en/qc/laws/stat/cqlr-c-e-20.2/15776/cqlr-c-e-20.2.html

 

Cancella la Dottrina

 

Mi era sfuggito il fatto che quando il papa, nel luglio scorso, si recò nel Québec per scusarsi dello scandalo delle scuole residenziali cattoliche (in cui tra il 1831 e il 1996 ben 150.000 bambini furono tolti ai genitori delle popolazioni Métis e Inuit e occidentalizzati), successe una cosa abbastanza curiosa.

Un gruppo di indigeni presso il Santuario nazionale del Comune di Sainte-Anne-de-Beaupré aveva innalzato uno striscione con la scritta “Rescind the Doctrine”, “Cancella la Dottrina”.

A cosa si riferivano? Al fatto che, nonostante le scuse ai nativi per la politica di assimilazione nelle scuole residenziali cattoliche (botte a chi non parlava inglese, malnutrizione ed epidemie, violenze e abusi, dai 3.000 ai 6.000 morti, la scoperta di fosse comuni), il Vaticano non ha ancora ripudiato la “Dottrina della Scoperta”, cioè gli editti emessi dalla Chiesa romana nei secoli passati che autorizzarono le potenze coloniali a invadere territori americani e africani e a sottometterne e schiavizzarne le popolazioni.

Ne sanno di più gli indigeni che non i nostri politici e giornalisti.

Ebbene la “Dottrina della Scoperta”, sostenuta da papa Nicola V in due encicliche (“Dum Diversas” del 1452 e “Romanus Pontifex” del 1454), affermava il diritto dei conquistatori cristiani di sottomettere, schiavizzare e depredare delle loro terre le popolazioni pagane. Questo è avvenuto per centinaia di anni, sotto il pretesto di “princìpi legali”. In particolare il papato inventò il concetto di “terra nullius”, secondo cui ogni monarca cristiano che scopre terre non cristiane ha il diritto di proclamarle sue perché non appartengono a nessuno.

Questo è l’occidente. E ancora oggi le cose non sono cambiate di molto: basta sostituire alla parola cristianesimo la parola democrazia, o alla teologia i diritti umani. E magari tra un po’ avremo il pontefice che si schiera dalla parte di USA e UE per approvare una guerra nucleare contro la Russia, troppo ortodossa e troppo poco occidentale per essere tollerata.

 

Premiati i russofobi

 

Il premio Nobel per la pace 2022 è stato assegnato a tre soggetti: un difensore dei diritti umani bielorusso, Ales Bialiatski (attualmente in carcere per evasione fiscale), l’organizzazione russa per i diritti umani Memorial e l’organizzazione ucraina per i diritti umani Center for Civil Liberties.

A Bialiatski era stato già assegnato il premio Sacharov da parte del Parlamento europeo nel 2020, e il premio Vaclav Havel per i Diritti umani nel 2012 dal Consiglio d’Europa. Tutti premi strumentali alla russofobia.

La ONG Memorial, fondata nel 1989 per studiare e denunciare le violazioni e i crimini commessi durante il terrore imposto dal regime di Stalin, al dicembre 2021 incorporava 50 ONG russe e altre 11 da altri Paesi, inclusi Ucraina, Germania, Italia, Belgio e Francia. È stata messa fuorilegge in Russia il 5 aprile di quest’anno in quanto “agente straniero”. Un ente che assegna i Nobel per la pace avrebbe dovuto tenerne conto.

La Center for Civil Liberties è una ONG ucraina con base a Kiev, fondata nel 2007 e dedita alla documentazione di crimini di guerra, abusi sui diritti umani e abusi di potere. Dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino si è preoccupata unicamente di identificare e documentare i crimini di guerra russi contro la popolazione civile ucraina. I crimini ucraini non li vede.

La presidente della Reale Accademia delle scienze, Chair Berit Reiss-Andersen, ha definito i vincitori “tre eccezionali difensori dei diritti umani, della democrazia e della coesistenza pacifica nei Paesi vicini: Bielorussia, Russia e Ucraina. Hanno compiuto uno sforzo eccezionale per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e l’abuso di potere.”

Insomma non se ne può più di queste buffonate, che vanno avanti dai tempi di Kissinger e confermati da quelli di Obama (due guerrafondai considerati “pacifisti” dalla Norvegia). Tanto valeva dare il premio a Zelensky. Ci saremmo fatti due risate.

 

[9] Basta il multipolarismo degli imperi?

 

È evidente che i russi preferiscono l’epoca di Putin a quella di Eltsin. Putin rappresenta la democrazia? No, ma Eltsin rappresentava il disfacimento totale della Russia, la svendita dei suoi beni agli USA, l’impoverimento generale del Paese a fronte di una dilagante corruzione da parte degli oligarchi e dei racket mafiosi, e la catastrofica bancarotta.

Purtroppo per colpa di Eltsin anche il nome di Gorbaciov è stato travolto dalle accuse contro la democrazia. Come per colpa di Stalin anche il nome di Lenin è finito nel dimenticatoio. Sembra che i russi non riescano a vivere in una via di mezzo, ma siano come costretti a passare da un estremo all’altro.

I successi economici di Putin in politica interna sono innegabili, anche se viene accusato di autocrazia, di usare metodi spicci quando affronta i suoi avversari e di rifarsi a valori ottocenteschi (come p.es. quelli religiosi).

Senza dubbio ha ridato dignità a un Paese che sotto Eltsin era completamente asservito ai desiderata commerciali degli americani. Forse pochi sanno che è riuscito a nazionalizzare il 65% dell’industria petrolifera, il 95% dell’industria del gas, e molte altre industrie. In questa maniera (più affine al socialismo statale che non al capitalismo) ha ridimensionato di molto il potere degli oligarchi. Cosa che nessun altro ex Paese del Patto di Varsavia può vantare di aver fatto. Tutti si sono lasciati pesantemente condizionare dallo stile di vita e dalle mire egemoniche degli occidentali; e se taluni Paesi non sono diventati delle mere colonie euroamericane, è stato solo per merito di un intervento militare russo (Cecenia, Georgia, Bielorussia, Kazakistan, e ora l’Ucraina).

Le rivoluzioni arancioni, il fondamentalismo islamico, i colpi di stato, le persecuzioni verso le minoranze russofone all’estero, l’installazione delle basi militari americane a ridosso dei confini russi, la proliferazione dei pericolosi laboratori biologici degli USA, l’aiuto militare ai Paesi alleati (p.es. la Siria)... son tutti argomenti che in politica estera Putin ha dovuto affrontare con una determinazione tale da scatenare le ire funeste dell’intero occidente.

Sta succedendo nei confronti del putinismo la stessa cosa che succedeva nei confronti dello stalinismo: l’occidente critica l’uso dei metodi autoritari della Russia quando è esso stesso che li provoca a causa delle sue politiche aggressive, che mirano sempre a far diventare l’intera Federazione (possibilmente smembrata) una propria colonia.

La fiducia che Putin aveva riposto in una partnership commerciale con l’occidente è stata tradita, così come si sentì tradito Stalin dal comportamento di Hitler, che stracciò improvvisamente il patto di Ribbentrop-Molotov.

Certo, molti analisti plaudono ai successi economici e commerciali conseguiti dal ventennale regime putiniano (che per molti aspetti somigliano a quelli realizzati dallo stalinismo) e che tanto stupiscono, a motivo della loro velocità, gli ambienti occidentali. Ma è evidente che la democrazia ne paga un prezzo (quello che Gorbaciov non avrebbe voluto farle pagare).

D’altra parte Putin sa benissimo che la democrazia occidentale è puramente formale: è la democrazia dei ricchi, basata sullo sfruttamento delle risorse umane e materiali dei Paesi meno avanzati. Non si sente minimamente giudicato da una democrazia del genere.

Resta però il fatto che per tenere unita una Federazione così vasta e complessa, i metodi autoritari possono funzionare fino a un certo punto. Vi sono abissi culturali tra le varie religioni e soprattutto tra l’area europea, più soggetta alle influenze occidentali, e l’area asiatica. La Russia si sente un impero, come quello zarista, ottomano o austro-ungarico dei secoli passati, e finché avrà a che fare con un occidente che la vuole sfruttare a causa delle sue immense risorse naturali, la realizzazione della democrazia sarà sempre molto relativa. Così come molto relativa diventa quella occidentale quando i Paesi colonizzati a partire dal XVI sec. cominciano a usare l’espressione: “500 anni bastano”.

Un mondo multipolare non può essere fatto da tanti “imperi” che tra loro si devono rispettare. Ci vuole qualcosa che ancora l’intero pianeta non conosce o ha dimenticato.

 

Che cosa vuol dire autodeterminazione dei popoli?

 

Nonostante Wikipedia sia stata sottoposta a pesanti manipolazioni filoucraine nel corso di questa guerra tra Russia e NATO, su un argomento divenuto oggi di capitale importanza continua a mostrare una certa obiettività d’informazione.

Dice sul piano dei princìpi teorici generali relativi al diritto di autodeterminazione dei popoli:

Tale principio sancisce l’obbligo a consentire che un popolo sottoposto a dominazione straniera (colonizzazione o occupazione forzata), o facente parte di uno Stato che pratica l’apartheid, possa determinare il proprio destino in uno dei seguenti modi: ottenere l’indipendenza, associarsi o integrarsi a un altro Stato già in essere, o comunque poter scegliere autonomamente il proprio regime politico.

Come si può notare, per esercitare il diritto alla propria autodeterminazione un popolo deve vivere una situazione molto difficile, deve patire ingiustizie da parte del proprio Stato o di uno Stato estero. Non bastano le questioni culturali.

D’altra parte la legge sembra parlar chiaro: Il principio, nell’ambito del diritto internazionale, esplica i suoi effetti solo sui rapporti tra gli Stati e non sancisce alcun diritto all’autodeterminazione in capo a un popolo. Cioè sono gli Stati che in definitiva concedono ai popoli l’autodeterminazione, poiché i popoli, di per sé, non ne hanno diritto.

Questo è un principio che, se ci pensiamo, è mostruoso, in quanto lontanissimo dalla democrazia.

L’autodeterminazione dei popoli diventa un principio inderogabile, cioè supremo e irrinunciabile del diritto internazionale, solo a vantaggio di quei Paesi che, dopo la fine della II guerra mondiale, volevano liberarsi del colonialismo subìto.

È come se i Paesi occidentali dicessero ai Paesi coloniali: siamo stati noi a scatenare due guerre mondiali, quindi se adesso volete emanciparvi, vi possiamo capire e vi concediamo qualche diritto. Solo che così si è passati dal colonialismo eminentemente politico-militare a una sorta di neocolonialismo economico-finanziario, apparentemente meno brutale.

Di fatto non esiste alcuna norma consuetudinaria di diritto internazionale che sancisca obblighi per la comunità degli Stati ad acconsentire alla cosiddetta “autodeterminazione interna”, quale potrebbe essere il caso di una secessione di una porzione territoriale di uno Stato.

Infatti quando gli Stati parlano di democrazia intendono soltanto quella parlamentare nazionale delegata o rappresentativa. È esclusa quella diretta locale autogestita.

Che ci voglia una terza guerra mondiale per eliminare definitivamente qualunque forma di colonialismo?

 

Il tardivo principio di autodeterminazione dei popoli

 

Nel primo dopoguerra il principio di autodeterminazione dei popoli fu solennemente enunciato dal presidente americano Woodrow Wilson in occasione del Trattato di Versailles (1919) e avrebbe dovuto fungere da linea guida per il tracciamento dei nuovi confini.

Così dice Wikipedia, tralasciando di aggiungere che l’obiettivo americano sotteso a tale principio era quello di sostituirsi al dominio quasi mondiale di Francia e Inghilterra. Cosa che gli USA riusciranno a conseguire solo col conflitto successivo.

In ogni caso gli anglofrancesi odiavano talmente tanto i tedeschi che impedirono, in forza del Trattato di Saint-Germain, all’area dell’ex impero austro-ungarico, abitata da genti di etnia tedesca, di scegliere se costituire uno Stato indipendente o unirsi alla Germania.

Anzi, quasi tutta la Posnania e la Prussia Occidentale, il territorio di Memel e l’Alsazia-Lorena furono staccati dalla Germania senza interpellare le rispettive popolazioni, spesso maggioritariamente di lingua tedesca. I Sudeti (sempre stati di lingua tedesca) passarono alla Cecoslovacchia insieme alla maggioranza ungherese del sud della Slovacchia, e il Tirolo meridionale passò all’Italia pur essendo a maggioranza germanofona. E tralasciamo qui il referendum in Alta Slesia, fatto vergognosamente vincere ai polacchi per togliere risorse minerarie alla Germania.

Porcate di questo genere gli anglofrancesi ne fecero così tante che praticamente posero le basi per il successivo conflitto mondiale.

Insomma bisognerà attendere la II guerra mondiale per sentire l’ONU parlare di autodeterminazione dei popoli. Senza guerre i popoli non ottengono mai nulla.

Fonte: it.m.wikipedia.org/wiki/Autodeterminazione_dei_popoli

 

Il tradimento della Sandu

 

La premier della Moldavia, Maya Sandu, ha rotto i rapporti con la Gazprom e sta precipitando il Paese in una situazione in cui sarà quasi impossibile avere gas ed elettricità. I prezzi sono già saliti alle stelle.

Non solo, ma ha garantito all’Ucraina la possibilità di sfruttare per motivi economici parti del territorio del proprio Paese.

Conta sugli aiuti americani, anche per occupare la Transnistria, come gli è stato promesso. Gli USA la stanno già aiutando a reprimere l’opposizione interna. Si dichiara favorevole alla mobilitazione generale e sta già collaborando con la Romania per realizzarla.

Sta evidentemente tradendo il proprio Paese, che non fa parte né della NATO né della UE.

Fonte: t.me/LombardiaRussiaGeN

 

[10] Davvero Putin userà per primo il nucleare?

 

Bisognerebbe smettere di dire che la Russia può usare armi nucleari in maniera preventiva. Oppure che Putin è disposto a usarle perché gli USA l’han già fatto contro il Giappone (in rete è la tesi sostenuta dal canale filoucraino “Parabellum”).

La dottrina sull’uso preventivo del nucleare appartiene agli americani non ai russi. Gli USA si sono sempre rifiutati, sin dai tempi della guerra fredda, di firmare un accordo in cui né loro né i russi avrebbero mai usato per primi l’arma nucleare in caso di guerra contro la parte avversaria. Sanno bene infatti che la possibilità di usarla per primi arreca un vantaggio decisivo a chi lo fa, anche perché i missili verrebbero puntati proprio contro le basi nucleari dell’avversario (esclusi ovviamente i sottomarini).

Nel suo discorso del 21 settembre (che Vespa nell’intervista all’ambasciatore russo in Italia non ha capito per niente) Putin aveva semplicemente detto che la Russia non può sopportare la minaccia del ricatto nucleare senza reagire. Kiev infatti stava già cercando di colpire coi missili la centrale nucleare di Zaporozhye (al punto che oggi essa ha perso la sua ultima fonte di energia esterna e deve fare affidamento su generatori diesel di emergenza).

Poi Putin aveva aggiunto che alcuni alti rappresentanti dei principali Paesi della NATO han parlato della possibilità e ammissibilità di usare armi di distruzione di massa contro la Russia.

In effetti la Liz Truss si è detta disponibile a premere il “bottone nucleare”. E polacchi chiedono insistentemente di avere le atomiche della NATO. Gli americani, con la distruzione del Nord Stream, stanno provocando Mosca a usarle. È evidente che spingono Kiev a spostare le ostilità in territorio russo, anche se sostengono il contrario (dall’omicidio della Dugina, in cui anche il padre sarebbe dovuto morire, all’attentato terroristico del ponte della Crimea). Lo stesso Zelensky sta chiedendo alla NATO di usare il nucleare contro la Russia, come se il suo Paese appartenesse già all’Alleanza atlantica.

Putin ha semplicemente detto che la Russia, “in caso di minaccia all’integrità territoriale, all’indipendenza e alla libertà, utilizzerà sicuramente tutti i sistemi d’arma a sua disposizione”. Qualunque statista direbbe una cosa del genere, con o senza armi nucleari. La minaccia deve ovviamente provenire da uno Stato esterno. Non solo, ma una ritorsione con armi nucleari sarebbe l’ultima chance, poiché la Russia dispone di altre armi convenzionali che in Ucraina non ha mai usato e che sono più potenti di quelle in uso nella NATO.

Putin ha anche detto nel discorso con cui ha inaugurato l’allargamento dei confini russi nel Donbass: “Gli Stati Uniti sono stati l’unico Paese al mondo ad aver usato armi nucleari due volte, distruggendo le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Hanno stabilito un precedente. Insieme agli inglesi, durante la seconda guerra mondiale, hanno ridotto in rovina Dresda, Amburgo, Colonia e molte altre città tedesche senza alcuna necessità militare. Hanno lasciato un segno terribile nella memoria dei popoli di Corea e Vietnam coi barbari bombardamenti al napalm e usando armi chimiche”.

È difficile prendere lezioni morali dagli USA quando in gioco vi sono degli interessi militari.

 

Creare diversivi è una loro specialità

 

Ormai è noto che per scatenare una guerra mondiale contro il cosiddetto “terrorismo islamico” e i dittatori del Medio Oriente, durata un ventennio, gli USA hanno avuto bisogno di permettere un evento catastrofico come l’attacco alle due Torri Gemelle di Manhattan, di cui però non avevano previsto un crollo a terra così rovinoso.

Anche per poter entrare in guerra, negli anni ’40, permisero ai giapponesi di distruggere la base navale di Pearl Harbor. Gli americani, abituati a un benessere a oltranza, han bisogno di eventi catastrofici per sentirsi motivati a difendere il loro Paese o ad attaccare nemici immaginari, che di tanto in tanto il sistema si crea per distogliere l’attenzione dai gravissimi problemi sociali ed economici al suo interno.

Non è quindi da escludere che dopo aver attribuito agli stessi russi il sabotaggio del Nord Stream, gli USA ora si stiano preparando a creare un’altra operazione sotto falsa bandiera per poi far ricadere la responsabilità sulla Russia.

Ciò magari potrebbe servire per evitare che alle elezioni di midterm dell’8 novembre i trumpiani possano ottenere una vittoria senza precedenti. Cosa che il deep state di Washington non può permettersi, poiché sarebbe costretto ad ammettere che la guerra per procura condotta in Ucraina contro la Russia è stata un totale fallimento.

Un possibile false flag potrebbe essere un attacco contro i cavi di comunicazione internet (molti cavi di comunicazione transatlantica finiscono a New York o nel New Jersey). Ciò avrebbe un impatto caotico sul sistema finanziario e offrirebbe il pretesto agli Stati Uniti per dichiarare guerra alla Russia a cui farebbero ricadere la responsabilità. In questo modo il deep state dichiarerebbe lo stato di emergenza e si bloccherebbero le elezioni di midterm.

 

Il bispensiero orwelliano

 

Ho l’impressione che se il governo estone non consegna la rifugiata Natalya Vovk, assassina della Darya Dugina, con la complicità del connazionale Bogdan Tsyganenko, anche questo Paese verrà preso di mira da Mosca, dopo la fine della guerra in Ucraina. Peraltro l’Estonia ha deciso che installerà i sistemi missilistici statunitensi Himars a meno di 140 km da San Pietroburgo, che così in due minuti potrà essere raggiunta. E la minoranza russa (25% della popolazione) comincia a stancarsi d’essere pesantemente discriminata. Quello infatti è un altro governo filonazista, la fotocopia di Kiev.

Le recenti dichiarazioni della CIA (espresse nel “New York Times”) secondo cui gli americani non c’entrano nulla in questo delitto, che va attribuito esclusivamente a “parti del governo ucraino”, non stanno né in cielo né in terra. Un omicidio come quello sarebbe stato impossibile compierlo senza il supporto dell’intelligence americana o inglese.

Parlare poi di un governo ucraino diviso in “parti contrapposte”, al punto che una non sa quello che fa l’altra, è insostenibile, anche perché se davvero vi fossero “parti” del governo che Zelensky non controlla, il ruolo di quest’ultimo verrebbe ridicolizzato.

Naturalmente il mainstream italiano ha minimizzato l’omicidio, biasimando il pensiero nazionalista della Dugina, e continuando a sostenere, falsamente, che Dugin sia “la mente” delle azioni di Putin.

Per alcuni media l’omicidio sarebbe stato addirittura un “diversivo” russo, un’azione di depistaggio interno, per deviare l’attenzione dal sostanziale fallimento della campagna militare nel Donbass. Formiche.net, per es., accusa Mosca d’aver truccato le prove nei confronti della Vovk, di voler fare propaganda e aver “diffuso queste informazioni sull’indagine anche per rassicurare sulle proprie capacità di controllo e trasmettere un senso di sicurezza”. Anche “Panorama” e “Il Post” caldeggiano la “pista del terrorismo interno”, tutto di matrice russa, poiché secondo loro è impossibile risolvere un caso del genere in meno di due giorni. I servizi segreti russi non possono essere intelligenti come quelli occidentali!

Qui, bisogna ammetterlo, siamo a livelli di bispensiero orwelliano.

 

Non abbiamo iniziato nulla

 

A causa delle interruzioni nel funzionamento dei satelliti Starlink, le forze armate ucraine stanno subendo pesanti perdite: il loro stato maggiore è nel panico. D’altra parte il governo ha pagato solo una piccola parte dei servizi offerti dalla compagnia di Elon Musk, il quale, con le sue proposte di pace, è diventato un “nemico” di Zelensky. Probabilmente Musk ha spento i suoi satelliti nel territorio delle nuove regioni acquisite dalla Federazione Russa, per non essere coinvolto in ritorsioni da parte di Mosca.

Non è da escludere che i russi abbiano finalmente capito come vincere anche sul piano elettronico. Il loro sistema segreto si chiama Tirada-2S, ed è appena diventato operativo: serve proprio per sopprimere le linee di comunicazione satellitari nemiche, quelle appunto di Musk.

E comunque è iniziata formalmente la risposta russa all’attacco terroristico del regime ucraino contro il Ponte della Crimea. Colpite dai bombardamenti Kiev, Khmelnytsky, Leopoli, Dnipro, Vinniza, Frankiv, Zaporozhe, Sumy, Kharkiv, Zhytormyr, Kirovohrad, Kremenchug. Tutte ora hanno problemi con elettricità, acqua e internet. Lo stesso Zelensky è stato trasferito urgentemente in un bunker segreto antiaereo nell’Ucraina occidentale, fuori dalla capitale.

Le ambasciate dei Paesi della UE hanno ricevuto un ordine urgente di evacuazione da Kiev.

“Tutti dovrebbero sapere che, nel complesso, non abbiamo ancora iniziato davvero nulla”. Oggi, tre mesi dopo quel discorso di luglio, è diventato un po’ più chiaro cosa voleva dire Putin.

 

[11] Nostalgia degli anni ’70

 

Ho sempre pensato che gli anni ’70 siano stati gli ultimi in cui l’occidente ha potuto mostrare un segno di speranza a favore dei diritti umani. Poi, a partire soprattutto da Reagan e dalla Thatcher, gli statisti han cominciato a fare dei passi indietro. L’occidente è diventato sempre più aggressivo, e oggi ci sta portando verso una nuova guerra mondiale. Dopo aver addormentato le coscienze al proprio interno, producendo generazioni incapaci di fare vere rivendicazioni, i potentati occidentali non riescono a capacitarsi che possa ancora esistere una nazione come la Russia che contesta fortemente la loro pretesa a un’egemonia mondiale. E pur di non riconoscere questo radicale mutamento della realtà internazionale, i nostri statisti sembrano essere disposti a tutto, anche a suicidarsi (come sta di sicuro facendo l’Unione Europea).

A riprova di ciò che dico si prenda la “Dichiarazione relativa alle relazioni amichevoli e alla cooperazione fra Stati” del 1970, in cui si sancì il divieto di ricorrere a qualsiasi misura coercitiva suscettibile di privare i popoli del loro diritto all’autodeterminazione.

Ancora più chiaramente si è espressa la “Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa” nell’Atto Finale di Helsinki del 1975, in cui si afferma il diritto per tutti i popoli di stabilire in piena libertà, quando e come lo desiderano, il loro regime politico senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

Sembra che ci siamo dimenticati completamente che il contenuto del principio di autodeterminazione dei popoli consiste in obblighi per gli Stati della Comunità internazionale di non impedire o intralciare in nessun modo tale principio, che va espressamente inteso come libertà dei popoli di autodeterminare il proprio assetto costituzionale.

Senza questo principio non ci sarebbe mai stata la decolonizzazione avviata dopo la II guerra mondiale, cioè i Paesi in via di sviluppo non avrebbero potuto indire libere elezioni, darsi una Costituzione propria, scegliere la forma di governo... Certo l’occidente ha dovuto inventare una nuova forma di colonialismo più sofisticata, di tipo economico-finanziario, ma intanto le basi di una fattiva emancipazione erano state poste.

Ora, sfruttando l’idea di mondo multipolare, bisogna che Africa, Asia e Sudamerica si liberino da qualunque forma di dipendenza dai diktat occidentali. La prassi di chi vuol vivere sfruttando i beni altrui deve scomparire dalla faccia della Terra.

 

Il veleno sta nella coda

 

L’occidente conosce bene la differenza tra teoria e pratica. La lingua biforcuta l’ha sempre avuta: potremmo dire sin dal tempo dell’impero romano, che si vantava di poggiare la propria forza sulle basi del diritto.

E così, quando, obtorto collo, è costretto ad accettare il principio dell’autodeterminazione dei popoli, qualche limitazione sul piano pratico ha voluto subito porla.

Per es. ha escluso di assegnare a questo principio degli effetti retroattivi tali da consentire di rimettere in discussione situazioni territoriali definite a seguito dei più importanti eventi bellici del XX sec., nel senso cioè che non vuole mettere in discussione la certezza dei confini nazionali, a meno che la ridefinizione di tali confini non sia accettata o non faccia gli interessi dello stesso occidente, così come è avvenuto in Cecoslovacchia o in Sudan.

Povero illuso, verrebbe da dire. Nessuno è in grado di fermare le rivendicazioni dei popoli, quando esse sono seriamente motivate nella teoria e determinate nella pratica.

Noi occidentali ancora c’illudiamo che, pur avendo accettata l’idea che il soggetto titolare del diritto all’autodeterminazione è il popolo (come soggetto distinto dallo Stato), il popolo stesso non può arrivare a modificare i confini nazionali di uno Stato senza il consenso di questo medesimo Stato. Sicché, di fronte alle richieste di autodeterminazione popolare (in sostanza il diritto alla secessione), ci preoccupiamo subito di dire che in nessuna norma giuridica internazionale esiste la definizione di “popolo”.

Gli statisti occidentali ci tengono a precisare che tale diritto può essere esercitato solo da quei Paesi che vivono una situazione particolare: per es. sono colonizzati o oppressi da un dominio militare straniero, oppure i governi in carica negano qualunque sviluppo politico, economico, sociale e culturale. Quest’ultimo caso viene naturalmente considerato inverosimile, in quanto troverebbe un’opposizione da parte dello stesso ONU.

Così dicono gli statisti occidentali, che non riescono ad accettare che 8 milioni di persone del Donbass preferiscano abbandonare l’Ucraina e a mettersi sotto la Russia. Si chiedono, fingendo ingenuità, che cosa abbia la Russia autocratica di meglio della democratica Unione Europea.

 

L’ONU va abolito

 

L’Assemblea Generale, istigata dagli USA, ha negato alla Russia un voto segreto su una risoluzione americana che condanna Mosca per i recenti referendum dei residenti delle due repubbliche Donetsk e Lugansk, nonché delle regioni di Kherson e Zaporozhye.

Eppure i risultati elettorali sono stati più che convincenti, senza poi considerare che le due repubbliche del Donbass sono 8 anni che di fatto si rifiutano di appartenere all’Ucraina. Sono secessioniste. Anzi, ai residenti delle 4 Regioni è stato concesso un mese di tempo per richiedere la rinuncia alla cittadinanza russa.

Gli USA avevano convocato una sessione speciale dell’Assemblea Generale per promuovere la narrativa contro la Russia: una frode oltraggiosa in cui il Presidente dell’Assemblea Generale ha svolto un ruolo fondamentale.

Il Rappresentante permanente della Federazione Russa presso l’ONU, Vasily Nebenzya, ha detto che “non c’è mai stata una tale scala di cinismo, confronto e polarizzazione estremamente pericolosa come ora nella storia di un’organizzazione mondiale. Questo è un altro passo verso una divisione e un’escalation, anche perché non ci sono mai stati casi in cui il Consiglio di sicurezza avrebbe sostenuto una bozza che condanna direttamente uno dei membri dello stesso Consiglio di sicurezza”.

Anche la UE nega che il diritto all’autodeterminazione dei popoli sia superiore al diritto alla sovranità politico-statale e integrità territoriale di una nazione.

Insomma o l’ONU viene chiuso o gli USA vengono espulsi. In ogni caso la sede non può più stare a New York.

 

Era ora che qualcuno se ne accorgesse

 

Il ministro francese dell’Economia, delle finanze, dell’industria e della sovranità digitale, Bruno Le Maire, ha detto il 10 ottobre all’Assemblea Nazionale: “Non dobbiamo permettere che il predominio economico degli Stati Uniti e l’indebolimento dell’Europa derivino dal conflitto ucraino”.

Le Maire ha definito inaccettabile che Washington stia vendendo il suo gas naturale liquefatto a un prezzo quattro volte superiore a quello che vende ai suoi stessi industriali.

Tuttavia è il capo della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ritiene affidabili i fornitori norvegesi e statunitensi.

E se lo dice lei, c’è da crederci...

 

[12] Perché Guterres non studia la Carta dell’ONU?

 

La Carta delle Nazioni Unite (art. 106 e 107) dà ai vincitori della II guerra mondiale (URSS, USA, Gran Bretagna, Francia e Cina) il diritto di prendere qualsiasi misura contro i Paesi che hanno combattuto contro di loro. Questo al fine di prevenire azioni volte a rivedere i risultati della stessa guerra. Oggi ovviamente dovremmo dire: sulla base di una risoluzione dell’ONU. Ma ciò non è obbligatorio, poiché gli articoli ritengono sufficiente notificare agli altri Paesi vincitori la decisione dell’intervento armato, senza per questo ottenere la loro approvazione. Semplicemente occorre che venga dichiarato l’inizio dell’operazione di denazificazione: cosa che è stata fatta da Putin prima del 24 febbraio.

D’altra parte il Tribunale di Norimberga ha condannato alla responsabilità penale tutti coloro che hanno combattuto contro le Nazioni Unite e hanno commesso un genocidio. E il più grande genocidio è stato commesso contro il popolo sovietico.

Quindi anche la Russia, in quanto legittima erede dell’URSS, ha il diritto di prendere tutte le misure che vuole, comprese quelle militari, contro Germania, Ungheria, Austria, Romania, Bulgaria, Finlandia, Croazia, Slovenia, Repubblica Ceca (che durante la guerra ha agito come protettorato di Boemia e Moravia), Lettonia, Estonia, Lituania e Ucraina per aver firmato trattati di “amicizia e cooperazione” col Terzo Reich, per aver glorificato il movimento nazista, o per averlo fatto rivivere come neonazismo, anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali, nonché manifestazioni per glorificare i nazisti del passato. In una parola per aver tentato di rivedere il sistema di Yalta-Potsdam in Europa.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres (che da buon socialista è russofobo) è rimasto sorpreso nell’apprendere da Putin (laureato in giurisprudenza) che esiste un articolo della Carta delle Nazioni Unite (107) che consentirebbe di condurre l’operazione speciale russa in Ucraina, un Paese che prende le formazioni politico-militari dell’OUN-UPA come propri punti di riferimento.

Peccato che né Guterres né i suoi predecessori abbiano fatto mai nulla per contrastare seriamente l’ascesa del neonazismo in Ucraina. Guterres non sa neppure che quando sono state liberate la regione di Kherson e una parte di Zaporozhye (quella che adesso è sotto il controllo russo), i capi delle amministrazioni delle regioni avevano insistito più volte che volevano entrare a far parte della Russia da subito, senza alcun referendum. Fu proprio Putin, maniaco dei riscontri giuridici, a pretenderlo per rispettare le norme del diritto internazionale.

 

La guerra non è un film

 

Bisogna che la popolazione ucraina sappia con sicurezza che Mosca ha intenzione di cambiare lo status dell’Operazione Militare Speciale in Operazione Antiterroristica, con tutte le sue gravi implicazioni militari e legali. Cioè si sta togliendo i guanti con cui finora ha combattuto. E non sarà piacevole guardarla, come quando lo facevamo in quella memorabile scena di Rita Hayworth nel film “Gilda”.

La popolazione, infatti, suggestionata dalla propaganda del governo neonazista di Kiev, sostenuto dai Paesi occidentali, è ancora convinta di poter vincere questa guerra e che se fino adesso ha avuto pochi morti è stato non perché l’esercito russo ha cercato di risparmiare il più possibile i civili, ma perché è molto debole, soprattutto a confronto della NATO. Finora han scambiato le lucciole per lanterne. E in questo misunderstanding ci è finito tutto il mainstream occidentale.

Il regime di Kiev e coloro che lo sostengono sono ora considerati obiettivi legittimi, proprio come l’ISIS e Jabhat al-Nusra durante l’operazione antiterrorismo in Siria. Di qui l’assegnazione delle operazioni militari al generale Sergey Surovikin, che ha preteso una gestione totalmente centralizzata della tattica e della strategia, salvo l’opzione nucleare, che spetta sempre a Putin.

Quando si ha a che fare col terrorismo, Mosca non è costretta a lanciare ultimatum o a fare dichiarazioni ufficiali di guerra o a indicare gli obiettivi strategici che intende colpire. Eventualmente lo farà, ma solo per indurre la popolazione a mettersi in salvo e per far evacuare le ambasciate straniere.

Bisogna però che tutti abbiano contezza del fatto che il cambiamento di status nel conflitto significa che la priorità assoluta è la fine di tutti i filoni del terrorismo (fisico, culturale, ideologico) e non la sicurezza dei civili ucraini.

A seguito dei bombardamenti già avvenuti, la fornitura di energia elettrica è completamente assente in cinque regioni, tra cui Leopoli e Kharkov, e ci sono gravi interruzioni in altre cinque, tra cui Kiev. Oltre il 60% delle reti elettriche ucraine è già fuori uso. Oltre il 75% del traffico internet è scomparso. Il sistema Starlink di Elon Musk è stato scollegato.

L’Ucraina sta per abbracciare un’oscurità quasi totale nei prossimi giorni. L’inverno del nostro scontento sta per arrivare, e non solo per quella nazione, ma anche per chi rifiuta qualunque trattativa.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

Un modo per risolvere il problema energetico

 

L’intelligence russa ha scoperto che l’operazione, piuttosto sofisticata, che ha fatto saltare il ponte della Crimea (meraviglia ingegneristica e simbolo del ritorno della Crimea alla Russia), indica il coinvolgimento di “servizi speciali stranieri” (molto probabilmente anglo-americani).

Le bombe sono state messe sulle campate dei ponti; il camion in transito era solo un’esca dei terroristi, per far credere che i 450 kg di esplosivo fossero stati collocati al suo interno; e il treno di carburante è stato fatto fermare dai terroristi, che controllavano la ferrovia, tramite un falso segnale.

Insomma come volevasi dimostrare: da soli gli ucraini non sono in grado di fare queste cose. Lo si era già capito con l’attentato ai Dugin e col sabotaggio al Nord Stream. L’occidente è sempre più coinvolto in questa guerra, poiché ha capito che non basta né rifornire di armi e soldi il governo di Kiev né sanzionare e isolare la Russia.

Non è Putin che non va umiliato per indurlo a una trattativa, ma è la NATO che non può perdere anche questa guerra, dopo aver perso tutte le altre già scatenate. Solo che andando avanti di questo passo, alla NATO non resterà che l’opzione nucleare. L’Europa rischia di scomparire dalla faccia della terra. Che sia questo l’obiettivo degli statisti occidentali per risolvere il problema energetico?

 

Quando si ricorre al terrorismo, si è già perso

 

Quando in un conflitto militare una delle due parti in gioco ricorre al puro terrorismo, è come se ammettesse che sta per perdere la partita.

Le forze della NATO, in specie quelle anglo-americane, stanno supportando in maniera terroristica il governo neonazista di Kiev. L’abbiamo visto con gli attentati ai Dugin, ai gasdotti del Nord Stream, al ponte della Crimea: tutti avvenuti entro i confini della Federazione Russa o contro le sue infrastrutture. Mosca non può sopportarli: ne va della sua sicurezza.

A dir il vero il regime di Kiev utilizza da tempo metodi terroristici. L’ha detto Putin, riferendosi a omicidi di personaggi pubblici, giornalisti, scienziati, sia in Ucraina che in Russia, ivi inclusi gli attacchi alle città del Donbass, che si protraggono da più di 8 anni. E senza tralasciare gli attacchi missilistici e di artiglieria alle centrali nucleari di Zaporozhye e di Kursk, che solo per caso non hanno prodotto conseguenze devastanti e irreparabili.

Putin ha anche parlato di numerosi altri attacchi terroristici contro le infrastrutture di trasporto dell’elettricità e del gas, compreso il tentativo di far saltare in aria una sezione del sistema di trasporto del gas Turkish Stream.

La Russia è nota per reagire molto lentamente alle provocazioni che subisce. Ora però la pazienza sembra essere finita. Ed è interessante notare che il “giurista” Putin ci tenga molto a rispettare il criterio della “proporzionalità”, che la NATO invece non sa neppure cosa sia.

Lo si è visto nella tipologia degli ultimi attacchi sferrati: gli obiettivi erano le principali centrali termoelettriche e le centrali termoelettriche combinate, nonché le sottostazioni con un livello di tensione di 330kV. Nessun colpo è stato inferto agli impianti con tensione di 750 kV e tanto meno alle centrali nucleari e idroelettriche. Ciò dimostra che il raid missilistico non ha perseguito la distruzione totale del sistema energetico unificato.

Tuttavia intere regioni sono rimaste senza elettricità, a testimonianza che la difesa aerea ucraina non è in grado di difendere adeguatamente il sistema energetico del Paese. Il sistema verrà in qualche modo riattivato, anche se non tanto facilmente, poiché le forze aerospaziali russe hanno attaccato importanti hub logistici delle forze armate ucraine sulla ferrovia. In ogni caso è assai dubbio che il sistema energetico possa sopravvivere a un’altra incursione del genere: la rete unificata andrà in pezzi e si trasformerà in piccole aree insulari separate attorno alle centrali elettriche. Il resto del Paese sprofonderà semplicemente nell’oscurità.

Le forze armate russe hanno danneggiato 1/3 delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina in soli due giorni. Per fortuna che i russi avevano esaurito le loro scorte di armi! I nostri media, dopo 8 mesi di guerra, continuano a confondere i desideri con la realtà.

 

[13] Che cos’è la Terza Roma?

 

Perché gli elementi più conservatori della Russia si rifanno all’ideologia religiosa della Terza Roma?

Bisogna sapere che al tempo di Costantino la capitale dell’impero romano fu trasferita definitivamente da Roma a Bisanzio. Cosa che non fu mai accettata né dal senato romano né dal papato. Sicché quando le popolazioni cosiddette “barbariche” (di religione cristiano-ariana) entrarono nella parte occidentale dell’impero romano, il papato pensò di sfruttare la situazione, convincendo una di queste popolazioni, quella dei Franchi, ad accettare l’ideologia cattolico-romana, con cui contrapporsi all’impero bizantino (cristiano orientale), la cui ideologia era quella greco-ortodossa.

Questo acceso antagonismo tra le due confessioni cristiane e tra il feudalesimo dei cattolici occidentali e il feudalesimo degli ortodossi orientali è andato avanti sino a quando i crociati latini non occuparono Costantinopoli nel 1204 e sino a quando nel 1453 non fecero nulla per salvare la città dall’invasione dei turchi, i quali ebbero la forza per dominare anche gli arabi, che nella loro espansione avevano ridotto di molto i confini dell’impero bizantino.

Ora, dopo il 1453 fu Mosca, divenuta cristiano-ortodossa da circa mezzo millennio, che si sentì autorizzata a ereditare le tradizioni bizantine.

Nell’Europa occidentale però, a partire dal Mille, si era formata, nell’ambito del cattolicesimo-romano, una cultura borghese, che troverà poi nella riforma protestante e nel capitalismo industriale un exploit eccezionale, che porterà questa parte d’Europa a diventare, a partire dalla scoperta dell’America, la dominatrice del mondo.

Il capitalismo europeo riuscì a penetrare anche in Russia, grazie soprattutto allo zar Pietro il Grande, che costruì San Pietroburgo. I russi s’illusero di poter evitare i condizionamenti della cultura borghese grazie all’ideologia ortodossa e alle loro grandi tradizioni rurali. Ma se non ci fosse stata la rivoluzione bolscevica, la Russia sarebbe diventata una colonia del capitalismo occidentale.

Oggi la pretesa di ridurla a una colonia ce l’hanno più gli americani che gli europei. Negli USA infatti si è sviluppato il capitalismo europeo più amorale, individualistico e aggressivo, quello calvinistico. Contro questo tipo di capitalismo neppure gli europei, sempre divisi tra loro, sono riusciti ad avere la meglio. La UE infatti viene definita gigante economico ma nano politico.

Intanto in Russia, dopo la fine del socialismo statale (burocratico e autoritario) e dopo la fine tragica del capitalismo privato del periodo di Eltsin, è subentrato una sorta di capitalismo statale in cui Putin ha cercato di recuperare le tradizioni ideologiche (quindi ortodosse) dell’epoca zarista. La sua sembra una battaglia di civiltà, in cui l’ortodossia russa deve fronteggiare varie forme di capitalismo (luterano, cattolico e calvinista); come ieri, in Cecenia e Siria, ha dovuto affrontare l’estremismo islamico; e come domani forse dovrà affrontare l’ideologia cinese, che è un mix di socialismo autoritario (ideologia del partito di governo), confucianesimo (la filosofia della sottomissione allo Stato) e calvinismo (affarismo a oltranza).

Riuscirà Mosca a sopravvivere? Di sicuro non in nome di una religione, non in nome del capitalismo (privato o statale che sia), non in nome di una riedizione del “socialismo reale”, e non in nome di antiche tradizioni rurali, che oggi nella loro autenticità non esistono più, se non in qualche comunità sperduta nelle ultime foreste rimaste del pianeta.

È d’altra parte da escludere che l’occidente euroamericano, per come è messo, abbia da insegnare qualcosa a qualcuno. Per il momento sarebbe già tanto se le varie popolazioni del pianeta potessero cercare di realizzare il meglio di loro stesse senza doversi sterminare a vicenda.

 

Corsi e ricorsi

 

Questo nostro periodo storico mi sembra somigliare, più o meno, a quello del mondo romano in cui gli imperatori si resero conto che la resistenza di certe popolazioni impediva alle loro legioni di allargare i confini in maniera significativa.

Gli scozzesi li costrinsero a edificare un grande muro (Vallo di Adriano); i Germani a porre il Reno come confine; gli Scito-carpatici a porre il Danubio e il Mar Nero come confini; i Parti li bloccarono in Persia; coi Mauretani in Africa dovettero scendere a compromessi.

L’impossibilità di avere enormi quantitativi di schiavi da sfruttare costrinse gli schiavisti a trasformarli in coloni, cioè in schiavi a metà.

Il problema più grave però fu un altro: in quella fase lì, in cui le pretese egemoniche ed espansive dovettero ridimensionarsi, la politica si militarizzò enormemente. Per affrontare le contraddizioni interne, sempre più esplosive, il senato fu costretto ad affidarsi ai generali, che spesso diventavano imperatori grazie al consenso dei loro militari. E grazie a questo consenso gli imperatori si sentivano piuttosto indipendenti dalle direttive del senato romano.

Per mantenere l’enorme apparato militare e burocratico, lo Stato diventò sempre più fiscalmente esoso, sicché la vita economica cominciò a spostarsi progressivamente dalle città alle campagne, dove si posero le basi per la nascita dei futuri borghi rurali e castelli medievali.

Quando poi i cosiddetti “barbari” sfondarono i confini occidentali dell’impero, l’economia si trasformò decisamente da monetaria a naturale, essendo basata sull’autoconsumo e sul baratto. Quello fu anche il momento in cui l’ideologia dominante si trasformò da pagana a cristiana. I “barbari” erano già cristianizzati.

Purtroppo questo processo storico, che durò all’incirca tre secoli (da Augusto a Diocleziano), fu molto cruento per tutte le popolazioni dell’impero.

Oggi i nuovi romani sono gli americani, in procinto d’essere sconfitti in Ucraina e, domani, a Taiwan, come già lo sono stati in Afghanistan e in altri Paesi islamici. Anche dal Sudamerica e dall’Africa sono destinati ad andarsene. La loro pretesa egemonia mondiale è finita. Devono solo prenderne atto, ma non lo faranno in maniera spontanea, senza provocare immani disastri umani e materiali.

In particolare resta da realizzare una transizione molto dolorosa per l’occidente: quella dalla democrazia formale dei parlamenti alla dittatura esplicita dei militari. Gli ultimi due imbarazzanti presidenti espressi dagli USA, Trump e Biden, dovranno essere sostituiti da figure militari di alto livello, che sappiano garantire al capitalismo una qualche sopravvivenza. In questa trasformazione epocale la UE non riuscirà a emanciparsi dal ruolo di sudditanza nei confronti degli USA, a meno non venga conquistata dalla Russia.

 

[14] Niente di nuovo sul fronte occidentale

 

Ho sempre più l’impressione che l’Ucraina e le forze della NATO (escluse Turchia e Ungheria) siano impegnate in un conflitto antirusso senza possedere le giuste coordinate geopolitiche per interpretarlo.

Gli statisti ragionano ancora nei termini etici privi di fondamento storico, come “aggressore e aggredito”, “occupante e occupato”, sdoganando in questo modo il golpe del 2014, la natura neonazista del governo di Kiev e la guerra civile condotta contro il Donbass.

Il papato poi parla di pace contrapponendola alla guerra, senza capire la differenza tra “guerra giusta e ingiusta” o tra “guerra offensiva e difensiva”, o tra “solidarietà” (anche militare) nei confronti di popolazioni oppresse (come quelle del Donbass) e “indifferenza” verso il loro destino (come ha sempre fatto l’occidente).

Inoltre sul piano giuridico considerano del tutto insussistente il diritto all’autodeterminazione dei popoli rispetto al diritto alla sovranità politica di uno Stato e all’integrità territoriale di una nazione.

Continuano a ragionare coi vecchi schemi della guerra fredda: “chi non è con noi, che siamo i migliori, è contro di noi, e noi ci sentiamo autorizzati a usare qualunque mezzo e modo per farlo capire”.

Non hanno ancora capito che il mondo si sta trasformando sotto i loro occhi e che il loro tempo è scaduto. Tutta questa marmaglia di gente ipocrita e irresponsabile verrà travolta dalla storia, proprio perché insiste pervicacemente a stare dalla parte sbagliata.

 

Dalla Russia con GNL

 

Javier Blas, editorialista di “Bloomberg”, ha detto che la Russia, tramite Paesi amici, sta ancora vendendo all’Europa, per centinaia di milioni di dollari, carichi di gas naturale liquefatto (GNL). E naturalmente lo paghiamo molto di più di quello stesso gas che fino a ieri acquistavamo coi gasdotti.

Decine di navi metaniere stanno attraccando ora in Europa: p.es. quella denominata Pskov, lunga quasi 300 metri, è salpata addirittura da un nuovo terminal che si trova accanto alla stazione di pompaggio della turbina di Portovaya sull’ormai defunto gasdotto Nord Stream 1, quindi è partita dalla stessa Russia, che, come noto, è il quarto spedizioniere di GNL al mondo, dietro solo a Qatar, Australia e Stati Uniti, e davanti ad altri Paesi come Malesia e Nigeria.

Quindi da un lato puniamo, dall’altro facciamo finta di non farlo. È anche vero però che i Paesi occidentali hanno imposto sanzioni al petrolio, ma senza toccare il gas russo (salvo naturalmente il sabotaggio del Nord Stream). Così, quasi l’80% del GNL che il Cremlino ha esportato quest’anno è andato alle nazioni europee e asiatiche, pur considerate ostili o cobelligeranti.

Se proseguono al ritmo attuale, le vendite di GNL russo raggiungeranno nel 2022 un record annuale. La Spagna, il sesto acquirente di GNL al mondo, ha importato finora dalla Russia nel 2022 più di qualsiasi altro anno. Anche il Belgio è sulla buona strada per battere il proprio record annuale. E la Francia ha acquistato circa il 6% in più tra gennaio e settembre rispetto a tutto il 2021.

Da notare che mentre le principali società energetiche euroamericane hanno lasciato la Russia, quelle giapponesi sono invece rimaste, e il governo di Tokyo non accetta il price cap deciso dal G7 sul petrolio, per non indispettire Putin, che ha promesso d’interrompere le forniture a chi l’applicherà.

Gli europei sono sempre stati meno pragmatici dei nipponici, i quali ovviamente devono aver preso sul serio le parole del FMI: “L’inverno 2022 sarà difficile per l’Europa, ma l’inverno 2023 sarà probabilmente peggiore”. A noi ci vorrà più tempo per capire che il vantaggio per l’Europa di evitare una carenza di gas l’anno prossimo è probabilmente maggiore del vantaggio per la Russia di ottenere entrate extra.

Fonte: giubberosse.news

 

[15] Cos’è la Dottrina Gerasimov?

 

Anzitutto chi è Valery Gerasimov? È Il capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe, è un generale d’armata, coinvolto nella seconda guerra cecena, nella guerra in Siria, nell’annessione della Crimea e nella disfatta di Mariupol. È una delle persone più odiate e sanzionate dall’occidente. È stato lui a dare una svolta alla dottrina militare russa.

Gerasimov era partito da una semplice constatazione: anche uno Stato perfettamente fiorente può subire dei rovesci politici ed entrare in un caos istituzionale in pochissimo tempo. Come mai?

Ciò che l’aveva impressionato era il successo delle Primavere arabe e delle Rivoluzioni colorate. Aveva capito che le regole della guerra erano cambiate e che il ruolo degli strumenti non militari nel conseguimento di obiettivi strategici e politici poteva anche superare in efficacia la forza delle armi.

Di qui l’idea, maturata nel 2013, di far adottare dalle forze armate russe gli stessi strumenti in uso in quelle occidentali: strumenti mediatici e psicologici (a causa del ruolo crescente dell’informazione e della propaganda), infotelematici (fondamentale il ruolo degli hacker, dei social network e dei satelliti), la costruzione di quinte colonne in luoghi stranieri senza l’uso delle armi, una forte pressione diplomatica e, in ogni caso, un impiego limitato ma incisivo della forza militare, colpendo soprattutto le strutture economiche dello Stato. Naturalmente la sua svolta si situava in un solco già segnato da altri generali a lui precedenti: Makhmut Gareev, Vladimir Splichenko e Nikolay Makarov.

Insomma i carri armati servono ma fino a un certo punto. Ci vogliono asimmetria e irregolarità nei teatri di guerra aperta, che è diventata sempre più ibrida, nel senso che può cominciare in ogni istante, colpendo qualunque luogo e aggredendo qualsiasi settore, proprio perché imprevedibile. Questo al fine di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, come appunto era successo in Crimea.

Oggi i soldati psico-cibernetici dell’Internet Research Agency, (impegnati in operazioni di propaganda online), l’intervento dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva in Kazakistan, il crescente impiego del Gruppo Wagner, la decisione di affossare il primato del dollaro, di creare un mondo multipolare: in una parola la strategia globale del Cremlino parla la lingua di Gerasimov. Peccato ch’egli abbia sottovalutato la controffensiva ucraina nel Donbass: di qui la sua sostituzione col generale Sergej Surovikin, che di sicuro userà metodiche più radicali.

 

Gli avvoltoi sono tutti nostri

 

Tutti sanno che in occidente quando scoppiano le guerre gli speculatori se la godono. Bisogna solo trovare il prodotto giusto per farlo. Oggi uno di questi, sicuramente il più redditizio, è il gas. E il luogo dove i prezzi salgono alle stelle è la famigerata borsa di Amsterdam detta TTF (Title Transfer Facility), che fa capo a Intercontinental Exchange, una società finanziaria statunitense fondata nel 2000, che dal 2013 controlla anche la Borsa di New York.

Giusto per fare un esempio: mentre in Russia il costo di un MWh di gas si aggira sui 20 rubli (1 rublo è pari a circa 0,016 euro nei mercati occidentali), in Italia invece viaggia sui 200 euro (nel 2020 era 12 euro) e da noi purtroppo il gas incide molto anche sul prezzo dell’elettricità: di qui la chiusura di tante aziende, pur in presenza di ordini commerciali.

Gli olandesi sono esperti in speculazioni finanziarie: la prima la inventarono coi tulipani nel 1637. Al loro sporco gioco partecipano anche varie compagnie energetiche europee monopoliste del settore, che naturalmente si oppongono a qualunque ipotesi di price cap. In Italia è soprattutto l’ENI (cui partecipa anche il Tesoro) che acquista gas da Gazprom.

I siti Megas e ComeDonChishiotte sono stati tra i primi a far notare tale oscenità. Oggi ne parlano tutti, anche se il mainstream continua ad accusare Putin d’essere la causa remota di questi assurdi rincari.

In realtà la Russia non c’entra niente. Gli avvoltoi svolazzano tutti in occidente e in assoluta tranquillità, poiché speculare, anche follemente, è permesso e a nessuno verrebbe in mente di nazionalizzare imprese così strategiche.

Al TTF non fanno altro che scommettere attraverso contratti post-datati nel tempo (futures). Ovvero promettono di consegnare un certo quantitativo di gas (che materialmente non hanno) a un certo prezzo e a una certa data. È come una bisca legalizzata che rende il prezzo del gas così volatile da trasformarlo in un bitcoin. Dopodiché i governi, che a definirli corrotti è poco, permettono alle compagnie che rivendono gas naturale, di stipulare contratti con famiglie e imprese sulla base di un prezzo legato all’indice TTF, che peraltro è una borsa di piccole dimensioni. In Italia i contratti dipendono per almeno il 70% da quell’indice.

Mondo reale (economico) e mondo speculativo (finanziario) sono completamente scollegati tra loro. Solo che in questo maniera si distruggono intere società. Già si era vista questa cosa assurda coi mutui subprime americani, che fecero scoppiare la terribile crisi del 2007-8, cui le banche centrali cercarono di porre rimedio emettendo mostruosi quantitativi di banconote.

Insomma vien quasi da pensare che le sanzioni energetiche alla Russia siano proprio servite per favorire la speculazione privata in questo settore. È vero, a pensar male si fa peccato, ma di sicuro il sabotaggio del Nord Stream non gioca a favore di una stabilità dei prezzi del gas. Semmai tranquillizza di più la dichiarazione di Putin sulla possibilità di trasformare la Turchia in un hub per la vendita del gas nella UE usando le condutture del TurkStream e altre da costruire sotto le acque del Mar Nero. Noi europei però non ci meriteremmo questi regalini.

 

Ora la Russia è uno Stato terrorista

 

Quasi all’unanimità (tra gli Stati presenti al momento della votazione) l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa di Strasburgo (che non va confuso col Consiglio Europeo, organo d’indirizzo politico della UE con sede a Bruxelles) ha invitato gli Stati membri a definire la Russia uno “Stato terrorista”. In questa maniera qualunque trattativa di pace sarà impossibile. È come chiedere alla Russia una resa incondizionata.

Il Consiglio d’Europa, nato nel 1946, dà impulso alla stipula di convenzioni internazionali, soprattutto nel campo dei diritti umani. La Bielorussia, che godeva dello status d’invitato speciale, è stata sospesa nel 1997. Il 15 marzo scorso è stata esclusa la Russia.

Se i 46 Stati membri che lo compongono dovessero accogliere l’invito, dovrebbero scattare ulteriori sanzioni, anche se il Consiglio non fa parte degli organi della UE (in genere ci finiscono i politici non eletti nelle rispettive nazioni). E le sanzioni dovrebbero essere anche nei confronti di quei Paesi che con la Russia hanno rapporti commerciali, come p.es. Cina e India. Come farebbe però la UE ad acquistare il gas russo proveniente dal TurkStream?

È la seconda volta che un’istituzione internazionale promuove l’adozione di massa della qualifica di “Stato terrorista” ai danni di un Paese. Finora gli unici ad adottarla erano stati gli USA, avendola inventata. Con quella nomea Washington ha marchiato Stati come Siria, Iran, Corea del Nord e Cuba.

Nel diritto internazionale una definizione di “Stato terrorista” non esiste: un intero Stato o un’intera Nazione non può essere “terrorista”. Anche un bambino lo capisce. Cuba fu inserita in quella black list solo per aver rifiutato di estradare un cittadino americano colpevole di aver ucciso nel 1973 un agente di polizia del New Jersey.

Il Consiglio d’Europa ha considerato nulli i recenti referendum nel Donbass, fornisce pieno sostegno all’Ucraina (chiede anche di rifornirla di sistemi di difesa aerea) e pretende che si istituisca un tribunale speciale ad hoc incaricato di perseguire il crimine di aggressione commesso dalla Russia. Inoltre considera terroristi tutti i partiti politici russi che non si sono opposti all’operazione speciale militare e chiede che i negoziati di pace possano aver luogo solo alle condizioni dell’Ucraina. Infine auspica che la Russia venga espulsa dal Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Sembra un organismo di persone fuori di senno. La segretaria generale è la croata Marija Pejčinović Burić, politicamente di centro-destra, la quale evidentemente deve avere scarse cognizioni di diritto, poiché non ha alcun senso equiparare i civili che muoiono sotto un bombardamento bellico alle vittime di un attentato terroristico. In Ucraina semmai è il governo di Kiev ad essere terrorista, poiché coi missili prende di mira soprattutto i civili e quando occupa i territori del Donbass la prima cosa che fa è quella di eliminare i filorussi. È dal 2014 che persegue questo genocidio.

Quest’anno il Consiglio ha assegnato il Premio Václav Havel per i diritti umani a Vladimir Kara-Murza, un politico, scrittore e storico russo, arrestato in aprile 2022 perché accusato di tradimento, in quanto agente straniero (lui definisce tutta la leadership politica russa e i generali coinvolti nel conflitto ucraino dei “criminali di guerra”). Di recente ha acquistato una casa negli USA per quasi un milione di dollari.

L’anno scorso il premio era stato dato alla leader dell’opposizione bielorussa Maria Kolesnikova, che nel 2020 guidava la campagna elettorale del banchiere Viktor Babaryko, principale avversario di Lukashenko, arrestato con accuse di riciclaggio e corruzione. Babaryko, dirigente della Belgazprombank, avrebbe intascato tangenti per oltre 11 milioni di dollari.

Da notare che tale Consiglio, pur auspicando il rispetto delle minoranze nazionali, chiede di astenersi da qualsiasi discorso basato su motivazioni etniche. Cioè non capisce che l’autodeterminazione dei popoli è il primo diritto da rispettare. Ha preteso di formulare un concetto giuridico inesistente come quello di “Stato terrorista” e non ha nemmeno un concetto adeguato di “popolo”.

Per la cronaca, hanno espresso voto favorevole alla risoluzione anche gli italiani: Manuel Vescovi (Lega), Marina Berlinghieri (PD) e Maurizio Buccarella (Gruppo misto). In percentuale han votato 79 deputati su 100. Per il testo finale han votato, sempre in percentuale, 99 su 100. Uno si è astenuto. Non si sa chi. In tutto i delegati sono 306. Il loro numero varia a seconda della consistenza della popolazione nazionale: l’Italia ne ha 18. Tra i Paesi membri effettivi (non osservatori) vi sono Serbia, Turchia e Ungheria, che non avevano aderito alle sanzioni antirusse. Ma ci sono anche Armenia, Azerbaijan, Georgia... che non possono certo dirsi estranei all’influenza russa. Ma ancora non si sa quali Paesi fossero effettivamente presenti al momento della votazione.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

[16] Ministoria della CIA

 

La Central Intelligence Agency (CIA) fu fondata nel 1947 da Dwight Eisenhower, William Donovan, Allen Dulles e Harry Truman. La legge non prevedeva la necessità che i tribunali e il Congresso sorvegliassero una semplice struttura di aggregazione delle informazioni, e quindi la subordinava esclusivamente al Presidente, attraverso il Consiglio di Sicurezza Nazionale da lui controllato.

Tuttavia nel giro di un anno l’Agenzia si era già liberata del suo ruolo di raccolta e analisi di informazioni per creare una divisione di operazioni segrete. E dopo un decennio dirigeva la copertura delle organizzazioni giornalistiche americane, rovesciava governi democraticamente eletti, creava organizzazioni di propaganda per manipolare l’opinione pubblica, lanciava una lunga serie di esperimenti di controllo mentale su soggetti umani inconsapevoli e interferiva con le elezioni straniere. Da lì alle intercettazioni dei giornalisti e alla compilazione di dossier sugli americani che si opponevano alle sue guerre il passo è stato breve.

Era diventata un braccio operativo e per lo più politico del governo. Il ruolo limitato di “supervisione dell’intelligence” che, a un certo punto, è stato concesso al Congresso per placare l’opinione pubblica, non è mai stato preso sul serio da nessuno, tant’è che l’Agenzia stessa continua a nascondere le operazioni politicamente sensibili.

La CIA è un’entità extralegale da 75 anni, non diretta dal popolo o dalle sue istituzioni rappresentative, ma da una sola persona: il Presidente. Non protegge la sicurezza della nazione o la democraticità dello Stato, ma li mette a rischio. Anche perché è autorizzata a uccidere chiunque venga ritenuto, per qualche ragione nascosta (“classificata”), un “nemico”, e l’ha fatto sotto tutte le amministrazioni governative americane, democratiche e repubblicane. Oggi, p.es., vorrebbe eliminare Julian Assange, fondatore di WikiLeaks (che sta per essere estradato dal Regno Unito) e Edward Snowden (che di recente ha ottenuto la cittadinanza russa). Fu proprio Snowden a rivelare che la CIA intercettava le telefonate degli statisti europei.

Fonte: comedonchisciotte.org

 

Fine Massimo Fini

 

Ottimo l’art. di Massimo Fini su “Il Fatto Quotidiano” del 9 ottobre. Eccone alcuni stralci.

Nel 1999, quando la Serbia fu aggredita, D’Alema era presidente del Consiglio. L’aggressione era opera degli americani, ma D’Alema e tutti i D’Alema della terra giudicarono non solo legittimo ma determinante l’attacco alla Serbia in pieno contrasto con le norme del diritto internazionale.

La questione Serbia-Kosovo è omologa, anche se a senso invertito, a quella Russia-Ucraina-Donbass. Se si bombarda per 72 giorni una grande capitale europea come Belgrado, è poi difficile attaccare Putin se bombarda Kiev.

C’è inoltre una differenza: gli Stati Uniti erano a 10.000 km di distanza dalla Serbia e dal Kosovo... Putin questi problemi ce li ha ai confini della Russia.

Milosevic aveva firmato la pace di Dayton che aveva messo fine alla feroce guerra slava. Ma Milosevic aveva un’altra pecca: la Serbia era l’unico Paese europeo rimasto socialista o, secondo le interpretazioni, paracomunista d’Europa. E mentre un tempo per l’intellighenzia europea era sufficiente essere di sinistra per avere ragione, dopo la cosa si è capovolta: era sufficiente essere socialista o, se si preferisce, paracomunista per avere torto.

Negli ultimi 20 anni gli americani, spesso seguiti dai Paesi europei, hanno violato, cominciando proprio dalla Serbia (1999), ogni norma di diritto internazionale, sia quella che vieta di aggredire uno Stato sovrano accreditato all’ONU, sia quella sottoscritta ad Helsinki nel 1975 da quasi tutti gli Stati del mondo che sancisce il “diritto all’autodeterminazione dei popoli”. L’hanno fatto in Iraq nel 2003 (la Germania si dissociò, così come la Spagna del socialista Zapatero), per il petrolio e non perché Saddam Hussein possedesse armi chimiche. Queste armi le aveva avute proprio da americani, francesi e sovietici in funzione anti-iraniana e anti-curda, ma al momento dell’attacco non le aveva più, perché le aveva già scaricate sui soldati iraniani e sui curdi (strage di Halabja, un’intera cittadina “gasata” in un sol colpo, 5.000 morti). Infine c’è l’aggressione alla Libia (2011), Stato sovrano accreditato all’ONU, del colonnello Gheddafi.[5] Tutte queste aggressioni non avevano il patrocinio, ma la condanna dell’ONU.

Un discorso a parte merita l’Afghanistan talebano del Mullah Omar. L’aggressione questa volta aveva il patrocinio dell’ONU, perché si pensava che i Talebani fossero responsabili, direttamente o indirettamente, dell’attacco alle Torri Gemelle. Ma non c’erano afghani, tantomeno talebani, nel commando che distrusse le Torri Gemelle: c’erano sauditi, tunisini, marocchini, egiziani, giordani, algerini, arabi insomma (gli afghani non sono arabi). Non c’erano afghani, tantomeno talebani, nelle cellule di Al Qaeda scoperte dopo l’attacco alle Torri Gemelle.

Comunque ora è stato accertato che la dirigenza talebana dell’epoca era completamente all’oscuro di quell’attacco. L’attacco all’Afghanistan perde dunque la copertura ONU e si trasforma in un’operazione della NATO.

In un discorso all’ONU Muammar Gheddafi affermò che la questione afghana era tutt’altro che chiara, e questo fu uno dei motivi che portarono all’aggressione alla Libia e all’omicidio di Gheddafi, alla presenza dell’esercito francese che non mosse un dito per fermare quell’abominio.

La guerra all’Emirato Islamico d’Afghanistan, come il Mullah Omar volle che si chiamasse lo Stato di cui era a capo, è stata una guerra puramente ideologica, perché l’Afghanistan è un paese poverissimo, privo di quelle risorse energetiche che fanno tanto gola agli occidentali. Non ci piacevano i costumi di quella gente. E siccome non ci piacevano quei costumi abbiamo iniziato una guerra durata 20 anni, con un bilancio di 300.000 morti civili, ma probabilmente in difetto. Non contiamo ovviamente i Talebani perché, a differenza dei civili, erano dei guerriglieri consapevoli dei rischi che correvano.

Poi i Talebani nell’agosto del 2021 sono entrati a Kabul, senza l’appoggio di nessuno.

Gianni Riotta ha sostenuto che i Talebani avevano l’appoggio del Pakistan. Ebbene la più grande e devastante offensiva contro i Talebani si ebbe nella valle di Swat nel 2009 ad opera dell’esercito pakistano. I morti non sono stati contati, gli sfollati sì: saranno due milioni. Il “Corriere della Sera” titolava: “Due milioni in fuga dai Talebani”, invece erano in fuga dall’esercito pakistano. Questa è la nostra informazione.

 

Camminare sulle uova? Anche no!

 

Gli Stati Uniti stanno accendendo una nuova Guerra Fredda in tutta l’Africa, con l’obiettivo di colpire la Russia. Infatti il Congresso ha approvato la “Legge contro le attività maligne russe in Africa” (sic!), cioè il Countering Malign Russian Activities in Africa Act con un voto bipartisan quasi unanime. Si prevede che anche il Senato approverà la legge e che il Presidente Biden la firmerà.

Di mira hanno soprattutto il Sudafrica, il cui governo si è avvicinato troppo a Putin, rifiutandosi di aderire alle sanzioni imposte alla Russia. Inoltre si sa che già i sovietici avevano essenzialmente scritto i documenti ideologici più importanti dell’ANC, il cui linguaggio si ritrova nella strategia e tattica adottata in occasione di ogni Conferenza Nazionale dell’ANC fino ad oggi.

Insomma la Russia minaccia gli obiettivi e gli interessi degli Stati Uniti, con la complicità di vari Stati africani. Per gli americani è come giocare a Risiko. Finché non dominano il mondo intero, non hanno pace.

Il disegno di legge è molto breve e vago. Ad es. non viene definito cosa costituisca esattamente un’“attività maligna”. Deve chiarirlo Blinken di volta in volta.

C’è da scommettere che gli USA stiano già pensando a Paesi come il Mozambico, la Repubblica Centrafricana e il Mali, che hanno invitato mercenari russi per sostenere il governo nel reprimere ribellioni o insurrezioni.

In realtà l’obiettivo è molto più ambizioso. Gli USA non vedono l’ora di sanzionare tutti i governi africani, i funzionari governativi e le persone e le aziende private che hanno facilitato i pagamenti e altre attività proibite a beneficio di persone ed entità legate alla Russia e sottoposte a sanzioni da parte degli USA, o che hanno fornito assistenza a mercenari o forze armate russe.

Vogliono usare economia e finanza come armi di ricatto, per tenere come colonia l’intero continente nero. Siamo alle solite.

Forse è giunta l’ora che anche l’Africa smetta di camminare sulle uova e alzi la testa.

Fonte: africa24.it

 

[17] La strada è tracciata

 

Se viene meno la fiducia nella potenza che l’occidente dimostra o vuole dimostrare sul piano mondiale, le banconote in euro, dollari e sterline perderanno progressivamente il loro attuale valore, e non è detto che ciò non avvenga drasticamente, se la Russia vince la partita contro la NATO. Agli USA e alla UE converrebbe infatti che la guerra in Ucraina durasse il più a lungo possibile.

Che la Russia, insieme anzitutto a Cina e India (e se guardiamo gli incontri che fanno, ormai si parla del 50% dell’umanità), stiano progettando un nuovo mondo multipolare, non è più una novità. E la notizia che arriva direttamente dal Cremlino – secondo cui il mercato dei metalli preziosi non sarà più manipolato dagli squali della finanza, ma dai Paesi stessi che controllano le risorse di questi metalli – è certamente un passo decisivo che va in questa direzione.

La London Bullion Market Association (LBMA) non avrà più il monopolio della gestione di questi metalli e, di conseguenza, sarà costretta ad adeguarsi a quello che avverrà a Mosca, dove è in procinto d’instaurarsi una nuova struttura, il Moscow World Standard (MWS).

Addirittura i prezzi di questi metalli pregiati saranno fissati nelle valute nazionali dei principali Paesi membri, oppure attraverso nuove unità monetarie utilizzate nel commercio internazionale, ad es. la nuova valuta BRICS proposta da Putin.

Dollaro, euro e sterlina perderanno quel fantomatico status (inventato dallo stesso occidente) di monete di riserva, che è stato funzionale soltanto alla colonizzazione dei popoli.

Il mainstream occidentale non vuole parlare di queste cose e preferisce farci credere che il Titanic è la nave più sicura al mondo.

Con questo non voglio dire che torneremo all’autoconsumo e al baratto del mercato locale (a meno che non scoppi un’apocalisse), ma è fuor di dubbio che finiremo con l’usare monete molto diverse da quelle attuali, più somiglianti alle 500 lire della nostra infanzia, quelle con le tre caravelle di Colombo, che oggi possono valere anche migliaia di euro tra i collezionisti, soprattutto se hanno difetti di conio.

Il problema non sarà tanto quello se investire o no nei metalli pregiati come bene di riserva, ma se continuare a dare fiducia alle tradizionali monete occidentali e in ciò che avviene nelle nostre borse di titoli e valori, oppure se passare a un altro paradigma di equivalente universale. Ci vorrà il suo tempo, ma la strada da percorrere sta per essere tracciata. Non sarà solo un ritorno al “Gold Standard”, ma anche l’acquisizione di una nuova consapevolezza: il valore della moneta di una nazione va messo in rapporto all’effettivo valore dei suoi beni, delle sue materie prime, della ricchezza che produce. Se si stabilizzano i prezzi dei metalli, si toglierà la linfa della volatilità di cui si nutre il diavolo della finanza.

 

I nostri sogni in default

 

Tutti conoscono il mito platonico della caverna. Chi ci viveva credeva in cose inesistenti, frutto solo della sua immaginazione. Per avere una visione diversa delle cose doveva spezzare le catene che lo obbligavano a restare lì dentro. Ma chi vi riusciva, se provava a tornare nella grotta per tentare di liberare i suoi compagni, rimaneva molto deluso, perché loro non gli credevano. Questo per dire che per cambiare mentalità non bastano le circostanze esterne, ci vuole anche uno sforzo di volontà.

Ecco perché quando si sentono certe valutazioni economiche occidentali sul destino della Russia, vien da pensare che non ci sia peggior cieco di chi non vuol vedere.

Una delle ultime previsioni (p.es. di Tom Luongo) è la seguente: le sanzioni sarebbero finalizzate a costringere la Russia a comprare beni reali con le sue riserve di oro, non potendo operare sui mercati occidentali né con la propria moneta né con quelle dominanti (dollaro, euro e sterlina). Sicché, una volta esaurite le riserve in oro, la Russia non sarà più in grado di approvvigionarsi dal mondo esterno.

In realtà sta avvenendo esattamente il contrario: è l’occidente che deve usare il rublo se vuole procurarsi gli idrocarburi russi, e la Russia non deve comprare in oro proprio nulla. Anzi siamo sempre noi che dobbiamo adeguarci al fatto che in un mondo multipolare le nostre monete perderanno di molto il loro valore, poiché saranno obbligate a fare riferimento a una ricchezza reale, prodotta dal lavoro, e non a quella fittizia prodotta dalla speculazione finanziaria.

In default non andrà la Russia, che di materie prime (anche strategiche) ne ha da buttare e che vende all’estero più di quello che acquista, ma andranno i nostri sogni, come quelli del sovrano assolutista Giovanni Senza Terra, che, dopo aver rivendicato con la forza la sua monarchia per diritto divino, fu poi costretto ad accettare la Magna Carta Libertatum.

 

Al buio e al freddo

 

Un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat ha rilevato che sono 4,7 milioni (il 10,7% della popolazione) gli italiani che han saltato il pagamento di una o più bollette luce e gas negli ultimi 9 mesi. Il fenomeno è più diffuso nelle regioni del Centro Italia (11,5%), al Sud e nelle Isole (11,2%). In prospettiva dei prossimi aumenti le aree più a rischio sono quelle del Meridione (9,4%, a fronte di una media nazionale pari al 7,7% ).

Il 62% degli intervistati ha dichiarato di aver saltato il pagamento di una fattura per la prima volta.

In base alla suddetta indagine ci sono 3,3 milioni di italiani che hanno dichiarato che, in caso di ulteriori rincari, potrebbero trovarsi nell’impossibilità di far fronte alle prossime bollette energetiche.

Il Codacons ha detto che l’aumento delle tariffe per le bollette di luce e gas degli italiani raggiungerà nel 2023 la maxi cifra di 4.724 euro a famiglia, e sempre che i prezzi restino costanti nel corso del 2023.

Sono cifre mostruose, come se la guerra non fosse in Ucraina ma nel nostro Paese. La destra al governo è in grado di affrontare un problema del genere senza riprendere le trattative con Mosca? Verrebbe da ridere solo a pensarci, se non ci fosse da piangere.

 

Le proposte di Putin

 

Considerando i rapporti sempre più stretti tra Turchia e Russia, è strano che la Turchia non sia stata espulsa dall’Alleanza Atlantica. Se l’avessero fatto nei mesi scorsi, a quest’ora Svezia e Finlandia sarebbero nella NATO anche de jure oltre che de facto, e non avrebbero bisogno di estradare i militanti kurdi.

Putin vuol fare della Turchia il centro globale del gas naturale da vendere ai Paesi balcanici e anche alla UE, se questa toglie le ridicole quanto assurde sanzioni. Divenendo un hub fondamentale, la Turchia si arricchirà a dismisura con gli affitti e l’Ucraina li perderà tutti, tornando al Medioevo.

Ne trarrà beneficio anche la Siria, da cui i turchi dovranno andar via. E quindi staranno meglio anche i kurdi, che saranno meno oppressi dai turchi. Probabilmente anche le tensioni turco-greche-cipriote per il gas del Mediterraneo si ridimensioneranno, poiché dalla Siberia ci sarà gas per tutti.

Come fanno gli USA a fidarsi della Turchia lo sanno solo loro. Forse speravano di potersi tenere un alleato islamico in Medioriente, visto che tutti gli altri Paesi islamici di quell’area li hanno scaricati, preferendo cercare alleanze più significative con la Federazione Russa. Ormai agli USA è rimasta solo Israele nel Medioriente, che però sta cominciando a farsela sotto, perché se c’è una cosa che i sionisti temono è l’isolamento in un’area in cui si sentono circondati.

Insomma Putin sta facendo proposte a destra e a manca che rifiutarle sarebbe da pazzi.

 

[18] Le api assassine della democrazia

 

Come noto, per analizzare i reperti dell’esplosivo con cui è stato sabotato il gasdotto Nord Stream, la premier svedese, Magdalena Anderson, aveva escluso la presenza dei tecnici russi. Ciò è normale, in quanto avrebbero scoperto la verità.

Meno normale è il fatto che l’investigatore capo, Erik Olsen, vice capo dell’ufficio del procuratore svedese, è stato fisicamente eliminato. Aveva promesso di raccontare i fatti, ma a casa sua la puntura di un’ape gli è stata fatale.

Nei social era stato confuso con l’omonimo Erik Olsen, un importante ricercatore marino, che però è norvegese e che ha dichiarato di essere vivo!

Sia come sia, l’improvvisa morte del tecnico svedese resta sospetta. E tutti sanno cosa succede quando non vuoi che la verità venga a galla. Si è disposti a compiere qualunque cosa, aggiungendo bugie a bugie. E così, i reperti da non analizzare ora sono diventati due: i resti delle bombe e la salma del tecnico, che però è stata cremata dopo poche ore.

Che gli americani, in tutto ciò, siano coinvolti da capo a piedi, è facile da capire: solo loro potevano compiere un sabotaggio così complesso (eventualmente con l’assistenza di altre forze della NATO).

D’altronde lo si era intuito subito dopo l’esplosione, quando un ex ministro polacco, Radosław Sikorski, ora parlamentare europeo, aveva postato un “Grazie USA” sopra la foto del ribollio marino del metano giunto in superficie. Persino il segretario di Stato americano, Blinken, aveva salutato il danneggiamento del Nord Stream come una “tremendous opportunity” per liberare l’Europa, e anzitutto la Germania, dalla “orribile” dipendenza energetica di Mosca. Insomma gli egocentrici di Washington e i russofobi polacchi non avevano resistito alla tentazione di mostrare le loro volontà e capacità distruttive (non a caso la Polonia aveva inaugurato il giorno prima dell’esplosione un proprio gasdotto con la Norvegia). E questo mentre la Svezia ufficiale (i cui sismografi avevano registrato le enormi esplosioni subacquee) nemmeno riusciva a dire la parola “sabotaggio” come causa dello squarcio, per non dover mettersi a cercare il “sabotatore”.

Gli svedesi però si possono capire: è da poco che han rinnegato la loro neutralità, mettendosi dalla parte della NATO. Ma i tedeschi, proprietari di mezzo gasdotto? Non c’è stato un politico di governo che abbia anche solo lasciato intendere qualcosa come “sono stati gli americani”. Le api assassine della democrazia fanno paura.

 

Quel simpaticone di Tabarelli

 

A un convegno promosso a Bologna da Ascom, Abiconf e Unoenergy sharing solutions il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, ha invitato i cittadini a procurarsi un generatore per avere l’elettricità. Questo perché gli italiani dovranno prepararsi all’idea dei razionamenti, se non vorranno avere bollette astronomiche.

Ha usato un’espressione simile a quella del replicante del film Blade Runner: “Ho visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare”. La sua frase era: “C’è uno shock energetico di proporzioni mai viste in Europa e in Italia”.

Ma un generatore domestico con quale energia lo si nutre? Non è che qui ci mangiamo la coda come i gatti?

Lui dice che dobbiamo usare tutto ciò che non è gas o un suo prodotto derivato, tra cui appunto la corrente elettrica. Che cosa dunque? Candele? Maglioni di lana? Le opere complete di Marx-Engels e Lenin, che tanto non le legge più nessuno?

L’unico suggerimento che ha potuto dare è stato il seguente: “Chi abita in montagna, sopra i 300 metri, dovrebbe usare la legna, il pellet: i prezzi sono aumentati anche di quello, ma conviene sempre”.

A questo punto la domanda d’obbligo è la seguente: in Italia dove troviamo tutti questi boschi non protetti da far fuori? E poi che senso ha proibire di usare la legna perché inquina e ora dire di usarla?

Insomma al massimo potremmo comprarci dei pannelli solari da balcone o delle mini-pale eoliche da giardino, sempre che siano davvero utilizzabili, convenienti e fiscalmente deducibili, poiché gli speculatori han cominciato a farsi sentire anche in questi settori. In ogni caso difficilmente potrebbero sostituire in toto il gas o la luce, a meno che non si abbiano condizioni climatiche davvero favorevoli.

Bisogna ammettere che i russi sono in gamba: coi loro missili e i droni iraniani non stanno bombardando soltanto le infrastrutture energetiche degli ucraini per indurre il governo alla trattativa, ma, sfruttando la nostra stupida russofobia, stanno bombardando anche i nostri neuroni, visto che siamo arrivati a godere nel farci del male da soli.

E comunque Cingolani mentiva: gli stoccaggi del gas non ci faranno affatto superare tutta la stagione invernale, ma al massimo qualche mese. Prevedo comunque che gli italiani si solleveranno quando durante le feste natalizie e di fine anno non potranno usare le luminarie.

 

[19] Il bisogno impellente di una guerra

 

Si dice, tra le persone che capiscono qualcosa di geopolitica, che l’élite di potere USA insegue l’obiettivo di riprendere il dominio unipolare sul mondo che aveva ottenuto negli anni ’90, dopo lo sfaldamento dell’URSS, un dominio che oggi viene messo in discussione dalla Russia sul piano militare e dalla Cina su quello economico.

In realtà nessuno al mondo è più forte degli USA sul piano militare. Sono loro che dominano i mari e lo spazio cosmico. Sono loro che impongono alle agenzie mediatiche internazionali la loro interpretazione dei fatti. Sono loro che dispongono di basi militari su quasi tutto il pianeta. Se la Russia perdesse la guerra in Ucraina, tutti gli altri Stati del mondo si piegherebbero a questa evidenza, come han sempre fatto dal 1991 (fine dell’URSS) ad oggi.

La Cina è una superpotenza economica, ma in una guerra totale contro gli USA perderebbe, almeno in questo momento.

La Russia è una superpotenza militare con grandi riserve di materie prime strategiche, ma è un Paese circondato da basi NATO: in una guerra nucleare quanto potrebbe resistere?

È vero che se l’attuale guerra nel Donbass l’avessero condotta gli americani nella stessa maniera in cui la stanno conducendo i russi, l’avrebbero sicuramente persa, poiché non sono in grado di combattere come i russi, casa per casa, per un tempo indefinito. Per vincere in tempi brevi preferirebbero affidarsi più alla potenza della loro tecnologia bellica che non al valore delle proprie truppe sul campo. E lo farebbero senza scrupoli di sorta.

Se guardiamo le guerre fatte scoppiare dagli americani, a partire da quella coreana fino a quella afghana, dobbiamo dire che sul campo le han perse tutte, un po’ perché non hanno potuto usare come avrebbero voluto le armi devastanti di cui dispongono, un po’ perché a loro non interessa occupare degli Stati come facevano gli ispano-portoghesi al tempo del colonialismo e gli anglo-francesi al tempo dell’imperialismo. Si accontentano di posizionare una base militare. Per il resto si affidano ai commerci delle loro multinazionali, alla finanza dei loro istituti di credito e alla diffusione capillare della loro ideologia neoliberista. Vogliono dominare col minor sforzo possibile. E non amano sentirsi dire che sono una potenza “imperialista”. Loro hanno il compito di “esportare la democrazia”, di difendere i diritti umani, di far rispettare la legalità internazionale, costi quel che costi.

Gli americani devastano, destabilizzano, fomentano tensioni, fanno scoppiare guerre dove possono, ma non perché qualcuno metta in discussione la loro supremazia mondiale. Chi lo fa, come p.es. la Corea del Nord, è semplicemente patetico. Lo sanno tutti che se gli yankee usassero tutte le loro armi, ridurrebbero gli Stati in condizioni pietose. Ma allora perché questa nazione così potente ha continuamente bisogno di far vedere che è lei a comandare?

Il motivo non sta tanto in ciò che avviene al di fuori degli USA, quanto piuttosto in ciò che avviene al loro interno. Questo è un Paese in procinto di esplodere a causa delle proprie interne contraddizioni. Tutte le guerre che ha compiuto negli ultimi 70 anni sono state dettate dalla paura. Il sogno americano di una vita facile, comoda, agiata, basata su merito individuale e competizione aggressiva, sta per finire. Si sta per infrangere l’illusione di poter continuare a vivere una bella vita a spese altrui.

Le guerre, in cui ogni volta si cerca di tenere unita la nazione inventandosi un nuovo nemico (comunismo, terrorismo islamico, immigrati, Cina e Russia), servono come strumento di distrazione nei confronti dei problemi interni. Sono come una droga, e più a lungo durano, meglio è. Peccato che i loro costi economici oggi non possano più essere sostenuti dal dominio mondiale del dollaro. Anche il primato di questa moneta è destinato a finire.

 

*

 

Questo post ha suscitato una reazione negativa da parte di Diego Paccagnella, che l’ha motivata così: “L’arsenale bellico americano è in gran parte obsoleto sul piano tecnologico, e dalla II guerra mondiale le truppe non s’impegnano sul campo in una guerra con un avversario “vero”. Mediamente le truppe non sono addestrate sul serio, possiedono un po’ di squadre di corpi speciali, di altissimo livello, tra le migliori al mondo, ma possono eseguire missioni relativamente piccole, ed è sempre da vedere in quale contesto (operare in Siria o in Iraq sarebbe ben diverso che farlo in Russia).

Poi c’è la grande flotta di F35, che però non sono questo gran mezzo; è vero, molto propagandati, ma in pratica non sono invisibili ai radar di ultima generazione, mentre il russo Sukhoi SU-57 a quanto pare lo è, anche se ce ne sono ancora troppo pochi in giro per fare testo. Certo gli F35 sono una minaccia seria, ma ne servono tanti per missioni importanti, visto il ridotto carico di armi che possono portare.

Guerra elettronica e armi ipersoniche sono a tutto favore russo e pure cinese, persino a livello di sottomarini.

Escludendo il discorso nucleare (nel quale comunque la tecnologia ipersonica russa cambia i giochi), la grande potenza americana degli anni ’90 è rimasta ferma lì, al punto che oggi, di fronte al cambiamento delle tipologie belliche, appare in gran parte una costosissima zavorra. Ecco perché è dubbio che possa prevalere in una guerra convenzionale contro Russia e Cina; di sicuro non può farlo se queste due nazioni si alleano”.

Di fronte all’obiezione che gli ho mosso di non sottovalutare un Paese che spende 800 miliardi di dollari all’anno (quasi il 4% del PIL) nelle armi, ha così replicato: “Il problema sta proprio lì: si sono beati sugli allori, una volta finita la Guerra Fredda, e, come tutti gli imperi, sono diventati pigri e corrotti. Buona parte di quel budget infatti finisce in costi di manutenzione di tutte le basi sparse nel mondo, e quindi negli stipendi di centinaia di migliaia di fannulloni: con 1 miliardo di dollari negli USA si fa ben poco, tra sovracosti, tangenti e corruzione di ogni tipo, mentre in Russia o in Cina, quanto vale quel miliardo? 10, 50?

La lobby delle armi, tra le più potenti in assoluto, si mangiano il budget, distribuiscono regalie e tangenti, e poi producono ben poco di valido per una guerra seria: l’esempio più lampante è l’F35, ma pure gli F-22 e i B2 sono esempi clamorosi, costosissimi, tanta fuffa ma poca sostanza. I “nemici” invece non hanno perso tempo, e ora controllano molto meglio il complesso militare-industriale”.

Dopo avergli confermato che effettivamente sull’F35 se ne sono dette di tutti i colori: troppo costosi, esigenti nella manutenzione…, così mi ha risposto: “L’F35 è stato creato con lo stesso concetto che gli USA hanno delle guerre: non per vincere ma per sprecare denaro dei contribuenti, cioè per spartirsi i soldi. L’F35 è il caccia multiruolo più costoso della storia dell’aviazione, ha il più alto costo di mantenimento in volo e a terra, ma è talmente complicato, talmente ambizioso che lo stesso Pentagono e i marines hanno più volte criticato i mille problemi che crea, sicché han preferito rifilarli ai “partner” occidentali”.

 

I moralisti del Bene assoluto

 

Se c’è una cosa che non sopporto di questa guerra russo-ucraina è il trito moralismo di chi la interpreta. Usare categorie meramente etiche, che si pretende siano valide in ogni tempo e luogo, è come tornare indietro di 2400 anni, quando Platone, filosofo ingenuo e totalitario allo stesso tempo, cercava l’idea assoluta del Bene. Non a caso Nietzsche diceva ch’era lui il vero fondatore del cristianesimo.

Già parlare di “guerra russo-ucraina” è sbagliato. Questa è una guerra che gli euroamericani conducono in Ucraina contro la Russia sin dai tempi della cosiddetta rivoluzione arancione del 2004, quando gli ucraini filo-occidentali rifiutarono la vittoria elettorale del filo-russo Janukovyč.

Il ruolo degli USA è sempre stato preponderante rispetto a quello della UE, ma questo dipende dal fatto che nella NATO sono loro che comandano. Quella non è un’alleanza tra Stati paritetici. Infatti il golpe del 2014, sempre contro Janukovyč, furono soprattutto gli americani a organizzarlo. Gli europei seguono le direttive americane come un cagnolino addomesticato il suo padrone.

A quel tempo la UE scongiurò una guerra dell’Ucraina, appoggiata dagli USA, contro Mosca, riconoscendo il fatto che la Crimea era passata sotto la Russia.

La mediazione europea, soprattutto franco-tedesca, sotto la pressione russa, fu anche indotta ad accettare parzialmente le esigenze rivendicative dei separatisti del Donbass: nessuno riconobbe ufficialmente le due repubbliche di Donetsk e Lugansk, però si condivise l’idea che il conflitto tra Kiev e le due repubbliche venisse regolamentato dai due Accordi di Minsk. Gli europei non volevano vedere un’altra guerra in Europa dopo quella disastrosa che aveva frantumato la Jugoslavia, cui la NATO aveva partecipato in maniera scriteriata.

Resta il fatto che dal 2014 allo scorso 24 febbraio la UE non è mai riuscita a impedire né che l’Ucraina diventasse un Paese sostanzialmente neonazista, né che il governo di Kiev conducesse una guerra civile contro le due repubbliche del Donbass, che comportò 14.000 morti e una orrenda strage a Odessa. Praticamente in questi ultimi otto anni la UE ha semplicemente dimostrato che la volontà degli USA di scatenare una guerra contro la Russia non poteva essere ostacolata da niente e da nessuno. Non si è riusciti a democratizzare l’Ucraina: si è finiti con l’ucrainizzare l’Europa.

Infatti dopo il 24 febbraio gli europei han smesso di riconoscere un qualche valore al principio di autodeterminazione dei popoli, quello che ha indotto i russi a mettere in atto la solidarietà nei confronti degli abitanti russofoni e filo-russi perseguitati nel Donbass. Subordinati completamente alla narrativa americana, gli europei han preferito negare questo principio in nome di altri due: la sovranità politica dello Stato e l’integrità territoriale della nazione. In nome di questi due diritti han dichiarato guerra alla Russia, arrivando persino a rimettere in discussione il ruolo della Crimea.

Da questa visione parziale delle cose è nata negli europei l’interpretazione distorta dei fatti, fino alla negazione completa della verità. Di qui le schematiche e sostanzialmente false contrapposizioni categoriali di aggredito e aggressore, occupante e occupato, invaso e invasore... che il mainstream continua ancora oggi a usare, in pieno stile orwelliano.

Tutti gli statisti europei si sono messi al servizio della volontà che gli americani esprimevano attraverso sanzioni antirusse, sostegno finanziario agli ucraini e appoggio militare attraverso la NATO. Nessuno ha avuto il coraggio di negare alla UE la sua funzione di mera colonia degli USA.

Ora la domanda che ci si pone è la seguente: una potenza economica priva di qualunque spessore politico, che possibilità ha di sopravvivere in un mondo multipolare? Non è ridicolo che gli statisti europei si appellino alla sovranità politica degli Stati e all’integrità territoriale delle nazioni, quando nei loro rapporti con gli americani sono proprio questi due valori che vengono meno? Il primo perché a livello geopolitico non abbiamo voce in capitolo; il secondo perché siamo occupati dalle basi americane, che godono della extraterritorialità.

I moralisti del Bene assoluto, figli di un’Europa che ha scatenato due guerre mondiali, sapranno impedire che ne scoppi una terza?

 

[20] Una guerra pedagogica?

 

In fondo questa guerra russo-ucraina contiene anche aspetti pedagogici.

Chiediamoci: perché gli americani sono odiatissimi in Medio Oriente? Solo perché han sempre difeso Israele, qualunque cosa facesse? Anche per un’altra ragione: bombardavano a tappeto, senza fare distinzioni tra civili e militari, senza distinguere, tra i civili, gli adulti dai bambini, e soprattutto perché usavano armi talmente pericolose che hanno avuto conseguenze nocive alla salute umana anche molto tempo dopo la fine delle ostilità. Si pensi solo all’uranio impoverito.

Guardiamo invece i russi. Sin dall’inizio, quando avevano circondato Kiev senza sparare un colpo, speravano che la popolazione insorgesse da sola per liberarsi del proprio governo neonazista.

Dopo essere rimasti disillusi, trasferirono l’intervento militare vero e proprio nel Donbass, che fu causa remota della cosiddetta “operazione speciale” (che guerra di uno Stato contro un altro Stato non voleva essere). Notiamo che Putin e il parlamento russo ci han messo otto anni prima di riconoscere formalmente (legalmente) le due repubbliche separatiste. Come se avessero voluto sincerarsi che il desiderio di staccarsi dall’Ucraina fosse ben motivato, non una cosa estemporanea.

Una volta entrate, le truppe russe non han voluto agire da sole, ma han chiesto agli stessi uomini delle due repubbliche, idonei al servizio militare, di difendere i loro territori attivamente. Cioè non han detto: “Ci pensiamo noi, fatevi da parte”. Non han voluto far vedere che la liberazione dai neonazisti ucraini poteva essere compiuta solo da una forza esterna superdotata. Chi vuol essere libero, la libertà se la deve guadagnare. Anche adesso che quei territori del Donbass sono stati incorporati, tramite referendum, all’interno della Federazione, di fatto tutti i loro abitanti hanno la responsabilità di difenderli dalle eventuali controffensive ucraine, spalleggiate in vari modi dalle truppe e dai mezzi occidentali.

Vedendo un comportamento del genere, viene istintivo pensare a quanto diceva il Manzoni nel coro dell’atto terzo dell’Adelchi: “Il forte si mesce col vinto nemico, / col novo signore rimane l’antico; / l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.” Cioè gli italiani che avevano sperato d’essere liberati dal giogo longobardo, contando non su stessi ma solo sull’esercito franco, finiranno (nel Medioevo) con l’avere non uno ma due padroni.

Ecco, tale conclusione non dovrà accadere nel Donbass, anche se i media occidentali (possiamo prevederlo sin da adesso) diranno, nel migliore dei casi, la stessa cosa del Manzoni. Nel peggiore diranno che il Donbass, prima dell’intervento russo, viveva in una democrazia, dopo vivrà in un’autocrazia.

 

Una guerra rivelatrice

 

In un continente come il nostro, di circa 448 milioni di abitanti, con un PIL di 14.500 miliardi di euro (secondo solo a quello americano), tutti i suoi statisti dovrebbero dire: “Noi non prendiamo ordini dalla NATO, è la NATO che prende ordini dalla UE”.

I nostri statisti (capi di stato e di governo) non hanno il senso della democrazia ma del servilismo nei confronti degli USA, che pur sono soltanto uno dei 30 Paesi della NATO.

Questa guerra russo-ucraina è stata davvero uno spartiacque a livello internazionale, in quanto ha saputo mettere perfettamente in luce quanto la UE svolga una funzione sussidiaria, sul piano politico-militare, nei confronti della pretesa egemonica degli USA. Praticamente l’unico statista a differenziarsi dagli altri è stato l’ungherese Viktor Orbán, il quale ha avuto il coraggio di dire: “le decisioni politiche di Bruxelles contro la Russia sono responsabili dell’aumento dei prezzi dell’energia. Le sanzioni che hanno impoverito gli europei oggi vanno sottoposte a referendum”.

La mancanza di democrazia di tutti gli statisti europei è facilmente riscontrabile anche nel fatto che non hanno saputo affrontare il conflitto ucraino né avvalendosi dell’autorevolezza dell’ONU né proponendo una conferenza internazionale sul problema delle due repubbliche autonomiste del Donbass.

Pur avendo già visto di quali disastri militari sono capaci gli USA e la NATO (di cui uno, quello jugoslavo, compiuto nella stessa Europa), e pur sapendo che per impedire questa guerra non avrebbero mai potuto ottenere il consenso unanime del Consiglio di sicurezza dell’ONU, i nostri statisti non si sono chiesti minimamente il motivo per cui grandi Stati dell’umanità (come Cina, India, Brasile ecc.), che insieme compongono la metà di tutti gli abitanti del pianeta, si siano rifiutati di aderire alle sanzioni contro la Russia.

I nostri statisti hanno manifestato atteggiamenti d’indifferenza, se non di disprezzo, persino nei confronti dell’Assemblea generale dell’ONU, dove è rappresentato quasi tutto il genere umano. Si sono comportati con questo atteggiamento supponente, altezzoso, proprio perché, come gli USA, sono abituati a una visione unipolare del mondo, in cui gli unici davvero a comandare sono gli USA e, in una posizione ancillare, la UE. Di qui l’uso dell’ONU come di un loro strumento politico e propagandistico.

Questa guerra ha messo in luce la pochezza dell’intero occidente, la falsità della sua democrazia, la totale incapacità a difendere il diritto dei popoli alla loro autodeterminazione.

A questo punto diventa insensato persino andare a votare, a meno che non si tratti di un referendum pro o contro le sanzioni antirusse, oppure pro o contro il sostegno finanziario e militare all’Ucraina.

Questa guerra ha messo in luce uno scollamento incredibile tra la volontà popolare e quella delle nostre istituzioni: viaggiano su binari opposti e producono narrative mediatiche antitetiche.

Nessuna democrazia è possibile in Europa se non ci si libera dalla sudditanza nei confronti degli USA e se non si assume il pieno controllo politico e militare di tutte le basi della NATO. Non è possibile che interi pezzi del nostro territorio europeo vadano considerati estranei alla nostra giurisdizione, in quanto gestiti da un Paese straniero. Uno statista che non capisce queste cose elementari della democrazia andrebbe rimosso: è indegno del ruolo che ricopre.

 

Lo zio Sam ti vuole morto

 

Interessante articolo di John Kaminski (un veterano della Marina americana in congedo), autore di America’s Autopsy Report, una raccolta di suoi saggi.

Esordisce ponendo una domanda al lettore: “Ricordi quanti soldati americani morirono nella prima guerra del Golfo? In televisione all’epoca ti dissero che erano circa 64. Più tardi, quando le agenzie di stampa ricalcolarono il totale, da una varietà di fonti, divenne 146. Ma nel 2002, secondo la Veterans Administration, il bilancio delle vittime era arrivato a 8.013!”.

Praticamente sta dicendo che alle istituzioni governative americane non piace far sapere quanti soldati muoiono (né in che maniera lo sono) nelle tante guerre che creano in varie parti del mondo. Infatti non sono guerre difensive, in cui un qualunque cittadino dovrebbe sentirsi mobilitato a difendere il proprio Paese, ma sono guerre offensive, in cui si vanno a distruggere Paesi altrui.

Poi prosegue, in maniera piuttosto sconcertante: “Sembra che le vere scelte quando ti unisci all’esercito americano siano tra arti mancanti, cancro permanente da sostanze tossiche usate dagli stessi soldati americani (soprattutto uranio impoverito), imparare a uccidere donne e bambini innocenti, farsi somministrare vaccini o antidoti pericolosi, mangiare cibo appena commestibile, usare attrezzature scadenti, avere cure mediche insufficienti (anche quando si ritorna in patria feriti) e un addestramento inadeguato e, se sei una donna, essere violentata dai tuoi stessi commilitoni”.

Forse per questo – aggiunge – “nel nostro esercito la maggior parte dei soldati sono stranieri che si sono arruolati solo per ottenere la cittadinanza”. Oppure vi sono “minoranze e i bianchi della classe operaia, ma anche diciottenni che han bisogno di pagare il college o di ottenere uno stipendio”. Non ci sono i figli delle famiglie benestanti.

Non solo, ma se sei un militare di carriera, con 20 anni di servizio per avere la pensione, rischi di non poterti mai congedare, “perché gli alti funzionari militari insistono sul fatto che non possono permettersi di perdere un personale qualificato”.

In Italia ricordiamo tutti quando i nostri militari si prendevano varie tipologie di tumore per essere stati esposti all’uso dell’uranio impoverito nella guerra in Jugoslavia. E ricordiamo anche con quanta fatica riuscissero a farsi riconoscere queste malattie per ottenere un risarcimento. Ebbene Kaminski dice la stessa cosa: “le strutture militari rifiutano di riconoscere i benefici economici, sostenendo che le malattie erano dovute a una condizione antecedente al servizio militare”. Mentono sapendo di mentire.

Infine, sul piano etico, rileva che ai militari viene insegnato anzitutto a uccidere e di farlo anche nei confronti di persone innocenti, “senza timore di censure”. Molti di questi militari “torneranno a casa e si uniranno alle nostre forze di polizia locali in possesso dello stesso atteggiamento, secondo cui va bene sparare a persone innocenti senza paura delle conseguenze”.

Fonte: scoop.co.nz

 

[21] Useremo il nucleare perché siamo vivi

 

Il geopolitologo Dario Fabbri non sta certamente dalla parte dei russi. Qualche mese fa era consigliere quotidiano del saputello Mentana su LA7. Da qui possiamo capire tutti i suoi limiti. Però su una delle cose che spesso ripeteva, aveva ragione: i russi conoscono gli europei molto meglio di quanto non avvenga il contrario. Cioè loro non hanno pre-giudizi (col trattino) nei nostri confronti, poiché sono abituati a compiere valutazioni diverse a seconda delle circostanze. E sono tutte valutazioni molto motivate, da persone esperte e competenti. Noi invece siamo russofobi come narrativa dominante e quindi sempre molto superficiali. Il che naturalmente non c’impedisce di fare affari. Almeno sino al 24 di febbraio.

Dico questo perché sin dai suoi primi discorsi con cui aveva inaugurato la sua “operazione speciale”, Putin aveva previsto molte cose. Una in particolare: i crolli a catena dei nostri governi politici.

Da dove aveva preso questa sicurezza? Semplicemente dal fatto che tutta l’Europa è dipendente dalle fonti energetiche russe, in una percentuale tale da rendere impossibile trovare un’alternativa nel breve periodo. Inoltre la Russia fornisce un enorme quantitativo di cereali e di fertilizzanti, per non parlare di alcune materie prime fondamentali per la nostra metallurgia. Infine il mercato russo per i nostri imprenditori offriva enormi opportunità.

Solo grazie a questa guerra e alle assurde sanzioni economico-finanziarie imposte all’intera Federazione presa in sé, noi europei ci siamo accorti di quanto vasta e profonda sia questa dipendenza. Gran parte del nostro benessere proveniva dalla ingiustificata generosità di una popolazione slava, il cui vastissimo territorio è sempre stato visto da noi con grande invidia.

Ora però siamo alle corde e non vogliamo fare la parte del figliol prodigo. I costi energetici si ripercuotono sui prezzi di tante altre merci (praticamente tutte), generando una crescente, incontrollata inflazione, che non si riesce a fermare aumentando il costo del denaro. La mancanza di fiducia nei confronti delle nostre istituzioni la vediamo anche dall’aumento dei tassi d’interesse sui titoli di stato. Neppure la BCE vuole accollarsi i nostri debiti.

L’Italia sta morendo e con lei l’Europa, dove ogni Stato pensa unicamente a se stesso. Solo che la Germania può avvalersi di 200 miliardi di euro per porre un freno al caro energia. Noi non li abbiamo.

Il dramma però non sta solo in questa recessione catastrofica, ma anche nella caparbia volontà a voler proseguire la guerra contro la Russia, rifiutando qualunque trattativa. Noi non vogliamo la pace ma la vittoria.

Si ha sempre più l’impressione che non solo i russi ci conoscano meglio di quanto noi conosciamo loro, ma anche meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Ci manca ora che per far vedere quanto siamo vivi e vegeti, siamo pronti a usare anche il nucleare.

 

Mercanti diffamatori

 

Il blog thegrayzone.com sostiene che a far saltare, parzialmente, il ponte di Crimea han contribuito alcuni agenti britannici dell’intelligence, di cui uno molto noto: Chris Donnelly, veterano di alto rango e consigliere della NATO.

Oltre che organizzare attentati, Donnelly fa anche un lavoro giornalistico. Infatti è direttore e condirettore, rispettivamente, di due ONG britanniche, The Institute for Statecraft e la sua diramazione Integrity Initiative, nata nel 2015 in collaborazione con la Libera Università di Bruxelles. Entrambe le ONG affermano di essere organizzazioni non governative indipendenti, ma in realtà sono finanziate dal governo britannico, dalla NATO, dal Dipartimento di Stato americano, persino dal Ministero della Difesa lituano e da Facebook, che ha donato 100.000 sterline.

Hanno la missione di “Difendere la democrazia dalla disinformazione”. Il che vuol dire fare esattamente il contrario, in pieno stile orwelliano.

L’Integrity Initiative infatti ha il compito di diffondere la propaganda anti-russa e quindi d’influenzare l’opinione pubblica, l’esercito e i governi di circa 35 Paesi (UE, Regno Unito, USA, Canada e Medio Oriente). Tutte le “persone di contatto” per la creazione di “cluster” (gruppi di contatto) in Paesi stranieri sono ufficiali dell’ambasciata britannica. Donnelly riceve 8.100 sterline al mese per la creazione della rete della campagna diffamatoria.

In particolare la Integrity Initiative crea “cluster” di giornalisti fidati, personale militare, accademici e lobbisti all’interno di Paesi stranieri. Queste persone ricevono avvisi tramite i social media per agire quando il centro britannico percepisce un bisogno.

Per es. al cluster spagnolo sono bastate poche ore per far deragliare la nomina di Pedro Baños Bajo a Direttore del Dipartimento di Sicurezza Nazionale in Spagna. Il gruppo ha stabilito che aveva una visione troppo positiva della Russia e ha lanciato una campagna coordinata di diffamazione sui social media contro di lui. Altro esempio: la politologa Jelena Milić ha messo a tacere le voci pro-Cremlino sulla TV serba. Dirige il Centro per gli studi euro-atlantici, che ha sede a Belgrado, dove promuove l’adesione del Paese alla UE e alla NATO. Gli appartenenti a questi cluster sono ultra fidati, poiché devono remare contro gli interessi dei loro stessi Paesi.

Il cluster principale del Regno Unito comprende anche alcuni nomi di spicco come p.es. il truffatore fiscale William F. Browder, finanziere e attivista politico di origine americana.

Altro personaggio molto noto è Ben Nimmo, ex addetto stampa della NATO, attuale membro senior del Consiglio Atlantico. Facebook l’ha assunto per “guidare la strategia globale di intelligence sulle minacce contro le operazioni d’influenza”. Naturalmente egli ha indicato Russia, Iran e Cina come potenziali pericoli per la piattaforma social.

Pericolosa per la verità dei fatti è anche l’editorialista neocon del “Washington Post”, Anne Applebaum, sposata col guerrafondaio Radosław T. Sikorski, parlamentare polacco nella UE, che di recente ha scritto il tweet “Grazie USA” subito dopo il sabotaggio del Nord Stream.

Una persona d’interesse è l’ex-ambasciatore britannico a Mosca, sir Andrew Wood, che ha consegnato il “dossier sporco” di Christopher Steele al senatore John McCain per diffamare Donald Trump sulle presunte relazioni con la Russia.

Fonte: moonofalabama.org

 

La pace a quali condizioni?

 

Solo una persona in malafede o del tutto ignorante può in questo momento negare che in Europa si stia svolgendo una guerra non dichiarata tra i principali Paesi della NATO (Turchia esclusa) e la Russia. Sono state poi le circostanze a far scegliere l’Ucraina come terreno di scontro.

La guerra vien detta anche per procura, in quanto l’Ucraina non fa parte della NATO, per cui non può esserci una dichiarazione esplicita di guerra da parte dell’occidente. Siccome quindi, in teoria, non si dovrebbero inviare truppe a sostegno delle forze armate ucraine, ci si limita a compiere tre azioni che i russi giudicano ostili, paragonabili a quelle militari, condotte da Paesi cosiddetti cobelligeranti: sanzioni economico-finanziarie a tutta la Federazione Russa, invio di armi e soldi a Kiev. E naturalmente quest’ultima beneficia di una narrativa occidentale profondamente russofoba, che si delinea in due direzioni: far passare gli ucraini per delle vittime (qualunque cosa facciano), nascondendo o minimizzando le caratteristiche neonaziste del loro governo (cui si sono aggiunte di recente anche quelle terroristiche), e attribuire ai russi tutte le nefandezze possibili, falsificando o mistificando la realtà, o addirittura inventandosi cose inesistenti.

In particolare la NATO insiste sull’idea che la Russia non ha la forza per vincere questa guerra, per cui non è conveniente scendere a trattative. Sulla base di questa convinzione il governo ucraino tenta, di tanto in tanto, delle controffensive per occupare porzioni di quei territori del Donbass finiti sotto giurisdizione russa. È spalleggiato dal sostegno militare della NATO, che sta inviando segretamente anche proprie truppe, non distinguibili dagli ucraini in quanto usano le medesime uniformi.

L’esito di queste offensive non è mai decisivo, anzi gli ucraini continuano a perdere ogni giorno centinaia di militari. L’entità delle vittime viene celata persino ai loro parenti: di qui le manifestazioni delle donne in piazza per sapere che fine hanno fatto.

In tali condizioni neppure i russi sono disposti ad accettare dei negoziati, anzi Putin sta cominciando a dire che con un governo terroristico non si può trattare. Ecco perché ha deciso di bombardare tutte le infrastrutture strategiche per la vita civile al fine di arrivare a una resa incondizionata. Per gli ucraini è un’illusione pensare che i russi stiano finendo le loro armi o che vogliano compiere un golpe contro il governo di Mosca. Per loro sarà durissimo passare un inverno senza luce, senza gas e persino senz’acqua.

Sarà forse una guerra di logoramento, simile a quelle di trincea di oltre un secolo fa? La NATO escogiterà qualche altra sordida provocazione per indurre i russi a usare il nucleare tattico? Oppure all’interno dei Paesi europei le popolazioni, schiacciate dai costi spropositati dell’energia, si solleveranno contro i loro governi e le istituzioni irresponsabili della UE? Se la pace non può essere decisa da Stati che non vogliono e non possono perdere la guerra, come se ne esce?

Se si accetta l’idea di una conferenza internazionale, si dovrebbe partire dal presupposto che la Crimea e le quattro regioni del Donbass recentemente annesse dalla Russia tramite referendum siano argomenti non trattabili. I russi potrebbero accettare, a questo punto, solo poche condizioni: non occupare Odessa e quindi non unire territorialmente il Donbass alla Transnistria; non pretendere la denazificazione del governo di Kiev; non impedire l’ingresso dell’Ucraina nella UE. Accettare l’ingresso del Paese nella NATO continuerebbe a restare inaccettabile, poiché il Donbass non si sentirebbe mai sicuro e, a questo punto, neppure la Russia.

Lo strumento della conferenza internazionale avrebbe dovuto essere usato prima, quando dal 2014 al 24 febbraio Kiev non ha mai smesso di bombardare le due repubbliche autonomiste del Donbass. Oggi la guerra è destinata a essere decisa sul campo, in una partita che gli ucraini avrebbero perso da tempo senza l’appoggio occidentale.

E se la NATO deciderà d’intervenire in tutte le forme canoniche di una guerra diretta, esplicita, restando (si spera) nei limiti del convenzionale, chi ci rimetterà di più sarà sicuramente l’Unione Europea e chissà per quanto tempo.

 

[22] Diga, arma di distruzione di massa

 

La Russia ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’ONU d’impedire la distruzione della diga idroelettrica di Kakhovskaya da parte di Kiev, che potrebbe eliminare migliaia di persone.

I giorni scorsi infatti il generale russo Surovikin aveva chiesto di evacuare Kherson, non per timore di una controffensiva delle truppe ucraine, ma proprio perché sapeva che si stavano preparando a distruggere coi razzi la diga e quindi a  provocare  un disastro immane di cui accusare la Russia. “Distruggere la diga è come usare un’arma di distruzione di massa”, aveva detto.

In caso di esplosione un’onda alta 5 metri scenderebbe lungo il Dnepr a una velocità di 25 km/h, distruggendo tutti gli insediamenti e in 2 ore questo tsunami sarebbe a Kherson. Difficile sopravvivere in una simile apocalisse d’acqua.

Zelensky, mentendo come suo solito, ha già detto: “Abbiamo informazioni che i terroristi russi hanno minato la diga e le unità della centrale idroelettrica di Kakhovskaya. Questa è una delle più grandi strutture energetiche. La diga di questa centrale idroelettrica contiene volumi di circa 18 milioni di metri cubi d’acqua. Se i terroristi russi fan saltare questa diga, circa 80 insediamenti saranno nella zona alluvionale, inclusa Kherson”. Questa è una sua mossa standard, imparata dagli occidentali: accusare il nemico in anticipo e poi addossare il crimine su di lui.

Intanto è apparsa la notizia che, al fine di distogliere l’attenzione dei media mondiali dalla progettata distruzione della diga, gli esperti britannici dell’MI6 stanno pensando di effettuare un distraente sabotaggio sul tubo Tolyatti-Odessa di ammoniaca (il più lungo al mondo) nella regione di Nikolaev. La distruzione del condotto dovrebbe essere effettuata nel distretto di Bereznegovatsky, dove vivono più di 15.000 persone.

Successivamente i media occidentali pubblicizzeranno gli eventi di salvataggio degli abitanti dei villaggi vicini e accuseranno la Russia di terrorismo.

I preparativi per un atto terroristico sul tubo dell’ammoniaca sono indicati dalle azioni del Servizio statale dell’Ucraina per le situazioni di emergenza. Infatti hanno già consegnato al distretto un promemoria sul primo soccorso in caso di danni a sostanze chimiche pericolose.

Va anche notato che a Nikolaev è arrivato un gran numero di giornalisti stranieri ai quali è stato detto di documentare una certa emergenza per i prossimi giorni.

Fonte: maurizioblondet.it

 

L’odio acceca

 

Il sito lantidiplomatico.it sostiene che la confisca occidentale (senza precedenti storici) di 300 miliardi di dollari alla banca centrale russa può essere paragonata a una dichiarazione di guerra ai ricchi di tutto il mondo, che infatti si sono allarmati e stanno ritirando i loro capitali dalle grandi borse occidentali.

Gli arabi sono scappati da Londra insieme ai russi. Johnson cadde per questo. Ma tre settimane fa il colosso cinese Sinopec decideva di andarsene dalla City, e i cinesi in generale scappano da Londra.

La Truss non ha capito per nulla l’andazzo (d’altronde come poteva?) e ha fatto una mega manovra a favore di imprese e ricchi, provocando subito una tempesta sui titoli di stato britannici, nonché il crollo della sterlina e della borsa. Le volevano far capire che per realizzare il suo piano sconsiderato non c’erano più soldi in Inghilterra.

L’Arabia Saudita preferisce entrare nei Brics e molti altri Paesi lo faranno. 500 anni di colonialismo europeo e 130 anni di quello americano si stanno sciogliendo come neve al sole.

Insomma ad ogni azione una reazione uguale e contraria.

 

Una bella discussione

 

Mi è capitato ieri di dover dare risposte di una certa consistenza a un amico che ha commentato un mio post. Lui, per spiegare l’operazione speciale di Putin, faceva le seguenti osservazioni:

- La manovra su Kiev dei russi aveva più lo scopo di tenere impegnato il grosso dell’esercito ucraino per operare più agevolmente in Donbass, ed è servito assolutamente. 

Così ho risposto: La tattica militare si decide di volta in volta, a seconda di come il nemico reagisce. Io preferisco dare per scontato che all’inizio Putin volesse soltanto spaventare il governo di Kiev, evitando morti e distruzioni. Per cambiare il governo contava su una reazione antinazista della popolazione, che però non c’è stata. Evidentemente era stato informato male dalla sua intelligence. In fondo 8 anni di ideologia nazista possono modificare il sentiment di buona parte della società civile.

- Ci sono tutta una serie di motivi strategici per spiegare le ragioni reali dell’Operazione Militare Speciale: giacimenti minerari, zone fertili, impianti industriali e stabilimenti unici al mondo... Il Donbass è la zona più ricca e produttiva del Paese. I giacimenti di litio rappresentano per i russi una reale priorità strategica, economica e anche militare, essendo un minerale utilizzato come carburante di missili, liquido di raffreddamento degli impianti nucleari, ecc.

Così ho risposto: La vocazione mineraria e industriale del Donbass è nota sin dai tempi dell’URSS, che in fondo l’avevano creata. Putin non avrebbe mai scatenato una guerra per delle motivazioni economiche pure e semplici, perché sostanzialmente la Russia non ha bisogno di quelle risorse in maniera vitale, tant’è che prevede, p.es., di sviluppare fonti di litio nella regione di Murmansk, in Siberia, in Daghestan e in Yakutia. Anzi dovrà spendere miliardi di rubli per ricostruire il Donbass. Piuttosto doveva essere il governo ucraino a scendere a compromessi con una regione così avanzata. Il fatto che i filorussi si trovino proprio in questa regione così ricca di risorse e imprese è, tutto sommato, casuale, dipendente molto dalla vicinanza geografica con la Russia. Ma i russofoni esistono in tutta l’Ucraina. Persino quello sciagurato di Zelensky lo è. Putin ha voluto salvare dal genocidio una minoranza identificabile regionalmente, ma se i neonazisti continuano a perseguitare tutti i russofoni del Paese in nome della russofobia, possiamo star certi che Surovikin continuerà a usare missili e droni fino alla resa incondizionata.

- Poi, certo, l’esigenza di avere un cuscinetto più ampio per proteggere San Pietroburgo e Mosca dai sistemi missilistici della NATO è ampiamente la motivazione principale dell’operazione speciale.

Così ho risposto: Se la motivazione principale era quella del cuscinetto, allora dobbiamo aspettarci un’occupazione integrale dell’Ucraina, inclusa Odessa, così possono unire il Donbass alla Transnistria in un abbraccio mortale. Ma allora avrebbero dovuto mobilitare sin dall’inizio un milione di militari (visto che dispongono di 20 milioni di riservisti), perché con quelli che avevano, è già stato molto che abbiano liberato il Donbass dai neonazisti. Non credo che in questo momento sarà possibile avere una resa incondizionata bombardando le centrali idriche ed elettriche. Il Donbass ha 8 milioni di abitanti, ma gli altri 32 non hanno intenzione di stare sotto i russi. Un’occupazione integrale del Paese potrebbe anche comportare un dimezzamento della popolazione.

Inoltre coi missili che ha la NATO, la Russia può essere colpita anche dai Paesi Baltici, per non parlare della Finlandia, se riuscirà a farne parte. Per me la questione del cuscinetto è relativa. Putin è intervenuto in segno di solidarietà coi russofoni e filorussi perseguitati, così come ha fatto in Georgia e Cecenia. Certo, la non appartenenza dell’Ucraina alla NATO è non meno importante. Ma sia i russi che gli ex Paesi del Patto di Varsavia sanno bene che in una guerra nucleare, se questi Paesi fossero dotati di armi atomiche, sarebbero i primi a tornare al Medioevo. Solo i polacchi s’illudono di vincere.

 

[23] Un baratto multipolare

 

Si dice che in un mondo multipolare non esisterà più una moneta prevalente sulle altre (come p.es. il dollaro, che sostituì la sterlina).

Si dice che gli scambi commerciali verranno fatti sulla base del valore delle monete nazionali o sulla base di una moneta riconosciuta da tutti i Paesi associati in una determinata organizzazione (p.es. il BRICS).

Si dice che il valore di una moneta nazionale sarà basato su beni reali, come metalli pregiati, risorse naturali, prodotti industriali, ecc.

Tuttavia bisogna ammettere che è sempre molto difficile stabilire il valore di una moneta, che varia per mille ragioni. Scambiare merci sulla base del valore di monete completamente diverse, a loro volta basate su beni completamente diversi può essere un’operazione molto complessa, anche nel caso in cui sia stato costruito un circuito finanziario alternativo allo SWIFT.

Secondo me si dovrebbe proporre qualcosa di simile al baratto, cioè uno scambio paritetico di beni reali o di servizi reali o di beni e servizi reali. Anche per evitare che si formi una nuova tendenza, da parte di qualche moneta, a voler primeggiare sulle altre.

Mi spiego con un esempio. La Cina ha bisogno di idrocarburi e la Russia, che ne è piena, ha bisogno di manodopera per ricostruire velocemente le infrastrutture del Donbass, devastate dalla guerra in corso. Per tutto il ’900 la Russia (come Federazione di popoli e nazionalità) ha subìto dei tracolli demografici spaventosi, come nessun’altra nazione al mondo (forse la Cina). Oggi, rispetto alla sua enorme estensione, è praticamente un Paese spopolato. Per ricostruire il Donbass ci vorranno decenni.

Ebbene perché non fare uno scambio di beni e servizi? Tu mi dai petrolio e gas (anche subito) e io ti ricostruisco (nel più breve tempo possibile) case, strade e ponti.

Ma come si decide il prezzo del bene energetico e di quello della manodopera? Non possiamo lasciar decidere al mercato, lo strumento principale che ha determinato il primato mondiale dell’occidente. Il prezzo complessivo dell’operazione lo decidiamo di comune accordo, intorno a un tavolo, tramite delle trattative negoziali, considerando che siamo amici e apparteniamo a medesime organizzazioni, cioè abbiamo interessi comuni con cui ci sosteniamo a vicenda.

Lo scambio dovrà essere equo, reciprocamente vantaggioso, capace di tener conto di tutti i pro e i contro, ma senza essere calcolato al centesimo, proprio perché non sarà il denaro a deciderlo, ma una sorta di “valore d’uso”. Si tratterà di uno scambio di favori, il cui effettivo valore uno lo deciderà per conto proprio. In questa maniera non scompare il mercato ma si trasforma. Non ci sarà più uno che produce e l’altro che consuma, ma tutti saranno contemporaneamente produttori e consumatori, senza che nessuno voglia prevalere sull’altro, cioè voglia fare il monopolista.

 

Le ambiguità di Lilin

 

Non capisco molto Nicolai Lilin, il romanziere russo residente in Italia dal 2004. Naturalmente qui mi riferisco a lui come storico e geopolitico.

Prendiamo alcune affermazioni di una sua lunga intervista concessa a teleambiente.it nel marzo scorso.

“Putin è un dittatore autoritario che da oltre 20 anni è al potere, è lontano dall’ideale politico occidentale. Per lui, e per chi lo sostiene, un cambio di presidenza ogni quattro anni è un segno di debolezza politica. I russi temono l’occidente, hanno visto cos’ha fatto in Iraq, in Afghanistan, in Siria e nel Nord Africa e sanno che gli Stati Uniti sono il Paese che ha bombardato più Paesi al mondo dalla seconda guerra mondiale a oggi. Seguendo le sue ambizioni geopolitiche, Putin è appoggiato dalla maggioranza dei russi perché l’occidente lo ha permesso (col suo comportamento aggressivo). L’occidente ha perso la sua identità, sostituendola con l’impulso irrazionale. Oggi viviamo in una società regolata dall’impulso del consumismo e della mancanza di spirito critico. Sì, Putin ha invaso l’Ucraina, ma non tutti sanno che dal 2014, nel Donbass, la popolazione russofila viene sterminata indiscriminatamente dai neonazisti, riuniti in formazioni paramilitari col beneplacito della polizia. Lo confermano anche associazioni indipendenti e di certo non filorusse, come Amnesty International. La narrazione occidentale però ha omesso questi fatti. La Russia è uno dei Paesi più corrotti al mondo. Il flusso di denaro dalla Russia ha fatto comodo a lungo all’occidente. Ora le sanzioni hanno stravolto il mercato tra l’Europa e la Russia. La situazione attuale fa comodo soprattutto agli Stati Uniti, che stanno realizzando il loro progetto di mantenere l’egemonia economica e militare in Europa. Per loro la Russia è un pericolo, non è un partner e lo vorrebbero come un vassallo. George Bush sr. ed Helmut Kohl dettavano la linea a Gorbaciov. Gli americani vorrebbero tornare a quell’epoca, ma Putin non vuole essere un vassallo. Tuttavia se pensiamo che gli oligarchi possano rovesciarlo, sbagliamo: da occidentali pensiamo erroneamente che la Russia sia un Paese europeo. Ma la Russia guarda anche all’Asia. Siamo a un passo da una crisi ancora più grave di quella del 1998, quando Eltsin per evitare la guerra civile dovette passare il potere a Putin, che era sostenuto da tantissimi oligarchi. Il commercio internazionale della Russia si sposta sempre di più verso la Cina e l’Asia, un mercato più ricco anche se considerato meno prestigioso di quello occidentale. La Cina sostiene la Russia perché per loro è un importante partner energetico. Da occidentale dico che l’arma più importante a nostra disposizione è la diplomazia. Non possiamo pensare di armare gli ucraini... L’Italia resta un Paese assoggettato agli Stati Uniti, ma dobbiamo negoziare con Putin, evidenziare il fallimento della guerra (umano, militare, economico e politico), ma anche concedere qualcosa alle sue ambizioni geopolitiche, a condizione che questo non avvenga mai più. Costruire la propria economia sulla dipendenza energetica da un altro Paese è molto rischioso: dobbiamo concentrarci sullo sviluppo di energie rinnovabili, anche perché è bene avere un mondo più pulito. Il gas e i combustibili fossili non sono fonti di energia pulita. L’Italia dovrebbe allontanarsi dalla NATO e sviluppare una autonomia energetica investendo nell’eolico e nel fotovoltaico. Poi dovremo anche ripensare la nostra tendenza al consumo sfrenato...”.

Indubbiamente tante cose giuste, ma almeno su una non lo capisco. Supponiamo che gli italiani del Canton Ticino in Svizzera rischino di scomparire perché duramente perseguitati dai franco-tedeschi. Supponiamo che tutte le soluzioni diplomatiche non abbiamo conseguito alcun successo decisivo, e che quella popolazione ci venga a chiedere un aiuto di tipo militare: noi cosa faremmo? Non glielo daremmo perché non vorremmo essere accusati di avere intenzioni “imperiali” in Svizzera?

Ma potremmo anche ipotizzare uno scenario in cui non esistono gli italiani. Gli abitanti della Corsica decidono di staccarsi dalla Francia. Siccome questa ha intenzione d’invadere l’isola, loro ci chiedono un aiuto militare, visto che tutte le soluzioni diplomatiche sono fallite. Noi che facciamo? In nome della non ingerenza negli affari di uno Stato estero, li lasciamo sterminare? Solo perché non sono italiani?

Con questo naturalmente non voglio dire che in cambio dell’aiuto militare, noi dovremmo posizionare nell’isola una nostra base militare o addirittura occuparla del tutto (come in genere fanno gli occidentali). Voglio dire che esiste anche il principio della solidarietà internazionale.

Certo uno potrà dire che la Russia ha incorporato il Donbass all’interno dei propri confini. Supponiamo però che gli italiani del Canton Ticino o gli abitanti della Corsica chiedano di far parte della nostra Repubblica. Noi diremmo che i loro referendum non valgono nulla? Diremmo che il diritto all’autodeterminazione dei popoli è secondario rispetto a quello della sovranità politica dello Stato e all’integrità territoriale della nazione? Siamo seri e smettiamola di usare due pesi e due misure.

 

[24] Una guerra mondiale nucleare alle porte?

 

Se documenti il Donbass ti licenzio

 

L’occidente continua a perseguitare i giornalisti il cui lavoro rivela la realtà della situazione ucraina. Di recente la regista francese Anne-Laure Bonnel ha riferito di aver ricevuto minacce e di aver perso il lavoro a causa del suo reportage dal Donbass: due film documentari molto scomodi alla narrativa russofoba occidentale.

La Bonnel era arrivata per la prima volta in Donbass nel 2015, poco dopo l’inizio della guerra civile, e cominciò subito le sue riprese, inevitabilmente di grande impatto.

Nel 2016 presentò il film “Donbass” al festival del cinema all’Università della Sorbona. A quel tempo il suo lavoro era stato applaudito dalla critica.

Nel febbraio 2022, pochi giorni prima dell’inizio del conflitto bellico, era tornata in Donbass per continuare il suo progetto di documentare di nuovo la crisi umanitaria nella regione. Realizzò un filmato intitolato “Donbass: otto anni dopo”. Come nel primo film, l’opera non era permeata da alcun contenuto politico o ideologico, essendo solo un documentario incentrato sull’esposizione della situazione locale in modo neutrale e imparziale: si limitava a parlare della vita dei cittadini.

Tuttavia quando è tornata in Francia, le persone inizialmente interessate al documentario (Radio France International) erano scomparse. Il suo lavoro era stato bandito da tutti i principali eventi europei.

La giornalista ha quindi deciso di mettere online il suo documentario. Questa decisione ha però coinciso col suo licenziamento dall’Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne, dove aveva insegnato per più di 15 anni. Ha persino ricevuto minacce da attivisti pro-Kiev. L’accusa era quella di fare propaganda filo-russa.

Tutto ciò l’ha portata a rimanere in silenzio negli ultimi mesi, mostrandosi solo di recente in pubblico per denunciare la persecuzione che ha ingiustamente vissuto.

Da notare che mentre nelle “democrazie” occidentali si tenta di cancellare il giornalismo indipendente o di classificarlo come “diffusore di disinformazione”, nella dittatura ucraina la persecuzione è attuata con mezzi militari. Non a caso terroristi neonazisti hanno ucciso Daria Dugina e bombardato l’hotel dove alloggiava lo staff di “Russia Today” nel Donbass. È anche importante ricordare che centinaia di giornalisti sono inclusi in “Myrotvorets”, la famigerata kill-list ucraina.

Cosa dice la Convenzione europea sui diritti umani? “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto include la libertà di tenere opinioni e di ricevere e diffondere informazioni e idee senza interferenze da parte dell’autorità pubblica e indipendentemente dalle frontiere”.

Il problema è che quando c’è di mezzo il potere e l’ideologia, tutti i diritti diventano carta straccia.

Fonte: farodiroma.it

 

Un governo inutile

 

La Meloni ha già fatto svariati atti di fede atlantista ed europeista, come se una cosa non escludesse l’altra.

Crosetto ha appena dichiarato che sull’invio di armi all’Ucraina faranno come decideranno gli alleati (cioè la NATO). Addirittura Andrea Delmastro (Fratelli d’Italia) ha detto su LA7: “Noi radicalmente riteniamo che dietro l’aggressione di Putin c’è una lunga mano cinese che tenta di disarticolare l’egemonia culturale, politica, industriale e morale dell’occidente”. Per cui la guerra va fatta anche contro la Cina.

Tajani ha, come prima cosa, telefonato al Ministro degli Esteri ucraino dando il suo massimo appoggio, esattamente come avrebbe fatto il bambino Di Maio.

Pichetto Fratin, ministro dell’Energia, ha già detto che si muoverà in continuità con Cingolani, che ha sempre mentito sui stoccaggi del gas.

Cosa vuole la destra di diverso dal PD? La repubblica presidenziale (cioè autoritaria), la fine dell’immigrazione dall’Africa, la fine della scuola pubblica, della sanità pubblica, dell’acqua pubblica e possibilmente anche della legge sull’aborto (vedi la posizione di Gasparri). Lo stesso Macron non è riuscito a far inserire il diritto all’aborto nella Costituzione francese. Il Senato, in cui la maggioranza è di destra, gliel’ha impedito.

Per il resto confondono il sovranismo con la sovranità alimentare. Ma queste sono scemenze. Butteremo sicuramente dei miliardi per il ponte sullo stretto. Aumenterà il debito pubblico all’inverosimile, specie se passano le proposte di Salvini: flat tax e abolizione della legge della Fornero.

 

[25] Cambiare tutto per non cambiare niente

 

Quando in occidente si vogliono sostituire certi statisti scomodi, perché col loro atteggiamento stanno danneggiando gli interessi economici di qualche “potere forte”, o perché non hanno sufficiente piglio per affrontare determinati problemi, non si ha mai il coraggio di dire esplicitamente le vere motivazioni, poiché non si vuole smentire l’ideologia dominante: si preferisce scegliere strade traverse.

Per es. tutti gli statisti europei che nel corso di questa guerra in Ucraina sono stati rimossi, non hanno subìto attacchi per il loro atteggiamento russofobo e guerrafondaio, ma perché si erano comportati in maniera sbagliata in una singola azione, dimostrando insensibilità verso i problemi sociali (Draghi), o sottovalutazione della crisi economica (Truss), o sprezzo delle regole pubbliche (Johnson),  ecc. Ora sembra essere la volta della von der Leyen, accusata di corruzione sulla questione dell’acquisto delle dosi di vaccino dalla Pfizer.

Tuttavia, non dicendo le vere motivazioni per cui certi statisti vanno assolutamente rimossi, si finisce col creare una situazione favorevole a una loro sostituzione con elementi nettamente peggiori: per es. la Meloni è peggio di Draghi, la Truss peggio di Johnson, Sunak peggio della Truss, Kristersson, in Svezia, è peggio della Andersson, ecc. Sono peggiori perché chiaramente spostati a destra, a favore di governi autoritari, parafascisti, disposti ad affrontare con brutalità la guerra contro la Russia e contro le proteste popolari che in occidente di sicuro aumenteranno per il carovita. Le stesse popolazioni non sembrano scendere in piazza per questioni di principio (dicendo per es. che il governo neonazista di Kiev non può essere appoggiato), ma per questioni economiche (bollette energetiche troppo care, salari troppo bassi, imprese a rischio di chiusura ecc.).

Non si vuole smentire la narrativa dominante, ma, così facendo, si apre la strada a soluzioni sempre più estreme, proprio perché le contraddizioni insanabili vanno in qualche modo affrontate, e il modo consueto che hanno i poteri dominanti è sempre quello di mistificarle. Questa in sostanza è la differenza tra rimpasti governativi e rivoluzioni popolari, cioè tra cambiare tutto in maniera radicale e fingere di fare la stessa cosa per non cambiare niente, anzi, possibilmente per peggiorare la situazione.

Lenin su questo aveva ragione: “Non c’è prassi rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria”.

 

Un analfabeta di ritorno

 

Quando Stoltenberg afferma che l’Ucraina è una nazione sovrana e indipendente, per cui ha il diritto di scegliere se aderire alla NATO o meno, e che spetta ai 30 alleati decidere se accettare tale candidatura, non alla Russia, sembra che faccia finta di non sapere quali sono le regole del gioco.

Supponiamo che in Messico, Guatemala, Nicaragua, Cuba... la Russia installasse varie basi militari, dotate di tutta la strumentazione necessaria per difendere efficacemente quei Paesi e, in caso di necessità, per attaccare direttamente gli USA con armi nucleari, cosa direbbe il soldatino Stoltenberg?

Possibile che non sappia che gli Stati han bisogno di sicurezza e soprattutto di impegni a non usare mai per primi le armi atomiche. Se gli Stati confinanti a un Paese militarmente nuclearizzato, decidono espressamente di rinunciare all’atomica, possono esigere che anche lo Stato confinante faccia lo stesso. È il disarmo reciproco che crea fiducia.

Stoltenberg invece, che ragiona solo in termini di rapporti di forza, è convinto che quanto più si arma l’Ucraina, tanto più i russi saranno indotti alla trattativa. Ovvero, ciò che può ottenere sul tavolo dei negoziati è strettamente legato alla situazione sul campo di battaglia. Lo stesso pensano tutti gli statisti occidentali, senza rendersi conto che un atteggiamento del genere potrebbe anche comportare il passaggio dall’uso delle armi convenzionali a quelle nucleari. O, in ogni caso, a una completa distruzione del Paese più debole, come sta avvenendo in questi giorni, in cui i russi hanno iniziato a bombardare le centrali che danno luce, gas e acqua.

Il generale Tricarico ha sottolineato che “Stoltenberg è solamente autorizzato a guidare le consultazioni, quindi lui può parlare solamente quando è autorizzato a farlo da tutti i Paesi membri. Invece ha sempre straparlato, ha sempre buttato benzina sul fuoco, è sempre stato il ventriloquo di qualcun altro”.

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha detto addirittura che “l’Italia e i governi non possono più essere un’appendice della NATO, una segreteria distaccata del suo generale Jens Stoltenberg che, per quello che mi riguarda, sta dando prove di grande ottusità politica”. Su YouTube ha addirittura detto che lo considera “un analfabeta di ritorno” e che “con questi tangheri rimpiango Kissinger”.

Come al solito esagera nel rimpiangere il guerrafondaio Kissinger.

 

L’ideologia di Stoltenberg

 

Sarebbe interessante che qualcuno esaminasse nel dettaglio il linguaggio del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, perché è quanto di più russofobo e guerrafondaio si possa pensare. Tra un po’ scadrà il suo mandato e verrà sostituito da uno che probabilmente sarà peggio di lui, in quanto la NATO non può più permettersi di perdere un’altra guerra come quella in Afghanistan. Lui andrà a dirigere la Banca centrale norvegese, che possiede quote rilevanti in Gazprom e Lukoil, per cui sarà costretto o a cambiare narrativa (per i soldi si fa questo e altro) o a vendere sottocosto gli asset della Banca.

Ma qual è l’ideologia bellicista con cui ha gestito l’Alleanza nel corso di questi mesi di guerra russo-ucraina?

Anzitutto lui dà per scontato che la Russia sia uno Stato da sconfiggere militarmente, poiché lo ritiene troppo pericoloso per gli interessi egemonici dell’occidente. Quando lui parla di “occidente”, intende anzitutto gli USA e solo in subordine la UE, che è tenuta a fare quel che dice la NATO, in cui chi comanda sono chiaramente gli USA, che spendono nelle forze armate più di tutti gli altri alleati messi insieme.

Lui ritiene del tutto normale che per sconfiggere la Russia, la NATO cerchi di circondarla completamente con le proprie basi militari, che all’occorrenza verranno naturalmente dotate di testate atomiche. È escluso infatti che un Paese nucleare possa essere sconfitto con armi convenzionali. Stoltenberg è un uomo di vedute così limitate che non ha mai capito che gli USA han vinto la guerra fredda semplicemente sul piano economico, senza neppure sparare un colpo. E ora non vuole ammettere che per la stessa ragione gli USA perderanno questa nuova guerra (al momento ancora per procura), poiché il loro capitalismo, preferendo di gran lunga la finanza speculativa all’economia produttiva, è finito in un labirinto di Cnosso, da cui non riesce a uscire, se non appunto trovando continuamente nuovi nemici da combattere. In tal senso non aspettiamoci troppo dalle elezioni di midterm.

Stoltenberg non si è mai preoccupato di smentire il fatto che la NATO abbia sostenuto l’Ucraina con attrezzature e addestramento militari per molti anni prima dello scoppio dell’attuale conflitto. Come se fosse del tutto normale che la NATO consideri un Paese come un proprio partner pur non appartenendo all’Alleanza. È come se dicesse: “Nel passato abbiamo speso molto per gli ucraini in funzione antirussa; ora non possiamo buttar via i nostri soldi, lasciandoli soli ad affrontare un nemico più forte di loro”.

Stoltenberg non accetta assolutamente il diritto dei popoli all’autodeterminazione (per es. parla sempre di annessione illegale della Crimea da parte della Russia), in quanto ha più volte detto che la NATO non tollera alcun attacco alla sovranità alleata o all’integrità territoriale. Cioè la NATO può occupare o bombardare o installare proprie basi nei territori altrui, ma non permette che ciò avvenga nei Paesi membri dell’Alleanza. Quindi in pratica se la Catalogna volesse staccarsi dalla Spagna o la Scozia dagli inglesi, la NATO aiuterebbe Madrid e Londra a bombardarli.

Tutte le volte che parla di Ucraina, Svezia, Finlandia e Georgia, li considera sempre come “stretti partner”, pur essendo questi Paesi soltanto degli osservatori nelle sessioni della NATO. Lo dice perché gruppi di militari di questi Paesi hanno partecipato ad operazioni belliche condotte dalla NATO. Ma una cosa di questo genere non è normale. È come se dicesse: “Nella NATO non possiamo farvi entrare perché potreste avere dei problemi con la Russia, ma vi offriamo lo stesso la possibilità di esercitarvi in vari teatri di guerra, perché il giorno che decidessimo di attaccare la Russia, questa esperienza vi potrà tornare comodo”.

La NATO ha approfittato della guerra in corso per convincere tutti gli alleati a investire almeno il 2% del PIL nella difesa. Come se ad essere “minacciata” dalla Russia non fosse soltanto l’Ucraina ma anche tutta l’Europa. Come gli è venuta in mente un’idea così bislacca? È semplice: gliel’hanno suggerita gli americani, che han bisogno di vendere le loro armi agli europei. Ecco cosa vuol dire essere un “servo”.

Quanto poi alle sue dichiarazioni di non impiegare forze NATO in Ucraina per non allargare il conflitto tra NATO e Russia, ha mentito spudoratamente dall’inizio della guerra ad oggi. Inutile perdere tempo a commentarle. Anzi di recente è stata schierata in Romania, ai confini dell’Ucraina, la 101ma divisione aviotrasportata, 4.700 “aquile urlanti”, l’unità principale per le offensive degli USA.

 

[26] Il buon senso di Kujat

 

È noto che già nello scorso maggio l’ex generale tedesco Harald Kujat aveva invitato il cancelliere Olaf Scholz a favorire i negoziati di pace nella guerra in Ucraina e criticava gli Stati Uniti per il loro atteggiamento guerrafondaio. Aveva anche pubblicato un memorandum insieme a Justus Frantz, Bruno Redeker e Horst Teltschik, per evitare una terza guerra mondiale. Vi sosteneva che i principali attori in questo conflitto non sono l’Ucraina e la Russia, ma la Russia e gli Stati Uniti.

Riteneva assurdo parlare di vittoria o di sconfitta o di indebolire a tutti i costi in modo durevole la Russia in quanto rivale geopolitico dell’occidente, per impedirle di rifare quanto fatto in Ucraina.

Non negava la necessità di aiutare militarmente il governo di Kiev, ma affermava anche che ciò non doveva essere considerato un alibi per una mancanza di volontà favorevole al negoziato. Non è possibile che una guerra regionale si trasformi in una guerra continentale e persino mondiale solo perché si guardano le cose senza alcun senso della concretezza, senza nessun sano realismo. Questo diceva. Descrivere la prudenza e la responsabilità come indecisione e mancanza di leadership è assolutamente disonesto.

In fondo, dopo la fine dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia c’era stato per più di un decennio un certo coordinamento politico e una fattiva cooperazione militare tra Russia e NATO, che aveva contribuito a creare una fiducia esistenziale di base. Oggi tutto questo non esiste più e se anche Kujat non ne attribuisce la responsabilità alla NATO, lo lascia intendere (infatti giudica un grave errore la rinuncia unilaterale al trattato ABM da parte degli Stati Uniti nel 2001).

Cioè praticamente riteneva che dovesse essere la politica a dettare le condizioni alla sfera militare e non il contrario. E lo diceva lui ch’era stato presidente del comitato militare della NATO dal 2002 al 2005.

Rimpiangeva i tempi in cui Helmut Schmidt, Giscard d’Estaing e James Callaghan sapevano convincere Jimmy Carter a rispettare gli interessi di sicurezza europei nel controllo degli armamenti nucleari.

È servito a qualcosa quel che ha detto? A nulla. La borghesia tedesca è pavida di natura. Cerca soluzioni individualistiche, che possano farla soffrire il meno possibile dalle conseguenze retroattive delle sanzioni antirusse. Di qui i recenti approcci industriali e commerciali con la Cina.

Scholz non si è neppure allarmato quando Kujat gli ha detto che, andando avanti con le forniture militari a Kiev, la Germania si stava disarmando. Neppure quando il ministro della Difesa gli ha detto che se dovessero entrare in guerra avrebbero munizioni per solo due giorni! Un problema, peraltro, che cominciano ad avvertire persino negli USA, ove devono constatare una drastica riduzione delle scorte di armi antiaeree e anticarro (Stinger e Javelin).

Fonte: nogeoingegneria.com

 

A mali estremi, estremi rimedi

 

Bisogna ammettere che se anche l’occidente non avesse consegnato al governo ucraino tutte le possibili armi convenzionali per affrontare le forze armate russe, e si fosse unicamente limitato agli aiuti finanziari e umanitari, senza preoccuparsi di trovare una soluzione negoziale, vi sarebbe comunque stata una corresponsabilità nella vergognosa gestione di questo conflitto.

Anzi, bisogna ammettere che un governo irresponsabile, che si ostina a non riconoscere la presenza di una grande minoranza russofona e filorussa nel proprio Paese, non meriterebbe neppure alcun appoggio finanziario. Al massimo si potrebbero concedere aiuti umanitari alla popolazione che soffre le conseguenze delle scelte scriteriate del proprio governo.

Un governo che non riesce a capire perché il Kosovo ha diritto all’autonomia e il Donbass no, o perché la Slovenia e la Croazia han potuto dichiarare l’indipendenza dalla Jugoslavia, mentre la Crimea e il Donbass non possono fare altrettanto nei confronti dell’Ucraina, o perché la Germania Est ha potuto scegliere di riunificarsi a quella Ovest, mentre la Crimea e il Donbass non possano scegliere di riunirsi alla Russia, è un governo che andrebbe posto sotto tutela o andrebbe isolato o sanzionato a livello internazionale. Un governo del genere, che nega il principio dell’autodeterminazione dei popoli, andrebbe considerato pericoloso.

Ogni popolo ha diritto a scegliere come vivere nel territorio che occupa. Uno Stato democratico dovrebbe limitarsi a riconoscere i diritti a tutte le popolazioni che vivono all’interno dei propri confini, impedendo che tra queste popolazioni sorgano conflitti inconciliabili. Non è lo Stato che “concede” i diritti (come invece pensava Poroshenko, che voleva negare il diritto all’istruzione pubblica ai bambini del Donbass), poiché nello stesso momento in cui lo facesse, smetterebbe d’essere democratico.

In Ucraina, soprattutto a partire dal golpe del 2014, un governo autoritario ha voluto brutalmente imporsi sulla propria minoranza russofona (quella più consistente), nell’indifferenza più generale dell’occidente, anzi spesso sotto un tacito assenso da parte degli USA, della UE e dell’ONU.

Qualcuno potrà obiettare che uno Stato privo delle forze sufficienti per affrontare l’aggressione di un altro Stato, va necessariamente aiutato sul piano militare. Ma questo è vero solo in astratto. Nel concreto bisogna vedere come stanno davvero le cose. E soprattutto, prima di passare alle armi, bisogna mettere in campo tutte le strategie possibili per trovare una soluzione negoziale.

Questa guerra una lezione ce l’ha insegnata: le controversie vanno prese sul serio sin dal momento in cui nascono, poiché, se si lasciano incancrenire, si rischia facilmente di dover prendere delle soluzioni estreme (anche molto dolorose), che non tutti riusciranno a capire o ad accettare.

 

Qualcosa di irrazionale

 

C’è qualcosa d’irrazionale nell’atteggiamento di Zelensky, anche al netto di tutte le pressioni bellicistiche che subisce da parte di USA e UE, ivi inclusi i neonazisti all’interno del suo Paese, molti dei quali han preferito espatriare.

Infatti è sotto gli occhi di tutti che per l’Ucraina la guerra è persa, non solo per l’alto numero di morti, feriti e mutilati tra i militari (ben oltre i 400.000), ma anche perché i russi han preso a bombardare le strutture civili strategiche che garantiscono luce, gas e acqua (cosa che sta inducendo il governo a reagire in maniera sempre più irresponsabile, anzi terroristica). Praticamente il Paese, se la guerra va avanti così, tornerà a una condizione preindustriale, con conseguente tragico spopolamento.

In una situazione del genere un qualunque premier sarebbe disposto a un negoziato, anche per timore di una reazione esasperata da parte della popolazione o per timore di un golpe militare interno, che potrebbe portarlo a una subitanea fine, come p.es. successe a Ceaușescu o a Gheddafi.

Quindi delle due l’una: o Zelensky non cede di un millimetro perché subisce pressioni bellicistiche cui non può opporsi, anche perché si lascia persuadere da promesse allettanti di sicura vittoria finale, oppure vi è nella sua personalità una concezione irrazionale dell’esistenza, quella secondo cui una volta assunta una posizione sbagliata sin dall’inizio, si vuole restare coerenti con tale posizione a qualunque prezzo. Il nostro generale Cadorna era così, che fucilava senza pietà chi non eseguiva i suoi ordini.

Difficile dire se nella sua follia Zelensky abbia messo in conto anche la propria morte. È infatti abbastanza normale che un folle arrivi a chiedersi dove potersi rifugiare una volta persa la guerra e costretto ad accettare la resa incondizionata. Ricordiamo tutti quando i peggiori dittatori africani, al soldo delle potenze coloniali, erano costretti a fuggire all’estero a causa delle rivoluzioni interne. Idi Amin, per es., dall’Uganda si rifugiò in Arabia Saudita, morendo qui, chiuso nella propria vita privata.

Ma Zelensky si è esposto molto, con fare da spaccone, ha voluto interagire pubblicamente col mondo intero, assumendo il ruolo dell’eroe nazionale senza macchia e senza paura: ha fatto credere che l’Ucraina avrebbe potuto vincere la guerra con l’appoggio di qualunque Stato che gli avesse dato considerevoli aiuti finanziari e militari.

Ora, se finirà sconfitto, potrà forse dire che il sostegno non era stato sufficiente? Chi gli crederà? Chi gli permetterà di raccontarlo pubblicamente? Soprattutto per l’occidente sarebbe un’onta insopportabile.

Meglio quindi morire sul campo, nella convinzione che il sacrificio di sé apparirà agli occhi del mondo come testimonianza della verità di tutte le affermazioni sostenute. In questa maniera la narrativa orwelliana di un Paese aggredito e di uno aggressore potrà andare avanti per un bel po’.

 

Maia Sandu: prossimo premier a cadere

 

Il capo di Moldovagaz, Vadim Cheban, ha annunciato “l’impossibilità di fornire gas alla Transnistria”. Ecco perché il premier della Transnistria, Alexander Rosenberg, sta cercando di ottenere le forniture di gas direttamente da Gazprom.

Ma le tensioni sono molto forti non solo tra Moldavia (Moldova) e Transnistria, ma anche all’interno della stessa Moldavia. Chi protesta (da almeno un mese) in Moldavia considera il PAS (il Partito di Azione e Solidarietà del fantoccio pro-EU Maia Sandu) come una filiale di Soros.

Non è da escludere che il dispiegamento della 101ma Divisione aviotrasportata dell’esercito americano in Romania, abbia almeno uno di questi compiti: minacciare la Transnistria; proteggere Odessa; entrare in Ucraina, costituendo un deterrente per le postazioni russe; stabilire l’ordine pubblico in Moldavia. Se quest’ultima cosa non riuscirà a garantirla, la Sandu è già pronta a trasferirsi in Romania.

Infatti nel suo Paese si stanno formando una sorta di governo popolare, di tribunale popolare e di “scudo popolare” con cui cercare di proteggere i cittadini dagli abusi del governo, determinare soluzioni urgenti alle crisi esistenti e avviare un dialogo diretto con gli amministratori a livello locale, nonché con partner strategici esteri (chiedono la ripresa degli scambi commerciali con la Russia). E se ci sarà un “vuoto di potere”, il governo popolare garantirà l’ordine costituzionale e sarà in grado di organizzare elezioni parlamentari e presidenziali anticipate.

Il tribunale del popolo dovrà monitorare e registrare tutti gli abusi e le illegalità commessi dalla Maia Sandu e dal governo del PAS, condannare tutte le persone colpevoli di tradire gli interessi nazionali e di esercitare il potere per proprio conto.

Lo scudo popolare è progettato per proteggere i cittadini moldavi dal coinvolgimento del Paese nella guerra russo-ucraina, dai tentativi di abbandonare la neutralità, nonché per impedire alla Moldavia di aderire alla NATO.

La Moldavia è diventato un Paese poverissimo. Negli anni dell’indipendenza ha perso tutto: industria, mercati, parte del territorio (Transnistria), e una quota significativa della popolazione è emigrata.

Circa 30 anni fa le autorità politiche avevano promesso alla popolazione una “seconda Svizzera”, un “paradiso sul Dnestr”, ma alla fine si sono ritrovati sommersi dai debiti.

La von Der Leyen, in uno dei suoi frequenti vaneggiamenti, ha affermato che Paesi come la Moldavia sono il futuro della UE. Che si riferisse al riscaldamento a legna, il tipo di combustibile più diffuso? Peccato però che le foreste in Moldavia non siano illimitate e che la legna da ardere costi già un sacco di soldi.

 

[27] I guanti sono stati tolti

 

La cosiddetta “operazione militare speciale” della Russia non è mai stata progettata per occupare vaste aree del territorio ucraino, anche perché era stata condotta da meno di 200.000 uomini. Semplicemente voleva essere un’operazione di polizia volta a eliminare le forze ucraine che avevano bombardato e ucciso i russi etnici che vivevano nel Donbass. Putin arrivò a questo perché nessuno aveva intenzione di rispettare i due accordi di Minsk.

Successivamente il fatto che i russi non disponessero di truppe da combattimento sufficienti per difendere la vasta area annessa legalmente da Mosca tramite i referendum, comportò una serie di battute d’arresto e la perdita di porzioni di territori a causa dell’avanzata di alcuni battaglioni addestrati dalla NATO. Di qui la decisione di mobilitare 300.000 riservisti e di trasformare l’operazione speciale in una guerra vera e propria, che comportasse il bombardamento delle infrastrutture civili che forniscono luce, gas e acqua. Questo perché la Russia ha bisogno di creare una zona di sicurezza completamente smilitarizzata intorno alle sue nuove regioni e vuole indurre il governo di Kiev ad accettare delle trattative per concludere la guerra.

I critici superficiali della Russia han sempre giudicato malissimo il modo di condurre le operazioni belliche da parte dei suoi generali: per es. la carenza di personale militare è stata vista come un’indicazione d’incompetenza. In realtà Mosca si sta semplicemente adattando a una situazione fluida, in cui si vede costretta periodicamente ad alzare la posta in gioco per colpa di una NATO che non smette d’illudere il governo di Kiev sulla possibilità di una vittoria finale.

In questi 8 mesi di combattimenti, in cui sono stati eliminati, in un modo o nell’altro, circa 400.000 militari ucraini[6], i russi han dimostrato di saper condurre le operazioni secondo una certa etica, che però ha dovuto tener conto degli atteggiamenti sconsiderati del nemico, che ha usato i civili come scudi umani, che ha usato le infrastrutture civili per la logistica militare, che ha bombardato i civili semplicemente per terrorizzarli, che ha compiuto stragi di civili filorussi, che ha cercato di provocare disastri nucleari e che naturalmente ha usato una propaganda mediatica che facesse considerare i russi dei soggetti subumani.

Di fatto il governo di Kiev è composto di elementi neonazisti privi di scrupoli, guidati o supportati sul campo di battaglia da elementi della NATO che sono ancora più russofobi di loro, soprattutto sul versante angloamericano e baltico-polacco.

I nostri generali, a differenza dei politici e dei giornalisti, han capito bene che il modo di agire dello stato maggiore russo non va sottovalutato per niente. Appare molto lento nel suo agire semplicemente perché rifiuta di bombardare a tappeto le città, come in genere fa la NATO. Nonostante questo e nonostante l’esercito russo fosse in inferiorità numerica sin dal primo giorno del conflitto, i generali sono riusciti a liberare il 20% del territorio ucraino, e probabilmente si sarebbero fermati qui se Kiev avesse voluto accettare il negoziato.

Invece la situazione è destinata a peggiorare per l’intera nazione, anche perché sta arrivando l’inverno e non è possibile che la popolazione possa stare senza riscaldamento. Dunque la NATO cos’ha intenzione di fare? Entrare con le proprie truppe in maniera esplicita e diretta in Ucraina? Usare l’atomica o comunque armi non convenzionali? Compiere altri attentati terroristici, come quelli del Nord Stream e del ponte della Crimea? Perché non si accontenta di aver trasformato la UE in una colonia pura e semplice degli USA?

La Russia considera questa guerra un qualcosa di “esistenziale” per la propria sopravvivenza. Non si lascerà destabilizzare come l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan e molte altre nazioni soggette a bombardamenti indiscriminati. Non esiterà a richiamare in servizio i 20 milioni di riservisti di cui dispone.

I figli della Russia risponderanno di nuovo al richiamo della madrepatria, come fecero nel 1709 contro la Svezia, nel 1812 contro la Francia e nel 1941 contro la Germania. E useranno armi infinitamente più potenti di quelle usate finora. Non dimentichiamo che Putin (che tutto sommato è un moderato) gode di una popolarità all’80%.

La guerra non è un gioco, non è un film, non è più la prosecuzione della politica con altri mezzi. I guanti sono stati tolti e oggi rischiamo che la guerra diventi la fine dell’umanità.

 

Deutsch für alle

 

I tedeschi dovrebbero dire a se stessi e al mondo intero: “Siamo stati noi a far scoppiare due guerre mondiali. Ora impediremo che ne avvenga una terza”.

Dovrebbero dirlo per riscattarsi, per non vergognarsi più di tutto il male che han provocato.

Dovrebbero dire, in maniera forte e chiara: “Per come l’Europa è stata trattata dagli Stati Uniti, che pur sono nostri alleati, non ha più senso continuare a stare nella NATO. Se gli americani vogliono far la guerra contro la Russia, sappiano che l’Unione Europea si opporrà o comunque si dichiarerà neutrale e chi non accetterà questa neutralità, verrà espulso dalla Comunità Europea”.

I primi a essere rimossi dal loro incarico dovrebbero essere la von der Leyen, Borrell e la Metsola[7].

Scholz dovrebbe dire, se fosse una persona seria, se avesse un briciolo di personalità: “Come ritorsione al sabotaggio dei gasdotti del Nord Stream la Germania non solo non invierà più a Kiev né armi né soldi, ma armi e soldi li userà per rendere l’Unione Europea indipendente dalle ingerenze straniere sul piano politico, economico e militare. E dopo essere uscita dalla NATO e invitato gli altri Paesi europei a fare altrettanto, provvederà a chiudere tutte le basi NATO e americane, costi quel che costi”.

Questo dovrebbe dire e fare lo statista della locomotiva economica dell’Europa.

Quindi diciamo tutti in coro alla Germania: “Smettetela di cercare di risolvere i problemi per conto vostro. Il nemico principale dell’Europa non è la Russia, che non ha mai pensato di attaccarci, ma sono gli Stati Uniti, che vogliono farci tornare al Medioevo, che vogliono trasformarci in una colonia al loro servizio, che vogliono impedirci di avere qualunque rapporto con la Russia. Quindi Scholz dimettiti, se non sei in grado di assumere queste responsabilità. Smettila di comportarti in maniera ridicola, chiedendo alla tua popolazione di comprare il pellet al posto del gas, quando anche il pellet viene dalla Russia! Non tornare al nucleare e non riaprire le centrali a carbone. Piuttosto fai capire agli americani che il Nord Stream te lo ripari da solo e che niente e nessuno potrà impedire alla Germania di riprendere i rapporti commerciali con la Russia, che è un Paese europeo come tutti gli altri”.

Un minimo di dignità non guasterebbe né ai tedeschi né agli europei.

 

[28] Quel povero essere amorale di Stoltenberg

 

Diceva Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO:

“Nel 2016, quando abbiamo tenuto il vertice di Varsavia, abbiamo preso la decisione storica di schierare truppe da combattimento della NATO nella parte orientale dell’Alleanza”. Gli statisti italiani presenti erano Renzi e Gentiloni, che presero atto della decisione senza battere ciglio.

Per Stoltenberg, che detesta lo strumento del referendum, la Crimea era stata annessa con la forza dalla Russia. Siccome ciò sarebbe stato fatto nel 2014, secondo lui era del tutto normale iniziare a pensare a come scatenare una guerra contro la Russia.

A ciò si aggiunga il fatto che nella sua mente limitata il golpe di EuroMaidan del 2014 era stato una “rivoluzione democratica”, imparagonabile con l’assalto a Capitol Hill, giudicato un attentato alla democrazia. Pertanto l’Ucraina andava difesa in tutti i modi. Ecco perché Stoltenberg dice che “dal 2014 abbiamo implementato il più grande rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della Guerra Fredda, triplicando le dimensioni della forza di risposta della NATO, stabilendo i gruppi di battaglia nei Paesi baltici e in Polonia, più presenza nell’aria e in mare, e ovviamente aumentando la spesa per la difesa”.

A lui non interessano minimamente le promesse che gli statisti occidentali (Bush, Thatcher, Kohl, Mitterrand ecc.) avevano fatto a Gorbaciov (soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino) di non allargare la NATO verso l’est europeo. Anzi nega che siano mai state fatte delle “promesse”. Pertanto ritiene assolutamente normale (come fosse un manager aziendale preposto ad aumentare i profitti) che nel 1999 Polonia, Cekia e Ungheria abbiano aderito alla NATO, iniziando un processo che raddoppierà col tempo i Paesi aderenti all’Alleanza.

A lui interessa sottolineare che la Russia è venuta meno all’impegno che aveva preso nel memorandum di Budapest del 1994 di non invadere l’Ucraina. Non lo sfiora neanche per l’anticamera del cervello che in Europa la NATO ha cominciato a comportarsi nella maniera più aggressiva possibile sin da quando ha bombardato la Serbia per “liberare” il Kosovo, un territorio che non faceva neppure parte dell’Alleanza. La NATO non doveva forse intervenire solo in difesa di uno Stato membro?

Non capisce che quell’impegno russo a Budapest è stato mantenuto da quando l’Ucraina si era staccata dalla Russia, cioè dal 1991 (e, guarda caso, proprio tramite un referendum). Se le cose sono cambiate nel 2022 è perché è stato l’occidente a occupare l’Ucraina sotto tutti i punti di vista (politico-istituzionale, economico, militare, ivi inclusi i famigerati laboratori biologici).

Oggi la NATO accusa Putin di voler dare alla Russia un sogno neoimperiale. Cioè con l’idea bislacca che la Russia voglia riprendersi militarmente i territori della ex URSS, minacciando di conseguenza i confini dell’Europa occidentale, la NATO ha ritenuto opportuno anticiparla, ponendo le proprie truppe in quei territori. Lo stava per fare ufficialmente o legalmente anche in quello più importante, l’Ucraina, quando Putin ha spezzato i sogni dell’occidente di fare anche della Russia una propria colonia, come al tempo di quello sciagurato Eltsin. Lui stesso ha affermato che sul piano pratico l’Ucraina ha ricevuto un ampio sostegno militare da parte dei Paesi della NATO “per molti anni”.

Ecco perché Stoltenberg parla di “successo della NATO per più di 70 anni”. E si vanta di dire che “qualsiasi potenziale aggressore o avversario ha sempre saputo che un attacco a un alleato innescherà una risposta da parte dell’intera Alleanza”. Cioè ritiene che l’articolo più importante dello Statuto della NATO sia il n. 5, che invece è un vero cappio al collo per i Paesi che lo firmano, poiché impedisce ai loro parlamenti di prendere una decisione politica su un conflitto in corso. Le posizioni militari dei generali sono antecedenti alle decisioni che possono prendere gli statisti o i parlamentari degli Stati nazionali, proprio in virtù dell’art. 5 che fa scattare comportamenti automatici, come i cani di Pavlov coi loro riflessi condizionati.

Insomma la Russia non poteva entrare nella NATO dopo aver smantellato il suo Patto di Varsavia, proprio perché la Russia è un Paese da conquistare, e che lo si faccia con armi convenzionali o nucleari non cambia assolutamente nulla.

Fonte: nato.int

 

[29] Come non umiliare gli sconfitti

 

Ricordiamo tutti quando Macron diceva: “la Russia non può essere umiliata”. Lasciava intendere che in una trattativa di pace bisognava riconoscerle qualcosa.

Oggi la situazione s’è capovolta: è Putin che si sta chiedendo come non umiliare la NATO quando sarà costretto a chiedere a Zelensky una resa incondizionata. Di qui la sua idea di farci comprare il gas, di cui abbiamo bisogno come il pane, attraverso il suo nuovo hub: la Turchia.

Mosca infatti teme che la NATO, pur di non ammettere la propria sconfitta, voglia fare ricorso al nucleare. La NATO non può diventare come la Germania che, dopo aver scatenato e perso la prima guerra mondiale, subì una pesante umiliazione da parte dei suoi avversari, da cui poi cercò di riscattarsi facendo nascere il nazismo.

Nessun Paese occidentale potrà sedere al tavolo delle trattative, perché nessuno ha dichiarato guerra in maniera esplicita alla Russia. L’Ucraina non fa parte della NATO e non potrà mai chiedere di aderirvi. E l’ONU non può scatenare un conflitto mondiale: non è nelle sue finalità, né avrebbe il consenso unanime del Consiglio di sicurezza né una maggioranza qualificata all’Assemblea generale. La narrativa putiniana, secondo cui va superata l’egemonia unipolare dell’occidente neocolonialista, è stata definitivamente acquisita dalla maggioranza dei Paesi africani, sudamericani, asiatici e mediorientali.

Praticamente l’obiettivo occidentale d’isolare la Russia s’è ritorto contro lo stesso occidente: in una guerra mondiale saremmo noi ad avere la peggio. Molti Paesi scalpitano come i cavalli alla partenza del palio di Siena, in attesa che il mossiere abbassi il canape e permetta loro di raggiungere l’Ucraina per dar man forte all’esercito del generale Surovikin.

Putin ha capito l’efficacia dei suoi messaggi, ma ora si chiede come farci uscire da questo conflitto senza indurci a decisioni scriteriate. Sembra di assistere a un rapporto psicopatologico tra un analista e un paziente che soffre di megalomania. Come si curano i complessi di superiorità quando il paziente ha così tante armi che potrebbe uccidere lo stesso analista? È meglio far terra bruciata attorno a lui, diminuendo il consenso di cui gode da parte di altri irresponsabili come lui (ci riferiamo anzitutto agli europei), oppure è meglio immobilizzarlo con una camicia di forza, attendendo che i suoi sostenitori si smarchino progressivamente?

Una soluzione la offre la fiaba dello Schiaccianoci, non quella complicata di Hoffmann, ma quella adattata ai bambini piccoli, che si vede su YouTube. Quando appare il re dei topi, che guida un esercito di roditori, lo Schiaccianoci, per salvare la bambina, l’affronta in battaglia con un esercito di altri soldatini. Ma siccome i topi son troppo forti, lo Schiaccianoci ordina la ritirata. Proprio in quel momento però la bambina (che rappresenta il popolo) si toglie una scarpa e la lancia contro il re dei topi. Quando gli altri topi vedono che il loro capo è stato colpito, si ritirano in buon ordine.

Da notare che anche questa fiaba è stata bannata in occidente, perché musicata da Pëtr Il’ič Čajkovskij, noto compositore russo subumano.

 

I sogni da giovani si realizzano da vecchi

 

Jens Stoltenberg, con cui ho un rapporto personale nei miei sogni, mi ha rivelato che il suo desiderio di sganciare tre bombe nucleari su Mosca, San Pietroburgo (ex Leningrado) e Volgograd (ex Stalingrado), per completare l’operazione Barbarossa voluta da Hitler, che proprio in quelle città si arenò, nasce da una precisa motivazione.

Chi pensa che Stoltenberg si comporti da neonazista perché è stato condizionato da parenti che militavano nelle SS si sbaglia. Suo padre era un importante laburista, che si prese anche una onorificenza per aver combattuto contro il razzismo sudafricano. Lo stesso Jens è sempre stato un laburista, anche nei due mandati come premier norvegese.

Lontana da lui anche l’idea di vendersi agli americani per il vile denaro. Suo padre era già straricco e aveva garantito al figlio una sicura carriera politica. Non solo, ma Stoltenberg andrà presto a governare la Banca centrale norvegese. Di soldi quindi ne ha sempre avuti in abbondanza.

Cos’è quindi che lo spinge ad avere idee neonaziste? Mi ha confessato che è stato per una profonda delusione subita in gioventù. Come sua sorella, lui era un marxista-leninista del gruppo Gioventù Rossa, che si opponeva alla guerra americana in Vietnam.

Finita quella guerra ventennale, aveva sperato che la Russia facesse trionfare il socialismo anche nell’Europa occidentale. Un’aspirazione ingenua, adolescenziale: lui nel 1975 aveva solo 16 anni. Aveva pensato: “Russia e Cina han vinto contro la nazione più potente del mondo. Perché non le danno il colpo di grazia occupando l’Europa?”.

Fu da questa delusione che maturò in lui l’anticomunismo viscerale. I giovani, si sa, han fretta di veder realizzati i loro sogni. Non poteva immaginare che la fine del primato dell’occidente sarebbe avvenuta proprio nel momento in cui lui lo sta guidando, in questa crociata neonazista, come segretario generale della NATO.

I sogni da giovani si realizzano da vecchi, ma non come avremmo voluto.

 

[30] Non sopravvalutiamo Putin

 

Non dobbiamo sopravvalutare l’importanza di Putin. Questo è un errore che fanno gli analisti occidentali, abituati a considerare gli USA e la UE come egemoni nel mondo, e quindi propensi a sottovalutare chi non rientra nei loro angusti schemi mentali.

È fuor di dubbio che l’occidente non è in grado di capire la Federazione Russa. Infatti l’accetta solo nella misura in cui gli somiglia, com’era successo al tempo di quello sciagurato di Eltsin, che aveva inaugurato il neoliberismo economico più selvaggio, che tanto comodo faceva soprattutto agli americani.

Fu apprezzato anche Gorbaciov, ma non fu mai aiutato concretamente a democratizzare il socialismo. Gorbaciov andò bene per riunificare le Germanie, per smantellare il Patto di Varsavia, per ridurre gli arsenali militari, per chiedere scusa alle invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, ma l’occidente preferì vedere l’URSS completamente disintegrata ed economicamente disastrata. E tutte le promesse che fece all’ingenuo Gorbaciov di non allargare la NATO a est erano simili a quelle che facevano i visi pallidi agli indiani. E non diamo la colpa a lui se non pretese nulla di scritto: gli yankee le avrebbero sconfessate lo stesso.

Putin dice cose, riguardo a un mondo multipolare, che una qualunque persona democratica dovrebbe accettare a scatola chiusa, senza neppure discuterle. Sono di una ovvietà sconcertante. Quando afferma d’essere “convinto che la vera democrazia in un mondo multipolare presuppone anzitutto la possibilità per qualsiasi nazione o società o civiltà, di scegliere la propria strada, il proprio sistema socio-politico”, che cosa dice di così sconvolgente che non sia già detto in un qualunque documento geopolitico o giuspolitico occidentale, laico o ecclesiastico che sia?

Il problema però è proprio questo, che l’occidente afferma pomposamente dei valori o dei princìpi che poi nella pratica non rispetta minimamente. L’occidente è ipocrita per definizione, e la sua incoerenza la fa pagare agli Stati più deboli, meno evoluti sul piano militare, tecnologico, economico ecc.

Ma che le idee di Putin costituiscano un’alternativa al modello economico occidentale, solo perché si rifanno a un’ideologia collettivistico-religiosa (quella ortodossa) o nazional-populistica, ce ne corre. Io auguro alla Russia di vincere in questa guerra contro la NATO, che per il suo carattere aggressivo rappresenta una vergogna dell’umanità e una fonte insopportabile di destabilizzazione. Ma sia chiaro che, una volta superato l’ostacolo, non si saranno poste neppure le basi per un superamento effettivo del capitalismo. E non potremo certo andarle a cercare in Cina, come fa certa sinistra radicale made in Italy.

 

Fingeremo sulle verità bislacche del nostro giornalismo?

 

L’attuale obiettivo strategico di Mosca è a tre livelli:

- mettere in crisi il sistema di rifornimenti delle truppe in prima linea;

- impedire a Kiev di esportare parte della sua produzione elettrica nei Paesi europei già in forte deficit energetico;

- minare il consenso popolare nei confronti del governo ucraino, complicando la vita della popolazione, poiché l’assenza o la carenza di energia elettrica condiziona pesantemente anche il pompaggio idrico, il riscaldamento e la rete Internet.

Queste cose non le dicono i russi, ma un generale polacco in pensione, Roman Polko, ex comandante delle forze speciali. Il quale ha aggiunto che i russi cercano d’impegnarsi in meno scontri sul campo, concentrandosi sulla distruzione delle infrastrutture critiche in Ucraina “con risultati molto positivi”. E lo possono fare perché hanno ancora molti missili e droni per portare a termine i loro attacchi (da notare che secondo l’analista militare Andrea Gaspardo la Russia può sostenere la guerra ancora per due anni senza produrre neanche un proiettile).

Le affermazioni di Polko sono state confermate dal Ministro dell’Energia ucraino, secondo cui quasi il 40% delle infrastrutture energetiche del Paese è già stato danneggiato, tant’è che il governo ha iniziato a chiedere all’occidente anche generatori mobili di energia elettrica.

Invece per i nostri media mainstream stanno vincendo gli ucraini su tutti i fronti. A questo punto mi chiedo: quando la guerra sarà finita, ci sarà almeno un giornalista che andrà a nascondersi? Che cambierà mestiere o verrà sostituito? Che chiederà scusa agli italiani per aver sostenuto verità bislacche? Oppure faremo finta di nulla?

 

Il ritorno della trincea

 

Che i russi non abbiano intenzione di usare il nucleare in Ucraina, è dimostrato anche dal fatto che stanno costruendo una trincea lunga 200 km per difendere i territori del Donbass recentemente integrati nella Federazione. I media l’han chiamata Linea Wagner.

Giusto per farsi un’idea: è meno della metà della Linea Maginot (che però fu costruita dal 1928 al 1940), ovvero 1/3 della Linea Sigfrido (costruita in 2 anni), che però dovevano servire per difendere intere nazioni (Francia e Germania). Per noi italiani è come se andassimo da Genova a Bologna.

Non è ridicolo che Biden, nel suo ultimo discorso all’Assemblea generale dell’ONU, abbia riportato frasi inesistenti di Putin, come per es. questa: “il nostro Paese minaccia il mondo con armi nucleari”? Che stesse parlando del “suo proprio” Paese?

E comunque in una guerra nucleare a che servono le trincee? Già la prima guerra del Golfo aveva evidenziato quanto la guerra di trincea fosse superata dall’evoluzione della tattica militare. E lì gli americani si limitarono alle bombe al fosforo e all’uranio impoverito.

Il che non vuol dire che lo strumento della trincea oggi non venga usato. Basta vedere la linea di demarcazione tra Corea del Nord e Corea del Sud, così come il confine tra Pakistan e India nella regione del Kashmir.

In teoria basterebbe l’aviazione per rendere inutile la trincea. Gli ucraini le avevano costruite di fronte al Donbass proprio perché sapevano che gli autonomisti delle due repubbliche non disponevano di aviazione.

La Linea Wagner dovrà essere realizzata entro 6 settimane, perché poi arriverà l’inverno. Ci si prepara insomma a una guerra di posizione, fatti salvi i continui bombardamenti alle infrastrutture strategiche degli ucraini.

Che cosa resterà dell’Ucraina è difficile dirlo, ma se il governo di Kiev non si arrende, resterà solo un cumulo di macerie.

Il politologo russo Ivan Timofeev ha detto che l’Ucraina è la trincea dove finisce il sogno di un’Europa estesa da Lisbona a Vladivostok e dove (ri)sorge il sogno di un’Asia de-occidentalizzata estesa da Murmansk a Shanghai. È il luogo dove si consumerà la fine della Pax americana, e che verrà ricordato come un “super 11 settembre” per l’impatto che avrà sui prossimi decenni.

 

[31] Scopri le differenze

 

Certo che c’è una bella differenza tra la prima guerra fredda e questa seconda.

Dal 1945 al ’91 l’URSS ha costituito un modello da imitare per tutte le nazioni che volevano liberarsi del colonialismo occidentale e anche per molta sinistra occidentale che voleva superare il capitalismo.

Quando l’URSS implose ci fu una grave crisi di valori e di ideali in tutto il mondo. Si cominciò ad avere l’impressione che il capitalismo fosse imbattibile. E nel Terzo mondo, anche se le forme più brutali del colonialismo erano state smantellate, si era formato una sorta di neocolonialismo economico e finanziario che ribadiva la dipendenza di quei Paesi nei confronti dell’occidente.

Con Gorbaciov si era capito che il socialismo statale non era riformabile, e che le nazioni che non volevano rinunciarvi (p.es. la Cina), dovevano per forza introdurre degli elementi capitalistici se volevano restare indipendenti e svilupparsi.

Oggi invece è il turno del neoliberismo occidentale ad essere arrivato al capolinea. Gli statisti occidentali si erano illusi che il capitalismo sarebbe potuto durare un’eternità.

La causa principale di questa crisi epocale è il rifiuto dell’economia di farsi controllare dalla politica e la conseguente trasformazione del primato dell’economia produttiva in primato della finanza speculativa. Tutte le più grandi crisi finanziarie del XXI sec. sono nate negli USA, che han trascinato nel vortice mezzo mondo. A queste crisi devastanti l’intero occidente ha reagito in maniera sempre più aggressiva, scatenando guerre in varie parti del pianeta. L’occidente non vuole “implodere” come la Russia, ma vuole far pagare al mondo intero il prezzo del proprio fallimento. Gli ultimi due nemici che si è inventato sono Russia e Cina.

Oggi però lo scontro non è tra capitalismo privato e socialismo statale, ma tra due forme di capitalismo: quella privata e prevalentemente finanziaria dell’occidente, e quella statale dell’area asiatica, tenuta sotto controllo dall’istanza politica e da un certo senso del collettivismo nazionalistico, che deriva da tradizioni cristiano-ortodosse e indo-buddistiche (ma vi è del collettivismo anche nelle realtà islamico-tribali).

È evidente che tra le due forme di capitalismo quella asiatica è destinata a vincere: è più compatta, meglio organizzata e in fondo più efficiente, senza avere una natura destabilizzante per i Paesi più deboli o con meno risorse. La Russia, poi, è in grado di competere sul piano militare, e la Cina su quello economico.

È difficile trovare categorie adeguate con cui interpretare questa seconda guerra fredda, che rischia di diventare molto calda, in quanto l’occidente non si rassegna a rinunciare alla propria egemonia mondiale. Tuttavia gli Stati che soffrono sotto il suo neoliberismo capiscono istintivamente che in questo conflitto tra Russia e NATO è meglio stare dalla parte della Russia. Tutti stanno aspettando di capire se l’adesione alla geopolitica multipolare della Russia comporta un’adesione anche militare contro l’occidente, oppure se la NATO ammetterà la propria sconfitta in Ucraina, lasciando che la storia del capitale proceda per strade diverse da quelle fin qui percorse, strade più asiatiche che euroamericane.

Sia come sia l’umanità è ancora ben lontana dall’essersi scrollata di dosso tutti i condizionamenti della mentalità borghese. Per una rivoluzione di questo genere ci vorranno probabilmente dei secoli. Per il momento bisogna accontentarsi di un miglioramento nello sfruttamento del lavoro altrui, come quello che si realizzò nel Medioevo, quando si sostituì, grazie alle tribù asiatiche, lo schiavismo col servaggio.

 

Armi sicure per la salute

 

Forse non tutti sanno che gli USA han già utilizzato armi nucleari tattiche ed è per questo che il Cremlino si preoccupa. D’altronde gli USA si comportano come gli sceriffi nei vecchi film dei cow boy, quando dicevano: “La legge sono io!”.

Lo stesso Congresso statunitense, nel 2003, approvò l’uso di armi nucleari tattiche nelle guerre non convenzionali. Lo fece nella convinzione bislacca che, siccome la tecnologia militare è avanzata di parecchio rispetto alle due bombe usate contro il Giappone, l’uso di quelle tattiche di bassa potenza sarebbe stato abbastanza “sicuro” per i civili.

Già nel 1950 il “cannone nucleare” Davy Crockett, il sistema d’arma più piccolo con una gittata di 4,5 km, faceva parte dell’arsenale delle forze armate, le quali oggi sono in possesso di 3.400 munizioni nucleari dalla potenza variabile (circa 2.000 sono già schierate).

Secondo esperti militari russi le munizioni nucleari di nuova generazione sono state utilizzate da Israele in Libano nel 2006, durante l’operazione contro Hezbollah. Erano state fornite dagli USA per essere testate in battaglia. Furono trovate tracce di uranio arricchito, anche se non c’erano radiazioni gamma e isotopi cesio 137.

Il problema maggiore è che le munizioni termonucleari “pure” non sono controllate da nessun accordo internazionale e formalmente rientrano nei sistemi convenzionali ad alta precisione, anche se la loro potenza distruttiva è di gran lunga superiore.

Pare che anche le Torri Gemelle di New York siano state abbattute non solo dagli aerei kamikaze, ma anche da esplosioni di piccole cariche termonucleari: lo dimostrerebbe il fatto che alcuni vigili del fuoco e poliziotti, che si trovavano lì, morirono anni dopo di cancro.

Pare anche, ma qui si è più sicuri, che gli USA abbiano usato armi nucleari tattiche almeno una volta in Iraq e un paio di volte in Afghanistan, nelle montagne di Tora Bora. Per loro è normale, perché in questa maniera rendono il mondo “più sicuro”! Naturalmente nel più totale disprezzo della Convenzione di Ginevra.

Fonte: ogigia.altervista.org

 

Armi nucleari tattiche tra Turchia e PKK

 

Il 3 ottobre scorso Gianni Sartori scrisse un articolo sfuggito al nostro mainstream mediatico. Era dedicato all’uso di armi nucleari tattiche da parte dell’esercito turco nel Basur (Kurdistan del Sud, Nord dell’Iraq), contro la popolazione kurda. Ma certezze non ve ne sono.

Siccome la resistenza dei combattenti del PKK era troppo forte, i turchi avrebbero usato bombe del genere per distruggere i tunnel nelle montagne. Ci si riferisce all’agosto scorso, proprio mentre la Turchia era impegnata a cercare una mediazione tra Russia e Ucraina.

Ma da dove le avrebbero prese? Dalla NATO, è evidente. Anche l’Italia e la Germania le hanno. Che la Turchia abbia avuto o meno l’autorizzazione per utilizzarle, è un altro discorso. Ma Erdoğan si sa: fa quello che gli pare.

Fonte: osservatoriorepressione.info

 

L’etica cattolica

 

Il 28 ottobre, su “Avvenire”, Francesco Palmas ha scritto che nella UE vi saranno entro il prossimo dicembre 150 nuove bombe nucleari tattiche (B-61 modello 12 con potenza termonucleare regolabile da 0,3 a 50 kilotoni). Saranno ospitate da Italia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Turchia e pare anche dalla Grecia. Il programma va avanti da 8 anni.

Il giornalista, naturalmente, essendo filo-ucraino, addebita la responsabilità di ciò interamente alla Russia, che avrebbe alzato il livello dello scontro sin dall’annessione della Crimea.

È così ottuso che non riesce a capire la differenza tra “incorporazione tramite referendum popolare” e “annessione tramite la forza militare”, e tanto meno riesce ad afferrare l’enorme sproporzione tra una causa: “incorporazione pacifica di un territorio quasi al 100% russofono” e il suo effetto: “reazione nucleare della NATO”.

Non riesce neppure a capire che quando Putin ammette l’uso del nucleare per difendere gli interessi vitali della Federazione, non ha intenzione di comportarsi come gli americani, che hanno usato bombe tattiche nucleari in territori lontanissimi dai loro confini, come Irak e Afghanistan.

È così sprovveduto che, anche quando afferma che i codici per attivare queste nuove testate sono a disposizione soltanto degli americani, non si rende conto che potranno essere tranquillamente i piloti italiani a sganciarle con gli aerei F-16, F-35 e Tornado. Non è che ci possiamo lavare la coscienza sporca precisando che non conosciamo i codici dell’apocalisse. Che senso dell’etica ha questo giornalista cattolico?

In un’affermazione è poi addirittura esilarante: “ad azionare il fuoco atomico sarebbe una decisione statunitense e della NATO, ma i governi che ospitano le bombe conserveranno la libertà di opporvisi per motivi politici”. Riusciamo per un momento a immaginare che un governo dica sì al nucleare (rappresentato dal ministro della Difesa in una sessione della NATO) e poi chieda al parlamento di ratificare la decisione? Prima ancora che i parlamentari premano i bottoni del sì o del no, le basi di Aviano e Ghedi sarebbero già saltate per aria e con loro, come minimo, mezza Italia del nord. Questo poi senza considerare che se la NATO vuole usare il nucleare, appellandosi all’art. 5 del suo Statuto, non c’è “governo politico” che tenga. Se c’è una cosa che in questa guerra russo-ucraina abbiamo capito è che è la UE a prendere ordini dalla NATO, non il contrario.

Vogliamo comunque metterci nella testa che i russi non sono degli imbecilli e che quelle due nostre basi vengono considerate degli obiettivi sensibili da eliminare immediatamente?

Fonte: avvenire.it


Novembre

 

 

 

[1] Una speranza per l’umanità

 

Due effetti collaterali saltano agli occhi in questa guerra russo-ucraina. E, incredibile a dirsi, lasciano ben sperare sul futuro dell’umanità.

Il primo lo vediamo nelle manifestazioni popolari a favore della pace. Mi riferisco a quelle spontanee, dettate da intenzioni genuine, non a quelle faziose e strumentali, organizzate dai partiti davanti alle ambasciate russe.

Ormai la gente comune è arrivata a un punto tale di preoccupazione che qualunque manifestazione contro la guerra è destinata a diventare anche contro la NATO.

Questo perché l’Alleanza viene gestita da un Paese, gli USA, profondamente guerrafondaio, e da un segretario generale, Stoltenberg, che fa unicamente il portavoce di Biden.

La NATO non ha più nulla di difensivo, in quanto è anzitutto e soprattutto offensiva. È dalla guerra in Jugoslavia che si comporta così, ma solo adesso la gente scende in piazza per dire basta alla NATO, e protesta davanti alle sue basi. Certo, 40 anni fa si facevano manifestazioni contro i missili a Comiso, ma la sinistra parlamentare non chiedeva di uscire dalla NATO. Oggi è la gente comune che lo chiede, quella che ha più senno di tanti partiti sedicenti democratici.

La seconda cosa rilevante è l’attività diplomatica della Russia sul piano internazionale. Quella occidentale, messa a confronto, è patetica. Zelensky, con la sua retorica vittimistica e pseudo eroica, ha infiammato le platee occidentali, che si sono convinte a rifornirlo di armi e soldi, ma non ha convinto per niente i Paesi che subiscono il globalismo euroamericano.

E quella degli USA, sempre intenzionata a minacciare di sanzioni chi non si mette in riga, ha stancato. L’umanità vuole sentirsi libera di agire come meglio crede e non secondo la volontà di chi fa la voce grossa. La narrativa occidentale ormai ha assunto un carattere autoreferenziale, nel senso che fa discorsi ad uso interno, che al resto del mondo non interessano.

Viceversa, la diplomazia russa ha lanciato iniziative che riguarderanno il futuro dell’umanità non nei prossimi anni o decenni, ma nei prossimi secoli. Fino a pochi mesi fa sarebbe stato impensabile vedere attorno a uno stesso tavolo cinesi e indiani, indiani e pakistani, russi e afghani, e così via. Sono state messe in campo iniziative che riguardano interi continenti, come quello asiatico, africano e sudamericano.

USA, UE, Oceania, Regno Unito, Giappone, Sudcorea, Taiwan e pochi altri sembra che si siano tarpati le ali da soli: stanno lentamente ma progressivamente uscendo dalla storia dei Paesi che contano.

Il concetto di “mondo multipolare” somiglia alla fusione dei gameti maschili e femminili che porta alla formazione dello zigote. Cioè cellule diverse, una volta unite, generano qualcosa che nessuna di loro, separatamente, avrebbe mai potuto produrre, anzi neppure immaginare.

 

Matsokin sta anticipando il futuro?

 

Il vicesindaco della città di Izyum, Vladimir Matsokin, ha dichiarato: “Non abbiamo bisogno di via Gagarin ma di via Dzhokhar Dudaev, via Londra e piazza Lettonia, perché questo è il rispetto per le nazioni che stanno al nostro fianco nella battaglia contro la Russia”.

Triste questo modo gretto di vedere le cose della storia. Peraltro la navicella Vostok-1, con cui Gagarin poté compiere il primo volo umano nello spazio, era stata progettata proprio dal famoso scienziato ucraino Sergei Korolev.

Ma chi era Dudaev? È stato un generale dell’aviazione sovietica e primo presidente dal 1991 al 1996 della repubblica cecena di Ichkeria (regione separatista nel Caucaso settentrionale).

Cioè aveva la stessa nazionalità di quei ceceni filorussi che per 8 mesi sono stati per i neonazisti ucraini come il martello sull’incudine. Altri battaglioni di volontari ceceni dal 2014 ad oggi sono in Ucraina per supportare le forze armate di Kiev nel conflitto contro le forze separatiste filorusse di Donetsk e Lugansk. Quindi, come si può notare, il concetto di “separatismo” è ambivalente: ok se viene usato contro Mosca, ko se viene usato a suo favore.

Approfittando dell’implosione dell’URSS, Dudaev smantellò con la forza il governo comunista della Cecenia e, tramite un referendum nel 1991, si fece confermare dalla popolazione come presidente separatista. Dopodiché lui stesso dichiarò unilateralmente la sovranità della repubblica di Ichkeria e la sua indipendenza dalla Russia. Eltsin rifiutò di riconoscerla, ma esitò a usare la forza. In ogni caso la repubblica cecena-inguscia di Ichkeria non fu riconosciuta a livello internazionale, se non dalla Georgia nel 1991.

Tuttavia la repubblica si divise in due nel giugno 1992, in quanto quella russofona voleva stare sotto la Russia: fu così che nacque la repubblica di Inguscezia.

Nell’altra repubblica invece s’impose la russofobia, ivi incluso il divieto di usare il cirillico e quindi la lingua russa. Uno dei primi decreti di Dudaev dava a ogni uomo il diritto di portare armi. Le sue politiche economiche trasformarono la regione in un paradiso criminale.

Nel 1993 il parlamento ceceno tentò di organizzare un referendum per verificare la fiducia della popolazione a Dudaev. Ma lui sciolse il parlamento e altri organi di potere.

A partire dall’inizio dell’estate del 1994, gruppi armati ceceni di opposizione, col sostegno militare e finanziario russo, tentarono, senza successo, di deporre Dudaev con la forza.

Alla fine dello stesso anno scoppiò la prima guerra russo-cecena. Il 21 aprile 1996, mentre utilizzava un telefono satellitare, Dudaev fu intercettato da un aereo da ricognizione russo e colpito da due missili a guida laser.

Questa vicenda sembra una micro anticipazione di quanto sta avvenendo in Ucraina.

 

Una cosa abbastanza singolare

 

È curioso vedere gli abitanti filorussi del Donbass (ma lo stesso si potrebbe dire di quelli della Transnistria) conservare valori, simboli, tradizioni del passato socialismo statale dell’URSS. Il loro “sovietismo” oggi al massimo, nell’intera Federazione, lo si può ritrovare nei seguaci del partito comunista di Gennadij Zjuganov, che peraltro è più stalinista che leninista.

Accettando di vivere in condizioni economiche modeste, non si sono mai lasciati sedurre dalle sirene occidentali. Forse per questo Putin ha esitato 8 anni a incorporarli nella Federazione. Non sarebbe stato molto conveniente per lui mettersi in casa 8 milioni di persone che probabilmente avrebbero votato per una restaurazione del comunismo.

Questi separatisti fanno venire in mente gli italiani che, spinti da esigenze materiali, andavano a vivere all’estero. Non tornando più in patria, si fossilizzavano nei loro usi e costumi, perdendo il contatto col presente in continua evoluzione: restavano più “italiani” loro dei parenti lasciati nella madrepatria.

Sia come sia, il governo nazionalista di Kiev ha avuto nei loro confronti un approccio completamente sbagliato sin dal momento del golpe. Ha voluto affrontarli subito con spirito autoritario, come se fossero dei nemici irriducibili da sottomettere, se non addirittura da sterminare il prima possibile. Lontanissima da loro era la tattica morbida usata dai tedeschi dell’ovest nei confronti di quelli dell’est. I vari governi di Kiev non hanno capito che prima di tutto bisogna comprare il consenso dei giovani, promettendo mari e monti.

E non è che non avessero i mezzi per imbonire la popolazione. È che tutti quelli che gli arrivavano dagli USA, se li intascavano, o li usavano per potenziare gli aspetti militari. L’Ucraina è stata gestita da una cricca di oligarchi che ha pensato anzitutto ad arricchirsi a spese di tutta la popolazione, inclusa quella del Donbass, la quale però, quando ha visto che gli oligarchi stavano finanziando anche le formazioni militari neonaziste per eliminare le due repubbliche separatiste, ha detto basta.

 

[2] Il miraggio del price cap e le sabbie mobili

 

Le proposte europee per fissare limiti al prezzo pagato per il gas naturale, nel tentativo di contenere la volatilità dei costi del carburante, sono “ipocrite”, ha detto il ministro dell’Energia del Qatar Saad Al Kaabi, che è anche amministratore delegato della più grande azienda produttrice di gas naturale liquefatto del mondo, Qatar Energy.

Infatti l’interferenza nei mercati contraddice le regole di concorrenza sul libero mercato che l’Europa stessa applicava in precedenza ai produttori. Ha detto anche che, siccome il suo Paese è per il libero mercato, se la UE imporrà un tetto al prezzo del gas russo, il Qatar non le venderà nulla.

Perché ce l’ha tanto col price cap? Perché secondo lui una limitazione del genere riduce gli incentivi a investire nella produzione di gas e potrebbe privare alcuni acquirenti delle forniture. Infatti gli importatori rivali a quelli europei, offrendo solo un centesimo in più, potrebbero mettere le mani su forniture che inizialmente erano destinate all’Europa.

Le difficoltà della UE persisteranno almeno fino al 2025 se gli inverni saranno rigidi e i flussi degli oleodotti russi non torneranno a livelli normali.

Ma quel che è peggio, è che i Paesi della UE non agiscono insieme nella lotta per abbassare i prezzi del gas. Ogni Paese va da solo a bussare alla porta del Qatar o degli Emirati Arabi Uniti, cercando di offrire di più. Qatar Energy, per es., sta ancora negoziando con le società tedesche RWE AG e Uniper SE per le forniture di GNL ed è in trattative avanzate con alcuni acquirenti asiatici.

Quindi è ridicolo dire che grazie a Putin, indirettamente, l’Europa è più unita che mai. Semmai il contrario: questa crisi sta facendo emergere tutta la fragilità dell’impianto UE, una federazione ibrida di Paesi diversissimi tra loro per economia, grandezza, industria, debito, privi di una politica fiscale comune, uniti solo da una valuta, e dove i politici devono rispondere anzitutto alle popolazioni nazionali.

D’altra parte l’avevamo già visto al Consiglio Europeo, dove veniva chiesto di dare solidarietà nella condivisione dell’energia, ma non c’era solidarietà sulle richieste di contenere i prezzi del gas. Anzi, quando qualcuno “potente” dice di no al price cap del gas, subito i prezzi salgono. E quando i prezzi salgono, sprofondiamo sempre più in una recessione già in atto. Come quando finisci nelle sabbie mobili e ti dicono di non agitarti, altrimenti verrai inghiottito prima.

Quella sconsiderata della von der Leyen sostiene che con dei prezzi così alti e un calo della domanda, i consumi di elettricità dovranno per forza diminuire. Come al solito non si rende conto di quel che dice: una cosa infatti è che i consumi di energia diminuiscano all’interno di una famiglia; un’altra è che ciò avvenga perché l’impresa non è in grado di sostenerli ed è in procinto di chiudere. E comunque ormai i prezzi sono così alti che in Italia, negli ultimi 9 mesi, già 4,7 milioni di cittadini hanno saltato il pagamento di una o più bollette di luce e gas.

Ma il vertice della comicità si raggiunge quando in Europa dicono che, grazie a questo aumento dei prezzi, si accelera l’esigenza di una transizione ecologica, in cui il fossile sarà destinato a scomparire. Chissà perché i più disperati stanno urlando di tornare al carbone... Persino la Thunberg si è sentita indotta a dire: “Piuttosto che il carbone, meglio il nucleare!”. Cioè dalla padella alla brace.

Qui siamo davvero alla follia. Come se non si sapesse, non da giorni o mesi ma da secoli, che qualunque tetto al prezzo di qualunque merce capitalistica, cioè qualunque imposizione politica al libero mercato e al potere dei monopoli, è destinata a fallire in partenza. Per non parlare del fatto che, nell’ambito del capitalismo, è impossibile parlare di nazionalizzazione delle aziende strategiche una volta che si è favorita la loro privatizzazione. Per farlo ci vogliono grandi sconvolgimenti strutturali, anzi epocali. Non a caso dopo il naufragio del price cap sul gas nella UE, anche il price cap sul petrolio elaborato a livello di G7 sta per trasformarsi in una barzelletta.

E comunque la von der Leyen ha già promesso a Zelensky 1,5 miliardi di euro al mese per tutto il 2023. A lei interessa solo una cosa: costringere i russi alla resa!

 

E vai con l’ultradestra!

 

In Israele il blocco di estrema destra del sionista ashkenazita Benjamin Netanyahu sta per avere la maggioranza di 69 seggi alla Knesset. Ora ha il potere di formare un nuovo governo religioso-nazionalista, contrassegnato da un’ideologia suprematista, con cui sarà impossibile riprendere i negoziati coi palestinesi. A meno che non si faccia sentire la minoranza araba, che rappresenta circa 1/5 della popolazione totale in Israele.

Questa è la quinta elezione anticipata negli ultimi tre anni e mezzo, ma l’affluenza alle urne è stata del 70%. Come nelle ultime tornate, queste elezioni somigliano molto a un referendum sulla figura di questo ex premier guerrafondaio, al governo dal 2009 al 2021, di recente sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio.

Netanyahu ha già detto che non riconoscerà l’accordo sui confini marittimi siglato alcuni giorni fa col Libano per il controllo di alcuni giacimenti energetici nel Mediterraneo. Quindi prepariamoci a una nuova guerra, anche perché col Libano Israele è formalmente in guerra dal 1948. Inoltre Israele teme parecchio il recente riavvicinamento tra Russia e Iran sullo sfondo degli eventi in Ucraina. E l’Iran appoggia gli Hezbollah del Libano.

Netanyahu però ha detto che non ha intenzione di fornire armi a Kiev, sia perché teme la fine dei rapporti con la Russia, sia perché teme che le armi finiscano in mani iraniane, come già successo nelle alture siriane del Golan, dove Israele sta cercando d’impedire all’Iran di creare un secondo fronte libanese.

 

[3] Chi sono i filorussi nostrani?

 

È difficile dire chi siano i filorussi in Italia. Dalla loro produzione mediatica potrebbero essere divisi in almeno due o tre categorie fondamentali: i nostalgici dell’ex URSS, molti novax e, in genere, tutti quei soggetti che detestano i governi troppo europeisti e atlantisti, e troppo poco sovranisti e ambientalisti. Poi naturalmente vi sono quelli che hanno rapporti con la Russia per motivi culturali o commerciali o relazionali. E quelli che ragionano con la loro testa, essendosi informati su quanto è successo in Ucraina dal 2004 (rivoluzione colorata) ad oggi.

Molta di questa gente minimizza i difetti politico-istituzionali e socioeconomici della Federazione Russa. Sopravvaluta la grandezza e i suoi successi in campo militare. Considera Gorbaciov negativamente, come fanno i russi, e apprezza enormemente Putin per aver ridato dignità a un Paese sprofondato nel marasma generale negli anni ’90.

Tutta questa gente detesta profondamente sia gli USA (per la loro arroganza militaristica nel mondo) che la UE (con la sua amministrazione iper-burocratica e pseudo-democratica, troppo favorevole ai franco-tedeschi). Ma anche i governi nazionali non vengono risparmiati da accese critiche, soprattutto per aver gestito in maniera asfissiante e intollerante la pandemia.

Il partito che ha deluso di più sono stati i pentastellati, ma anche il PD non è meno odiato. Soprattutto non si tollera l’atteggiamento guerrafondaio contro la Russia e il sostegno acritico nei confronti dei neonazisti di Kiev.

Tutta questa gente attende di sapere cosa accadrà sul piano energetico nel corso del prossimo inverno, poi, se necessario, scenderà in piazza. E saranno tempi bui, anche perché l’attuale governo di destra non sarà in grado di risolvere alcun problema. Anzi, molto probabilmente ne aggiungerà di nuovi.

 

Desertificazione tedesca in stato avanzato

 

La crisi energetica sta colpendo quasi tutti i settori dell’economia tedesca. Secondo un sondaggio sulle imprese dell’Unione delle Camere di Commercio, circa l’82% delle 24.000 aziende intervistate vede i prezzi dell’energia e delle materie prime come un rischio di chiusura aziendale, il più alto dal 1985.

Solo l’8% degli intervistati si aspetta un miglioramento: una percentuale più bassa che al tempo della pandemia. Questo perché le aziende temono che il peggio debba ancora venire e che nel 2023 si avrà un crollo dei fatturati dell’8%. Tant’è che molte stanno pensando di delocalizzare la produzione all’estero: in particolare 4 industrie chimiche su 6 e il 17% delle case automobilistiche.

La Germania purtroppo sul piano politico non ha spina dorsale. È stata quella più tartassata dalle decisioni angloamericane in questa guerra russo-ucraina, e non ha reagito. Invece di guidare la UE in un atteggiamento autonomo rispetto alla NATO, si è lasciata profondamente condizionare, pur sapendo benissimo che era lei il principale bersaglio delle sanzioni antirusse. E ora va cercando soluzioni economiche individualistiche alla crisi economica che la sta sprofondando nella recessione.

La piaggeria filoamericana dei Verdi tedeschi è la cosa che ha destato maggiore imbarazzo tra i pacifisti europei. Quanto a Scholz, non solo ha fatto rimpiangere i tempi della Merkel, ma soprattutto ha dimostrato di non essere in grado di dirigere una grande nazione come quella. Meriterebbe che la ex DDR chiedesse di ritornare sotto la Russia o di far parte dei BRICS o di staccarsi dalla parte occidentale come ha fatto il Donbass con l’Ucraina.

I tedeschi si devono scrollare di dosso il peso della vergogna del loro passato: li paralizza troppo. Dopo quello che in questi mesi gli è stato fatto, dovrebbero con decisione uscire dalla NATO, dando agli altri Paesi europei un grande esempio da imitare. Se lo facessero, si riscatterebbero immediatamente sia a livello politico che etico. Non solo, ma di fronte all’idea di riprendersi i territori che la Germania dovette cedere alla Polonia nelle due guerre mondiali, staremmo dalla sua parte, anche se purtroppo questa idea appartiene all’estrema destra. Ci riferiamo alla Posnania, alla Prussia orientale (oggi exclave russa), alla Pomerania orientale, al Brandeburgo orientale e a gran parte della Slesia.

 

Una vittoria contestata

 

La Cina è entusiasta della vittoria di Lula da Silva. Lo paragona, a motivo della sua difficile infanzia, fondata sul duro lavoro, a uno dei tanti leader cinesi dell’attuale partito comunista, come Xi Jinping, Shi Taifeng e Li Zhanshu, che hanno lavorato in comuni agricole durante le follie maoiste o come operai prima di poter studiare.

Non a caso il suo partito socialista dei lavoratori gode di un rapporto di particolare amicizia e cooperazione col partito di Xi Jinping, forse perché entrambi han dovuto lottare parecchio per ridurre la povertà dei rispettivi Paesi.

La Cina in 40 anni ha tolto dalla miseria oltre 800 milioni di persone. E Lula, durante la sua prima presidenza del Brasile, dopo aver ereditato, nel 2002, circa 22 milioni di indigenti (il 12,3% della popolazione), nel 2013, secondo dati della Banca Mondiale, li aveva ridotti al 4,8%.

Inoltre Lula era riuscito a innalzare la reputazione internazionale del Brasile, attraverso negoziati sul cambiamento climatico, sul Programma Nucleare della Repubblica Islamica dell’Iran, e soprattutto sull’adesione ai BRICS.

Quando ha subìto il controverso processo (tutto politico) per corruzione e riciclaggio del denaro, fu sostituito alla guida del Paese da una figura nostalgica della dittatura militare del Brasile, come Jair Bolsonaro, il terrore degli indigeni dell’Amazzonia.

Durante il governo classista di Bolsonaro il numero di brasiliani che hanno affrontato una grave insicurezza alimentare è quasi raddoppiato: dal 2018 al 2020 ben 19,1 milioni di persone. Senza considerare che lui ha applicato il segreto di stato per 65 volte!

Tuttavia il Brasile è spaccato in due e non è da escludere che l’elezione di Lula finisca in un bagno di sangue. Se i cittadini, manifestando, chiedono l’intervento dei militari, com’è loro diritto di fare in virtù della Costituzione, gli stessi militari hanno molti poteri per agire.

 

Non se ne può più dei profughi ucraini

 

“L’intero mondo europeo è stufo dei profughi ucraini”. Così è scritto in un sito polacco che citiamo qui in calce.

In particolare l’articolista si lamenta che i rifugiati non hanno intenzione di lavorare per le economie dei Paesi ospitanti perché vogliono tornare in Ucraina. Ma in realtà fanno avanti e indietro tra le due nazioni. In teoria infatti non potrebbero lasciare la Polonia per oltre un mese, altrimenti perdono tutti i benefici, ma loro invalidano i documenti.

Inoltre non si comportano legalmente in cambio dell’assistenza sociale concessa. Vengono giudicati troppo aggressivi, ladri, irrispettosi delle tradizioni e dei costumi nazionali, vandali nei confronti di alcuni monumenti architettonici. Nel complesso hanno un’istruzione minima e una mentalità medievale.

Secondo lo stesso sito il generale ucraino Valery Zaluzhny è il candidato numero uno per la sostituzione anticipata di Zelensky. Contrariamente al presidente dell’Ucraina, Zaluzhny non ha avuto scandali di corruzione, nessun abuso di “droghe vietate” e non si è reso responsabile nel passato di nessun attacco aperto ai russofoni del Donbass.[8]

Senonché il governo polacco appoggia Zelensky perché in realtà vuole riprendersi almeno una parte delle ex regioni polacche di Galizia e Volinia attualmente entro i confini ucraini.

Pare che Zaluzhny sia appoggiato dall’intero esercito e dai servizi di sicurezza, così come dalla Casa Bianca. Viceversa la posizione di Zelensky è sostenuta dagli statisti europei.

Fonte: dziennik-polityczny.com

 

[4] Siamo un branco di ipocriti

 

Se c’è una cosa insopportabile è sentire giornalisti, analisti militari, politici... sostenere che quando scoppiano le guerre, entrambe le parti in causa mentono, poiché non vogliono offrire un vantaggio all’avversario: entrambe minimizzano le proprie perdite in uomini e mezzi ed esagerano sulle perdite del nemico. Tuttavia in questa maniera fintamente equidistante noi non facciamo nulla per accorciare i tempi del conflitto, ma anzi preferiamo procrastinarlo ad libitum.

Tutto ciò poi nel migliore dei casi. Infatti nel peggiore si preferisce stare esplicitamente solo da una parte, qualunque cosa faccia o dica. Si sta dalla parte di chi fa i nostri interessi, quella che più somiglia al nostro stile di vita, alla nostra mentalità, quella che preventivamente abbiamo definito “buona e giusta”, soprattutto perché ci piace farla apparire come “vittima” o perché ci piace definire l’altra parte come “carnefice”.

Politici, giornalisti e analisti militari della nostra amata e odiata Europa spesso sono solo un branco di ipocriti, anche perché, nella fattispecie della guerra russo-ucraina, si sono messi tutti (o quasi tutti) dalla parte dei neonazisti di Kiev. Quello infatti non è un semplice governo eletto democraticamente di idee nazionaliste, ma è un’aberrazione dell’umanità, una vergogna che nella nostra Europa non dovrebbe neppure esistere, non dovrebbe ricevere alcun sostegno, né militare né finanziario, se non per motivi umanitari.

Questa accozzaglia di intellettuali privi di scrupoli non solo afferma un principio astratto, che in fondo è sofistico (la verità non esiste o è sempre relativa), ma poi, sul piano pratico, nega l’equidistanza pilatesca, e opta per affermare i propri pregiudizi ideologici.

Invece di dire: “verifichiamo le fonti, facciamo controlli incrociati, chiediamo a testimoni oculari, inviamo nostri giornalisti professionali sul campo, sentiamo tutte le campane, troviamo un punto in comune, un termine medio, sforziamoci di essere obiettivi”, preferiscono dire: “la verità è una sola: quella che decidiamo noi, noi che abbiamo in mano i mezzi di comunicazione. Nessuno può contestarci, nessuno ha il diritto di farlo”. Siamo in pieno regime orwelliano: “La menzogna diventa verità e passa alla storia”.

Sono loro che vogliono continuare la guerra, non gli ucraini, che sicuramente dopo 8 mesi non ne possono più. Sono loro che s’illudono di poter fiaccare la resistenza russa e che, pur di convincersi del valore delle proprie ubbie, delle proprie fissazioni, sono disposti a mandare al macello giovani e uomini che hanno famiglie alle spalle.

 

Scienza e tecnica per il bene dell’umanità

 

Il 1° novembre la Russia ha inviato uno dei sei magneti giganti da 200 tonnellate, necessari per il programma di fusione nucleare ITER in Francia, uno degli ultimi progetti scientifici internazionali in cui la partecipazione russa della Rosatom non può essere esclusa.

La nave, partita da San Pietroburgo, era diretta a  Marsiglia, da dove poi il magnete è stato portato al centro di ricerca nucleare Cadarache nel Comune di Saint Paul-lès-Durance. Qui 35 nazioni (tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud, India e UE) stanno collaborando per costruire l’International Thermonuclear Experimental Reactor, il più grande reattore sperimentale a fusione nucleare tokamak mai costruito.

La nave doveva partire a maggio, ma le sanzioni vietavano alle navi russe di attraccare in Europa. Ora però ci abbiamo ripensato.

Senza la bobina russa di campo poloidale il tokamak (camera toroidale con spire magnetiche) non funzionerà: ci sono voluti 8 anni per realizzarla.

Attorno a questo progetto (avviato dopo un vertice del 1985 tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov), non c’è nessuna competizione, poiché il bisogno di energia è planetario.

Il progetto, dal costo di decine di miliardi di euro, farà aumentare moltissimo le conoscenze in materia di fisica del plasma, di criogenia, di superconduttività, di vuoto spinto: tutte necessarie per il futuro prototipo di centrale elettrica a fusione.

Da notare che circa il 60% dei contratti industriali per la costruzione di ITER sono stati aggiudicati da aziende italiane. Non sono un po’ patetici i nostri politici di governo quando dicono che la Russia deve assolutamente perdere nella guerra in Ucraina?

 

Essere o non essere?

 

Ma insomma questa guerra russo-ucraina ha un senso oppure no? Se non ha alcun senso, perché la UE non ha interesse a ottenere la pace per via diplomatica?

Quando le cose non hanno alcun senso, non ci si sforza di dargliene uno, ma ci si preoccupa di capire come si è arrivati a una situazione del genere. Da qualcosa si dovrà pur partire per capire come si è formato questo non senso. Invece gli statisti europei vogliono che il non senso vada avanti a oltranza, e non sono interessati al pregresso. In occidente non abbiamo alcuna memoria storica, e quella che abbiamo è falsa.

Per i russi il senso era chiaro sin dall’inizio: gli abitanti delle due repubbliche separatiste del Donbass non riuscivano più a sopportare la guerra civile iniziata nel 2014, che aveva comportato 14.000 morti. E han chiesto aiuto a Mosca, che prima d’intervenire ha dovuto riconoscerle come tali. Han chiesto un aiuto militare perché il governo di Kiev non aveva mai rispettato gli accordi diplomatici di Minsk, né i Paesi co-firmatari (Francia e Germania) si erano impegnati per farli rispettare. E neppure l’ONU ha mai fatto qualcosa di significativo.

Tutto sommato il comportamento di Putin, pur estremo, può essere ritenuto comprensibile. Se l’Austria eliminasse gli italiani in Alto Adige o i franco-tedeschi gli italiani del Canton Ticino, noi, posto il fallimento della diplomazia, avremmo agito nella stessa maniera, sempre che ci fosse stato chiesto un aiuto militare esplicito.

Ma la stessa cosa potrebbe accadere tra scozzesi (o irlandesi) e inglesi, tra spagnoli e catalani (o baschi), tra francesi e corsi o tra il sindaco Peppone e il parroco don Camillo. Sono diatribe che nella storia son sempre accadute e che probabilmente sempre accadranno.

Quello che più stupisce è la totale assenza di diplomazia da parte degli statisti europei. La Russia ha già raggiunto il suo obiettivo: ha incorporato definitamente il Donbass e si terrà saldamente la Crimea. Tutte le rivendicazioni del governo di Kiev sono, a questo punto, un non senso. Perché non riusciamo a farcene una ragione? I motivi per continuare la guerra non esistono più. Gli ucraini l’han persa. Punto.

L’ottusità con cui i nostri statisti affrontano questo conflitto indurrà inevitabilmente i russi a occupare anche Odessa, unendo il Donbass alla Transnistria e togliendo così all’Ucraina uno sbocco sul mare. Ciò comporterà conseguenze catastrofiche alla sua economia. Poi se gli ucraini continuano a bombardare il Donbass coi nostri missili, i russi occuperanno anche Kiev e costringeranno il governo a fuggire all’estero. Sarà insomma un’apocalisse per milioni di persone, che si vedranno costrette a fuggire all’estero perché troppo russofobe per restare in Ucraina.

Queste son tutte cose che anche un bambino riuscirebbe facilmente a capire. Smetterebbe d’incaponirsi sulle questioni della sovranità politica dello Stato e dell’integrità territoriale della nazione ucraina. L’integrità è definitivamente perduta e se a Kiev i neonazisti (o nazionalisti che dir si voglia) non vogliono trattare, perderanno anche la sovranità.

È stranissimo che un continente come il nostro, che ha un’esperienza bellica di 2500 anni non capisca che situazioni del genere si sono ripetute centinaia di volte. Per i Romani era del tutto naturale intervenire militarmente là dove le città alleate chiedevano il loro aiuto.

E adesso non si dica che tra loro e noi c’è molta differenza. Anche loro avevano un senato, anche loro andavano a votare, anche loro avevano il diritto, un’economia di mercato e le speculazioni finanziarie. L’unica vera differenza sta nel fatto che loro praticavano una schiavitù fisica, mentre noi, avendo riconosciuto la formale libertà giuridica, pratichiamo la schiavitù salariale. Quindi siamo più ipocriti...

 

Uno spezzatino per pranzo

 

Diceva l’ex mente geopolitica di Washington Zbigniew Brzezinski su “Foreign Affairs” nel 1997:

“Date le dimensioni e la diversità (della Russia), un sistema politico decentralizzato e un’economia di libero mercato potrebbero liberare il potenziale creativo del popolo russo e delle vaste risorse naturali della Russia. Una Russia blandamente confederata, composta da una Russia europea, una Repubblica siberiana e una Repubblica dell’Estremo Oriente, troverebbe anche più facile coltivare relazioni economiche più strette coi propri vicini. Ogni entità confederata sarebbe in grado di sfruttare il proprio potenziale creativo locale, soffocato per secoli dalla pesante mano burocratica di Mosca. A sua volta una Russia decentralizzata sarebbe meno suscettibile alla mobilitazione imperiale.”

Cioè in pratica la “Russia blandamente confederata” doveva essere fatta a pezzi dall’occidente e sfruttata in maniera separata. E in tale frantumazione la parte del leone l’avrebbero fatta naturalmente gli USA. In pratica gli statisti euroamericani non hanno mai considerato sufficiente lo smantellamento dell’URSS avvenuto nel 1991.

Intanto il “Wall Street Journal” rivela che la società russa Lukoil sta ancora esportando prodotti petroliferi in 11 Stati federali degli USA.

Ma come fa, visto che c’è un divieto di fornitura di petrolio. Il fatto è che non c’è il divieto sui prodotti di lavorazione di petrolio. E siccome il petrolio russo viene raffinato in uno stabilimento in Sicilia (che è di proprietà della Lukoil), automaticamente il prodotto non è più considerato russo, ma italiano!

Insomma, siamo alle comiche. Fatta la legge, trovato l’inganno.

 

[5] La Dottrina Wolfowitz

 

La cosiddetta “Dottrina Wolfowitz” fu elaborata nel 1992 dall’allora sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz, sotto la supervisione del segretario alla Difesa Dick Cheney e del capo dello stato maggiore Colin Powell. Fu inclusa nel “Defense Planning Guidance for the 1994-99”. I contenuti del piano furono fatti propri dalla “Dottrina Bush”.

Quella fu la prima formulazione dell’agenda neoconservatrice americana post-guerra fredda.

Il documento teorizzava il ruolo degli USA come unica potenza globale, essendo la sola rimasta dopo il crollo dell’URSS. Ecco un suo passaggio fondamentale:

“Il nostro primo obiettivo è impedire, sul territorio dell’ex URSS o altrove, il riemergere di un nuovo rivale che rappresenti una minaccia simile a quella posta in precedenza dall’URSS. Noi dobbiamo sforzarci d’impedire a qualsiasi potenza ostile di dominare una regione le cui risorse, sotto un controllo consolidato, sarebbero sufficienti per generare una potenza globale”.

Insomma l’establishment della politica estera statunitense affermava risolutamente il diritto di Washington di dominare l’Asia centrale e di considerare qualsiasi concorrente nella regione come una minaccia alla sua sicurezza nazionale.

Ciò è stato ulteriormente sottolineato dal fatto che sia la Russia che la Cina sono state identificate nell’ultima strategia di sicurezza nazionale come “concorrenti strategici,” un eufemismo per indicare i nemici mortali.

Al momento, per quanto riguarda la Federazione Russa, l’obiettivo finale degli USA e della NATO è quello di dividerla (balcanizzarla). A tale scopo può essere necessario stabilire una coltre di perpetuo disordine (somalizzazione) sul suo vasto territorio o su una sua porzione, analogamente a quanto già avvenuto in Medio Oriente e in Nord Africa.

Le varie future Russie dovranno essere una pluralità di Stati indeboliti e divisi, demograficamente in declino, deindustrializzati, poveri, senza alcuna capacità difensiva e con l’occidente che sfrutterà le loro risorse. I disordini scoppiati in varie forme e modi in Cecenia, Georgia, Bielorussia, Kazakistan e Ucraina si collocano all’interno della “Dottrina Wolfowitz”.

 

La storia è la storia

 

Se i nazionalisti ucraini insistono nell’affermare il loro ruolo storico di antagonisti alla Russia, smentendo il fatto che storicamente questa narrativa è falsa, li attende un destino catastrofico. Il loro Paese rischierà di dimezzarsi a livello demografico: 8 milioni di persone son già state perse con la recente acquisizione russa del Donbass.

La parte di Ucraina che non ha nulla a che fare con la Russia è solo quella della Galizia e Volinia, tradizionalmente ruotante attorno all’influenza polacca. Tutto il resto appartiene a un’unica tradizione slavo-ortodossa, escluse ovviamente esigue minoranze ungheresi, romene, ceche, ebraiche, greche, bulgare, tatare e moldave (queste ultime più vicine ai romeni, anche se la Bessarabia, tra la Transnistria e la Moldavia, è appartenuta per molto tempo alla Russia). Kiev è stata la culla della Russia.

Smentire tutti questi fatti storici, per fare un favore alla propaganda occidentale, è assurdo. Semmai sarebbe più giusto dire che i territori delle suddette minoranze, adiacenti alle rispettive nazioni, potrebbero essere ceduti all’amministrazione di queste ultime.

Tuttavia, siccome l’Ucraina è circondata da nazioni che già appartengono alla NATO (ad eccezione della Moldavia, il cui governo però ha chiesto di farvi parte), è meglio che tali minoranze continuino ad appartenere al territorio ucraino, in maniera tale che la Russia possa utilizzare i loro territori come cuscinetto.

L’ideologia nazionalista e neonazista dell’Ucraina è un cancro che va estirpato con la forza. Non si può sostenere una nuova immaginazione collettiva o una falsa memoria storica, secondo cui il popolo o la nazione ucraina sono sempre stati separati, in termini sia etnici che civili, dal popolo russo. L’ucraino antirusso è una proiezione politica occidentale che cerca di negare l’unità storica degli slavi orientali e le radici geografiche e il contesto storico dietro la distinzione tra ucraini e russi.

 

Articolo mostruoso di Sinchenko

 

Dmytro Sinchenko, giornalista ucraino seguace di Brzezinski, pubblicò un articolo l’8 settembre 2014 sulla divisione della Russia, avente per titolo “Aspettando la terza guerra mondiale: come cambierà il mondo”.

Sulla base del golpe neonazista di EuroMaidan sosteneva il nazionalismo etnico ucraino, l’espansione territoriale della nazione a spese della maggior parte dei Paesi confinanti, il rafforzamento dell’Organizzazione per la Democrazia e lo Sviluppo Economico del GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova) per creare un contrappeso al Commonwealth degli Stati Indipendenti guidati dalla Russia, l’integrazione nella NATO e il lancio di un’offensiva per sconfiggere la Russia e dividerla in tanti Stati regionali dipendenti dall’occidente.

Alla base di tali obiettivi vi è, secondo lui, la nozione di “Asse del male”, coniata da George W. Bush Jr. nel 2002 per indicare Iraq, Iran e Corea del Nord, cui sono stati aggiunti da John Bolton Cuba, Libia e Siria; per finire con Condoleezza Rice che vi incluse Bielorussia, Zimbabwe e Myanmar (Birmania). Naturalmente Sinchenko proponeva di aggiungere anche la Russia, accusandola di pianificare l’invasione degli Stati baltici, del Caucaso, della Moldova, della Finlandia, della Polonia e persino di due suoi alleati: Bielorussia e Kazakistan. Tutto ciò al fine di provocare una terza guerra mondiale.

Queste assurdità furono divulgate dai media di proprietà del governo ucraino e dal servizio ucraino Radio Free Europe/Radio Liberty, strumento di propaganda americana in Europa e in Medio Oriente, che ha contribuito a rovesciare alcuni governi.

Il messaggio rivolto al popolo ucraino era chiaro: “dopo una guerra con la Russia emergerà una qualche versione di paradiso utopico”. Cioè qualsiasi rivalità bipolare tra Mosca e Washington cesserà di esistere e finalmente nascerà un vero mondo multipolare, anche se USA e UE saranno indebolite a causa della guerra vittoriosa contro i russi.

Ecco dunque un modo opposto a quello putiniano d’interpretare il concetto di “mondo multipolare”. Questo perché non si cerca la verità ma si difende un interesse.

Fonte: euromaidanpress.com

 

Se non vi potete difendere, ci pensiamo noi

 

La strategia USA di sicurezza nazionale, pubblicata insieme a un rapporto del Congresso intitolato “La rinnovata competizione tra grandi potenze: Implicazioni per la Difesa”, confermano che gli Stati Uniti intendono schiacciare qualsiasi opposizione alla loro espansione egemonica in Asia centrale.

Ecco un estratto dal rapporto del Congresso:

“L’obiettivo degli Stati Uniti di prevenire l’emergere di egemoni regionali in Eurasia è una scelta politica che riflette due giudizi: 1) data la quantità di persone, risorse e attività economica in Eurasia, un egemone regionale in Eurasia rappresenterebbe una concentrazione di potere abbastanza grande da poter minacciare gli interessi vitali degli Stati Uniti; e 2) i Paesi dell’Eurasia non possono essere considerati in grado di impedire, attraverso le proprie azioni, l’emergere di egemoni regionali, sicché potrebbero aver bisogno di assistenza da uno o più Paesi al di fuori dell’Eurasia per poterlo fare in modo affidabile.”

Il che, in altre parole, vuol dire che senza la presenza degli USA, in Eurasia i Paesi più piccoli verrebbero mangiati da quelli più grandi. Ecco perché gli USA si vogliono mangiare tutta l’Eurasia.

Da notare che la rivista americana “National Defence”, poco prima del crollo del muro berlinese, aveva presentato un progetto per conquistare la Siberia orientale. L’articolo era stato redatto da W. Kennedy e M. Gyurky.

 

Italiani brava gente? Mica tutti

 

L’ostilità di Washington nei confronti della Russia ha una storia che risale addirittura al 1918, quando Woodrow Wilson aveva dispiegato circa 9.000 soldati in Siberia come parte di uno sforzo alleato per annullare le conquiste della rivoluzione bolscevica. Vi rimasero 18 mesi, dopodiché furono sconfitti dall’Armata Rossa.

E quella volta, contro i bolscevichi, non c’erano solo le truppe americane, ma anche quelle inglesi, francesi, nipponiche e persino italiane, dirette proprio in Ucraina, partendo dal Mar Nero.

Non si deve però pensare che tutti gli italiani fossero favorevoli a intervenire militarmente in Russia. Non solo esistevano forze socialiste disposte a fare la rivoluzione in Italia, ma anche molti italiani erano presenti nell’Armata Rossa: p.es. nella Legione Internazionale di Pietrogrado (ottobre 1917) e di Mosca (marzo 1918), diretta dal francese A. Ebenholz. Una buona parte aveva preso a combattere i Bianchi già nell’agosto del 1918, inquadrata nel 41° Reggimento moscovita.

Una compagnia di soli italiani, entrata a far parte del Reggimento Internazionale della 16a Divisione al comando di V. Kikvidze, difese con abnegazione Tsaritsyn.

Il Reggimento della 13a Armata sul Fronte sud-occidentale era comandato dall’italiano Arturo Zironi. In difesa della Russia sovietica si forgiarono eroi internazionali come p.es. D. Sticsa, P. Gibelli (che morirà in Spagna contro il franchismo), M. Godoni. In Russia Gibelli fu insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa.

Speriamo che Putin si ricordi di queste cose, quando manderà in frantumi la NATO.

 

[6] Chi eredita cosa?

 

Una cosa la guerra russo-ucraina ha messo bene in luce: chi ha ereditato il nazismo tedesco è la democrazia liberale. Di questa eredità la parte più cospicua l’han presa gli USA, il resto han dovuto spartirselo i loro satelliti (la UE, tutta l’anglosfera e persino alcuni Stati ex sovietici).

Questa vergogna la si era già capita durante la II guerra mondiale, quando gli USA tardarono il più possibile l’apertura del secondo fronte richiesta ripetutamente dai sovietici; quando in Italia le operazioni belliche contro i tedeschi procedevano molto lentamente dopo lo sbarco in Sicilia; quando gli USA in Italia non volevano assolutamente coordinare le loro azioni militari con quelle partigiane e anzi pretendevano che queste deponessero le armi; quando buttarono due bombe atomiche sul Giappone più che altro per far capire ai sovietici che la terza l’avrebbero sganciata su Mosca se avessero provato a occupare il Giappone o anche solo ad affacciarsi sul Pacifico; quando protessero in tutte le maniere gli scienziati nazisti per avere la loro collaborazione sul piano militare (dalla costruzione dell’atomica a quella dei razzi e dei missili); quando usarono i gerarchi nazisti, sfuggiti al processo di Norimberga (che fu voluto soprattutto dai sovietici), per potenziare gli apparati dell’intelligence in funzione anticomunista.

Insomma anche se l’Asse Roma-Berlino aveva dichiarato guerra agli USA e a mezza Europa, i governi statunitensi non avevano dubbi nel considerare l’URSS molto più pericolosa della Germania. Di qui l’idea di ereditare l’ideologia nazista in forme inedite, quelle della democrazia formale, del consumismo di massa, della potenza finanziaria del dollaro e del grande uso dei mezzi di comunicazione per imbonire le popolazioni.

Insomma meno ideologia e più capacità persuasiva di far credere bianco il nero e viceversa. Basti pensare che gli USA si sono proposti al mondo intero come “liberatori” dall’imperialismo anglo-francese.

 

Ma come c’è ancora il nazismo?

 

Il 4 novembre, in una riunione del Terzo Comitato della 77a sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, su iniziativa della Federazione Russa, è stata adottata una risoluzione “Lotta alla glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza ad essa connessa”.

Altri 31 Stati sono diventati coautori del documento: Azerbaigian, Armenia, Bielorussia, Venezuela, Vietnam, Zimbabwe, Kazakistan, Cambogia, Kirghizistan, Cina, Nord Corea, Cuba, Laos, Mali, Malawi, Nigeria, Nicaragua, Pakistan, Senegal, Siria, Sudan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Filippine, Repubblica Centrafricana, Sri Lanka, Guinea Equatoriale, Eritrea, Etiopia, Sud Africa.

Stranamente, di fronte a una condanna che sembrava evidente, solo 105 Stati hanno votato a favore del documento, mentre ben 52 delegazioni si sono opposte (praticamente l’occidente collettivo) e 15 Paesi si sono astenuti (tra cui Serbia, Svizzera, Turchia, Egitto e Messico). Nei 10 anni precedenti avevano votato contro solo USA e Ucraina.

La Zakharova ha detto che la cosa è preoccupante, poiché si constata ogni giorno di più che in alcuni Paesi la distruzione dei monumenti dedicati ai combattenti anti-nazifascisti e ai soldati liberatori ha acquisito il carattere di “politica statale”.

Allo stesso tempo si vedono marce per glorificare i nazisti e i loro complici, elevati al rango di eroi nazionali; si vedono fiaccolate di neonazisti e nazionalisti radicali, nonché l’apertura di memoriali e la ridenominazione di strade, scuole e altre strutture sociali in onore di coloro che hanno combattuto dalla parte dei nazisti o hanno collaborato con loro, compiendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Non è la prima volta che la Russia all’ONU chiede di esprimersi contro questo pericoloso revisionismo storico. Ma la situazione è andata peggiorando. Non solo è aumentata la retorica razzista e xenofoba, così come gli appelli a sbarazzarsi di migranti, rifugiati ed “elementi stranieri”, ma in molti Stati le manifestazioni di islamofobia, cristianofobia, afrofobia e antisemitismo sono diventate quotidiane.

Quest’anno l’adozione di questo importante documento è stata oscurata dai tentativi di regolare i conti con la Russia da parte dei Paesi occidentali sullo sfondo della crisi ucraina in corso. Insomma stiamo scivolando verso una china molto pericolosa. Dopo hai voglia a dire che a tutti bisogna garantire la libertà di riunione e di parola: diventiamo ridicoli.

 

Balliamo sul Titanic

 

La NATO è sempre più pronta a scatenare la guerra atomica, anche perché ha capito che sul terreno ucraino la Russia è imbattibile.

A Natale arrivano in vari Paesi europei le nuove bombe nucleari, B61-12, che potranno essere lanciate dai caccia F-35. Hanno una testata da 50 kilotoni, in grado di polverizzare qualsiasi struttura (compresi i bunker) nel raggio di 70-80 metri.

È arrivata in Croazia la portaerei statunitense George H.W. Bush: si trova nel porto di Spalato. Gli USA non nascondono che il dispiegamento del secondo gruppo d’attacco della US Navy è diretto specificamente contro la Russia. A Sky News il contrammiraglio Dennis Velez, comandante del gruppo di portaerei, ha affermato chiaramente che l’equipaggio della portaerei si sta addestrando per la guerra contro Mosca e che i suoi caccia sono “pronti per qualsiasi missione”.

La NATO sta chiedendo a Maia Sandu, presidente moldava, di avviare operazioni militari sul Dnestr contro la Transnistria, per giustificare poi l’intervento del 101th Airborne, i 4.700 Screaming Eagles statunitensi, schierati in Romania, a 50 km dall’Ucraina.

Il sottomarino nucleare americano Rhode Island è entrato nel Mar Mediterraneo. Può trasportare 24 missili intercontinentali Trident II, in grado di colpire bersagli a una distanza massima di 18.000 km. A bordo del sottomarino possono esserci da 150 a 200 testate nucleari. La distanza aerea dal Mar Mediterraneo a Mosca è di circa 3.000 km.

La NATO, tramite il Mar Nero, vuole entrare anche in Georgia. Le sue esercitazioni nucleari sono state concluse a fine ottobre.

 

Elogio della Zakharova

 

Già col suo nome Maria la sento italiana. E poi che fascino! che memoria! che sicurezza di sé! Sempre così tranquilla, mai sopra le righe, come invece Medvedev. Quando fu intervistata da Giorgio Bianchi mostrò una competenza geopolitica a livello mondiale da far invidia a quelli di “Limes”, i quali, anzi, essendo finanziati dal Gruppo Gedi, devono sempre stare attenti a non fare i filorussi.

Io la vedrei benissimo nel ruolo di presidente della Federazione Russa, quando verrà l’ora di sostituire Putin. Un generale non favorirebbe la distensione. Lei invece è così dolce e affabile che quando rivolge ad altri il saluto, ogni lingua diviene, tremando, muta, per dirla con Dante.

Fa venire in mente uno spot sul dentifricio Chlorodont del passato Carosello, quando la TV era ancora in bianco e nero. La Virna Lisi diceva: “Ho forse detto una cosa sbagliata?”. E le si rispondeva sempre: “Lei con quella bocca può dire ciò che vuole”.

 

[7] La guerra contro i civili

 

A me spiace moltissimo che in questa guerra russo-ucraina (ma è accaduto in molte altre guerre) la popolazione stia pagando lo sfacelo materiale degli edifici e i tanti lutti o gravissime ferite che procurano i bombardamenti russi e ucraini, come se questi cittadini fossero una parte costitutiva dell’esercito. I civili rischiano sempre di diventare un obiettivo militare, diretto o indiretto, anche quando non fanno nulla per sostenere le proprie milizie.

Nessuno sa come sia possibile evitare tali tragedie. Ormai le armi che si usano sono così micidiali, così martellanti, così scioccanti, così devastanti, così imprevedibili, il più delle volte totalmente prive di un referente umano ben identificabile, e quindi in fondo così anonime, che difendersi diventa un’operazione incredibilmente tortuosa. Neanche i bunker sono sufficienti, anche perché alla lunga non permettono una vita un minimo decente: non è certo il massimo mangiare cose che non daresti neanche a un animale, o non potersi lavare, o bere l’acqua dei radiatori.

I russi si sforzano di non colpire i civili, ma la mentalità perversa dei neonazisti che guidano il governo ucraino, spalleggiati in questo dagli esponenti della NATO, rende la cosa molto difficile. Quando si mettono le postazioni militari vicino alle infrastrutture civili o addirittura al loro interno, quando si usano i civili come scudi umani, quando li si usano per inscenare macabre fake news, quando li si arruolano in tutta fretta solo per far vedere che esiste ancora un esercito ucraino, quando li si obbliga a partecipare alla guerra a prescindere dall’età, dal sesso, dalla preparazione militare, minacciandoli di pesanti ritorsioni, quando si vieta loro di fuggire dai luoghi di residenza, o di espatriare o di accedere agli aiuti umanitari, insomma quando si fanno schifezze del genere, che di “umano” non hanno nulla, tutto diventa maledettamente complicato.

Ormai abbiamo capito che, a dispetto delle “operazioni chirurgiche” e delle “bombe umanitarie” di cui l’occidente si fa vanto, è impossibile fare differenza tra obiettivi civili e militari. In quegli 8 anni di guerra civile, dopo il golpe del 2014, il governo di Kiev mirò soprattutto a terrorizzare i civili del Donbass, per indurli ad andarsene o ad arrendersi più facilmente.

Questo disprezzo per la vita umana l’abbiamo visto nel modo di combattere che avevano i nazisti tedeschi, ma l’abbiamo visto anche quando gli USA hanno sganciato le bombe atomiche sulle due città giapponesi e quando hanno ridotto Tokyo a un cumulo di macerie, ma anche quando gli Alleati han voluto distruggere Dresda, senza avere un valido motivo militare. Tutti i Paesi occidentali han continuato a comportarsi in questa maniera così disumana anche dal 1945 ad oggi: basta vedere la guerra in Jugoslavia o quelle in Medio oriente o in Africa.

Tutto ciò porta a pensare che le popolazioni civili devono coinvolgersi più direttamente nella vita politica dei loro Paesi. Non possono assumere atteggiamenti indifferenti o rassegnati, poiché verranno comunque colpite, come un qualunque bersaglio, rischieranno sempre d’essere oggetto di ritorsioni o rappresaglie. Le popolazioni devono armarsi sia quando il nemico proviene dall’esterno, sia quando è già presente all’interno dei loro Paesi e detiene o pretende posizioni di comando. Nessuno potrà più dire: “A me non possono far nulla perché sono disarmato, perché sono neutrale, perché sono un pacifista, perché sono una donna o un anziano o un ragazzino o un malato…”. Ormai siamo arrivati a un punto tale di prevaricazione che anche la neutralità deve armarsi.[9]

Quello che più sgomenta in queste guerre moderne è che il militare preme un bottone senza neppure vedere in faccia il proprio nemico. Non si rende neppure conto del male che fa. Gli sembra di giocare alla play station.

 

Lombardo-Veneto pronto all’indipendenza

 

Matteo Salvini può dirsi soddisfatto: con l’8,8% dei voti ha ottenuto 5 ministri, il presidente della Camera e la vicepresidenza del Consiglio. Il crollo elettorale di quasi 10 punti rispetto alle politiche del 2018 non ha avuto conseguenze nefaste.

I problemi però stanno arrivando tutti adesso e forse sono più gravi della questione dei migranti africani. Infatti, dopo 30 anni di battaglie, la Lega considera questa legislatura come quella che finalmente attuerà l’autonomia regionale prevista e mai davvero attuata dalla Costituzione.

In un suo comunicato è scritto: “L’autonomia è nel programma del centrodestra, non costerà nulla, anzi farà risparmiare milioni di euro, avvicinerà i cittadini alla politica, taglierà sprechi e burocrazia. E il ministero per le Riforme e gli Affari regionali sarà protagonista di questa pacifica rivoluzione”.

All’interno del Carroccio si consuma però uno strappo storico, col fondatore Umberto Bossi che “torna alle origini” e lancia la sfida di un Comitato Nord, per una nuova Lega che punta “a rilanciare il progetto autonomista”. La corrente “nordista” di Bossi agirà dentro il partito, ponendosi di fatto su un binario parallelo a quello della leadership di Salvini. Le adesioni sono già aperte in Lombardia e Veneto.

La questione dell’autonomia sembra essere per taluni leader leghisti la conditio sine qua non per restare al governo. E per “autonomia” s’intende qualcosa di sostanziale, di integrale, che includa anche quella finanziaria, non solo quella amministrativa.

Guarda caso è la stessa autonomia che chiedevano le due repubbliche del Donbass. Ora che faranno da Roma? Una bella guerra civile? Manderanno i carri armati? Di sicuro non potranno optare per una soluzione sud-tirolese, perché in Alto Adige sono 4 gatti, mentre il lombardo-veneto è uno dei motori industriali del Paese. Guarda caso proprio come il Donbass. E ci vorrà pure un referendum, no? Guarda caso proprio come in Donbass, che per sicurezza ne han fatti due: uno nel 2014 e l’altro di recente, entrambi non riconosciuti dall’occidente. E tutti sanno che quando non viene concessa l’autonomia, si chiede l’indipendenza, finché, di fronte a nuovi dinieghi, si arriva a parlare di secessione. Bene, e a chi chiederanno aiuto i leghisti secessionisti? A Putin?

 

Uomini o caporali?

 

Posso fare, una volta tanto, la parte del saputello Mentana? Lui la fa, su questa guerra russo-ucraina, tutti i giorni, dal 24 febbraio, sparando una scemenza dietro l’altra, nella più totale impunità. La sua testata giornalistica, “Open”, è persino entrata in un team di Facebook che comprende 80 fact-checker di tutto il mondo, diventando il secondo incaricato di monitorare i post in lingua italiana (il primo inquisitore è “Pagella Politica”, che collabora a questo fine con le piattaforme di Zuckerberg già dal 2018).

Bene, allora devo dire, in tutta sincerità, che Putin non voleva ammazzare nessuno ma solo spaventare il governo di Kiev, dopo avergli eliminato le basi aree. Questa infatti non è nata come guerra russo-ucraina ma come “operazione speciale” tra russi. Anche gli ucraini sono etnicamente russi, al pari dei bielorussi. Certo si possono fare differenze tra ucraini orientali e occidentali o tra ucraini cattolici e ortodossi o tra ucraini più vicini ai polacchi, agli ungheresi, ai rumeni, ai russi e a quelli che vi pare. Ma nel complesso è un conflitto tra persone dello stesso sangue, imparentate tra loro, di cui una parte si è lasciata pesantemente condizionare dalla mentalità occidentale, dal nostro stile di vita borghese, al punto da assumere tratti ideologici non solo pesantemente nazionalistici, ma addirittura neonazistici.

Anche i russi negli anni ’90 erano afflitti dalla medesima mentalità, di cui l’espressione più evidente era l’arroganza degli oligarchi e l’attività criminale di varie mafie, ma con Putin, che sostituì quello sciagurato di Eltsin, si verificò una radicale inversione di rotta. E la storia gliene darà atto.

In Ucraina invece solo Janukovyč ha tentato, invano, di frenare questa deriva revisionistica e in fondo terroristica (il golpe del 2014 e la guerra civile contro le due repubbliche separatiste sono stati atti di terrorismo).

Tutta la successiva devastazione delle infrastrutture e i lutti e i feriti sono, in definitiva, opera nostra non di Putin. Se non avessimo finanziato e armato l’esercito ucraino, la guerra sarebbe finita in pochi mesi, anzi forse in poche settimane. Siamo stati noi a sponsorizzare un governo che avremmo dovuto giudicare come una vergogna dell’umanità, proprio per la totale mancanza di eticità e di senso della democrazia.

I filo-banderisti si sentivano più vicini agli americani che non agli europei, proprio perché non riuscivano a sopportare neppure la nostra democrazia formale, la nostra pretesa di regolamentare col diritto i processi economici di natura capitalistica. I neonazisti ucraini volevano arricchirsi in fretta e, per questo motivo, avevano optato per un modello occidentale dove la logica del far west domina incontrastata: il way of life americano.

E così oggi il conflitto ab intra si è trasformato per i russi in un conflitto ad extra, in cui il nemico da combattere è diventato quello che loro chiamano “occidente collettivo”. Una epurazione interna si è trasformata in una guerra di civiltà, connotata persino sul piano religioso. Sembra una guerra tra “imperi”: uno perché vastissimo sul piano geografico, l’altro perché vuol dominare il mondo. E noi europei stiamo nel mezzo, come un vaso di coccio tra due di ferro, senza vantare alcuna posizione autonoma: infatti, pur appartenendo fisicamente al continente eurasiatico, prendiamo ordini politici e militari da quello nordamericano. Qui è impossibile dar torto a Putin quando dice: “chi non è sovrano, è colonia”. Che è come dire, secondo il grande Totò: “Siamo uomini o caporali?”.

 

L’asino di Buridano

 

In questa guerra tra Federazione Russa e Occidente collettivo la UE sembra stare nel mezzo come l’asino di Buridano. Infatti la gran parte della popolazione vorrebbe concluderla il più presto possibile, riconoscendo a Putin le acquisizioni territoriali dopo oltre 8 mesi di combattimenti. Viceversa la quasi totalità degli statisti, analisti, giornalisti, militari... (in una parola il potere dominante) preferisce vincere, non concedendo nulla ai russi, neanche la Crimea.

Siccome i potenti della UE temono le manifestazioni di piazza causate da inflazione recessione deindustrializzazione disoccupazione..., si limitano a stampare banconote fiat, cioè a fare debiti su debiti, o ad alzare periodicamente i tassi d’interesse, come se questo potesse servire a qualcosa. E alla fine non prendono alcuna decisione sensata, proprio come il suddetto asino, che nell’incertezza morì.

Non ci siamo neppure accorti che contro di noi non abbiamo affatto la Russia ma l’intera anglosfera, cioè USA e Regno Unito in primis. In particolare gli inglesi si stanno vendicando di noi europei per come li abbiamo trattati all’epoca della Brexit. Sono stati loro a recidere il cordone ombelicale del Nord Stream che ci legava alla madre Russia. Sono stati loro a dimostrare che, di fronte alle disgrazie comuni che ci colpiscono, reagiamo in maniera individualistica, non avendo una vera identità politica condivisa.

Persino l’Italia, che fa tanto l’idealista quando si tratta di creare un’Europa dei popoli, è andata a cercare per conto suo le alternative al gas russo (scontrandosi p.es. in Algeria con gli interessi della Spagna).

Tuttavia l’esempio più eclatante di questa noncuranza nei confronti del destino della UE l’ha offerto la Germania, il cui premier, con uno stuolo di industriali, è andato a cercare in Cina un aiuto fondamentale per non far fallire le proprie imprese nazionali.

In fondo cos’ha dimostrato questa guerra? Che è facile governare quando si è pieni di soldi. È facile fare i “democratici”. Ora però che dobbiamo fare i conti della serva, ecco che dallo stomaco ci arriva un reflusso gastrico che di democratico non ha proprio nulla.

 

[8] In memoria di Darya Dugina

 

Ecco un pensiero complesso (trovato in rete) da parte di quella ragazza straordinaria, Darya Dugina, assassinata dai terroristi ucraini. Le parentesi quadre sono mie.

“Per 250 anni la Rus’ fu sottomessa al dominio mongolo”.

[La resistenza russa esaurì le forze mongole, che arrivarono al massimo in Polonia, Ungheria e Bulgaria, poi si ritirarono. Il giogo mongolo fu catastrofico per i russi, che si ripresero solo in nome dell’unità nazionale e religiosa.]

“In questo lungo periodo di isolamento dal resto dell’Europa, la Rus’ ha custodito gelosamente la sua identità cristiana legata a quella sorgente bizantina che aveva conservato i tratti del cristianesimo delle origini, la cui Chiesa aveva, intorno al 1200, sostenuto il movimento cataro”.

[Mosca infatti si considera la “Terza Roma”, dopo i due tradimenti precedenti: quello cattolico-romano e quello greco-ortodosso. Il primo con le sue idee di primato petrino sugli apostoli, primato pontificio sugli altri vescovi, primato giurisdizionale della sede romana su tutte le altre sedi cristiane, il filioque e tante altre eresie che poi portarono a quella più grave di tutte: l’infallibilità pontificia ex cathedra. Il secondo fu quello di Costantinopoli, i cui prelati, pressati dal basileus, si sottomisero alla volontà pontificia e alla teologia cattolica pur di avere un sostegno militare contro gli ottomani. Un sostegno promesso e mai mantenuto.

Di origine bulgara il catarismo fu tollerato dalla Chiesa bizantina, ma quando si diffuse nell’Europa latina subì una devastante persecuzione, poiché rappresentava la principale alternativa alla corruzione della Chiesa romana.]

“Questo isolamento della Rus’ non solo rafforzò il legame a quella identità ortodossa, facendone il fondamento da cui ripartire per rivendicare la propria sovranità come nazione e come popolo, ma protesse anche tale identità dalla deriva che subì la cristianità d’occidente sotto il giogo della Chiesa secolare [quella cattolico-romana], la quale promosse il genocidio delle popolazioni che sostenevano e andavano ad accrescere le fila dei movimenti ereticali”.

[Il cattolicesimo-romano, nel basso Medioevo, fu assolutamente teocratico e quindi particolarmente ostile a tutte le forme di dissenso religioso, che represse tramite crociate e processi inquisitoriali. Non sopportava l’autonomia degli imperatori e promosse o giustificò tutte le crociate anti-islamiche in Medio Oriente e anti-ortodosse, sia nell’impero bizantino che in quello russo.]

“Tali movimenti ereticali sono quelli che, in realtà, hanno dato vita all’Umanesimo rinascimentale. Ecco quindi che possiamo rintracciare l’origine comune della spiritualità russa e italiana in queste tracce del passato”.

[L’Umanesimo borghese e rinascimentale pose le basi del capitalismo europeo, che in Russia però furono acquisite solo al tempo di Pietro il Grande.]

La Dugina si è sforzata di far vedere che Russia e Italia hanno radici culturali comuni. Era un’idealista, poiché la Russia ama molto più l’Europa di quanto l’Europa ami la Russia. In particolare la UE di oggi non considera la Federazione Russa come facente parte dell’Europa, se non nella misura in cui si lascia colonizzare.

 

E poi i geopolitici dicono che l’economia non conta

 

Nella “Pintadera 11”, organizzata dal geopolitico e analista militare Stefano Orsi, che intervista l’economista Giuseppe Masala il 24 ottobre, quest’ultimo afferma:

La guerra russo-ucraina è stato un affare per gli USA. Prendiamo la situazione del NIIP americano (Net International Investment Position), cioè il rapporto tra la posizione patrimoniale netta nel commercio estero e il PIL. Se questo rapporto è positivo significa che il Paese è in credito verso altri Paesi.

Gli USA nel 2006 avevano un NIIP negativo di 2.000 miliardi di dollari circa, ma dopo la crisi dei subprime immobiliari del 2007-2008 avevano iniziato piano piano a sprofondare, perdendo enormemente competitività nei confronti delle imprese estere: importavano molto più di quanto riuscivano a esportare, perché le loro merci erano più costose.

Alla fine del 2021 avevano un NIIP di meno 18.000 miliardi di dollari, una cifra siderale. Obama si arrabbiò enormemente con la Merkel, perché con gli europei voleva fare il Trattato di libero scambio (TTIP), ma la UE non voleva saperne di cibi transgenici, per cui non si fece nulla. Fu allora che gli USA fecero scoppiare lo scandalo dieselgate contro le case automobilistiche tedesche che stavano mandando in fallimento le case automobilistiche americane, come la Ford e la General Motors.

Dopo il 2021 è scoppiata la guerra in Ucraina. La UE e gli USA hanno imposto sanzioni draconiane alla Russia, rompendo in questa maniera il cordone ombelicale tra la Russia e in particolare la Germania, che prevedeva uno scambio tra merci / investimenti tedeschi e materie prime russe.

Con la rottura di questo cordone ombelicale la UE ha iniziato a importare il costosissimo GNL dagli USA, perdendo di competitività, poiché senza il gas russo i prezzi della produzione europea sono aumentati mediamente del 50%.

Insomma nel giro di pochi mesi gli USA sono passati da meno 18.000 miliardi di dollari di NIIP debitorio a meno di 16.000 miliardi di dollari: un miglioramento incredibile, anche perché è stato ottenuto con un investimento di 60-70 miliardi di dollari in armamenti destinati all’Ucraina. Se ogni 4 mesi guadagnano 2.000 miliardi di dollari, vuol dire che oggi siamo già a 10.000 miliardi (anche se  tutto quello che possono vendere lo stanno vendendo: di più non hanno). La UE comunque andrà in rovina, questo è certo.

 

Più maschi muoiono, più femmine disponibili

 

Il Little Deep State creato a Kiev ha raggiunto il punto in cui l’Ucraina ha ottenuto la sua parodia di Hunter Biden.

Gli hacker russi hanno sabotato il profilo Instagram del capo dell’esercito ucraino Valerij Zalužnyj. Dopo aver rubato i dati hanno divulgato online la corrispondenza privata del militare, dalla quale emerge il suo debole per le giovani donne arruolate nell’esercito ucraino che amano ricevere promozioni, soldi (del Ministero della Difesa) e persino automobili in cambio di prestazioni sessuali.

Alcuni giornalisti l’hanno paragonato al figlio di Joe Biden, Hunter, che diverse volte è finito sotto indagine per via delle sue passioni per la droga e il sesso con prostitute giovanissime.

È noto comunque che in Ucraina esiste un’ampia rete di legami di corruzione e accordi loschi che coinvolgono l’intera élite di potere: dall’amministrazione Zelensky, passando per il comando militare e i servizi speciali, fino alla grande impresa. Questa rete è progettata per depredare il bilancio nazionale e i finanziamenti internazionali che finiscono in un buco nero.

Zalužnyj[10] non si nega nulla: una giovane militare lo aspetta in ogni città, le riviste americane lo mettono in copertina, la morte dei giovani militari al fronte sembra non infastidirlo più di tanto. In fondo più giovani ragazzi ucraini muoiono, più giovani donne ucraine saranno disponibili.

Fonte (censurata da Facebook): southfront.org

 

[9] Cui prodest this war?

 

Facciamo un elenco (provvisorio) delle persone o enti o aziende cui può far comodo questa guerra NATO-Russia.

Partiamo anzitutto da chi fornisce ai militari qualunque mezzo per farla, dalle bombe al catering. Spesso si sente dire che i capitali accumulati da queste aziende sono enormi. È vero, ma se fossero impiegati in servizi sociali e civili, le ricadute positive sarebbero infinitamente maggiori. La guerra non produce materialmente nulla che non serva a distruggere. Quindi economicamente è svantaggiosa, salvo appunto a chi produce forniture militari, ma per queste aziende lo è solo nel breve termine, poiché a lungo andare le risorse sottratte alla società civile finiranno per creare tensioni interne ancora più grandi di quelle alimentate in politica estera.

Poi vi sono i produttori delle fonti energetiche (gas e petrolio), nonché i produttori di tutte quelle speciali materie prime che servono ai militari. Non necessariamente i produttori di idrocarburi sono anche i rivenditori: tra loro e l’utente finale ci possono essere vari intermediari, che naturalmente fanno soldi a palate, a volte non facendo assolutamente nulla, come quei Paesi che prendono gli affitti per l’uso di condutture che attraversano i loro territori.

I rivenditori però, sotto il capitalismo, non decidono il prezzo in autonomia, ma dipendono da ciò che fanno le borse di titoli e valori. E abbiamo visto che nella borsa TTF di Amsterdam gli speculatori han fatto il bello e il cattivo tempo. E quella è una borsa praticamente incontrollabile.

Oltre agli speculatori ci sono gli scommettitori, che hanno canali riservati, del tutto legali: ormai si scommette su tutto, da quando finirà questa guerra a chi la vincerà ecc.

Poi ci sono le questioni finanziarie gestite dagli Stati. In questa guerra è sotto gli occhi di tutti che il dollaro si è rafforzato e l’euro indebolito. La UE compra GNL americano a prezzi assurdi e in dollari, e siccome soffre di una pesante recessione, molte aziende stanno pensando di delocalizzare negli USA. Quindi la guerra per il commercio estero degli americani è stata un affare, anche se in politica interna ha portato sempre più persone alla miseria.

La guerra è vantaggiosa anche per quegli Stati che, in cambio di sovvenzioni finanziarie, chiedono all’Ucraina di poter gestire per periodi molto lunghi porzioni del suo territorio nazionale. Il governo di Kiev non è in grado di ripagare i propri debiti se non “in natura”, cioè svendendo o regalando i gioielli nazionali.

Naturalmente la guerra torna comodo anche ai mercenari, ai contractors e a tutti quelli che combattono non per un ideale vero e proprio ma soprattutto per soldi.

Infine ci sono i gestori dei partiti politici e dei mass media, che non possono opporsi alla guerra perché sono direttamente finanziati da un Paese belligerante, e questi in Italia sembrano essere davvero molti.

La guerra non viene combattuta solo da chi spara dei proiettili, ma anche da chi spara delle parole. Sono due eserciti enormi, che se collaborano senza soluzione di continuità, renderanno purtroppo sempre più inevitabile l’uso di armi di distruzione massiva.

In genere tutti i corrotti vanno a nozze con qualunque tipo di guerra, non solo perché praticano il mercato nero su ogni merce, ma anche perché si intascano quote consistenti degli aiuti internazionali, e in questo i neonazisti ucraini sono degli specialisti.

Si dice che la Russia ci ha guadagnato incorporando il Donbass, ricco di risorse minerarie, di industrie, di buona terra… Si dimentica però di aggiungere che il Donbass andrà ricostruito completamente, ed è difficile pensare che ciò sarà a carico dei residenti.

 

Anzitutto odiare

 

L’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, scrisse che “Al momento del crollo dell’URSS, alla fine del 1991, Dick Cheney [allora vicepresidente degli USA] voleva vedere lo smantellamento non solo dell’URSS, ma anche della Russia stessa, che, in questo modo, non avrebbe mai più potuto essere una minaccia”.

Cheney fu uno dei principali artefici della guerra in Iraq, un autentico macellaio, un “neonazista” totalmente privo di scrupoli. Fu lui a sostenere che il regime di Saddam Hussein possedeva un programma di armi di distruzione di massa e che aveva una relazione operativa con Al-Qaeda: due accuse mai provate.

Era favorevole a “tecniche d’interrogatorio potenziate”, che diversi critici hanno etichettato come “tortura”.

Detestava Martin Luther King, Nelson Mandela e Gorbaciov. Diresse l’invasione statunitense di Panama contro Noriega e mandò 26.000 soldati in Somalia per destabilizzarla. E fu sempre tenuto in grande considerazione da vari presidenti americani.

Sua figlia maggiore, Liz Cheney, terza figura più importante tra i repubblicani nella Camera dei rappresentanti, per certi versi è peggio di lui, in quanto è stata accusata di maccartismo, di islamofobia e di omofobia. Sostenne l’impeachment contro Trump, che la definiva una guerrafondaia. Più volte i suoi colleghi han cercato di espellerla dal partito, ma invano.

Un merito però Dick Cheney l’aveva, se così si può dire: non fece mai alcun tentativo per nascondere il suo totale disprezzo per la Russia, cioè era sorprendentemente sincero riguardo alla politica di sterminio e, in fondo, genocidaria che sosteneva.

Chissà da dove viene, in certe persone, questo odio irriducibile per la Russia. Capisco quelli che han subìto offese o torti irreparabili, ma questo non era certo il caso di Dick Cheney, che né lui né i suoi parenti europei ebbero mai alcun rapporto coi russi.

Peraltro la Russia negli anni ’90 era entrata nell’orbita del capitalismo mondiale: uno come lui avrebbe dovuto rallegrarsi di questo successo insperato.

Un atteggiamento come il suo, molto simile a quello di Biden, fa pensare solo una cosa, che gli USA non sono un Paese normale, soffrono di megalomania: sono abituati a comandare e vogliono continuare a farlo a qualunque costo.

Questo è il motivo per cui non sorprende che Washington abbia completamente ignorato le preoccupazioni per la sicurezza della Russia, rompendo la sua promessa di non espandere la NATO “di un pollice verso est” dopo la riunificazione tedesca. Non è normale che l’intera Federazione sia circondata da basi NATO intenzionate ad attaccarla. Gli USA, proprio per il bene dell’umanità, vanno ridimensionati con la forza, perché non intendono ragioni.

 

Charles Michel fuori dal vaso

 

La Cina ha cancellato un videomessaggio pre-registrato del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che avrebbe dovuto essere trasmesso in occasione della cerimonia di apertura della fiera internazionale CIIE a Shanghai la scorsa settimana.

Secondo quanto viene riferito, nel suo messaggio di saluto Michel avrebbe: 1) criticato l’operazione speciale della Russia in Ucraina, 2) affermato che l’Europa è eccessivamente dipendente dalla Russia in termini di combustibili fossili, 3) chiesto una riduzione della dipendenza commerciale della Cina nei confronti della Russia, per quanto riguarda gli idrocarburi. Il che era, quanto meno, una gravissima ingerenza negli affari interni della Cina.

Una pretesa folle che va contro tutti i princìpi della diplomazia. La follia è amplificata dal fatto che la UE era ospite a un Expo commerciale, dove avrebbe dovuto promuovere i prodotti delle imprese europee, migliorare le condizioni di scambio, ovvero portare gli interessi economici comunitari sullo sconfinato mercato interno cinese. Invece Michel ha chiesto a Pechino di rinunciare a Mosca per Bruxelles.

La vicenda mostra chiaramente lo scollamento dalla realtà di certi dirigenti europei, i quali parlano senza cognizione di causa. Pensano ancora di poter impartire ordini a chicchessia, forse perché credono davvero alla loro stessa propaganda e pensano che la UE sia un attore importante sulla scena internazionale, quando invece ha dimostrato soltanto d’essere una mera estensione dell’egemone statunitense in declino.

La Cina ha solo confermato, una volta di più, che il mondo è cambiato e che il tempo unipolare è finito.

Un politico con un minimo di dignità si dovrebbe dimettere, ma la dignità gli statisti europei l’han persa da un pezzo.

 

Il destino della NATO

 

Quel che dirà Putin dopo aver impedito all’Ucraina di entrare nella NATO: “Bene, ora smantelleremo tutte le basi NATO che circondano la nostra Federazione. Sono troppe, mentre noi non ne abbiamo neanche una che minaccia gli Stati Uniti”.

Reazione della NATO: “Ve l’avevamo detto che dopo l’Ucraina avrebbero attaccato anche gli altri Paesi ex sovietici. La Russia vuole ricostituirsi come un impero, ma noi glielo impediremo”.

Nel sito web della NATO è abbastanza ironico che sia scritto che non esiste alcun “accerchiamento”, dato che il confine terrestre della Russia è lungo poco più di 20.000 km e che di questi solo 1.215 km sono “condivisi” coi Paesi membri della NATO.

La giustificazione è ridicola in quanto non tiene conto della differenza strategica tra la Russia occidentale, dove vivono oltre 100 milioni di persone e dove sono concentrate le principali città, rispetto alla Siberia che è un territorio immenso e scarsamente popolato, che va dagli Urali all’oceano Pacifico.

Ricordo che quando nei vangeli Gesù Cristo se la prendeva coi giudei perché ammazzavano i loro profeti o non impedivano che lo fossero, arrivò a dire: “la sapienza è stata giustificata dalle sue opere”. Una frase sibillina, come spesso accade di trovare in quei testi.

Poco prima, tuttavia, ne aveva detta un’altra, che i teologi ovviamente interpretano nella loro maniera mistica: “il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”. L’evangelista aggiunse le parole “dei cieli” per far capire che Gesù era un profeta non un politico. Solo oggi abbiamo capito che quando diceva: “Vendete il mantello e comprate una spada”, andava interpretato alla lettera. A quanto pare sin dai tempi dello schiavismo sembra essere diventato impossibile costruire un regno di pace e giustizia senza usare la violenza.

 

[10] Il velo di Maja

 

Questa guerra ci sta cambiando dentro, nella percezione della realtà. Si è come squarciato il velo di Maya.

La volontà guerrafondaia dell’occidente, il cinismo con cui ha voluto usare la popolazione ucraina per soddisfare le sue esigenze di potere, il tradimento orchestrato nei confronti della Russia, la cui cultura, nell’area occidentale, appartiene all’Europa: tutto ciò ci ha resi psicologicamente diversi.

È stata grande la delusione nei confronti di partiti istituzionali come PD e Cinquestelle, le cui radici democratiche e popolari non sono state sufficienti a impedire l’invio di armi offensive al governo neonazista di Kiev, cioè a impedire che il nostro Paese diventasse cobelligerante a fianco di un’ideologia e di un potere che non dovrebbero neppure esistere, in violazione dell’art. 11 della nostra Costituzione.

In Italia a livello parlamentare non esiste più un problema di alternanza tra le coalizioni partitiche, poiché sono tutte di destra. Si tratta soltanto di scegliere la maschera con cui si presentano: la vogliamo truce o sorridente?

Ci ha stupito la totale assenza di obiettività da parte del giornalismo mainstream italiano, cioè l’incapacità assoluta di guardare le cose in maniera critica, esaminando i fatti storici e stando ben lontani dalla narrativa strumentale di stampo americana. I massmedia dominanti sono diventati inguardabili anche quando tacciono su questa guerra. Qualunque trasmissione ci sembra falsa, incosciente. Ci smaghisce persino l’atteggiamento ipocrita dei telegiornali che ogni giorno ci vogliono far inghiottire la loro pillola russofobica.

D’ora in poi i film americani, quella incredibile fabbrica di sogni, ve li guarderete voi. Trovate un’alternativa a Netflix. Chiunque mi proponga un lieto fine lo disprezzerò. Noi occidentali non meritiamo di esistere: questa è la verità. Siamo i nemici mortali del nostro pianeta e naturalmente di noi stessi, poiché un’identità senza alterità è solo una forma di alienazione.

I migranti che dall’Africa vengono da noi in cerca di fortuna, per diventare come noi, dovrebbero tornarsene a casa e lottare nei loro Paesi contro il nostro colonialismo, dovrebbero comprare le nostre armi e rivolgerle contro di noi, dovrebbero chiedere di appartenere a organismi internazionali liberi dalle influenze del globalismo occidentale.

Noi non riusciamo a lasciar vivere in pace nessuno, poiché il diritto alla felicità previsto nella Costituzione americana si basa sull’odio nei confronti del diverso e sulla sofferenza di chi è più debole.

 

Ti licenzio su due piedi

 

Curioso che Musk e Zuckerberg abbiano licenziato quasi nello stesso momento un numero spropositato di dipendenti. Se fossero state aziende reali e non virtuali, non l’avrebbero passata tanto liscia, meno che mai se le aziende fossero state locali o regionali e non internazionali o globali, che praticamente nessuno è in grado di controllare.

La lettera di Zuckerberg presenta degli aspetti a dir poco patetici o moralistici.

Quando dice: “Voglio assumermi la responsabilità di queste decisioni”, non si capisce cosa intenda. A lui in realtà non cambia nulla. Certo, ci avrà rimesso dei soldi in borsa, ma non si è dimesso, non ha assicurato ai licenziati una nuova occupazione. Chi entra in borsa, se fallisce, non subisce ammanchi nel suo patrimonio personale: quello è un parco-buoi in cui sono sempre gli altri che pagano.

Dichiara di essersi sbagliato nelle previsioni, di aver creduto che i due anni di pandemia, in cui eravamo reclusi in casa, ci avrebbero resi sempre più dipendenti dal mondo virtuale. Invece si è accorto che la gente ha bisogno anche e soprattutto di vita reale. E si è accorto che nella vita reale la gente soffre di gravi problemi economici, causati da una inaspettata inflazione, da una grave recessione macroeconomica... Però non spiega i motivi di tutto ciò: non una parola spende contro il suo governo guerrafondaio, contro l’atteggiamento bellicistico della NATO, contro le pretese egemoniche dell’occidente. Le uniche giustificazioni che dà per i licenziamenti sono “l’aumento della concorrenza e la perdita di segnale pubblicitario”, che sono effetti collaterali secondari. Il vero limite di Meta è tutto ideologico: sin dall’inizio di questa guerra in Ucraina si è schierata dalla parte sbagliata e buona parte dell’utenza mondiale gliel’ha fatto capire.

Fonte: about.fb.com/news/2022/11/mark-zuckerberg-layoff-message-to-employees/

 

[11] Gli USA e la guerra nelle viscere

 

A tutt’oggi è impossibile sapere con certezza quante basi militari abbiano gli USA nel mondo e con quanti soldati. Ogni sito dà i suoi numeri e il Dipartimento della Difesa, per non parlare del Pentagono, sono molto reticenti a fornire informazioni precise in merito. Bisogna quindi cercare un termine medio tra i vari estremi, considerando poi che una cosa sono i militari americani integrati nella NATO, un’altra quelli che agiscono per conto proprio.

Indicativamente possiamo dire che fuori dagli Stati Uniti nel 2020 c’erano circa 270.000 soldati (esclusi i dipendenti civili). Poi naturalmente con la guerra in Ucraina è cambiato tutto. Si pensi che la sola intera NATO dovrà arrivare a 300.000 militari.

Prima di questa guerra i militari americani in Europa erano 74.000: un niente rispetto alla guerra fredda, quand’erano arrivati a 450.000. Oggi sono già 100.000.

Attualmente le loro basi, dislocate in 160 Paesi, sono circa 700-800. Soltanto 45 non hanno neanche un soldato yankee. Rappresentano circa il 95% delle basi militari del pianeta. Paesi come Francia, Russia e Regno Unito ne hanno non più di una ventina a testa. La Cina soltanto una.

I Paesi europei col maggior numero di soldati statunitensi risultano essere: Germania: 36.000, Italia: 13.000, Regno Unito: 9.300, Polonia: 4.500, Kosovo: 3 500, Spagna: 3.000, Turchia: 1.600, ecc. Ma il Paese che ne ospita di più è il Giappone (53.700) e anche la Corea del Sud non ne ha pochi (26.400).

Nel 2013 le basi con presenza USA in Italia erano 59, adesso sono salite a circa 120, più altre tenute segrete per motivi di sicurezza. Non tutte sono basi NATO.

La distribuzione e il numero di soldati impiegati nelle missioni estere sono molto cambiati nel tempo. A partire dalla guerra in Corea ci furono un milione di militari americani fuori dal Paese, che con la guerra in Vietnam nel 1960 arrivarono a essere 1,1 milioni.

Oggi oltre 1,4 milioni di militari attivi (e oltre 44.000 di guardia costiera) rappresentano il secondo o terzo esercito mondiale, dietro quello cinese e forse alla pari con quello indiano, che però sono nazioni 5 volte più popolose.

A livello di area geografica, fino agli anni ‘90, la quasi totalità dei soldati americani era impegnata nel Pacifico, in Asia orientale e in Europa. La presenza in Medio Oriente cominciò a essere significativa a partire dal nuovo millennio, così come quella nell’Asia meridionale.

Le basi all’estero sollevano tensioni geopolitiche e provocano una diffusa antipatia nei confronti degli Stati Uniti, che sono indotti a collaborare coi dittatori. Le basi lontane mettono a dura prova la vita delle famiglie dei militari, alimentano la violenza sessuale, danneggiano le popolazioni locali e distruggono l’ambiente. Il loro costo finanziario è sbalorditivo ed è minimizzato dal Pentagono. Secondo il ricercatore David Vine, autore del libro Base Nation, la cifra supererebbe i 50 miliardi l’anno. Un conto al quale però andrebbero aggiunti anche i fondi per tutte le operazioni militari fuori dall’ordinaria manutenzione, quantificate intorno ai 68-70 miliardi. Con la guerra in corso si sarà arrivati tranquillamente a quota 100. Gli USA spendono il 40% della difesa nel mondo e detengono il 37% del mercato globale della vendita di armi. Insomma hanno la guerra nelle viscere.

 

A che serve demolire i monumenti?

 

Maria Zakharova, con la sua solita arguzia e ironia, ha detto: “Vorrei richiamare l’attenzione sulla demolizione dei monumenti della nostra storia comune da parte del regime di Kiev. Quasi tutti i monumenti dell’era sovietica sono già stati demoliti, compresi i monumenti a Lenin, cui l’Ucraina deve la sua statualità.

Il 7 novembre, a Odessa, anche il monumento all’imperatrice Caterina II, che fondò questa città.

È sorprendente: demoliscono i monumenti del periodo sovietico sotto lo slogan della decomunizzazione, ma, demolendo il monumento a Caterina la Grande, si comportano come i bolscevichi di 100 anni fa”.

Da qui si evince il livello culturale dei neonazisti ucraini, paragonabile a quello dei talebani, altri distruttori di monumenti da loro definiti “pagani” (ma anche i cristiani facevano la stessa cosa).

Se la sono presa anche col monumento del feldmaresciallo Suvorov, che pur non combatté mai, nel ’700, contro gli ucraini, ma contro i prussiani, i polacchi, i francesi e i turchi, vincendo sempre, salvo nella campagna elvetica, tradito (guarda caso) dagli alleati austro-inglesi.

Insomma – ha proseguito la Zakharova – “il regime nazionalista di Kiev è ossessionato dall’evidenza che la storia di questi luoghi, come l’intera storia dell’Ucraina, è inseparabile da quella della Russia. Qualsiasi tentativo di riscriverla è destinato a fallire”.

Si può cambiare la storia, demolendo i suoi monumenti? Prova a chiedere a Ugo Foscolo, che sui monumenti dei grandi letterati ci andava a piangere, cosa pensa dell’abbattimento dei monumenti dedicati a Pushkin, poi vedi che risposta ti dà…

 

Perché loro sì e noi no?

 

Non ho capito. Il Giappone può permettersi di fare una dichiarazione del genere e noi no?

“Il Giappone non può sopravvivere senza il petrolio russo”, ha dichiarato al “Financial Times” il capo della società giapponese Itochu, che partecipa al progetto Sakhalin-1.

Gli ha fatto da sponda Masahiro Okafuji: “A differenza degli Stati Uniti, il Giappone dipende quasi interamente dall’estero per il suo fabbisogno energetico, quindi è impossibile interrompere i legami con la Russia a causa delle sanzioni. La realtà è che non sopravviveremo se non continueremo a importare dalla Russia”.

E loro hanno pure le centrali nucleari!

Dunque per quale motivo l’Italia deve fallire e loro no? Chi l’ha deciso? Parliamo tanto di garantire all’Ucraina la sovranità politica dello Stato e noi non abbiamo neppure quella economica!

 

Situazione esplosiva nel Kosovo

 

I rappresentanti dei serbi in Kosovo e Metochia stanno lasciando le strutture governative della non riconosciuta “Repubblica del Kosovo” a causa della situazione sulle targhe. Da settembre infatti Pristina chiede ai serbi di reimmatricolare le auto con targa serba in targa kosovara, prevedendo di multare coloro che non lo faranno con importi a partire da 150 euro.

Si è dimesso anche Goran Rakic, ministro dell’Autonomia locale e vice primo ministro.

I comandanti e i capi dei distretti del nord si sono tolti le uniformi durante una conferenza stampa a Zvecan e hanno annunciato le loro dimissioni. Anche gli agenti di polizia serbi del Kosovo hanno ostentatamente tolto le loro uniformi.

L’ex comandante Milorad Choratsu è stato licenziato per essersi rifiutato di rimproverare i proprietari di auto che non hanno ottemperato all’obbligo.

“Tutto ciò che accadrà nei prossimi giorni sarà imputato all’Unione Europea, che non ha svolto il suo ruolo di garante e supervisore dell’accordo di Bruxelles, ma anche a Pristina, che ha fatto tutto il possibile per impedire l’attuazione dell’accordo”, ha dichiarato il quotidiano “Vecernje Novosti”.

 

[12] Analisi di Paolo Borgognone sul Midterm

 

Nel suo canale Telegram Paolo Borgognone offre un’analisi condivisibile delle recenti elezioni americane.

“Come fanno gli americani a vivere in un Paese dove a ogni elezione grava il sospetto di ripetuti e aperti brogli? Com’è possibile che non sia ancora scoppiata una guerra civile? Macchine guaste, ritardi nella trasmissione dei dati… Più chiaro di così.

Però la domanda ora è questa: come fa una nazione dove oltre il 50% della popolazione è calpestato, umiliato e ingannato da una minoranza a non cadere nella guerra civile? È il primo caso nella storia dell’umanità. Evidentemente il complesso politico, militare, mediatico ed economico esercita una presa così forte sulla società che in confronto quella attuata dai regimi “totalitari” del XX sec. era un buffetto.

In confronto a quelle odierne le motivazioni americane del 1860 erano risibili. Qui si tratta di due Americhe con modelli di sviluppo diversi. Due Americhe che si odiano e dove una delle due parti (quella globalista e urbana) prevarica continuamente sull’altra (quella conservatrice e rurale). Le lacerazioni odierne sono molto più profonde di quelle del 1860, di quelle della guerra civile inglese nel XVII sec. e di quelle della crisi della repubblica romana nel I sec. a.C.

L’America liberal, metropolitana, della West e East Coast, New York, San Francisco e Los Angeles, ha votato per i Democratici. Cioè per Biden ha votato l’America globalista e politically correct che in politica estera vive di “esportazione della democrazia” e, in politica economica, campa di rendita da capitale e di esportazione di dollari. Ha votato per Biden l’America che pensa di vivere ancora negli anni ’90 del secolo scorso, ovvero l’America fuori dal tempo e in ritardo con la storia, cioè l’America che non si rassegna a perdere, o a condividere la propria egemonia coi BRICS. L’America profonda, rurale, interna, che vive di lavoro produttivo e che paga il prezzo sociale della deindustrislizzazione e della finanziarizzazione, ha votato invece per i Repubblicani.

Queste due Americhe non si parlano più e la prima (quella globalista) è pronta a tutto pur di evitare l’ascesa politica della seconda (quella conservatrice). L’onda rossa, Repubblicana, non c’è stata per un motivo molto semplice: il territorio dell’America profonda è molto più vasto di quello dell’America liberal ma è meno popolato, per cui, nella ripartizione dei seggi, i Democratici sono riusciti a spuntare qualche deputato e senatore in grado di mantenerli, in qualche modo, a galla. Ma il conflitto sociale tra le due Americhe è inevitabile, a prescindere dai risultati elettorali contingenti.

Le guerre esterne, oggi contro la Russia, domani contro la Cina, servono alle classi dominanti globaliste americane per tentare di compattare l’opinione pubblica autoctona e nascondere o procrastinare il conflitto sociale interno. Si tratta di diversivi destinati a cedere presto il passo al confronto con la realtà: quella di un Paese lacerato, conflittuale, disilluso, dove il divario tra l’amministrazione e la classe produttiva nazionale è sempre più incolmabile e dove la borghesia metropolitana e le classi rurali e periferiche non hanno più niente da dirsi”.

Secondo me una guerra civile potrà scoppiare quando alcuni Stati federali si staccheranno dal governo centrale. Infatti negli USA non esiste una tradizione di lotte operaie e contadine basate su idee socialiste. L’unico vero socialismo che hanno avuto è stato quello delle tribù indigene, tolte di mezzo tra il 1600 e il 1890 dagli europei emigrati là. Ancora oggi le minoranze afroamericane, latinoamericane ecc. restano prigioniere dell’idea secondo cui patiscono discriminazioni sociali soltanto per motivi etnico-razziali e che, per superarle, devono imparare a diventare come i bianchi.

 

Affossato il tetto al prezzo del gas

 

Il price-cap sul gas proposto da Mario Draghi prima e “rivisitato” dai componenti del blocco europeo poi, è inattuabile, poiché ciò non influirebbe sui contratti a lungo termine né sulla sicurezza delle forniture. Ciò è stato detto da due fonti diplomatiche anonime attraverso l’agenzia di stampa internazionale “Reuters”.

Chissà, forse si stanno rendendo conto che Putin non c’entra niente con questa incontrollata inflazione: non è lui che sta ricattando l’Europa con la questione del gas (anzi col Turkstream ci sta offrendo una nuova possibilità d’acquisto, dopo che gli abbiamo sabotato il Nordstream). Forse quegli sprovveduti statisti europei si stanno accorgendo che la voglia di speculare sui prezzi dell’energia è tutta occidentale e che nel capitalismo è impossibile porre un price cap su qualunque merce, meno che mai se l’industria non viene nazionalizzata.

Di fronte all’obiettivo di fare business, l’individualismo delle aziende, delle borse, delle banche, degli intermediari è praticamente assoluto. Il moralismo della solidarietà reciproca, dell’unità europea contro l’orso russo e altre amenità del genere fanno venire in mente solo le “anime belle” di cui parla Hegel nella Fenomenologia dello spirito, quelle che, pur essendo pure e incontaminate, sono completamente incapaci di agire nel mondo e d’influire positivamente sul suo corso col loro impegno.

Oggi però dovremmo dire che le anime belle hanno di bello solo le parole, anzi solo il modo di esprimerle, poiché sono prive di ciò che le renderebbe oneste e sincere: l’intenzione.

 

Dall’Ucraina alla Svizzera

 

Candace Owens, conduttrice di talk show, analista politico e attivista, su “Foxnews” di Tucker Carlson ha detto che i repubblicani sono venuti a conoscenza del fatto che 50 miliardi di dollari forniti dagli Stati Uniti all’Ucraina sono stati spesi per immobili in Svizzera, comprati da alti funzionari ucraini.

La Owens sta già chiedendo aiuto all’IRS (il fisco statunitense) e sta motivando i repubblicani a creare una commissione d’inchiesta.

Ha paragonato Zelensky a una “regina dell’assistenzialismo”, un termine dispregiativo usato negli Stati Uniti ai tempi di Reagan per descrivere le donne che riscuotono pagamenti eccessivi dal welfare attraverso varie frodi.

Ci hanno messo più di 8 mesi per capire che il governo neonazista di Kiev è la summa summarum della corruzione in Europa. Basti pensare che dopo 8 anni di guerra civile contro i russofoni del Donbass è riuscito a farsi passare come Stato “aggredito”.

Fonte: foxnews.com/video/6315358859112

 

Congo nel caos

 

La scorsa settimana il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, ha invitato il popolo a una “mobilitazione generale”, unendosi alle forze militari, e ha accusato il Ruanda di sostenere i ribelli dell’M23 che continuano la loro offensiva nell’est del Paese. Ha già richiamato in patria il proprio ambasciatore e ha espulso quello ruandese. La popolazione scesa in piazza ha chiesto alla Russia d’intervenire militarmente.

Non c’è solo il Ruanda che vuole impadronirsi delle risorse naturali del Congo, ma anche Uganda e Burundi e altri Stati ancora. Infatti il Congo estrae il 70% delle riserve mondiali di cobalto (per le batterie ricaricabili), è il primo in Africa (e il terzo al mondo) in termini di produzione di rame, ha i maggiori giacimenti di diamanti, oro, stagno ed elementi molto pregiati come coltan (tantalio), tungsteno, nonché grandi riserve di litio (questi minerali sono fondamentali in tutti i settori dell’elettronica di consumo, delle apparecchiature mediche, del settore automobilistico, aerospaziale, delle energie alternative ecc., anche se la loro estrazione è molto nociva per l’ambiente locale).

Tale enorme ricchezza viene più che altro sfruttata da una vasta rete di intermediari, che la esporta illegalmente all’estero, soprattutto a Dubai e Hong Kong. Il commercio illegale (con la complicità della comunità internazionale) spiega come ad es. il Ruanda sia diventato uno dei maggiori esportatori mondiali di minerali rari, nonostante abbia pochissime miniere in proprio.

La situazione sta degenerando rapidamente.

Del Congo abbiamo sentito parlare per qualche giorno solo nel febbraio del 2021, quando fu ucciso l’ambasciatore italiano, Luca Attanasio. Tuttavia nella nazione è in corso da 20 anni una specie di “guerra mondiale africana”, in quanto vi sono coinvolti gli eserciti regolari di vari Stati, sotto gli occhi inermi dell’ONU, che con la sua “Missione per la pace in Congo” (Monusco) si limita a redigere delle relazioni, come p.es. il “Rapporto mapping” del 2010. Ma quella inutile Missione sta per essere cacciata dal Paese.

I morti per carestie e malattie causate dal conflitto 10 anni fa erano circa 6 milioni. Oggi sono più che raddoppiati. È un genocidio. Per es. elementi di etnia Tutsi provenienti dal Ruanda e dall’Uganda stanno eliminando intere popolazioni, occupando le loro terre. Quella bantu denominata Nande è quasi scomparsa: secondo il “Rapporto Yotama” il 95% non esiste più! La storia del loro genocidio si può leggere qui lindro.it/congo-fermate-lolocausto-nande/ (art. del 2019).

Fonte: lavialibera.it

 

[13] Dritti dritti verso il baratro

 

Interessante l’intervista che Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo) ha concesso a Laura Tussi l’11 luglio scorso.

Al vertice di Madrid (28-30 giugno) la NATO ha approvato il più importante rafforzamento delle proprie capacità dalla fine della guerra fredda, che la porterà ad ampliare le forze militari a oltre 300.000 unità (il bilancio dovrà quasi raddoppiare).

La NATO non è più euroatlantica, ma è diventata un’alleanza militare mondiale. E la Russia è, in questo momento, il nemico principale con cui c’è una rottura totale. Il secondo nemico è la Cina, che, pur facendo parte dell’Europa, con la sua politica minaccia – testuali parole – gli interessi, la sovranità e i valori della NATO. Solo dopo vengono elencati i nemici classici (Iran, NordCorea, ecc.), che comunque non afferiscono all’Europa. Non a caso si definisce un impegno militare della NATO in vaste zone del mondo, come il Sahel, il Medio Oriente e l’Indocina (quest’ultima non veniva citata dall’epoca del Vietnam).

Praticamente la NATO è in guerra coi 3/4 del mondo, il mondo dei BRICS e tutti gli altri Stati. Poi vi è un manifesto ideologico: i nostri valori e i loro. Noi siamo la democrazia, voi siete le dittature. Noi siamo la civiltà e portiamo la civiltà nel mondo. Questo è un linguaggio da epoca coloniale ottocentesca. In particolare vi è la convinzione profonda che il riarmo di massa e l’arma nucleare siano uno strumento di pace. Un progetto del genere la NATO lo meditava da tempo, tant’è che Stoltenberg ha parlato di investimenti per una guerra nucleare, convenzionale e informatico-cibernetica.

Noi europei, anche se formalmente nei panni degli ucraini, siamo già in guerra contro la Russia e non siamo in grado di opporci a questa evidenza. D’altronde l’aveva detto chiaramente il generale Patrick Sanders, capo di Stato maggiore dell’Esercito britannico: “L’Ucraina è il nostro 1937” (in riferimento all’ascesa della Germania nazista); “il Regno Unito deve essere preparato ad agire rapidamente per contenere l’espansionismo russo”.

Il che fa pensare che siamo dentro un meccanismo di escalation militare che si alimenta da solo, e in cui la NATO vuole assolutamente vincere. La funzione del G7 è accessoria. La parola “pace” è stata abolita.

In Italia abbiamo una maggioranza politica guerrafondaia che va da Draghi a Letta fino a Giorgia Meloni passando per LeU, per Salvini e per Berlusconi. Oggi il partito della Pace ancora non l’ho visto, non esiste. Quando noi abbiamo il 55-60% degli italiani che dicono d’essere contro la guerra in tutti i modi, e abbiamo invece il 95% del Parlamento che vota per continuare la guerra, siamo di fronte a una crisi enorme di democrazia. O questo 55% trova una sua rappresentanza contro il 95, oppure questo 55% non porterà a niente e sarà imbrogliato. Di fatto l’Italia per la prima volta dal 1945 sta entrando in una guerra mondiale.

Fonte: pressenza.com/it/2022/07/intervista-a-giorgio-cremaschi-dalla-nato-nasce-la-guerra-ma-la-pace-e-piu-forte/

 

Un secolo fa la Russia e l’occidente

 

L’aggressione contro la neonata Repubblica sovietica fu organizzata subito dopo la rivoluzione d’Ottobre. I principali Paesi dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Italia, USA e Giappone), che ancora non avevano smobilitato gli eserciti sopravvissuti alla catastrofica guerra mondiale, si prefiggevano non solo di abbattere il governo bolscevico, ma anche di spartirsi le risorse naturali di quell’immenso territorio.

Ecco perché continuarono ad alimentare la guerra civile tra i capitalisti Bianchi e i comunisti Rossi, accrescendo il peso del proprio intervento. Per loro il bolscevismo era incompatibile con una pace stabile e non si sarebbero accontentati che il governo sovietico fosse pronto, in cambio della pace, a fare concessioni territoriali e a riconoscere gli obblighi contratti dai precedenti governi zarista e borghese con le nazioni dell’Intesa durante la guerra mondiale.

E pensare che proprio quei Paesi si erano alleati con la Russia, nella convinzione che senza l’appoggio di questo impero non sarebbe stato possibile vincere la Germania.

Senonché i bolscevichi al potere, dopo l’abbattimento del governo Kerensky, dovendo ricostruire un’economia disastrata dalla guerra, e temendo di non resistere alla controrivoluzione con una guerra in atto, avevano proposto immediatamente alla Germania di concludere un trattato di pace (quello di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918, che permise ai tedeschi di occupare Polonia orientale, Lituania, Curlandia, Livonia, Estonia, Finlandia, Ucraina e Transcaucasia per un totale di 56 milioni di abitanti).

L’Intesa non poteva accettare una soluzione del genere, non solo perché veniva a perdere un prezioso alleato contro i tedeschi e per lo sviluppo del capitalismo in Russia, ma anche perché attraverso la guerra potevano sperare d’intervenire nel territorio russo per dare man forte ai controrivoluzionari.

In particolare le zone in cui intervenire militarmente, allo scopo di occuparle, furono decise nel gennaio 1919: all’Inghilterra spettavano alcune aree del nord della Russia, della Polonia, del litorale baltico, della Siberia e della Transcaucasia (Armenia, Georgia, Azerbaijan, Daghestan e Kurdistan); agli USA spettavano alcune regioni della Polonia e della Siberia; la Francia poteva operare in Bessarabia, Ucraina e Crimea, oltre che Polonia e Siberia; l’Italia doveva dirigersi in Ucraina, partendo dal mar Nero. Naturalmente a quel tempo la parte del leone la facevano gli anglo-francesi: gli americani infatti accettarono il loro piano annessionistico, pur rivendicando anche il possesso di alcune zone del Turkestan e della Cina occidentale (mentre sulla parte orientale di quest’ultima volevano metterci le mani i giapponesi).

Tuttavia già a partire dalla primavera del 1919 gli occidentali si resero conto che l’Armata Rossa era imbattibile, sicché gli europei pensarono di isolare completamente la Russia, onde impedire la diffusione delle idee socialiste, organizzando un embargo economico e installando alle sue frontiere delle postazioni militari

Quanto all’Italia i circoli dirigenti già all’inizio del 1918 avevano messo a punto un piano per una spedizione militare in Georgia, su espressa richiesta dell’Intesa. Ma gravi tensioni sociali l’avevano mandato in fumo.

Infatti le forze della sinistra avvertivano la possibilità concreta di ripetere in Italia una rivoluzione simile a quella russa. Non a caso il movimento rivoluzionario italiano toccò il culmine negli anni 1919-20, con l’occupazione delle fabbriche. Fu a causa dell’incapacità dei dirigenti socialisti, ancora legati al riformismo della II Internazionale, che non si seppero collegare le battaglie operaie con quelle contadine e col più generale movimento democratico del Paese. La sconfitta della rivoluzione portò, a destra del socialismo, alla nascita del fascismo di Mussolini e, a sinistra, a quella del comunismo di Gramsci e Terracini. E sarà il partito fascista (composto da molti ex-militanti socialisti) che riuscirà a prendere le redini in mano, trasformando la rivoluzione proletaria in una rivoluzione della piccola-borghesia.

Cerchiamo noi italiani di non ripetere gli errori del passato, poiché con le armi di oggi ci costerebbero infinitamente di più.

 

La Pelosi si è dimessa

 

Sintetizziamo gli aspetti salienti di due recenti e lunghi articoli di Marco Di Mauro su Avanti.it dedicati a Nancy Pelosi, che, dopo la vittoria dei repubblicani alla Camera dei Rappresentanti, si è dovuta dimettere dal suo prestigioso incarico (tenuto dal 2007!), con cui aveva il diritto di decidere tutti gli ordini del giorno. Anche quell’incapace della Kamala Harris ha fatto le valigie.

Da notare che di recente un ultranazionalista e suprematista bianco voleva far fuori la Pelosi, ma, non avendola trovata in casa, se l’era presa col marito Paul a suon di martellate, aspettando poi tranquillamente la polizia.

Ebbene, stando ai dossier dell’FBI desecretati l’anno scorso, la Nancy era figlia di un certo Thomas D’Alesandro, che frequentava ambienti mafiosi di Baltimora in Maryland (in particolare la famiglia di Benjamin Magliano, detto “Benny Trotta”). Grazie alla mafia il padre si era fatto eleggere al Congresso come rappresentante del Maryland dal 1939 al 1947, divenendo subito dopo sindaco di Baltimora fino al 1959.

Le politiche razziali e discriminatorie del padre a Baltimora furono proseguite da un altro fratello di Nancy, Thomas D’Alesandro III: furono queste politiche che portarono alla rivolta afroamericana del 1968 e all’uccisione di Martin Luther King.

A parte questo piccolo particolare la Nancy Pelosi fu sempre un’abile affarista, insieme al marito. Nel solo 2008 erano registrate a suo nome 89 asset, per un totale di quasi 109 milioni di dollari di azioni, ridottisi 10 anni dopo a soli 48, ma con un valore di 256 milioni. La politica le ha fruttato parecchio, con partecipazioni cospicue in Apple, Disney e Amazon e un ricchissimo fondo a proprio nome. Anche il marito Paul sembra non sbagliare mai un affare, avendo informazioni riservate.

Come la famiglia Biden, anche la famiglia Pelosi è legata a doppio filo con la Cina. Sia Paul che il figlio Paul junior hanno avviato una lunga serie di investimenti col beneplacito di Xi Jinping. Vi sono coinvolgimenti anche nelle partecipate dell’elettricità ucraine gestite da Hunter Biden.

Paul junior, per non farsi mancare niente, si trovò coinvolto in vari affari con truffatori, trasgressori di regole e criminali condannati che gli hanno fruttato milioni di dollari (l’elenco è nell’articolo).

Inizialmente Nancy Pelosi condannava la Cina comunista, ma smise di farlo una decina d’anni dopo la strage di piazza Tienanmen, quando alle soglie del nuovo millennio i coniugi Pelosi investirono milioni di dollari nel China Fund della Matthews International Capital Management, gestita da William Hambrecht, miliardario amico e storico finanziatore di Nancy e delle cause dei democratici americani: il Matthew China Fund arrivò a gestire decine di milioni di dollari della famiglia Pelosi, in azioni ordinarie e privilegiate di società situate in Cina. Improvvisamente, e non a caso, la Pelosi arrivò a dichiarare pubblicamente che Pechino, nonostante tutto, era un partner di primo livello degli USA per la lotta al cambiamento climatico.

Un altro voltafaccia si ha nel 2008, quando Nancy si oppose apertamente allo svolgimento in Cina dei giochi olimpici, per poi opporsi, altrettanto decisamente, dopo soltanto un anno, al boicottaggio delle olimpiadi di Pechino. Cos’era successo nel frattempo? Il marito Paul aveva acquistato azioni della Global Ambassador Concierge, ditta di trasporti privati di lusso che si era aggiudicata succulenti appalti proprio in occasione delle olimpiadi cinesi.

Anche il figlio Paul junior ha stretto saldi legami con l’arrembante capitalismo della Cina comunista tramite la Global Tech Industries Group e la International Media Acquisition Corporation.

Stante questi presupposti, non sembra affatto casuale che la Pelosi sia stata nel 2020 la principale boicottatrice di tutti gli sforzi del Congresso per indagare sulle origini cinesi del virus Covid-19. Eppure nel 2019 si era accordata col leader repubblicano della Camera dei rappresentanti, Kevin McCarthy, affinché si istituisse una commissione speciale per indagare sui laboratori biotecnologici in Cina.

Infine come spiegare la provocazione della Pelosi alla Cina nell’agosto di quest’anno, dopo la quale le esercitazioni militari di Pechino nell’area del Mar Cinese Meridionale sono aumentate esponenzialmente, e le violazioni dello spazio aereo di Taipei da parte dell’aviazione di Pechino sono divenute all’ordine del giorno? Una risposta la si può forse trovare nel discorso tenuto da George Soros alla Hoover Institution il 31 gennaio di quest’anno, quando il faccendiere miliardario dei Rothschild aveva dichiarato apertamente guerra a Xi Jinping: la Cina è oggi la principale minaccia per la società aperta, ed è auspicabile che il dittatore sia sostituito.

Anche le dichiarazioni di Henry Kissinger su “Die Welt” erano state molto chiare: la competizione sullo sviluppo delle nuove tecnologie, quelle che permetteranno l’instaurazione del “capitalismo della sorveglianza”, base primaria del Nuovo Ordine Mondiale, porterà inevitabilmente agli Stati Uniti la necessità di annientare la Cina, e pertanto bisogna iniziare a impegnare Pechino militarmente, quanto meno per indebolirla economicamente e frenarne lo sviluppo.

In quest’ottica è probabile che la Nancy abbia dovuto ubbidire ai suoi padroni della mafia globalista e, mettendo da parte i propri interessi economici, rimettersi la maschera di avversaria della Cina.

Fonte: avanti.it/the-pelosi-connection-prima-parte/

 

[14] Il lupo perde il pelo ma non il vizio

 

Un secolo fa l’opinione pubblica degli Stati Uniti, il cui documento costituzionale principale, la Dichiarazione d’Indipendenza, prevede il diritto di tutti i popoli a compiere le loro rivoluzioni, aveva condannato vivacemente l’invio di truppe americane in Russia per combattere la Rivoluzione d’Ottobre.

Lo stesso presidente Thomas W. Wilson, inviando un telegramma, qualche mese dopo la vittoria dei bolscevichi, al IV Congresso straordinario dei Soviet, sosteneva esplicitamente che il popolo americano era solidale con la lotta del popolo russo contro l’autocrazia. Con una bella faccia di bronzo gli statisti americani confermarono questa posizione anche quando l’intervento dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Italia, USA e Giappone) agiva già a pieno ritmo per tentare di spartirsi i territori della Russia bolscevica.

Uno dei promotori dell’intervento militare dell’Intesa, Robert Lansing, segretario di Stato americano dal 1915 al 1920, quattro mesi dopo l’inizio delle ostilità antisovietiche spedì un memorandum agli ambasciatori degli Stati alleati, col quale chiedeva di assicurare ufficialmente al popolo russo che nessuno dei governi impegnati nelle operazioni militari in Siberia e nel nord della Russia aveva intenzione di violare la sovranità politica e l’integrità territoriale dei russi o d’interferire nei loro affari interni, sia nel presente che in futuro. Come questa dichiarazione potesse non risultare contraddittoria con la posizione presa a favore dell’intervento, gli storici americani se lo chiedono ancora oggi. Il memorandum in realtà era stato inviato perché gli USA non volevano partire per ultimi nel saccheggio dell’ex impero zarista.

In ogni caso nessun ambasciatore accreditato a Mosca (inglese, francese, americano, italiano...) accettò mai d’intavolare trattative di pace col governo sovietico, fermamente intenzionato a uscire dalla prima guerra mondiale. Pertanto tutti gli Stati capitalistici europei si sentivano liberi di partire per primi nell’organizzare la “rapina” più grande del secolo.

Da alleati della Russia contro la Germania, gli USA si trasformarono, dopo la vittoria del socialismo, in nemici giurati, operando di concerto con Inghilterra e Francia. Il loro ambasciatore in Russia, David R. Francis, fece tutto ciò ch’era in suo potere per realizzare un golpe, rifornendo i controrivoluzionari russi di armi e mezzi finanziari.

Lo stesso Lansing presentò in gran segreto un memorandum al presidente americano, proponendo di dare tutti gli aiuti possibili al generale anti-bolscevico Kalidin, che stava raccogliendo forze nel sud della Russia per marciare su Mosca.

Il presidente Wilson approvò il memorandum e incaricò il colonnello Edward M. House di negoziare su questo argomento con Londra e Parigi. La questione dell’intervento militare congiunto fu discussa nel dicembre 1917 a Parigi, durante una conferenza straordinaria dei rappresentanti dell’Intesa. All’ordine del giorno era la ripartizione e la colonizzazione di tutta la Russia.

Il 3 gennaio 1918 Francis, convinto che il punto 4 dei famosi “Quattordici punti” del presidente Wìlson poteva essere interpretato in modo favorevole all’intervento armato, inviò a Washington un dispaccio per chiedere istruzioni in merito. Sei giorni dopo ricevette la risposta: “Ieri il presidente ha pronunciato un discorso al Congresso, parlando degli obiettivi della guerra e della posizione degli USA nei confronti della Russia”.

Francis, che non era uno sprovveduto, reagì immediatamente a questa risposta, generica solo in apparenza, raccomandando, con un messaggio in codice spedito il 21 febbraio, di occupare senza indugi Vladivostok, la base più importante per la conquista della Siberia, e di cedere agli inglesi e ai francesi Murmansk e Arcangelo, da dove poi l’intervento si sarebbe esteso in direzione di Pietrogrado e Mosca.

Insomma, facendo passare la tutela dell’integrità territoriale della Russia per un problema della politica estera ufficiale di Washington, Wilson ne incoraggiava di fatto lo smembramento. La vera intenzione degli americani era quella d’impedire che fossero gli europei e i nipponici a spartirsi la gran parte dei territori sovietici. Wilson voleva che si costituissero vari governi provvisori, indipendenti non solo da Mosca ma anche dagli europei.

Gli USA furono così ipocriti che chiesero ai nipponici d’inviare diverse navi da guerra, comandate dall’ammiraglio Katō Tomosaburō, nella baia di Vladivostok. D’altra parte i governi americani si comportano spesso così: quando vedono che l’avversario è molto forte, mandano avanti qualcun altro, preferendo agire dietro le quinte. Questo perché hanno a che fare con una popolazione interna molto individualistica, interessata solo ad arricchirsi, per cui ci vogliono motivazioni molto convincenti per indurla a entrare in guerra (p.es. ci vorrà l’attacco alla base di Pearl Harbor per scatenare la guerra al Giappone o l’attacco alle Torri Gemelle per inventarsi come nemico il cosiddetto “terrorismo islamico”).

L’ambasciatore americano cercò di assicurare il governo sovietico che il suo Paese non era coinvolto nelle manovre giapponesi, ma il 6 luglio 1918, in una riunione segreta della Casa Bianca, si prese la decisione d’intervenire militarmente (quella è una data storica, poiché indica che da più di un secolo gli USA tentano di smembrare la Russia). In quello stesso giorno a Mosca veniva assassinato l’ambasciatore tedesco Wilhelm von Mirbach, cui seguì una mezza rivolta antibolscevica dei socialisti rivoluzionari di sinistra. Una bella coincidenza, no?

Nella dichiarazione ufficiale del governo statunitense, in data 3 agosto 1918, veniva detto che le unità americane sarebbero state utilizzate unicamente per difendere gli arsenali di cui le truppe russe (s’intende della guardia bianca) avrebbero potuto in seguito aver bisogno. Ma si parlò anche della necessità di proteggere la ferrovia transiberiana e anche di tutelare un corpo cecoslovacco composto di quasi 70.000 ex prigionieri di guerra che avevano combattuto contro la Russia zarista per conto dell’esercito austro-ungarico. Naturalmente erano tutti pretesti ridicoli.

Le 9.000 unità americane, incorporate alle truppe dell’Intesa, comandate dal generale William S. Graves, penetrarono in Russia allo scopo di occuparne una parte. Lo stesso ammiraglio Austin M. Night, comandante dell’incrociatore Brooklyn, che, sin dal novembre 1917, aveva gettato l’ancora nella baia di Vladivostok, cominciò a installare un governo controrivoluzionario in Siberia. Da notare che il Congresso USA non dichiarò mai guerra alla Russia sovietica o la rottura dei rapporti diplomatici, e Washington non ricevette dal governo sovietico alcuna richiesta di aiuti militari contro i Bianchi.

Passato un mese l’Intesa farà sbarcare 100.000 uomini a Vladivostok: operazione, questa, che sarà seguita dall’occupazione della Transbaikal e dei territori dell’Amur. Questo per venire incontro al generale Graves, che aveva capito, vedendo la resistenza delle popolazioni siberiane, che l’intervento si stava rivelando più difficoltoso del previsto e che gli americani si stavano compromettendo eccessivamente con le stragi compiute nella Siberia orientale dagli atamani Semionov e Kalmykov e nella Siberia occidentale dagli atamani Rosanov e Annenkov.

Partendo da Arcangelo le truppe americane avanzarono verso l’interno, onde potersi ricongiungere col governo controrivoluzionario dell’ammiraglio Aleksandr Kolchak, governatore di Omsk, e chiudere così l’anello di ferro dell’hinterland russo, portando alla fame le popolazioni locali.

La responsabilità del golpe militare che mandò l’ammiraglio Kolchak al potere appartiene completamente al generale Alfred Knox, capo della missione inglese. Il governo Kolchak, cui appartenevano ufficiali di orientamento filomonarchico, filonipponico e filogermanico, nonché un gruppo di comandanti cosacchi, si distingueva per la sua ferocia e intransigenza ideologica. Considerava “bolscevichi” tutti gli oppositori, eliminandoli senza scrupoli e reclutando con forza i contadini nel suo esercito.

Americani e anglo-francesi crearono una rete di carceri e campi di concentramento, compivano violenze dì massa contro la popolazione, fucilavano i partigiani, distruggevano interi villaggi. Educati nello spirito del razzismo e dello sciovinismo nazionalistico – al pari dei giapponesi – i soldati americani disprezzavano profondamente i russi, trattandoli come indigeni di una colonia appena conquistata.

Molti soldati e ufficiali, esperti nel business, trafficavano coi cercatori d’oro, coi cacciatori della taiga, acquistando le merci a un prezzo tre volte inferiore al loro valore, oppure scambiandole con gli alcolici. Banche di Washington, di Londra, di Parigi aprirono pingui conti correnti ai generali antibolscevichi Kadelin, Kornilov, Krasnov. Nell’arco di soli tre mesi, nel 1919, le forze dell’Intesa si erano impossessate di più di 3 milioni di capi di pellicce pregiate siberiane. In un anno esportarono 14 milioni di puds di aringhe dall’Estremo Oriente. I danni provocati all’economia nazionale di questa regione ammontarono alla fine del conflitto all’astronomica cifra di 542 milioni di rubli-oro.

I governi degli Stati imperialisti, persino quelli alleati della Russia, volevano assolutamente la fine della Repubblica sovietica, per suddividerla in varie colonie. Al Dipartimento di Stato americano era stata elaborata una cartina geografica della Russia sovietica, nella quale il territorio di quest’ultima veniva circoscritto all’Altopiano centrale russo.

I britannici nell’agosto 1918 occuparono Baku; in novembre reparti francesi e greci sotto la protezione della marina anglo-francese sbarcarono a Odessa, e così via tutti gli altri. Ad un certo punto i Paesi che cercarono d’invadere la Russia furono ben 14 (oggi sono almeno il doppio!). Alla fine del 1918 praticamente i 3/4 del territorio russo era nelle mani degli interventisti stranieri e dei controrivoluzionari interni, e nella primavera del 1919 queste forze disponevano di circa un milione di militari. La gran parte dei territori se li presero però i tedeschi con la pace di Brest-Litovsk, grazie alla quale i sovietici poterono riprendersi il resto del Paese.

Secondo il generale Graves l’appoggio manu militari del suo Paese al governo monarchico controrivoluzionario era costato l’odio del 90% della popolazione siberiana. Il 9 gennaio 1920 il governo USA dichiarò ufficialmente che le truppe americane sarebbero state ritirate in pochi mesi. L’ultimo gruppo di interventisti americani che lasciò la terra sovietica fu nel novembre 1922.

Una volta che le passioni furono sopite, Graves poté scrivere nelle sue memorie che l’obiettivo principale dell’intervento era stato tenuto segretamente nascosto all’opinione pubblica. Questo perché si pensava di bloccare con la forza delle armi l’espansione del comunismo. Inoltre vi era il desiderio d’impadronirsi delle immense risorse naturali della Russia.

Ancora oggi gli statisti americani vedono di buon occhio uno smembramento della Federazione Russa in tante repubbliche federate. Nel 1997 il consigliere Brzezinski parlava esplicitamente di “European Russia, Siberian Republic, Far Eastern Republic”.

Il lupo perde il pelo...

 

Il dopo Stoltenberg sarà peggio

 

Jens Stoltenberg si dimetterà da segretario generale della NATO alla fine del settembre 2023 (ricopre quel ruolo dal 2014). Deve andare a dirigere la Banca centrale norvegese per fare affari con la Gazprom, che solo per il 50% è di proprietà del governo russo (il resto è suddiviso tra BlackRock, JP Morgan & Chase, Vanguard e appunto la suddetta Banca). Ancora non si sa chi lo sostituirà.

Tra i candidati più papabili vi è Chrystia Freeland, di origine ucraina, attualmente vice premier e ministro delle Finanze del Canada. Ma anche altri nomi sono femminili: il primo ministro estone Kaja Kallas, la presidente slovacca Zuzana Čaputová e l’ex capo di Stato croato Kolinda Grabar-Kitarović, che è stata anche ambasciatrice di Zagabria a Washington.

Vogliono una donna per far vedere che la NATO è buona (cioè difensiva) e giusta (cioè favorevole alla parità di genere). Se sceglierà la Freeland potrà far vedere d’essere anche generosa e riconoscente.

Tuttavia se la guerra in Ucraina va avanti, potrebbe anche accadere che il mandato di Stoltenberg venga prorogato per un altro anno. È comunque evidente che quanta più russofobia, quanto più cinismo, quanto più spirito bellicoso si manifesterà in questi mesi, tante più possibilità vi saranno d’essere scelti.

La Freeland nel 2014 si era recata a Kiev per celebrare il rovesciamento del presidente filorusso Viktor Yanukovych. Lei è nipote di Michael Chomiak, nato in Ucraina col nome di Mykhailo Khomiak ed emigrato in Canada dopo il 1945. Durante la seconda guerra mondiale era stato un giovane coinvolto in un movimento nazionalista ucraino che vedeva i nazisti come utili avversari dei sovietici. Era caporedattore dell’importante quotidiano di propaganda in lingua ucraina “Krakivs’ki Visti”: un giornale con sede originale a Cracovia, apparso tra il 1940 e il 1945, dopo aver sequestrato la tipografia all’ebreo Nowy Dziennik. Era finanziato direttamente dalla Germania nazista, con l’esposizione orchestrata da Joseph Goebbels. Viene descritto dallo storico statunitense-canadese John-Paul Himka come “veementemente antisemita”.

La stessa Freeland ha lodato i suoi nonni materni. Lo dice nel libro La mia Ucraina, pubblicato nel 2015, mostrando che a quel tempo in Ucraina era del tutto normale essere nazionalisti e appoggiare il nazismo per avere l’indipendenza dalla Russia. Aggiunge poi che “Quel sogno è sopravvissuto nella generazione successiva, e in alcuni casi anche in quella dopo”. Piccoli dettagli, questi, che nella biografia di lei su Wikipedia non sono scritti, anche se essere neonazisti è diventata la cosa più naturale di questo mondo.

Fonte: sovranitapopolare.org

 

I sottomarini nucleari sono nucleari

 

Riferendosi alla 66a Conferenza generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) di fine settembre, il rappresentante cinese ha osservato che l’emendamento che cercava di “legittimare” la cooperazione tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia in materia di sottomarini nucleari è stato completamente respinto.

Dal settembre dello scorso anno, quando hanno annunciato la loro cooperazione per i sottomarini nucleari, per più di un anno, Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia hanno condotto una guerra di propaganda nel tentativo di nascondere l’essenza della proliferazione nucleare e costringere il Segretariato dell’AIEA a dare il via libera alla cooperazione per i sottomarini nucleari.

Tuttavia tale cooperazione viola contemporaneamente tre importanti trattati internazionali. In primo luogo, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP): per la prima volta alcuni Stati dotati di armi nucleari (USA e Regno Unito) vorrebbero esportare apertamente materiale nucleare in uno Stato non dotato di armi nucleari (Australia). In secondo luogo, lo Statuto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), secondo cui l’AIEA deve garantire che l’assistenza fornita sotto la sua supervisione o il suo controllo non venga utilizzata per favorire alcuno scopo militare. In terzo luogo, il Trattato sulla zona franca nucleare del Pacifico meridionale, poiché l’accettazione da parte dell’Australia di materiale nucleare di tipo militare in qualità di Stato-Parte potrebbe creare un rischio di contaminazione nucleare e un grave impatto sulla costruzione di una zona franca nucleare nel Pacifico meridionale.

Fonte: italian.cri.cn

Ma per capire bene questa vicenda bisogna consultare peacelink.it/disarmo/a/49165.html

 

[15] Quanto siamo superficiali!

 

Perché il giornalismo italiano (ma lo stesso si potrebbe dire delle valutazioni dei politici) è così superficiale nell’analizzare il conflitto russo-ucraino?

Non è solo questione di pregiudizi atavici, di pseudocultura che invece di informare fa propaganda, cioè deforma la realtà.

Siamo pieni di pregiudizi non solo nei confronti dei russi (giudicati antiquati o, a seconda dei casi, troppo sbrigativi nel prendere decisioni, troppo estremisti, troppo abituati a considerarsi “imperiali”), ma anche nei confronti degli islamici (p.es. per il modo che hanno di trattare le donne o per il modo di esibire o di politicizzare la loro religione), nei confronti degli africani immigrati (ritenuti analfabeti rispetto ai nostri livelli, poco scolarizzati, quando in genere parlano 2-3 lingue e imparano facilmente la nostra), nei confronti dei cinesi (perché troppo riservati, poco espansivi, con usi, costumi, cibi, linguaggi troppo diversi dai nostri), nei confronti degli ebrei (ritenuti soltanto affaristi, usurai, cinici, preoccupati solo di se stessi e della loro nazione e di usare l’accusa di antisemitismo con troppa disinvoltura). E nei confronti di tanti altri, dall’americano spaccone e sguaiato all’inglese aristocratico con la puzza sotto il naso.

Non ci rendiamo conto che molti di questi limiti o difetti possono riguardare tranquillamente ogni italiano, anche se non tutti insieme, non tutti in una volta, e non in tutti gli italiani.

Dunque perché siamo così superficiali? Il motivo sta anche nella fretta con cui i media diffondono le notizie. Il mainstream non abitua a riflettere: vuole risposte secche a domande perentorie, che non lasciano spazio a varianti sul tema. Un classico l’abbiamo visto in questi 9 mesi di guerra: l’intera popolazione italiana doveva partire dal presupposto che c’era un Paese “aggressore” e uno “aggredito”. Tutto il resto, tutto il pregresso non contava nulla. Per avere maggiori informazioni uno deve andarle a cercare sui canali di Telegram o di Youtube o in riviste specializzate. Non parliamo poi dei nostri quotidiani, i cui direttori sembrano dipendere dal “Ministero della Verità”, come se fossero seguaci del bispensiero di orwelliana memoria. Questo perché senza i finanziamenti statali e occulti non potrebbero sopravvivere neppure un giorno. E poi i giornalisti sono convinti d’essere come i filosofi d’un tempo: saggi per definizione, titolati a dire ciò che vogliono.

Le informazioni della televisione (quelle più seguite dalla popolazione comune) hanno tempi strettissimi, non solo perché il conduttore ha come l’ordine d’interrompere di continuo l’ospite, essendo convinto che lo spettatore tende ad annoiarsi e a cambiare canale, ma anche perché le informazioni sono intercalate dalla pubblicità, cioè vengono continuamente interrotte da chi “paga” per essere visibile. Alla fine si ha l’impressione che l’unica vera informazione sia solo di due tipi: quella delle banalità da bar (le “chiacchiere” di cui parlava Heidegger in Essere e tempo) e quella assolutamente imprescindibile dello spot. Tutto il resto è irrilevante, fa semplicemente da contorno.

E così veniamo condizionati da entrambe le disinformazioni: quella che induce a pensare con gli schemi mentali approssimativi (i quattro tipi di “idòla” analizzati da Bacone), e quella che induce ad acquistare prodotti che, in ultima istanza, fan soltanto male alla salute, in quanto pieni di zuccheri, di additivi, di conservanti o che sono prodotti del tutto superflui o indicativi di uno status symbol che più borghese (cioè più falso) non si può.

 

Un messia da non attendere

 

Certo che di fronte all’eventualità che scoppi una nuova guerra mondiale, destinata sicuramente a causare molti più morti della precedente, si può capire che la Russia non voglia più svolgere il ruolo di salvatore del destino globale. Di qui le sue reiterate offerte di pace, che l’occidente però rifiuta a priori.

Prima di Gorbaciov le statistiche sovietiche parlavano di 20-25 milioni di morti causati dall’aggressione nazista. Nei pochi anni in cui lui governò si arrivò alla cifra di 27 milioni. Il regime sovietico preferiva tenersi più basso per non essere accusato di negligenza, di condotta scriteriata nei primi mesi dell’occupazione, e soprattutto per non aver saputo prevedere con sufficiente anticipo la cosiddetta “Operazione Barbarossa”. Stalin infatti aveva negato sino all’ultimo momento che Hitler volesse stracciare il patto Ribbentrop-Molotov. Si era comportato in maniera inqualificabile, e il popolo russo vinse la guerra patriottica non grazie a lui ma nonostante lui, anche perché con le sue maledette purghe ideologiche aveva decimato persino lo stato maggiore (cosa di cui Hitler approfittò per scatenare l’attacco militare con quante più forze possibili, nella convinzione, rivelatasi completamente sbagliata, che la cosa si sarebbe risolta come in Francia).

Noi dobbiamo smettere di pensare che un messia possa liberarci dai problemi che il capitale crea contro il lavoro. Dobbiamo crescere e assumerci le nostre responsabilità.

 

Caino e Abele

 

I nostri massmedia vedono solo la cittadinanza filoucraina che accoglie festosamente i militari inviati da Kiev nelle città occupate in precedenza dai russi. Non vede mai la cittadinanza filorussa che accoglie altrettanto festosamente i militari inviati da Mosca a liberare le città occupate dai neonazisti che dipendono dal governo di Kiev. E poi dicono che questa guerra non è “mondiale”! Noi siamo chiaramente schierati da una parte: non riusciamo a vedere le cose obiettivamente.

Dovremmo andarci a rileggere i vangeli, là dove dicono che la popolazione sarà separata sin all’interno di ogni singola famiglia: “Il padre sarà diviso contro il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la figlia e la figlia contro la madre; la suocera contro la sua nuora e la nuora contro la sua suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua”.

Non so, più chiaro di così non si può.

Certo, se non avessimo mandato armi e soldi a Kiev ma solo aiuti umanitari, avremmo forse potuto guardare le cose con maggior distacco e parlare più di giusta pace che di guerra da vincere a tutti i costi. Invece abbiamo preferito schierarci, nella convinzione che i russi avrebbero più facilmente accettato delle trattative dopo aver subìto delle gravi sconfitte militari. Abbiamo voluto mostrare che possiamo fare a meno delle loro risorse energetiche, delle loro materie prime, del loro mercato... (anche se, congelando i capitali della loro banca centrale e degli oligarchi all’estero, abbiamo dimostrato d’essere predisposti a derubarli dei loro beni).

Insomma abbiamo sopravvalutato la nostra capacità offensiva e sottovalutato la loro capacità difensiva. Valutazioni così sbagliate le avevano già fatte Napoleone e Hitler, e oggi le abbiamo ripetute come “occidente collettivo”, come un secolo fa, quando si era convinti che, appoggiando le armate bianche, in poco tempo si sarebbe sconfitta quella rossa dei bolscevichi.

Gli statisti occidentali hanno portato le popolazioni a essere cobelligeranti contro la loro stessa volontà. Hanno confidato nel fatto che siamo facilmente strumentalizzabili, facilmente manipolabili dalla propaganda dei nostri regimi politici e mediatici. Ora dove andranno a nascondersi quando la gente scenderà in piazza? Il mondo è diventato piccolo. Caino non può più nascondersi dopo aver ammazzato Abele.

 

Perché contro di loro perdiamo sempre?

 

Quando i mongoli occuparono la Russia, nel Medioevo (1237-1480), non ebbero mai l’impressione di trovarsi di fronte a un popolo arretrato. Nel passato, quando i popoli nomadi attaccavano quelli stanziali, in genere lo facevano perché invidiosi delle loro ricchezze, o perché gli stanziali, allargando i propri campi arati, impedivano alle mandrie dei nomadi di beneficiare di territori non recintati, in cui pascolare liberamente. I mongoli sapevano benissimo che i russi avevano una cultura superiore: per questo si limitarono a sfruttarli sul piano economico, impedendo loro di progredire e tenendoli il più possibile divisi.

Poi, quando gli stessi mongoli divennero stanziali e quando i russi capirono che solo stando uniti si vince, il riscatto fu assicurato e la Russia di Mosca divenne molto più forte di quella di Kiev.

Ma coi tentativi di occupare la Russia, da parte dei francesi di Napoleone, dei tedeschi di Hitler, dell’Intesa occidentale subito dopo la rivoluzione bolscevica, la situazione fu completamente diversa. Gli europei (ivi inclusi gli americani e i nipponici) non erano affatto dei nomadi ma degli stanziali come i russi. Non ebbero mai la percezione di trovarsi di fronte a una cultura superiore; anzi, erano convinti che i russi, essendo ancora feudali o non pienamente imborghesiti, sarebbero stati facilmente sconfitti. Paradossalmente gli occidentali si dimostrarono, pur con tutti i loro mezzi, più deboli dei mongoli. Ormai sono due secoli che si scontrano con una resistenza russa del tutto inaspettata.

È incredibile quanto sia pervicace questa percezione distorta della realtà. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che nei confronti della tecnologia abbiamo un atteggiamento di tipo magico, feticistico. Siamo cioè convinti che per vincere il popolo russo sia sufficiente esibire una tecnologia militare superiore. Soffriamo di un complesso di superiorità che ci trasciniamo dai tempi della prima rivoluzione industriale, avvenuta in Inghilterra verso la metà del XVIII sec.

Siamo in attesa di veder cadere Mosca come Costantinopoli. Ma questa fu occupata dai crociati solo temporaneamente nel 1204. In realtà ci vollero i turchi per sottometterla definitivamente nel 1453.

L’occidente ha sempre fallito militarmente contro i russi, nonostante la sua vantata superiorità tecnologica. L’unico modo in cui è riuscito a entrare in quell’immenso territorio è stato sul piano economico e finanziario. Infatti quando i bolscevichi fecero la loro rivoluzione, il feudalesimo non esisteva più. Quella fu una rivoluzione anticapitalistica. E siccome l’occidente reagì militarmente negli anni 1918-20, l’Armata Rossa dovette difendersi con tutte le sue forze, vincendo in maniera netta.

Anche quando finì la guerra fredda, la Russia non fu sconfitta sul piano militare ma economico. Gli anni ’90, quelli di Eltsin, furono disastrosi per i russi. Ma poi arrivò Putin, che disse basta allo sfacelo. E fu così che l’occidente reagì militarmente, scegliendo come territorio privilegiato l’Ucraina.

A questo punto come andrà a finire è facilmente prevedibile. Che siano bolscevichi o semplicemente russi, loro, nei confronti dell’occidente, vinceranno sempre, proprio perché, in definitiva, sono una civiltà superiore. Non si affidano esclusivamente alla tecnologia, e sul piano economico non sono individualisti come noi.

 

Sognare ad occhi aperti

 

Se ci pensiamo bene, dal 2004 ad oggi abbiamo assistito in Ucraina alla riedizione di molti cliché dal valore universale.

In fondo cos’era stata quella cosiddetta “rivoluzione arancione”, che segnò l’inizio del coinvolgimento occidentale negli affari interni di quel Paese? Era stata una forma di riscatto popolare, un’illusione alimentata da USA e UE, che coi loro soldi avevano fatto credere di vivere un’esistenza migliore di quella russa. “Vi promettiamo un grande benessere” era una frase che aveva lo stesso significato di quella biblica: “Se mangerete questo frutto diventerete come Dio”.

Per la serpe occidentale bastava convincere i ceti un po’ più benestanti o acculturati degli altri; sarebbero poi stati questi a convincere, coi nostri soldi, i ceti più marginali a scatenare un’insurrezione armata o addirittura una guerra civile per togliere di mezzo i condizionamenti del passato.

È dal tempo dei Greci, ma forse potremmo dire dal tempo dell’Egitto faraonico o degli Assiro-babilonesi, che per diventare colonialisti, cioè per allargare i confini del proprio territorio a spese altrui, i potenti elaborano dei miraggi con cui far sognare la povera gente, con cui convincerla che, passando sotto un nuovo padrone, la miseria e la sofferenza spariranno come per incanto.

Un colpo di bacchetta magica e non sarete più come Cenerentola. Quell’antica fiaba popolare sarebbe però dovuta finire diversamente per far aprire gli occhi ai suoi tanti lettori. Un finale, p.es., avrebbe potuto essere questo: “Dopo aver sposato il principe, lei purtroppo si accorse ch’era molto diverso da come l’aveva conosciuto. Era prepotente, venale, trascurava i figli, la tradiva con altre donne. Poco per volta lei cominciò a capire che quando la chiamavano Cenerentola era anche per colpa sua, perché, invece di farsi valere per le proprie capacità, se ne stava lì a sognare il principe azzurro”.

Tuttavia, a essere finita diversamente è stata la fiaba ucraina. Chi ha creduto al serpente tentatore, che nel 2014 riuscì ad avere la meglio, prese a inveire contro i parenti che nel Donbass non si erano lasciati ingannare. Come se Cenerentola, una volta diventata regina, si fosse completamente dimenticata delle ingiustizie subite nel passato, e avesse cominciato a infierire, con spirito vendicativo, contro chi non aveva intrapreso il suo stesso percorso emancipativo.

Poi i parenti, dopo 8 anni di resistenza, chiesero aiuto ad altri parenti, i russi, che si sacrificarono per loro, per impedire che i lupi imborghesiti di Kiev li sbranassero senza pietà. Chissà ora come finirà questa storia. Cosa saranno i russi per gli abitanti del Donbass? Come si comporteranno? Diventeranno dei “nuovi padroni” o sapranno considerarli dei cittadini alla pari? È su queste domande che si gioca la loro vera credibilità.

 

Strano atto dinamitardo

 

Perché i turchi han rifiutato le condoglianze degli USA per i 6 morti del recente attacco terroristico a Istanbul, avvenuto a 170 metri dal consolato della Federazione Russa?

Evidentemente sospettano che siano coinvolti gli americani, anche se l’autrice è di origine siriana e ha confessato di essere stata addestrata a Kobane, in Siria, dall’organizzazione kurda del Pyd/Ypg. Sono state arrestate anche 46 persone.

Ma perché questi sospetti? Probabilmente perché la NATO si sta stufando del doppiogiochista Erdoğan, che fa affari con la Russia (le compra persino le armi e sta per diventare il principale hub dei suoi gasdotti), evita le sanzioni e impedisce a Svezia e Finlandia di aderire all’Alleanza.

Il PKK non c’entra niente: sarebbe da stupidi far credere che si è così terroristi da indurre i due Paesi scandinavi a estradare i profughi kurdi, come richiesto dal governo turco.

Non esiste nessun vantaggio politico per il PKK né per il partito legale HDP, che si presenta regolarmente alle elezioni (le prossime entro giugno 2023). A meno che non sia lo stesso governo turco a voler far credere alla NATO che la sua idea di considerare terroristici i kurdi non è un’esagerazione, per cui non è per un puntiglio il suo atteggiamento ostruzionistico nei confronti dei due Paesi scandinavi. Peraltro se i kurdi son terroristi, si giustifica meglio la presenza turca in Siria.

 

La cieca von der Leyen

 

La Commissione Europea ha corretto le sue previsioni sul calo del PIL russo nel 2022 al -5,1% dal -10,4% previsto in primavera. Cioè aveva sopravvalutato l’effetto delle sanzioni di ben 5 punti! Il bello è che non tiene in considerazione neppure le previsioni del FMI, abbassate fino al -3,4% nel 2022 e il prossimo anno al -2,3%.

Ora chi lo dice alla von der Leyen che in realtà la Russia ha già superato la recessione, mentre la UE sta sprofondando in maniera catastrofica? E anche questo non lo dice la “Pravda” ma il quotidiano “The Economist”.

È proprio vero il detto: Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

 

[16] Il realismo è una gran cosa

 

Se in gioco non ci fosse la vita di tante persone, dovremmo dire che i 10 punti di Zelensky per una trattativa si adattano bene al suo ruolo di comico, con l’aggiunta di sostanze psicotrope che impediscono il contatto con la realtà. Nella vita bisogna essere seri, soprattutto nei momenti tragici di una guerra (che è reale non virtuale), ma a lui proprio non riesce.

Il decalogo ha una premessa pomposa, che parla di come garantire con sicurezza la pace non solo in Ucraina ma anche nel mondo. Meno male che c’è lui che ce lo dice, poiché fino adesso abbiamo brancolato nel buio più fitto.

Le sue proposte risolutive vengono qualificate come “concrete e oneste”, sicché uno si aspetta di trovare qualcosa di dettagliato. Invece somigliano ai diktat del decalogo di Mosè. Chissà, forse, essendo di origine ebraica, avrà cercato d’imitarlo. Reminiscenze da catechismo.

L’offerta non è rivolta a tutti gli Stati del mondo che all’ONU hanno una propria rappresentanza, ma solo a quelli “principali” che fanno capo al G20. Strano, perché in genere proprio questi Stati, sentendosi rivali tra loro, sono i meno interessati a volere un mondo pacifico, meno che mai quando le loro pretese non vengono accolte. Quindi semmai vogliono un mondo sottomesso. È sufficiente ricordare che nel G20 sono presenti tutti gli Stati occidentali, più quelli che l’occidente è costretto a inserire perché molto forti sul piano economico. Dell’intero continente africano vi è solo il Sudafrica. Di tutto il Medio Oriente solo Turchia e Arabia Saudita. E così via.

Ecco le proposte:

1. Sicurezza dalle radiazioni e dal nucleare. (Detto da un Paese che ha provocato il maggior disastro nucleare d’Europa e che di centrali ne ha sei, non avendo mai rinunciato a questa fonte energetica, pur potendo avere il gas russo a prezzi ridicoli, è davvero singolare).

2. Sicurezza alimentare. (Come se non sapesse che l’occidente usa il cibo come arma di ricatto nei confronti dei Paesi più poveri. Ultimamente la UE ha preferito tenersi in casa il grano proveniente dall’Ucraina, invece che consegnarlo ai Paesi africani più poveri, e impedisce di farlo alla Russia).

3. Sicurezza energetica. (Come quella garantita dalle sanzioni antirusse e dal sabotaggio del Nordstream! Che stia proponendo di smembrare la Federazione?).

4. Rilascio di tutti i prigionieri e deportati. (Che c’entra questo coi princìpi generali di una pace universale? Quando un conflitto finisce è una cosa che si fa abbastanza tranquillamente, a meno che uno non si sia macchiato di delitti gravissimi. La Russia ha persino rilasciato spontaneamente, senza scambio di prigionieri, alcuni militari del battaglione Azov).

5. Attuazione della Carta delle Nazioni Unite e ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina e dell’ordine mondiale. (Di nuovo, che c’entra questo con la pace mondiale? La guerra in Ucraina è un caso particolare. Ci sono tanti altri casi simili al mondo: Palestina, Yemen, Congo, il Tigray in Etiopia... In questo momento ci sono quasi 60 guerre in corso. E poi che senso ha dire che la Carta dell’ONU va rispettata e, nel contempo, chiedere il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina? Proprio quella Carta parla di autodeterminazione dei popoli: un principio che il governo di Kiev non ha mai voluto riconoscere al Donbass. Quanto poi al “ripristino dell’ordine mondiale” cosa voleva dire? Il ritorno al mondo unipolare?).

6. Ritiro delle truppe russe e cessazione delle ostilità. (Curiosa la successione di queste due affermazioni: non si vuole anzitutto la fine delle ostilità e quindi la necessità d’intavolare dei negoziati, ma il ritiro dei russi. Come se il problema della guerra civile durata 8 anni sia stato un’invenzione della propaganda di Mosca! Come se le decine di migliaia di morti di questi 9 mesi di guerra si possano cancellare con un colpo di spugna! Come se il valore dei referendum secessionisti sia acqua fresca! Come se sia possibile tornare indietro dopo il riconoscimento del Donbass come parte integrante della Federazione Russa!).

7. Il ritorno della giustizia. (Quale? Quella nazionalista e neonazista? Quella che ha eliminato qualunque opposizione al governo di Kiev? Quella che impedisce ai russofoni di parlare la loro lingua o di studiare la loro cultura nelle scuole? Quella degli oligarchi privi di scrupoli? Quella dei laboratori biologici americani? Quella della richiesta di adesione alla NATO?).

8. Contrasto all’ecocidio. (Da che pulpito questa richiesta! Chi bombarda ripetutamente la centrale nucleare e la diga controllate dai russi o chi minaccia di usare “bombe sporche” che credibilità può avere?).

9. Prevenire l’escalation. (Questa cosa avrebbe dovuto chiederla all’ONU, ma anche a Francia e Germania che avevano sottoscritto il rispetto dei protocolli di Minsk. Zelensky invece è arrivato a dire che “non ci sarà una Minsk 3”).

10. Fissare la fine della guerra. (??? Qui la sostanza psicotropa per la stesura di questo decalogo, raggiunge l’acme. Cosa voleva dire? Che la NATO deve decidersi a entrare esplicitamente in guerra? O che deve essere l’ONU a dichiarare guerra alla Russia?).

Comunque anche all’ONU non sono meno fantasiosi: hanno approvato all’Assemblea Generale una risoluzione che prevede il pagamento dei danni di guerra da parte della Russia. Cioè oltre al danno di averla derubata di 300 miliardi di dollari, ora vogliono anche sbeffeggiarla.

Mondo multipolare vuol dire anche fine dell’ONU.

 

Un minimo di riconoscenza no?

 

È curioso vedere tanti ucraini considerare la Russia un nemico mortale, quando sono stati proprio i russi che, al tempo dei bolscevichi, permisero all’Ucraina di esistere come entità autonoma, pur facendo parte, insieme a tante altre etnie e nazionalità, dell’Unione Sovietica.

Cioè quell’entità geografica, politica, etnica e culturale, così come la conosciamo oggi, è stato un progetto totalmente sovietico. Furono i bolscevichi che unirono in un’unica entità geopolitica le regioni del sudovest dell’ex Impero russo e le provincie di Galizia e Bucovina strappate all’Impero austro-ungarico. Per sostenere quell’azione, i bolscevichi sposarono l’ideologia polacco-austriaco-tedesca che sosteneva l’esistenza del popolo “ucraino” come realtà a sé stante.

Sotto l’impero zarista l’Ucraina non contava nulla. Qualsiasi tentativo di creare realtà identitarie diverse da quelle accettate dall’impero sarebbe morto sul nascere, anche se l’ideologia assurda di una Ucraina diversa dalla cultura russa fu ampiamente sostenuta da austro-ungheresi, polacchi e tedeschi, che volevano abbattere lo zarismo.

Queste cose le scrive Lilin, nel suo libro appena uscito: Ucraina. La vera storia. E lui non è né un comunista né un filo-putiniano, ma solo uno che cerca di rispettare la verità storica.

Durante gli anni della sua instabile e recente indipendenza, l’Ucraina è esistita consumando le risorse materiali ereditate dall’URSS e in virtù di quel che è rimasto dei rapporti con la Federazione Russa, Paese dal quale otteneva numerosi vantaggi economici e strategici, ma nei confronti del quale portava avanti una propaganda d’odio senza precedenti.

Lo stesso concetto di “Ucraina”, dal punto di vista storico, è un’invenzione recentissima. La propaganda ucraina diffonde teorie storiche secondo le quali gli ucraini esistevano già nel IX sec. d.C. Di fatto, però, a parte le articolate fantasie di molti e improbabili avventurieri della Storia, tale narrazione non regge alcun confronto con la realtà. Non esiste nessun documento storico reale risalente a quell’epoca in cui si parla degli “ucraini”. In tutti i documenti storici legati all’area geografica che corrisponde all’attuale Ucraina si parla solo di russkie, rusici, rusi, rusini e altri sinonimi della parola “russi”.

Oggi in Ucraina viene diffusa la teoria che i russi che abitavano nella Rus’ di Kiev in realtà non erano russi, ma ucraini, che più tardi si sarebbero definiti tali per distinguersi dai russi che abitano in Russia, i quali non sarebbero veri russi, ma un miscuglio di tartari e ugro-finnici. Tuttavia in nessun documento storico si trova conferma dell’esistenza dell’Ucraina come uno Stato.

Nei documenti russi antichi il concetto “ucràina” con l’accento sulla prima “a” rappresentava le terre di frontiera, specie se dall’altra parte si trovavano vicini poco “amichevoli”. Così il principato di Kiev considerava “Ucràina” quei territori che lo separavano dai Cumani, una popolazione nomade guerriera parlante una lingua turca. Per il principato Galizia-Volinia, “Ucràina” era il territorio che li separava dagli “Lyahi” (così chiamavano prima le tribù slave che abitavano nell’Ovest, dai quali discendono i polacchi). Anche la Russia di Mosca aveva le sue “Ucràine”: nelle mappe e nei trattati antichi erano così definiti i territori che si trovavano a ridosso della steppa del Don e della parte bassa del fiume Volga, occupati all’epoca per molto tempo dai tartari.

Si potrebbe aggiungere anche un’altra cosa: la Rus’ di Kiev morì sotto l’invasione tataro-mongola. Quella che cacciò gli occupanti asiatici fu la Russia di Mosca.

 

[17] Echi lontani

 

Se leggiamo alcuni documenti declassificati della CIA, ci accorgiamo facilmente che è dalla fine dell’ultima guerra mondiale che gli USA cercano di sfruttare il nazionalismo ucraino per abbattere l’impero russo.

In particolare gli americani cercavano persone capaci di gestire il Consiglio supremo di liberazione ucraino (UHVR), formatosi già nel 1944 in funzione antisovietica. L’UHVR aveva unito l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) e l’Esercito ribelle ucraino (UPA). Fu smantellato dai sovietici all’inizio degli anni ’50, anche se continuò a vivere all’estero, dov’era guidato da Ivan Hrynokh (sacerdote ucraino di rito greco-cattolico, cioè uniate, vissuto nel 1907-94) e Mykola Lebed (1909-98, uno dei responsabili della pulizia etnica dei polacchi in Volinia e nella Galizia orientale).

All’estero l’UHVR creò, col sostegno della CIA, varie pubblicazioni anticomuniste (anche in lingua russa) e l’organizzazione Prolog Research and Publishing Corporation con sede a New York, esistita dal 1952 al 1992. La Prolog univa tutta la diaspora ucraina antisovietica e lavorava a stretto contatto coi movimenti anticomunisti di tutta l’Europa centro-orientale, in particolare con quelli polacchi. L’obiettivo principale era quello di liberare l’Ucraina dalla presenza dell’URSS, affermando un modello sociale vicino alle idee nazionaliste e neonaziste di Stefan Bandera (1909-59), molto attivo a Monaco di Baviera, e di Andriy Melnyk (1890-1964).

La Prolog cercava anche d’infiltrarsi all’interno del partito comunista e delle forze armate dell’Ucraina, fornendo tutto il supporto possibile sul piano tecnico, editoriale e finanziario ai dissidenti e alle correnti di opposizione.

Attraverso la Prolog la CIA agì in Ucraina promuovendo vari progetti controspionistici e destabilizzanti dal 1949 al 1991.

Tutto ciò per dire che sarebbe un grave errore considerare isolatamente il conflitto Russia-Ucraina nato il 24 febbraio scorso. È in realtà un conflitto tra Russia e occidente collettivo, in cui un ruolo chiave è gestito dagli USA più che dall’Europa. Grazie al dominio indiscusso a livello mondiale del dollaro, gli USA han sempre avuto disponibilità finanziarie illimitate per sostenere le loro operazioni intriganti e mestatrici.

Agli USA e all’occidente collettivo non interessa molto che i russi siano comunisti o capitalisti: sono le risorse naturali del loro immenso Paese che interessano. Sostenere che i loro governi sono dittatoriali o autocratici o imperialisti è, sul piano propagandistico, del tutto indifferente. L’importante è realizzare l’obiettivo finale: smembrare la Federazione Russa in tante realtà regionali autonome, con cui sfruttare le sue risorse. In caso contrario è impossibile che un singolo Stato riesca a gestire un territorio così vasto, anche perché l’occidente ha smesso di credere che un singolo Stato possa sconfiggere militarmente la Russia. Non a caso la guerra che si sta compiendo adesso, permette alla NATO di contare sul sostegno di quasi tutti i Paesi europei, oltre a quelli dell’anglosfera.

Fonte: redstreetjournal.com

 

Un mediocre attore rimane sempre tale

 

CNN ha riferito che il Comando delle forze armate ucraine ha ammesso che il 15 novembre è stato attivato un sistema di difesa aerea vicino al luogo dell’incidente missilistico in Polonia.

Messo con le spalle al muro, e dopo aver incolpato i russi, qualificandoli come terroristi, Zelensky ha confessato la verità, confermata da Stoltenberg, ma i media occidentali avevano già prodotto il caos basandosi su quelle false accuse. In particolare le agenzie polacche si sono permesse insulti anti-russi e hanno convocato l’ambasciatore russo Andreev a mezzanotte!

Ma era tutta una farsa, poiché Washington sapeva e si aspettava che il lavoro fosse eseguito meglio. Infatti la NATO stava cercando d’invocare l’art. 5. E ora, invece di scusarsi, dice che, in ultima istanza, è sempre colpa della Russia.

 

[18] Un conflitto moralmente difficile

 

La guerra russo-ucraina è tutto meno che prettamente militare. Se lo fosse, i russi l’avrebbero vinta da un pezzo, bombardando a tappeto le principali città. Come fanno gli americani.

Non lo è non perché vi sono intrecciati aspetti politici, economici, diplomatici, cibernetici e mediatici. Questi intrecci oggi sono inevitabili. È assurdo pensare che si possa vincere solo perché si possiedono più missili, droni o carri armati. Neppure il numero dei soldati in campo sembra fare la differenza: sin dall’inizio i russi han combattuto con molte meno unità militari degli ucraini, che sembravano possedere uno degli eserciti più forti d’Europa.

La guerra russo-ucraina contiene sicuramente aspetti umani che al grande pubblico sfuggono. E non si tratta tanto degli aiuti umanitari (in stile Croce Rossa), quanto piuttosto del rapporto personale che intercorre tra due popolazioni entrambe di origine russa. Questa è una guerra tra parenti. Come se noi italiani combattessimo contro San Marino.

E se guardiamo il modo di combattere, dobbiamo dire che sono molto più gli ucraini che odiano i russi di quanto avvenga il contrario. E questo dipende non tanto da motivi personali o storici (la collettivizzazione forzata delle terre voluta dallo stalinismo, che procurò carestia, morti e deportazioni), quanto piuttosto dal fatto che la popolazione ucraina è imbevuta di idee fortemente nazionaliste e neonaziste.

Probabilmente gli ucraini detestano i russi perché rappresentano per loro un passato “imperiale”, ma ancor più detestano i filorussi del Donbass, perché han conservato tracce della vecchia ideologia leninista. Gli ucraini vogliono sentirsi occidentalizzati in tutto e per tutto, e non si lasciano intenerire dai rapporti parentali. Non mostrano atteggiamenti di pietà verso i collaborazionisti, verso i civili dei territori annessi dalla Federazione, che vengono continuamente bombardati ovunque si trovino e con qualunque tipo di arma, come se nulla fosse. Infieriscono persino verso i prigionieri di guerra, a dispetto di tutte le convenzioni internazionali.

Bisogna ammettere che questa è una guerra molto difficile da gestire. Chiunque, nei panni di Putin, avrebbe agito diversamente: sarebbe stato più sbrigativo, più brutale, magari si sarebbe mosso sulla base di quell’assurdo pretesto ch’ebbero gli americani quando buttarono le due bombe atomiche sui giapponesi: “L’abbiamo fatto per ridurre le perdite dei nostri soldati”.

 

Le banche nel paese delle meraviglie

 

Il sistema bancario è un modello di business fantastico: prestano denaro che non hanno e fanno pagare gli interessi ai prestatori (commissioni di ogni genere, costi su qualunque operazione o gestione di fondi e conti correnti...). Non solo, ma se sulla base di un determinato contratto la banca si accorge che il cliente sta guadagnando troppo, rispetto alle criticità in corso a livello nazionale o globale, fa anche presto ad annullare il contratto in maniera unilaterale, senza neanche un preavviso. “I tempi cambiano e non possiamo essere noi a rimetterci”, così si giustificano.

A questo si aggiunge il fatto che le banche possono prestare dieci volte di più di quanto hanno in deposito. Cioè prestano denaro che non hanno e che non esiste nemmeno, chiamato “denaro di credito”, mentre sono legalmente autorizzate ad applicare interessi su di esso. Sono peggio degli usurai.

Le banche centrali non possono stampare denaro vero, attinente a beni reali. Possono solo emettere altri biglietti per una ricchezza reale inesistente. Non solo, ma possono minacciare gravi sanzioni se chi riceve il loro denaro fittizio non lo usa in determinate maniere.

Quindi, non fanno altro che peggiorare il problema di fondo, prestando più denaro a più persone che non saranno in grado di restituirlo.

Quando nel 2008 è scoppiata negli USA la bolla immobiliare, si stima che circa 800 miliardi di dollari di case siano stati pignorati. Le case sono beni reali. Quando i proprietari non potevano pagare i loro mutui, le case andavano alle banche che avevano prestato il denaro per comprarle.

Ma queste banche non avevano costruito le case. Non le hanno mai possedute. Non hanno nemmeno guadagnato il denaro che hanno prestato per acquistarle. Né il denaro proveniva dai risparmiatori che avevano depositato i loro soldi in banca. Era denaro che nessuno aveva mai guadagnato. Era fittizio.

Ma questo non ha impedito alle banche di usare questo denaro falso per accaparrarsi la vera ricchezza: le case delle persone. Oggi la situazione è ancora più grave.

 

Pesci rossi e criceti

 

Prima del 24 di febbraio i media occidentali sembravano avere un punto di vista opposto riguardo alle tendenze neonaziste e nazionaliste della popolazione ucraina. Cioè sembravano abbastanza consapevoli del problema della supremazia bianca e della discriminazione (anche molto pesante) delle varie minoranze nazionali (ebrei, rom, ungheresi, tatari, per non parlare dei russofoni o, peggio ancora, dei filorussi del Donbass, nei cui confronti si era addirittura scatenata una guerra civile). Giornalisti e politici sufficientemente scafati conoscevano bene i grandi livelli di corruzione di quel Paese, totalmente in mano agli oligarchi, nazionali ed esteri.

Come scrisse James Carden di “The Nation” nel 2016: il governo degli Stati Uniti ha revocato il divieto di finanziare i neonazisti ucraini dal suo conto di spesa di fine anno.

D’altronde già nel 2014 l’allora senatore John McCain diede al governo golpista tutte le assicurazioni che il governo americano l’avrebbe sostenuto sino in fondo in tutte le maniere possibili. L’Ucraina era un boccone antirusso troppo grosso per non essere divorato. Anche il Canada aveva offerto la sua assistenza nell’addestramento dei neonazisti ucraini .

Oggi l’intero occidente afferma di non avere la più pallida idea dell’ascesa dei neonazisti in Ucraina, o la minimizza del tutto, facendo riferimento alle ridicole percentuali elettorali dei partiti di estrema destra, cioè escludendo che il neonazismo sia un fenomeno di massa o di sistema, che riguarda tutti i gangli vitali del Paese.

I gestori dell’informazione si permettono di dire tutto e il contrario di tutto, nella convinzione di avere a che fare con una popolazione decerebrata, con la memoria di un pesce rosso, e che si muove in una gabbietta come un criceto.

 

Morti che camminano

 

Il sistema finanziario basato sul denaro cartaceo (il cosiddetto “denaro fiat”) che non fa riferimento a nient’altro che a se stesso, sta per finire. Non basta il PIL per sentirsi autorizzati a emettere quante più banconote possibili. Dollaro ed euro son morti che camminano.

I cittadini cominciano ad avere paura degli astronomici debiti pubblici. Sanno che sono inestinguibili, inesigibili. Gli Stati, per far fronte ai propri debiti, sono costretti a indebitarsi sempre di più. È una spirale perversa. Per pagare gli interessi sui loro titoli, sono costretti a vendere i “gioielli di famiglia”, o a offrire sempre nuovi titoli e sempre più vantaggiosi. E sperano che qualcuno li compri, perché in questo momento non sono sicuri di niente.

Intanto stipendi e salari statali vengono tenuti al palo. Ci manca che mettano mano ai nostri conti correnti e il gioco è fatto. Rien ne va plus. Mi chiedo: per caso il governo ha aumentato il tetto della liquidità per illuderci che se preleviamo quanto più denaro possibile dai nostri conti correnti e lo mettiamo sotto il materasso, riusciremo a evitare la nostra bancarotta? Non credo infatti che l’abbia fatto per favorire i “furbetti del quartiere”: a quelli puoi mettere tutti i tetti che vuoi, ché tanto sanno sempre benissimo come evadere o eludere il fisco.

Altre strategie per far sopravvivere la moneta fiat sono note da tempo: condonare parte delle tasse pregresse, diminuire il costo del lavoro o concedere agevolazioni fiscali alle imprese che fanno investimenti, assicurare dei bonus monetari estemporanei ai ceti più disagiati, alzare i tassi d’interesse per fronteggiare l’inflazione crescente.

In particolare la gente comune ha la netta sensazione che più l’inflazione aumenta, meno potere d’acquisto ha il proprio denaro. La moneta sta cominciando a diventare qualcosa di troppo artificiale per corrispondere davvero a una ricchezza reale. In tal senso affidarsi alle monete digitali come i Bitcoin e simili, è un suicidio. Son come le montagne russe: solo che quando scendono in picchiata, escono dai binari e non risalgono più. Vedi il fallimento recente di FTX.

Oltre a ciò oggi vi è carenza di energia, ovvero il suo costo esorbitante, o meglio – per essere più precisi –, vi è la speculazione che nelle borse si compie dietro le materie prime energetiche, che a partire dalla guerra in Ucraina sembrano essere diventate oro colato. È come se noi occidentali fossimo al mercato nero del pane, dopo essere entrati in guerra mani e piedi. Non si spaventano i tedeschi all’idea di dover andare a comprare il pane con le stesse carriole di banconote che usavano negli anni ’30? Pensano davvero che l’euro sia una moneta più forte del loro vecchio marco?

La legge economica dello scambio onesto richiede solo cose di valore reale. In un certo senso i BRICS stanno tornando ai primordi del capitalismo, quando la moneta aveva valore in base al metallo pregiato incorporato. Oppure quando esisteva una banca che assicurava di poter coprire il valore equivalente della moneta sulla base dei lingotti d’oro e d’argento che possedeva. Oggi ci si basa anche sulle materie prime effettivamente possedute, poiché nel capitalismo, si sa, tutto può essere trasformato.

Tra un po’ avremo che i Paesi produttori di energia chiederanno d’essere pagati in metalli pregiati, oppure in beni e servizi di valore equivalente, come al tempo del baratto. Tu mi vendi 4 pannelli solari da 100 watt l’uno col kit per avere energia elettrica e io in cambio organizzo per tuo figlio un corso per fargli prendere la patente ECDL.

Sarà un po’ più brigoso, ma non alimenterà illusioni, e soprattutto ci farà morire senza lasciare debiti ai nostri figli.

 

[19] Cornuti e mazziati

 

In Europa il mainstream mediatico si rifiuta di fare da cassa di risonanza agli articoli scomodi della giornalista indipendente americana Lindsey Snell. Quando parla degli ucraini lei è troppo anti-nazista! La Snell non capisce che in questo momento è meglio essere russofobi.

Questa cosa è abbastanza strana, poiché fino al 23 febbraio noi europei ci sentivamo eticamente e politicamente migliori degli americani. Ci vantavamo di avere un capitalismo dal volto umano, basato su istanze sociali, garantito da determinate protezioni a favore delle fasce più deboli. Dicevamo di non essere nel “far west”.

Il giorno dopo però siamo diventati più guerrafondai di loro. Lo siamo diventati talmente tanto che gli statisti han rifiutato di prendere atto che questa guerra NATO-Russia aveva un duplice obiettivo: quello d’indebolire in maniera decisiva la potenza della Russia (anche in previsione di un attacco militare alla Cina) e quello di destabilizzare la UE per renderla meno competitiva nei confronti degli USA.

Perché una cecità ideologica così marcata? Per quale motivo abbiamo negato un qualunque valore alla sovranità politica dello Stato jugoslavo e alla sua integrità nazionale, preferendo optare per l’autodeterminazione dei vari popoli di quella Federazione, mentre nel caso dell’Ucraina ci siamo comportati in maniera opposta? I motivi sono due: la Jugoslavia era quasi l’ultimo Paese socialista che in Europa andava smantellato (l’altro resta la Bielorussia); di tutti i Paesi ex sovietici l’Ucraina era il più potente sul piano militare, al punto che se avesse fatto in tempo a entrare nella NATO, per la Russia sarebbe stato molto difficile non sottostare a tutti i diktat occidentali. Molto probabilmente avrebbero avuto successo anche le rivoluzioni arancioni in Bielorussia e in Kazakistan. E anche Georgia e Moldavia sarebbero entrati nella NATO.

Ora però per gli statisti europei è inaccettabile che, dopo i tanti aiuti profusi in denaro e armi, l’Ucraina sia destinata a perdere questa guerra. Ci siamo lasciati umiliare dagli USA, che hanno minato profondamente il nostro benessere, e ora dobbiamo anche ammettere che la Russia è più potente della UE?

Siamo stati disposti a sdoganare il neonazismo degli ucraini, pur di dimostrare che la nostra democrazia è superiore all’autocrazia russa, e ora gli USA ci vengono a dire che sarebbe meglio scendere a trattative, cercando di salvare il salvabile? Abbiamo creduto alla NATO quando Stoltenberg diceva che neanche la Crimea può essere riconosciuta come appartenente alla Federazione Russa, e ora ci vengono a dire che non possiamo disarmare i nostri arsenali per fare un favore agli ucraini e che il missile finito in Polonia non era stato sganciato dall’aviazione russa, quando invece poteva costituire un ottimo casus belli per far scattare l’art. 5 dello Statuto della NATO?

Ci vengono a dire che non possiamo rischiare un confronto nucleare, quando gli americani ci hanno sempre assicurato che dopo un nostro primo colpo preventivo, i russi non avrebbero avuto modo di difendersi con successo. Gli americani ci hanno sedotto sulla possibilità di un facile successo e ora ci abbandonano? Chi siamo noi europei per dover subire un trattamento del genere? Ma lo sanno gli americani che se vincono i russi, noi in Europa avremo decine di milioni di ucraini in fuga dal loro Paese? Praticamente ogni famiglia dovrà ospitarne almeno uno... E quelli non son russofobi come noi, quelli lo sono perché neonazisti. E, avendo perso un’intera nazione, avranno pretese altissime nei nostri confronti, perché molto più di noi si sentiranno cornuti e mazziati.

 

Un giornalismo di qualità

 

Vi sono due articoli della Lindsey Snell e di Cory Popp che meritano d’essere letti. Parlano dei neonazisti ucraini al fronte, quelli che combattono contro i russi.

L’articolo che ha fatto scalpore è quello che si riferisce ai neonazisti entrati a Kherson, ma già in agosto ne avevano pubblicato un altro, piuttosto imbarazzante, in cui dicevano che gli aiuti occidentali in denaro e armi finivano in un buco nero afflitto dalla corruzione.

Su “The Grayzone” infatti scrivevano che le armi occidentali venivano rubate, così come gli aiuti umanitari, e quanto ai molti miliardi ricevuti, erano appannaggio soltanto delle classi dirigenti e dei parlamentari, che stavano sfruttando la guerra per arricchirsi a dismisura.

In altre parole le cose che i soldati usano in guerra provenivano per lo più dai volontari. Le armi pesanti, i bunker, la linea internet, gli avvicendamenti tra le truppe, i rifornimenti di munizioni e alimentari, le forniture mediche, le riparazioni di armi e veicoli, il carburante, le telecamere, persino i giubbotti antiproiettile e gli elmetti: tutto era ed è ancora oggi incredibilmente insufficiente.

Le stesse guardie di frontiera sul lato ucraino requisiscono ogni bene in entrata e lo rivendono nei mercati locali, se non vengono “unte” con abbondante denaro liquido. E nessuno dice niente perché la corruzione è dilagante e tutti mentono.

Il secondo articolo è ancora più sconcertante. Le truppe entrate a Kherson son tutte neonaziste in maniera esplicita. Lo si vede dalle insegne e dai simboli che usano: Nazi Wolfsangel, Totenkopfs, Black Suns del reggimento Azov, Centuria, Carpathian Sich, Settore Destro (di cui il Corpo dei volontari ucraini è l’ala militante), Nordstorm (co-fondato da un militante di Centuria dalla Lettonia), Kastuś Kalinoŭski Regiment (un’unità di volontari bielorussi nettamente antisemiti), Misanthropic Division (organizzazione che ha reclutato volontari di estrema destra per Azov da dozzine di Paesi). Esisterebbe persino un Corpo di Volontari Russi (naturalmente di estrema destra), che combatte contro il proprio Paese.

L’ideologia che manifestano è quella nazionalista e suprematista bianca, taciuta accuratamente dal mainstream occidentale (non a caso apprezzano George Lincoln Rockwell, il fondatore del partito nazista americano, e il neonazista Dylann Roof che nel 2015 ha ucciso 9 persone in una chiesa a maggioranza nera della Carolina del Sud).

Il battaglione Azov, ancora oggi integrato nella Guardia nazionale ucraina, non ha rinunciato a nulla di quanto fatto e teorizzato sin dalla sua fondazione nel 2014. Continua a odiare tutte le minoranze del Paese, le femministe, i gay, le comunità LGBT, i matrimoni multietnici, ecc.

Sono solo gli occidentali che pensano, in maniera bizzarra, che la legittimazione di Azov da parte del governo ucraino abbia eliminato l’ideologia neonazista profondamente radicata nel gruppo. Come dire: a un killer di professione propongo di farlo uscire di galera e di farlo entrare nei servizi segreti perché gli riconosco capacità non comuni. A condizione naturalmente che lui operi per lo Stato e non tanto per se stesso. Come facevano gli inglesi al tempo dei pirati, trasformandoli in corsari.

Questi fanatici sono convinti che in Europa il terrorismo sia il risultato delle politiche multiculturali e degli accessi facili ai flussi migratori. Sotto questo aspetto, in fondo, hanno ragione: la facilità con cui la UE fa entrare questi criminali entro i propri confini, farà sicuramente aumentare il terrorismo e le forze dell’estrema destra. E al momento nessuno sa quale sia la vera dimensione del reggimento Azov e delle altre formazioni neonaziste, anche perché reclutano di continuo i mercenari stranieri.

Naturalmente noi occidentali tendiamo a minimizzare l’entità di queste forze, altrimenti faremmo fatica a giustificare tutto il nostro sostegno. E tendiamo, surrettiziamente, a fare differenza tra nazionalismo e nazismo, in linea con la narrativa di questi invasati.

Fonti: ishgal.com e comedonchisciotte.org

 

Doppiezze

 

La giornalista americana Lindsey Snell ha pubblicato delle foto che mostrano i combattenti ucraini di Azov che fanno “saluti romani”. In Germania il post è stato cancellato da Twitter perché avrebbe violato la legge che vieta i simboli nazisti.

A questo proposito Lindsay si sarebbe chiesta: il governo tedesco può finanziare i nazisti di Azov, ma gli è vietato mostrare al pubblico tedesco a chi vanno esattamente i suoi soldi?

In effetti è abbastanza ridicolo. Ma gli europei non sono nuovi a queste doppiezze.

 

[20] L’intelligenza duttile di Surovikin

 

Con la nuova tattica del generale Surovikin i russi sembrano essere usciti da quella sindrome che li caratterizza da circa un millennio: il sacrificio di sé come ideale di vita (soprattutto militare) per un bene superiore. Una morte da eroi è per molti russi un titolo di merito.

Che c’è di male in questo? Non è forse questo il dovere supremo di ogni soldato o cittadino, che ovviamente senta dentro di sé un forte attaccamento alla patria? Oggi la parola d’ordine, per i russi, non è quella leniniana di trasformare la guerra imperialista in guerra civile contro il proprio governo. Putin ha un appoggio popolare superiore all’80%. Quale statista occidentale potrebbe stargli alla pari? Quale può vantare una leadership di pari durata?

Tutto ciò è vero, ma l’eroismo à tout prix non deve diventare la regola. Con un criterio del genere infatti si commettono molti errori, poiché ci si avventura in imprese non sufficientemente ponderate, si commettono imprudenze, non ci si preoccupa di valutare bene le forze in campo, si dà per scontato che il nemico voglia rispettare le regole del gioco o nutra gli stessi sentimenti di cavalleria.

Non si può ragionare col criterio “se mi uccidono, sarò un fulgido esempio di fierezza indomita per chi non ha ancora il coraggio di schierarsi”. Troppo romanticismo fa male. Non vogliamo che i soldati leggano al fronte le Vite di Boris e Gleb (famosissimi martiri militari russi). Come non vogliamo che leggano La volontà di potenza, di quel folle Nietzsche che tanto piaceva a Hitler.

Non è necessariamente un titolo di merito morire sul campo di battaglia (neppure da eroi), quando, con sufficiente accortezza, si può salvar la pelle, senza per questo venir meno all’obiettivo di sconfiggere il nemico ponendo fine alla guerra. Non c’è bisogno di dimostrare che non si ha paura di niente, quando per vincere basta molto meno.

Io darei una medaglia a Surovikin solo per aver elaborato un atteggiamento più pragmatico, con cui non concede al nemico neanche la soddisfazione di poter eliminare degli idealisti votati al martirio. I russi devono smettere di pagare le loro vittorie senza preoccuparsi di subire delle perdite incalcolabili, che possono avere pesantissime conseguenze sul piano demografico, come già successo in passato.

 

Coinvolgimenti sempre più stretti

 

In alcune zone di combattimento del Donbass i militari russi si sono accorti, guardando i corpi dei nemici uccisi, che mercenari stranieri hanno già sostituito completamente le forze armate ucraine, i cui organici stanno scemando sempre più. Forse per questo i militari russi catturati vengono fatti fuori sul posto: uno scambio di prigionieri non avrebbe senso. Anche il trattamento nei confronti dei collaborazionisti filorussi sta drammaticamente peggiorando.

Tuttavia il fatto, ancora più preoccupante, è un altro. I militari russi si sono accorti che stanno combattendo contro reparti effettivi della NATO. Questi reparti hanno scambiato le mostrine delle divise con quelle ucraine o stanno usando le stesse divise dei soldati ucraini, oppure si travestono da mercenari arruolati nelle forze ucraine. Tutte queste bassezze però non bastano più a occultare la loro reale provenienza geografica e appartenenza militare, anche perché non pochi di loro svolgono il ruolo di istruttori per maneggiare le armi inviate dall’occidente.

Questa guerra sta diventando sempre più assurda e sempre più pericolosa per le sorti dell’Europa. Se la nostra cobelligeranza si spinge fino a questo punto, aspettiamoci di tutto. Già adesso i militari polacchi tornano a casa in bare chiuse, cioè sono scortati in piena regola con tutti gli onori, come se fossero soldati regolari in missione, con tanto di passaporto ucraino per potersi muovere agevolmente. La Polonia non sta partecipando al conflitto come altri Paesi della NATO. Questi decessi anomali non riguardano né i mercenari né i volontari che vanno in Ucraina a titolo personale, spinti da motivazioni ideali. Si tratta invece di soldati di leva che obbediscono a ordini superiori.

A questo naturalmente si deve aggiungere il fatto che il centro di comando e di controllo, l’intelligence e il coordinamento delle forze sono già interamente affidati agli USA e alla NATO, senza i quali le forze ucraine sarebbero al collasso. Smettiamola quindi di dire che il governo di Kiev, nella sua intenzione a far scoppiare una guerra totale, fino alla soluzione nucleare, incontra le resistenze della NATO.

L’occidente non può assolutamente perdere questa guerra. Washington sa bene che la parziale mobilitazione pretesa da Putin, quando sarà effettivamente operativa, costituirà la campana a morto per l’intera Ucraina. Con la distruzione delle infrastrutture energetiche e logistiche e con l’arrivo dell’inverno per gli ucraini è finita.

Piuttosto è vero che lo stesso comando NATO ha necessità di una pausa invernale per riconfigurare il proprio complesso militare-industriale e per potenziare le forze armate ucraine con nuove armi da costruire, senza dover svuotare i propri arsenali. Ecco perché sta facendo pressione su Zelensky in modo da fargli aprire le porte a una possibile tregua.

Ci vogliono almeno 3-4 mesi di calma per tornare a combattere in grande stile. Nessun esercito occidentale è abituato a dei conflitti così sfibranti, di lunga durata, con un nemico così forte. Agli americani sembrerà d’essere tornati a combattere contro il Giappone, quando dovevano conquistare un’isola per volta al prezzo di enormi perdite. Solo che quella volta vi era stata una dichiarazione di guerra ufficiale e si avvertivano i nipponici come un nemico nazionale. Ora la guerra è solo per procura e la Russia non ha ancora dichiarato guerra né agli USA né alla NATO.

Il problema è che Zelensky fino adesso ha sostenuto una narrativa da spaccone, convinto che col sostegno della NATO avrebbe vinto facilmente la partita. Non a caso quanto più la situazione generale del Paese si complica, tanto più è costretto a inventarsi delle mostruosità compiute dai russi. Non può aspettare altri mesi prima che la NATO scenda in campo col tutto il proprio attuale potenziale. E la NATO non sa come sostituirlo.

 

Le doglie del parto

 

“La creazione soffre le doglie del parto”, diceva Paolo di Tarso. Con maggiore laicità diceva Lenin: “La società risulta sempre più polarizzata. L’attuale modo di produzione sta perdendo energia, non ha più la vitalità di un tempo, è un involucro che non corrisponde più al suo contenuto”.

Ma che cosa volevano dire? Semplicemente che quando si tratta di passare da una condizione di esistenza a un’altra, si soffre. Le transizioni avvengono quando un determinato contenitore (o involucro) risulta inadeguato rispetto al suo contenuto.

L’occidente vorrebbe continuare a vivere in un guscio che protegge solo lui e danneggia tutti gli altri. Le acque si sono già rotte, un neonato sta per venire alla luce. Il travaglio sarà doloroso, ma poi madre terra sarà contenta della sua fatica.

 

[21] Combattere l’unipolarismo tutelando l’ambiente

 

La COP27 di Sharm el-Sheikh è stato un completo fallimento, anche perché per colpa degli occidentali, che vogliono contrapporsi risolutamente alla Russia (e domani alla Cina), la crisi energetica globale è entrata in una fase acuta.

Nel testo finale è stato concordato solo un fondo per i Paesi vulnerabili ai disastri climatici. Come se non si sapesse che non sono loro a produrre questi disastri, se non, al massimo, indirettamente, ospitando aziende multinazionali straniere che sfruttano le loro risorse in maniera indegna.

Nessun accordo per il taglio di emissioni di gas serra che riscaldano il pianeta. Nessun accordo neanche per quanto riguarda l’eliminazione dei combustibili fossili, inclusi petrolio e gas.

Il documento salva l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, che però era il risultato maggiore della COP26 di Glasgow l’anno scorso. Semplicemente la COP27 ha riconosciuto che per mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi è necessaria una riduzione delle emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019 (una percentuale però che, per lo stesso periodo, con gli impegni attuali di decarbonizzazione, arriverà solo allo 0,3).

La COP27 ritiene che per arrivare a zero emissioni nette nel 2050 sia necessario investire fino al 2030 ben 4.000 miliardi di dollari all’anno in rinnovabili e altri 4-6.000 miliardi di dollari in economia a base emissioni. Ma il documento nota che non è stato ancora istituito il fondo da 100 miliardi all’anno dal 2020 previsto dall’Accordo di Parigi per aiutare i Paesi meno sviluppati nelle politiche climatiche.

Il flusso di finanza climatica ai Paesi in via di sviluppo nel biennio 2019-2020 è stato di 803 miliardi, cioè il 31-32% di quanto necessario a mantenere gli obiettivi di 1,5 o 2 gradi.

Insomma l’occidente sviluppato chiede ai Paesi emergenti di abbandonare i combustibili fossili e, dopo aver negato loro aiuti significativi, si sorprende pure che questi rispondano picche. Come se ormai non fosse chiaro che il vero obiettivo della transizione energetica è frenare l’ascesa economica degli stessi Paesi emergenti.

Anche le Nazioni Unite vogliono vietare tutti i combustibili fossili, ma fingono di non rendersi conto che nell’attuale globalismo neoliberista, se non si hanno delle risorse energetiche sicure, si muore, si è costretti a espatriare, si diventa dipendenti dei Paesi che le hanno.

I Paesi emergenti hanno diritto a svilupparsi come tutti gli altri. Non possono prendere lezioni di ambientalismo da parte di chi in occidente ha sfruttato fino adesso le loro risorse, lasciandoli in una condizione di dipendenza coloniale. Se vogliamo che rinuncino all’energia fossile, i primi a dare il buon esempio dobbiamo essere noi. E in attesa che anche loro si adeguino, dobbiamo essere sempre noi a risarcirli per gli effetti disastrosi che abbiamo provocato nei loro territori.

 

Il Grande Reset

 

L’amministrazione Biden e la UE insistono sul fatto che la crisi energetica e quindi industriale è dovuta alle azioni militari della Russia in Ucraina.

Tuttavia la crisi energetica – sostiene F. William Engdahl – è una strategia a lungo pianificata da determinati circoli aziendali e politici occidentali per smantellare le economie industriali in nome di un’agenda verde distopica. È partita ben prima del febbraio 2022 e ha preso un’accelerazione con la recente crisi pandemica.

Per es. nel gennaio 2020, alla vigilia dei devastanti blocchi covid-19, il CEO del più grande fondo d’investimento mondiale, Larry Fink di Blackrock, inviò una lettera ai colleghi di Wall Street e ai CEO aziendali sul futuro dei flussi di investimento. Nel documento, intitolato “A Fundamental Reshaping of Finance”, Fink annunciò una svolta radicale per gli investimenti aziendali. Il denaro doveva diventare “verde”. Fink dichiarò: “Nel prossimo futuro ci sarà una significativa riallocazione del capitale in rapporto al rischio climatico”.

Quindi Blackrock sarebbe progressivamente uscita dagli investimenti ad alto contenuto di petrolio, gas e carbone per poter aderire alla “sostenibilità” dell’Agenda 2030 dell’ONU. State Street e Vanguard, altri due padroni del mondo, si adeguarono alla nuova direttiva di Blackrock.

Fu un colpo al cuore per le tradizionali aziende basate sugli idrocarburi. Era una dichiarazione di guerra della grande finanza contro l’industria energetica convenzionale.

Fink, oltre a farsi promotore di varie costose iniziative, fu nominato membro del Consiglio d’amministrazione del distopico World Economic Forum di Klaus Schwab, l’uomo forse ideologicamente più pericoloso del pianeta, cui hanno permesso d’intervenire nell’ultimo incontro del G20, e che ha convinto persino l’ONU a mettersi dalla sua parte.

Il bello è che teoricamente queste prese di posizione non sarebbero sbagliate. La transizione ecologica è sommamente giusta. Dunque cosa c’è che non va? Anzitutto la fretta con cui la si vuole realizzare. Non si può passare da un sistema produttivo a un altro distruggendo completamente quello precedente, senza neanche dargli il tempo di convertirsi. Le stesse popolazioni mondiali vanno messe in condizioni di non subire la transizione come un catastrofico terremoto.

In secondo luogo va evitata l’illusione di poter superare le enormi contraddizioni del capitalismo limitandosi a modificare la sua tecnologia produttiva. Scienza e tecnica, senza giustizia sociale, non è detto che siano in grado di risolvere i grandi problemi dell’umanità, anzi spesso li peggiorano.

Infatti quali sono le condizioni che queste “menti illuminate” del Grande Reset mettono sul tappeto per realizzare un obiettivo così ambizioso? Da un lato la riduzione massiccia della popolazione mondiale (sulla base del presupposto che non ci sono risorse per tutti); dall’altro il controllo cibernetico dei sopravvissuti, ai quali si deve impedire di esercitare una libera volontà, onde evitare la ricaduta nei limiti precedenti.

L’uomo di Fink, Brian Deese (Global Head of Sustainable Investing presso BlackRock), è stato la mente per Obama nella stesura dell’accordo sul clima di Parigi nel 2015. Ora ha plasmato la guerra di Biden contro l’energia fossile. Nella UE chi porta avanti il progetto di Larry Fink, è la presidente della Commissione Europea, la notoriamente corrotta Ursula von der Leyen, con la sua agenda EU Zero Carbon Fit for 55.

È vero, con la guerra in Ucraina gli USA han costretto la UE a troncare i rapporti con la Russia e a iniziare a deindustrializzarsi, ma il vero obiettivo dei democratici americani è quello di dimostrare che l’economia del loro Paese è la più avanzata del mondo nel costruire una nuova forma produttiva. E tutti dovranno necessariamente adeguarvisi, pena l’isolamento internazionale.

Ora, chiunque si rende conto che una svolta così radicale può portare solo a una disastrosa crisi energetica e inflazionistica. E quindi a una polarizzazione estrema nelle relazioni internazionali e all’interno delle stesse società civili. Chi non si adegua, rischierà d’essere considerato alla stregua di un “terrorista ambientale”.

Fonte: sott.net

 

Nella UE neppure gli analisti americani vengono ascoltati

 

Douglas A. Mcgregor, ex colonnello dell’esercito americano e funzionario del governo statunitense fino al 2021, in un’intervista rilasciata al prof Glenn Diesen, rilanciata da Michele Santoro dalla pagina “Servizio Pubblico”, delinea una situazione inedita della guerra in Ucraina.

Ha detto: “Per i russi il terreno è prezioso solo nella misura in cui fornisce un vantaggio tattico o un vantaggio operativo. E di solito questo vantaggio è fugace, ma non c’è nulla che i russi non possano riprendere in futuro”.

“All’inizio dell’invasione volevano minimizzare i danni alle infrastrutture, non uccidere molti civili e fare il minor danno possibile. Sono entrati con una forza troppo piccola che si è mossa lungo un fronte molto lungo, da 800 a 1.000 chilometri. Adesso, invece, intendono massimizzare l’uso di ciò che chiamo la connettività di ricognizione di sorveglianza dell’intelligence ai sistemi di attacco. Ecco perché fanno attacchi a distanza, sia che si tratti di razzi, droni, missili, aerei o artiglieria convenzionale”. Cioè “anche se l’offensiva ucraina ha messo in difficoltà gli uomini di Putin, i russi hanno deciso di riorganizzarsi, riorientare l’operazione, in modo da mettere in sicurezza circa il 21% del territorio ucraino del sud-est e hanno deciso di consolidare quella posizione”.

“Ciò che avverrà in futuro sarà un’offensiva molto più massiccia. Cosa che noi analisti militari ci aspettavamo all’inizio: operazioni molto decisive, assi operativi multipli progettati per annientare efficacemente il nemico sul terreno”.

“All’inizio della guerra per ogni soldato russo caduto ce n’erano cinque ucraini, ma negli ultimi tre mesi il rapporto è 1 a 8 o 1 a 10”.

“Penso che i russi siano rimasti sorpresi da come gli Stati dell’Europa occidentale si siano dimostrati “vassalli” e incapaci di mettere in discussione le decisioni di Washington. Non credo che si aspettassero che anche Berlino si comportasse in questa maniera, dato che avevano avuto ottimi rapporti coi tedeschi negli ultimi due decenni ed erano diventati partner strategici da lungo tempo, in senso commerciale e in materia di sicurezza”.

Fonte: kulturjam.it

 

[22] G7, G20, FMI, Banca Mondiale... bye bye

 

Scrive Pepe Escobar:

Più di una dozzina di Paesi hanno chiesto di entrare a far parte dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).

Iran, Argentina e Algeria hanno presentato domanda formale. L’Iran, insieme a Russia, India e Cina, fa già parte del Quartetto eurasiatico che davvero conta.

Turchia, Arabia Saudita, Egitto e Afghanistan sono estremamente interessati a diventarne membri. L’Indonesia ha appena presentato domanda di adesione. E poi c’è la prossima ondata: Kazakistan, Emirati Arabi Uniti, Thailandia, Nigeria, Senegal e Nicaragua.

Ciò che accomuna i candidati è soprattutto il possesso di enormi risorse naturali: petrolio e gas, metalli preziosi, terre rare, minerali rari, carbone, energia solare, legname, terreni agricoli, pesca e acqua dolce. Ciò è fondamentale per realizzare una nuova valuta di riserva e superare l’egemonia del dollaro americano.

Entro il 2025 il BRICS+ rappresenterà circa il 45% delle riserve mondiali di petrolio e oltre il 60% delle riserve mondiali di gas (che aumenteranno se il Turkmenistan si unirà al gruppo).

Il PIL combinato – secondo i dati odierni – sarà di circa 29,35 trilioni di dollari; molto più grande di quello degli Stati Uniti (23 trilioni di dollari) e almeno il doppio di quello della UE (14,5 trilioni di dollari, e in calo).

Attualmente i BRICS rappresentano il 40% della popolazione mondiale e il 25% del PIL. I BRICS+ riunirebbero 4,257 miliardi di persone: oltre il 50% della popolazione globale attuale.

Il BRICS+ s’impegnerà d’interconnettersi con un labirinto di istituzioni: le più importanti sono l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), con una lista di attori che non vedono l’ora di diventare membri a pieno titolo; l’OPEC+ strategica, di fatto guidata da Russia e Arabia Saudita; e la Belt and Road Initiative (BRI), il quadro generale di politica commerciale ed estera della Cina per il XXI sec. (già tutti gli attori asiatici cruciali hanno aderito alla BRI).

Vi sono poi gli stretti legami dei BRICS con una pletora di blocchi commerciali regionali: ASEAN, Mercosur, GCC (Consiglio di Cooperazione del Golfo), Unione Economica Eurasiatica (EAEU), Zona Commerciale Araba, Area di Libero Scambio Continentale Africana, ALBA, SAARC e, ultimo ma non meno importante, il Partenariato Economico Regionale Complessivo (RCEP), il più grande accordo commerciale del pianeta, che include la maggioranza dei partner BRI.

Il BRICS+ e la BRI si sposano ovunque, dall’Asia occidentale e centrale al Sud-est asiatico (soprattutto Indonesia e Thailandia). L’effetto domino sarà inevitabile, poiché i membri del BRI attireranno altri candidati al BRICS+.

Nella seconda ondata di candidati BRICS+ vi saranno sicuramente Azerbaigian, Mongolia, altri tre Paesi dell’Asia centrale (Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan), Pakistan, Vietnam e Sri Lanka e, in America Latina, un forte contingente di Cile, Cuba, Ecuador, Perù, Uruguay, Bolivia e Venezuela.

Nel frattempo il ruolo della Nuova Banca di Sviluppo (NDB) dei BRICS e della Banca d’Investimento per le Infrastrutture dell’Asia (AIIB), guidata dalla Cina, sarà rafforzato, coordinando i prestiti per le infrastrutture in tutto lo spettro, dato che i BRICS+ si sottrarranno sempre più ai dettami imposti dal FMI e dalla Banca Mondiale, dominati dagli Stati Uniti.

L’ossessione del G7 d’isolare e/o contenere i principali attori eurasiatici si sta ritorcendo contro se stesso nel quadro del G20. Alla fine, sarà il G7 a essere isolato dalla forza irresistibile dei BRICS+.

Fine della citazione.

A leggere queste cose vien da chiedersi se non sia meglio uscire dalla UE (gestita da statisti del tutto irresponsabili) e chiedere l’adesione ai BRICS.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

Il nuovo avanza

 

Questa guerra russo-ucraina, o meglio Russia-NATO, sta ribaltando le relazioni internazionali e con una velocità incredibile. Non si era mai vista una cosa del genere. Non è possibile star dietro con cognizione di causa a tutti i mutamenti epocali di questo periodo, meno che mai basandosi sui media occidentali, che sono del tutto autoreferenziali. In Italia addirittura arrivano al punto da ripetere ad libitum che i russi continuano a bombardare la centrale nucleare che nel Donbass han già da tempo occupato.

D’altra parte chi è abituato a guardarsi l’ombelico come potrebbe apprezzare il fatto che il 17 novembre Netanyahu ed Erdoğan sono tornati a parlarsi dopo che nel 2013 avevano interrotto qualunque rapporto? Il presidente Herzog ad Ankara ha riconosciuto a Erdoğan, nella guerra in corso, una mediazione molto importante per il mondo intero.

Non a caso Putin ha premiato l’equidistanza di Erdoğan, permettendo alla Turchia di diventare il nuovo hub di stoccaggio del gas russo per la sua vendita nella stessa Europa, che ovviamente potrà acquistarlo a un prezzo maggiorato rispetto a quello dei precedenti gasdotti.

Fino a ieri ne avremmo dette di tutti i colori sia su Erdoğan che su Netanyahu. Oggi invece dobbiamo guardare a interessi superiori, che riguardano il bene dell’umanità.

Vedere tre Paesi islamici, che sicuramente sul piano ideologico sono fondamentalisti, come Iran, Afghanistan e Arabia Saudita, stringere con Mosca rapporti molto amichevoli, non è cosa da tutti i giorni. L’occidente non aveva previsto assolutamente nulla di ciò che sarebbe accaduto in questi 9 mesi di guerra.

Erdoğan si è stupito molto che Putin, nonostante l’attacco al ponte di Kerch (che collega la Russia alla Crimea) e alla flotta russa a Sebastopoli (un attacco compiuto usando a scopo militare il corridoio umanitario), abbia accettato la richiesta di prolungare la libera commercializzazione del grano ucraino per altri 120 giorni. Probabilmente se questa cosa fosse capitata alla Turchia, che il più delle volte ha una postura aggressiva, si sarebbe comportata diversamente.

Lo stesso Erdoğan ha affermato che i contatti dei capi dell’intelligence russa e americana in Turchia stanno svolgendo un ruolo chiave nel prevenire un’escalation incontrollata in Ucraina. Bisognerebbe però dirlo al soldatino Stoltenberg, che continua a fare insopportabili dichiarazioni dal tono minaccioso, aizzando il governo polacco a latrare come un pitbull.

 

Una RAI strumentale e un’Italia razzista

 

Questa guerra russo-ucraina ci ha insegnato una cosa molto importante: all’interno di una nazione le minoranze vanno tutelate non perseguitate. Sono una ricchezza non un problema, una risorsa non un limite.

Se il governo golpista di Kiev l’avesse fatto sin dal 2014, tutto questo disastro non sarebbe accaduto.

Anche in Italia abbiamo molte minoranze, ma avendo uno Stato centralista, tutti i governi le hanno sempre sopportate malvolentieri. Quando mai la RAI ha dedicato a loro una trasmissione fissa? Quando ci sono arrivati i profughi ucraini (a tutt’oggi circa 61.000), si è organizzato su Rainews24, appena un mese dopo l’inizio del conflitto, un TG nella loro lingua.

In Italia gli stranieri sono quasi il 9% della popolazione: quando si parla di loro, in genere lo fa la cronaca nera. I rumeni da noi sono oltre 1 milione. Albanesi, marocchini, cinesi sono il doppio degli ucraini. Gli islamici sono circa il 30% di tutti gli stranieri. Gli ortodossi sono diventati circa 1,5 milioni. Quando mai sono state create trasmissioni nella loro lingua o che parlino delle loro differenze culturali? È quindi evidente l’atteggiamento strumentale antirusso della RAI.

L’Italia purtroppo continua a essere un Paese molto provinciale, ideologico, culturalmente chiuso, indifferente alle lingue e alle tradizioni straniere. Se ci sono delle rondini, di sicuro non fanno primavera.

 

[23] A che servono i mass-media?

 

Se fra mille anni gli storici ritrovassero gli archivi della RAI o di altre reti televisive private, cosa capirebbero della nostra attuale società? Niente di significativo. Avrebbero l’impressione di un’estrema superficialità, in cui non si approfondisce mai nulla, anche perché i tempi a disposizione sono brevissimi e i conduttori interrompono di continuo gli interlocutori.

Nei nostri mass-media dominanti (il cosiddetto "mainstream") domina la fiera delle vanità: banalità, pettegolezzi, chiacchiere da bar, giochi, gastronomia, cronaca nera o rosa o sportiva, documentari naturalistici, news brevissime e tanta tanta pubblicità che intercala di continuo qualunque cosa, dai talk-show ai film.

Su l’Antidiplomatico viene fatto un esempio su cosa si pensa della Cina. Quali sono i tre stereotipi della demonizzazione atlantista della Repubblica Popolare, trasformati in dogmi di fede incontestabili? 1) la Cina punta a dominare il mondo; 2) la Cina è un regime totalitario; 3) la Cina è un Paese comunista, dove lo Stato controlla ogni aspetto della società, dell’economia e della vita degli individui.

Il ragionare non binario – che aiuta a non confondere la libertà di parola con quella di dire sciocchezze – suggerisce invece che: 1) non vi sono prove che la Cina intenda dominare il mondo; come ogni altra nazione cerca solo il suo legittimo spazio; 2) la Repubblica Popolare è un paese (da tempo) non totalitario e la sua dirigenza, con tutti i suoi limiti, gode di ampio consenso (nel 2019, 150 milioni di cinesi si sono recati all’estero e nessuno di loro ha fatto domanda di asilo politico in uno dei Paesi visitati); 3) la società cinese non è il paradiso in terra, ma, come ovunque, un mondo complesso e talora contraddittorio, dove i poveri e una crescente classe media convivono coi ricchi, forse troppi, ma in proporzione non più che in occidente.

Insomma "la propaganda è un’arte che nulla ha a che vedere con la verità" (cfr Gianluca Magi: "Goebbels, 11 tattiche di manipolazione oscura"). Il conformismo rassicura, l’obbedienza deresponsabilizza.

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-alberto_bradanini__nella_matrix_della_grande_menzogna_dove_la_terza_guerra_mondiale__unopzione_come_unaltra/39329_47965/

 

A che servono le armi?

 

È evidente che gli investimenti (oggi al 2% del PIL) che si fanno sul piano militare non possono servire soltanto a vendere armi o a garantire una certa difesa territoriale, nel caso in cui il proprio Paese venga attaccato da un nemico esterno. La difesa nazionale si basa sul presupposto che uno Stato, per dichiarare guerra a un altro, deve avere, come minimo, il triplo delle forze armate. Questo perché difendersi è più facile che attaccare.

Un buon apparato militare serve anche per le situazioni di emergenza interna, nel caso in cui, per assicurare l’ordine pubblico, risultino insufficienti le normali forze di polizia. Quando all’orizzonte si prospettano secessioni territoriali o rivoluzioni politiche, è molto facile che il governo in carica ricorra all’intervento delle forze armate. Il principio dell’autodeterminazione dei popoli viene usato dall’occidente solo quando si tratta di scardinare la potenza degli Stati ritenuti rivali o pericolosi.

Gli investimenti militari servono anche a tenere sottomessi i Paesi deboli che di tanto in tanto alzano la testa per emanciparsi dalle varie forme di oppressione che ancora oggi subiscono. Ma in questo campo bisogna inventarsi delle buone giustificazioni, poiché l’occidente si vanta di esportare la democrazia, di essere un modello sociale per il mondo intero. In genere una buona giustificazione è quella di combattere il terrorismo islamico o gli sfruttatori dei migranti o della droga, ecc. Fino a ieri era quella di combattere le idee comuniste.

I suddetti investimenti possono servire anche per fronteggiare i Paesi più forti, che si oppongono all’unipolarismo dominante, come viene chiamato oggi. Ieri si usava la parola "globalismo", a volte accompagnata alla parola "neoliberista"; l’altro ieri si usava la parola "imperialismo", conseguenza del colonialismo dei secoli XVI-XVIII, mentre il neocolonialismo è stato la trasformazione dell’imperialismo politico-militare, brutale e diretto, in imperialismo economico-finanziario, meno brutale e più indiretto, come è accaduto a partire dagli anni ’60 in poi, soprattutto in Africa, Sudamerica e in alcuni Paesi asiatici.

Il problema è che oggi le armi sono arrivate a un livello tale di perfezione e pericolosità che l’opzione nucleare non viene più scartata a priori, come ai tempi di Gorbaciov, quando si diceva che con le armi di sterminio di massa si poteva distruggere più volte l’intero pianeta, per cui non ci sarebbero stati né vinti né vincitori.

Non a caso le potenze occidentali insistono nell’illudersi che, sparando il primo colpo nucleare, il nemico non avrà modo di reagire. Cioè fanno di tutto per convincerci che le spese militari sono giuste e che quelle sulle armi nucleari sono indispensabili. Questo poi senza considerare che l’occidente si è sempre più specializzato nelle ricerche su possibili armi batteriologiche, quelle che devono sterminare le popolazioni, senza intaccare i loro beni. Il problema delle armi atomiche, infatti, è che inquinano tutto per un tempo lunghissimo, per cui una vittoria potrebbe essere inutile.

Certo, uno può chiedersi come siamo arrivati a una situazione così assurda. La risposta è semplice: con l’indifferenza nei confronti dei soprusi altrui, cioè col tacito assenso nei confronti di qualche arbitrio, nella convinzione errata che sarebbe rimasto isolato e non avrebbe modificato gli assetti dominanti.

Purtroppo però gli abusi si sono estesi a macchia d’olio, cioè si sono tanto più aggravati quanto meno forte era la resistenza popolare. E oggi sono diventati un fenomeno incontrollabile.

Già Lenin diceva, oltre un secolo fa, che nelle società capitalistiche la corruzione è al 99%. Ci sono però dei momenti in cui diminuisce o assume nuove forme o addirittura sembra scomparire: quando scoppiano delle guerre terribili o delle rivoluzioni. La differenza tra le due cose sta nel livello di consapevolezza.

Gli esiti catastrofici di una guerra possono portare a una società più libera e più giusta (come si pensava che fosse quella bolscevica dopo la I guerra mondiale, o quella maoista dopo la II). Ma possono portare a dittature ancora più devastanti, come p.es. quelle nazifasciste nate negli anni ’20 e ’30. Dipende appunto dal livello di consapevolezza critica delle popolazioni, che devono assumersi in proprio l’onere di una transizione verso una migliore alternativa, evitando di delegare questo compito a chi pretende di svolgere funzioni messianiche.

 

Le assurdità di Stoltenberg

 

Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha affermato, in una conferenza stampa a Madrid, che l’Alleanza vuole “un accordo di pace accettabile per l’Ucraina”, altrimenti il dialogo con Mosca sarebbe impossibile.

Quest’uomo è davvero assurdo. La guerra non è tra Russia e NATO, ma tra Russia e Ucraina, e siccome russi e ucraini sono “parenti”, non è neppure una guerra, ma un’“operazione speciale”. Questa operazione si sta trasformando in una guerra, perché la NATO si è intromessa fornendo agli ucraini mezzi militari e finanziari. Ora infatti si configura come una guerra tra Russia e NATO, ma non sul piano giuridico, poiché non vi è alcuna dichiarazione (formale o esplicita) di guerra da nessuna delle due parti in causa.

Putin ha dichiarato il 24 febbraio l’inizio dell’operazione speciale, e il parlamento russo ha approvato, previo referendum, l’incorporamento di alcuni territori del Donbass nella Federazione russa. Se gli ucraini accettassero questa situazione come un dato di fatto, la guerra cesserebbe domattina.

Non può essere la NATO a decidere le condizioni in cui questa guerra può finire, poiché l’Ucraina non ne fa parte. L’Ucraina non fa parte neanche della UE. Quindi è solo il governo di Kiev che può decidere di porre fine alla guerra, e può farlo solo riconoscendo la situazione attuale del Donbass. Al di fuori di questo riconoscimento non può esistere alcuna trattativa, ma solo resa incondizionata.

 

[24] Un’Europa di pazzi scatenati

 

Nel parlamento della UE la Federazione Russa è stata considerata “sponsor del terrorismo”. L’aveva già fatto la NATO a Madrid. Il che fa capire chi stia comandando in Europa. E, per questa ragione, si è previsto un nono pacchetto di sanzioni e il divieto assoluto, da parte dei Paesi UE, di permettere alla Russia di aggirare le sanzioni in vigore.

Probabilmente avevano in mente gli attacchi russi verso l’infrastruttura civile, inferti al sistema energetico ucraino, che sicuramente indurranno una buona fetta della popolazione a emigrare nella UE. Tuttavia Kiev ha utilizzato questi metodi sin dal lontano 2014, tagliando acqua e luce alla Crimea, colpendo di continuo le infrastrutture analoghe del Donbass, oltre alle centinaia di scuole e ospedali. E che dire dei continui bombardamenti ucraini contro la centrale nucleare di Zaparozhya? Esiste forse un atto più terroristico di quello? Il fatto è che in Europa nessuno ha mai qualcosa da ridire se gli attacchi vengono sferrati contro la Russia o i russi in generale.

A proposito di Stati sponsor del terrorismo, i giorni scorsi l’FSB (Servizio di sicurezza federale della Russia) ha impedito un attentato da parte dei servizi speciali ucraini, che volevano far saltare il gasdotto attraverso il quale il gas viene trasportato in Turchia e in Europa. Sono stati arrestati 4 cittadini russi, che lavoravano sotto la direzione dei servizi ucraini. Sequestrate 4 mine magnetiche, 4 kg di plastico, micce ad azione ritardata, 600.000 rubli. Grazie al lavoro degli investigatori è stato sventato l’attentato che sarebbe dovuto attuarsi nella regione di Volgograd. Dal lavoro investigativo è emerso che tutta l’organizzazione veniva coordinata da Kiev.

Più precisamente nella risoluzione è scritto: “Il regime di Putin è uno Stato sponsor del terrorismo, complice di crimini di guerra e deve affrontare le conseguenze internazionali”. In pratica viene paragonato all’ISIS, cioè ai fondamentalisti islamici eliminati dai russi in Siria, ponendo fine alla guerra in quel Paese. Oppure ad altri gruppi islamici che tutto il mondo, o quasi, ha considerato terroristici, come p.es. Al Qaeda.

Sono affermazioni senza precedenti e piuttosto gravi, in quanto dovrebbero impegnare direttamente l’ONU. La Zakharova ha risposto per le rime: “Propongo di riconoscere il Parlamento europeo come sponsor dell’idiozia”. Forse aveva in mente il fatto che la stessa UE ha ripetutamente pagato milioni di euro (soldi pubblici) per i riscatti ai terroristi “classici”.

A favore di una risoluzione così perentoria in quanti erano? 494 (tra cui i nostri partiti Fratelli d’Italia, Partito Democratico, Forza Italia, Lega, Azione/Italia Viva). I contrari sono stati 58 e gli astenuti 44. Cioè oltre 100 parlamentari non sono stati d’accordo o non erano sicuri che quella risoluzione fosse conveniente o fosse formulata in maniera giusta o corretta. Per la cronaca, 4 italiani han votato contro: l’indipendente Francesca Donato e tre del gruppo Socialisti & Democratici: Pietro Bartolo, Andrea Cozzolino e Massimiliano Smeriglio.

Il M5S si è astenuto sulla base della seguente motivazione: “se dichiariamo la Russia un Paese terrorista, qualunque negoziato per risolvere il conflitto ucraino sarà impossibile, poiché gli Stati occidentali, per partito preso, dicono di non voler trattare coi terroristi. Quindi prima trattiamo, poi, se vediamo che non cede alle nostre condizioni, la dichiariamo terrorista. Cioè potenzialmente la Russia meriterebbe d’essere considerata terrorista, ma al momento non possiamo dirlo per motivi di opportunità”.

È un ragionamento bislacco, privo di eticità, da seguaci del machiavellismo. Infatti i 5S, in un colpo solo, han negato almeno tre princìpi: l’autodeterminazione dei popoli (basata sui referendum secessionisti), il rispetto delle minoranze in un territorio nazionale (russofoni e filorussi) e la solidarietà internazionale nei confronti delle popolazioni oppresse (quelle del Donbass). È per queste ragioni che la Russia ha deciso d’intervenire in Ucraina a fianco dei parenti e amici russi sottoposti a una guerra civile da ben 8 anni.

Singolare che in tutto ciò Beth Van Shack, ambasciatrice USA per la giustizia penale internazionale, abbia detto: “Gli Stati Uniti non riconoscono la Russia come sponsor del terrorismo”.

 

Democrazia contro Autocrazia

 

Caitlin Johnstone ha scritto un art. interessante su “Information Clearing House” (30 ottobre).

Praticamente sostiene che gli USA si stanno preparando a una terza guerra mondiale non perché la vogliano, ma perché, secondo l’opinionismo mainstream, vi sono costretti dagli eventi, indipendenti dalla loro volontà. E questi eventi sono due: il conflitto ucraino e quello taiwanese. È questo l’argomento clou.

Di qui l’esigenza di aumentare notevolmente la spesa militare. Non c’entra niente l’idea che gli USA vogliano mantenere un’egemonia a livello planetario. Gli statunitensi danno per scontato d’essere il Paese più democratico del mondo, un modello per tutti gli altri, per cui è nel loro diritto reggere le sorti dell’umanità. Sono ancora convinti di svolgere una missione che ha qualcosa di religioso.

In questo momento non ha senso per loro parlare di pace, quando per difendere una democrazia seriamente minacciata, occorre la guerra.

Semmai il dibattito verte su due scenari: per gli USA è preferibile fare prima la guerra contro la Russia e poi contro la Cina, oppure possono affrontarle insieme? In entrambi i casi sono sicuri di vincere. L’unica vera questione è quella di stabilire quante perdite umane si è disposti ad accettare nel proprio territorio e in quelli dei propri alleati occidentali (inclusi ovviamente Israele, Giappone, Sudcorea e Australia).

Trasformando il Paese in un’economia di guerra e militarizzando le industrie, gli USA hanno la vittoria assicurata anche in uno scontro simultaneo con le due potenze rivali, e questo perché gli USA hanno già vinto le ultime due guerre mondiali e anche la guerra fredda.

Non ha senso che i democratici preferiscano eliminare la Russia, mentre i repubblicani optino per eliminare la Cina. Anche perché a questi due nemici storici si potrebbe aggiungere l’Iran e la situazione non cambierebbe affatto.

Piuttosto sono i politici che devono cambiare: devono smettere di esprimere anche il più mite sostegno alla diplomazia. La politica del rischio calcolato nucleare va inquadrata come semplice sicurezza e la riduzione dell’escalation va etichettata come pericolo sconsiderato.

Le società occidentali sono diventate impossibili da gestire. Essendo abituate a comandare, non hanno contezza del fatto che il loro tempo è scaduto.

Fonte: informationclearinghouse.info

 

Fino a che punto neonazisti?

 

Scrive Franco Fracassi nel suo ottimo libro Ucraina dal Donbass a Maidan (2022):

Un alto funzionario dei servizi militari USA (che ha chiesto l’anonimato) ha rivelato a chi scrive: “Ho consultato diverse mie fonti interne ai servizi segreti americani. Quello che mi hanno raccontato è sconvolgente. Dal 1991 a oggi l’estrema destra ucraina è stata utilizzata per compiere una serie di operazioni militari che non dovevano in alcun modo essere ricondotte alla Casa Bianca. Alcuni esempi? Rivoluzione lituana (1991), il colpo di Stato a Mosca (1991), la guerra tra la Transnistria e la Moldova (1992), la guerra in Abkhazia (Repubblica autonoma della Georgia, 1992-1993), la guerra in Cecenia (1995-1996), la guerra in Kosovo (1999), la guerra in Ossezia Meridionale (2008)”.

Altre gole profonde dei servizi statunitensi hanno ammesso a vari giornalisti che i nazisti ucraini sono stati utilizzati anche in azioni compiute al di fuori dai territori ex sovietici, come il massacro di piazza Taksim a Istanbul, dove i cecchini di un hotel hanno sparato sulla folla.

Basterebbero queste poche frasi per capire con chi i russi hanno a che fare in Ucraina.

 

[25] L’anomalia della Turchia come Paese NATO

 

Dopo l’attacco terroristico del 13 novembre ad Ankara che ha ucciso 34 persone e ne ha ferite altre 125, il governo turco ha lanciato, nella notte del 20 novembre, un’operazione militare con circa 70 aerei da guerra e droni contro quelli che vengono definiti “terroristi curdi nel nord della Siria”.

Spingendosi in profondità fino a 140 km dal confine siriano gli aerei avrebbero neutralizzato 184 terroristi, oltre al loro quartier generale, ai loro rifugi, bunker, caverne, tunnel e magazzini. Il tutto afferente al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e alle Unità di Difesa del Popolo Curdo (YPG).

L’obiettivo dell’attacco turco era il centro di Hasakah, gestito dagli USA per l’addestramento e la formazione dei militanti del PKK in Rojava (il personale americano era stato preavvisato e quindi evacuato prima dell’attacco).

Molto probabilmente i bombardamenti in territorio siriano non avrebbero potuto avere tale estensione e intensità senza l’assenso della Russia e del governo di al-Assad, che non hanno fatto alzare in volo i propri aerei da guerra per ostacolare l’offensiva turca. Non hanno neppure condannato l’operazione, forse in virtù della riconciliazione in atto tra Ankara e Damasco su cui preme anche la Russia. Il Cremlino ha soltanto intimato i turchi di non pensare neppure a lanciare un’offensiva di terra contro i combattenti curdi in territorio siriano.

Dunque uno Stato membro della NATO (la Turchia) ha appena attaccato una base statunitense, distruggendo l’infrastruttura petrolifera dell’autonomia curda, sfruttata dagli USA, che rubano petrolio ai siriani attraverso i valichi di frontiera fino al confine con l’Iraq nel Kurdistan iracheno. E, a quanto pare, la Turchia l’avrebbe fatta franca come l’Iran, quando l’esercito di Teheran colpì la base statunitense di Ain Assad in Iraq dopo l’uccisione del generale Soleimani in un attacco di droni americani.

Erdogan rischia grosso. Gli USA han già tentato di rovesciare il suo governo: lui fu salvato in extremis dall’intelligence russa. Ma è anche vero che le basi americane possono essere bombardate. Prima l’Iran, ora la Turchia. Fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile. In ogni caso resta piuttosto sconcertante vedere come di fronte a delle controversie di tipo militare il ruolo diplomatico della UE e dell’ONU sia del tutto inconsistente, incapace di qualunque mediazione.

 

No a una Russia messianica

 

Sarebbe assurdo pensare che la Russia svolgerà quest’anno o anche nel prossimo il ruolo che ha sostenuto nel corso della II guerra mondiale, quello di liberare l’intera Europa dal nazismo. Ciò le è già costato 27 milioni di morti. Non possiamo chiederle un replay. Ora il compito spetta a tutti gli europei autenticamente democratici, e non sarà facile.

Infatti quando il soldatino Stoltenberg diceva: “Putin voleva meno NATO; invece ne avrà di più”, in fondo aveva ragione. Solo che quella sua frase andrebbe riformulata così: “Voleva meno nazismo; invece ne avrà di più”. In che senso? Nel senso che ora l’intera Unione Europea, avendo sdoganato il circoscritto neonazismo ucraino, è diventata un intero continente neonazista. Almeno così appare nei suoi vertici istituzionali, ne siano o non ne siano consapevoli i suoi rappresentanti.

 

[26] Restare nella caverna

 

Cos’è che impedisce al popolo ucraino di aprire gli occhi sulla natura neonazista del proprio governo?

Ricordiamo tutti il mito platonico della caverna. Chi vi abitava viveva nell’illusione: scambiava la realtà con la propria immaginazione. Uno si liberò delle catene e scoprì la verità uscendo dalla caverna. Tornò indietro cercando di convincere gli altri a fare altrettanto, ma non gli credettero, anzi dovette andarsene, altrimenti l’avrebbero ucciso.

Morale della favola: ogni coscienza ha i suoi tempi di maturazione. I frutti non sono tutti uguali. La verità non può essere imposta.

Il problema del popolo ucraino è che purtroppo ha a che fare con un governo molto violento, che incute paura, in quanto le forze dell’ordine (polizia e soprattutto militari) sono state addestrate a non avere alcuno scrupolo morale. Inoltre dietro questa sistematica protervia vi è un enorme sponsor mediatico e finanziario (i Paesi della NATO) che fornisce al governo tutti gli strumenti per sostenere la propria arroganza, ammantata dalla falsità di chi vuol far la parte dell’aggredito.

E così chi ci rimette non è il governo, i cui esponenti si arricchiscono coi capitali del mondo occidentale e che, se si mette davvero male, sono pronti a espatriare in qualche Paese che, a motivo delle loro ricchezze, li ospiterà volentieri. A rimetterci infinitamente di più è il popolo, che non riesce a vedere come stanno le cose e che viene usato come carne da cannone e come limone da spremere per ottenere sempre più finanziamenti. È arcinoto infatti che ogni dittatura politica odia mortalmente i popoli che sottomette, incluso quello nazionale, anche quando una parte notevole di questo popolo ha contribuito a votarla o a mandarla al potere con un golpe.

Il popolo ucraino fa venire in mente quello tedesco che viveva nei pressi dei lager durante l’ultima guerra mondiale. Dalle ciminiere dei forni crematori usciva una puzza incredibile, eppure, finita la guerra, gli intervistati dicevano che non si erano accorti di nulla. E per convincerli di quali orribili mostruosità si compivano a poca distanza dalle loro abitazioni, dovettero portarli all’interno dei lager.

Si dice che non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Oggi bisognerebbe aggiungere che, anche vedendo come stanno le cose, non è detto che uno ci creda. Siamo così abituati a vivere nella falsità che per noi la verità non esiste.

 

Un disastro epocale

 

Scrive Andrea Zhok, come se leggesse quanto scrivo, e invece non sa neppure chi sono. E questo è un buon segno, poiché testimonia ch’esiste una versione dei fatti alternativa alla propaganda dominante.

Lo riassumo.

L’autonomia amministrativa dell’Alto Adige è motivata dalla presenza del 69% di popolazione germanofona. Nelle zone di Donetsk e Lugansk la popolazione russofona prima della guerra superava il 90%.

Oggi, a 9 mesi di distanza, l’Ucraina comincia ad apparire come un cumulo di macerie congelate e 6 milioni di profughi ucraini sono già arrivati nell’Unione Europea (la più grande crisi di rifugiati in Europa dal 1945) e almeno altrettanti si stanno preparando.

Per il solo anno in corso la stima dei costi vivi per l’ospitalità europea ammonta a 43 miliardi di euro. I morti al fronte sono nell’ordine di grandezza del centinaio di migliaia.

La colossale fornitura di armi da parte della NATO (tre volte il budget annuale russo) ha preso in buona parte la strada del mercato nero, dove si trovano oramai a prezzo di saldo missili terra-aria, mortai, mitragliatrici pesanti, ecc. (la criminalità organizzata se ne gioverà per decenni).

Quanto alla “sovranità” ucraina che andava difesa a tutti i costi, anche i più distratti sanno oggi ch’era una fiaba da tempo: è noto il supporto e sostegno americano al colpo di stato di Maidan, così come sappiamo delle entrate a gamba tesa dell’ex presidente Biden sui giudici ucraini che perseguivano gli affari ucraini del figlio Hunter.

Quanto all’idea che l’Ucraina “sovrana” non rappresentasse alcuna minaccia e non ci fosse nessuna concreta possibilità che diventasse parte della NATO, nel frattempo è emerso serenamente che da dopo gli accordi di Minsk II (2015) la NATO stava addestrando l’esercito ucraino, rifornendolo di armi, costruendo fortificazioni, e che la firma degli accordi era stata solo un espediente per prendere tempo e consentire all’Ucraina di rafforzarsi militarmente (testimonianza diretta dell’ex presidente Poroshenko, oltre che di diversi ufficiali USA).

Sempre nell’ottica della tutela della sovranità ucraina, nel frattempo la Russia si è stabilizzata in buona parte dei territori conquistati; Mariupol è stata addirittura già parzialmente ricostruita; si sono tenuti referendum di annessione, e la prospettiva che questi territori ritornino in mano ucraina è ritenuta risibile persino dai vertici americani.

Il conflitto si è ormai caratterizzato esplicitamente come un conflitto tra la NATO e la Russia, anche se nessuno vuole che ciò sia riconosciuto ufficialmente, perché rappresenterebbe una deflagrazione mondiale. Sul territorio ucraino combattono ormai in sempre maggior misura “volontari” stranieri, con istruttori NATO, armamenti NATO, finanziamenti dei Paesi NATO.

L’esercito regolare ucraino ha perduto da tempo le truppe più “combat-ready” e rappresenta ormai solo la carne da macello per sanguinose sortite periodiche.

Intanto l’Europa è in piena stagflazione... Senza energia e materie prime è un museo morente.

Fonte: t.me/giorgiobianchiphotojournalist

 

Oggi le comiche

 

Membri del governo polacco hanno definito “inaccettabile” la decisione dell’Ucraina di nominare Andrij Melnyk (ex ambasciatore in Germania) alla carica di viceministro degli Esteri, in quanto lui stesso, a luglio, avrebbe negato che il leader nazionalista Stepan Bandera sia stato responsabile dell’omicidio di massa di polacchi ed ebrei durante la seconda guerra mondiale. Melnyk avrebbe cercato, arrampicandosi sugli specchi, di giustificare la collaborazione di Bandera con la Germania nazista, dicendo che per gli ucraini è un eroe nazionale. Come se lo fosse per “tutti” gli ucraini!

Il governo di Kiev dovette licenziarlo, ma ora l’ha insediato in un ruolo non meno importante. Tale decisione in fondo è comprensibile: il governo non è in grado di disporre in questo momento di un ampio ventaglio di politici un minimo presentabili.

Resta tuttavia curioso che la Polonia si meravigli dell’atteggiamento neonazista del governo ucraino, quando questo stesso atteggiamento viene pienamente sostenuto dai vertici polacchi in funzione antirussa.

Melnyk si è in seguito scusato per le sue parole, ma l’ha fatto senza neppure rendersi conto della gravità inaudita di quanto affermato. È che quando uno desidera il potere è disposto a tutto, anche a fingere di aver detto cose che non dipendono dalla sua volontà ma da quella degli altri (in questo caso l’intero popolo ucraino). E chi ha il coraggio di opporsi alla volontà popolare? Le verità storiche possono essere evidenti quanto si vuole...

 

[27] Dalla boxe al wrestling

 

Ammettiamolo, sino alla fine della guerra in Vietnam noi europei siamo stati abbastanza disposti a tollerare molte schifezze compiute dagli USA in nome dell’anticomunismo: p.es. la guerra in Corea, l’embargo a Cuba, i vari interventi in Guatemala... Grease e La febbre del sabato sera ci avevano distratti un bel po’.

Poi venne Reagan e nacque il neoliberismo selvaggio. Il fallimento degli anni ’70 (e della democrazia dei Kennedy e di Carter) era compiuto. Gli USA cominciarono a indebitarsi fino al collo, soprattutto sul piano militare, perché volevano vincere a tutti i costi la guerra fredda. L’URSS era diventata “l’impero del male”.

Tuttavia nel 1985 Gorbaciov spiazzò l’intero occidente: propose condizioni per il disarmo nucleare che non si potevano rifiutare. La principale delle quali era la caduta del muro berlinese. Diciamo che per tutti gli anni ’80, grazie alla Russia, ci siamo sentiti sicuri e abbiamo nutrito fiducia non solo sul futuro del pianeta, ma anche sulla democratizzazione del socialismo.

Senonché gli anni ’90 sono stati disastrosi per la Russia di Eltsin, mentre con Clinton gli USA sono andati alla grande, e noi europei gli abbiamo perdonato la devastazione compiuta in Jugoslavia. Invece di altre compiute in Somalia, Sudan ecc. non c’importava nulla. Gli occidentali non hanno ideali politici, se non sul piano meramente formale.

Poi all’inizio del 2000 i primi gravi crack finanziari (quelli che ci preoccupano veramente), con ripercussioni su mezzo pianeta: la cosiddetta bolla speculativa delle dot-com, che ci fece capire la grande fragilità del web; il crollo dovuto ai subprime immobiliari nel 2008, che comportò il fallimento di molte banche e il salvataggio di altre a spese dei cittadini; le terribili conseguenze, anche economiche, della pandemia; e infine la guerra (costosissima) in Ucraina, che ha prodotto impreviste inflazioni e recessioni.

Ora gli USA, dopo essersi inventati il nemico islamico, e aver cominciato a odiare Putin, che ha voluto e saputo ridare dignità alla Russia,  hanno un debito colossale enorme e inarrestabile; iniettano nel mercato quantitativi pazzeschi di banconote, che così perdono di valore; spendono cifre folli negli armamenti; temono enormemente la concorrenza economica della Cina; e stanno facendo di tutto per staccare completamente la Russia dall’Europa Unita, anche a costo di perdere importanti partner strategici e di farsi odiare da tutto il mondo non occidentale.

Bisogna ammetterlo: l’impero americano oggi fa paura. Non per la sua forza ma per la sua debolezza. È come un pugile suonato messo all’angolo, e siccome non è abituato a perdere, non dobbiamo meravigliarci se durante la partita cambierà improvvisamente le regole della boxe in quelle del wrestling.

 

Davvero la NATO è così forte?

 

Qualcuno ricorda ancora cosa successe nel 2015, quando due caccia turchi abbatterono un Su-24M russo nella Siria settentrionale, mentre era in corso la guerra e i turchi parteggiavano per gli USA. In totale dispregio del regolamento internazionale, uno dei due piloti fu ucciso dai turchi subito dopo essersi lanciato fuori col paracadute, e fu eliminato anche un soldato russo della missione di soccorso. Temendo la ritorsione di Mosca (che per fortuna non ci fu), Erdoğan implorò la protezione della NATO.

Ma cosa avrebbe potuto fare la NATO se la Turchia fosse stata attaccata? Un bel nulla. Come non si sarebbe mossa se il recente missile finito in Polonia fosse stato russo e non ucraino.

Perché? Semplicemente perché un contrattacco USA/NATO contro le forze russe provocherebbe una subitanea e devastante risposta. Sono solo gli alleati europei che s’illudono su un intervento risolutivo della NATO.

A tutt’oggi né gli USA né la NATO dispongono di uomini e mezzi necessari per affrontare la Russia in una guerra convenzionale. E tutti sanno che un qualsiasi uso di armi nucleari (anche tattiche) provocherebbe una rappresaglia che molto probabilmente finirebbe in una guerra nucleare su larga scala.

Al momento la NATO non può difendere nessuno dei suoi alleati da un esercito veramente moderno. Se i russi decidessero di colpire un Paese della NATO, non è detto che gli USA sarebbero disposti né a una guerra convenzionale vera e propria, e neppure a rischiare una mostruosa guerra nucleare dall’esito molto incerto.

Ricordiamo che per la Russia ogni guerra si trasforma facilmente in una minaccia esistenziale, non meno della II guerra mondiale, poiché sanno per esperienza che l’occidente mira a smembrarla, come nel mito le Baccanti fecero con Penteo.

La NATO è stata una pura creazione della guerra fredda, e oggi è un anacronismo totale, checché ne pensi quel pericoloso guerrafondaio di Stoltenberg, incapace di qualunque mediazione.

Essere uno Stato membro della NATO non significa fruire di una certa uguaglianza, poiché gli USA sono quelli che comandano e tutti gli altri obbediscono, salvo i più coraggiosi, come Turchia e Ungheria, che in fondo sono imparentati tra loro, essendo entrambi di origine ugrica e altaica (come i mongoli).

Il vero compito della NATO è quello di tenere gli europei sottomessi agli USA, soprattutto obbligandoli a comprare le loro armi. Quanto al resto, s’è visto cosa la NATO ha combinato in Medio Oriente e col mondo islamico.

Secondo il colonnello in congedo Douglas MacGregor (esponente del partito conservatore ed ex consigliere militare di Trump), la guerra in Ucraina potrebbe portare al collasso sia della NATO che dell’Unione Europea, dovuto alle profonde contraddizioni interne a entrambe le organizzazioni.

In ogni caso – sempre secondo lui – lo Stato ucraino sarà vinto da una forza russa di 300.000 uomini nelle prossime settimane, dopo che il terreno si sarà ghiacciato. D’altra parte non si può vincere una guerra quando per ammazzare un soldato russo gli ucraini ne devono perdere almeno 8-10.

 

Un grande flop occidentale

 

Il “Financial Times” ha rivelato come si è formato il grande flop del potere atlantico, che ha avuto come protagonisti Mario Draghi e Janet Yellen, segretaria del Tesoro americano.

Sono stati loro a ideare il sequestro delle riserve estere della Banca centrale russa (un patrimonio di oltre 300 miliardi di dollari congelati nelle banche occidentali dagli USA e dai loro vassalli europei).

L’ordigno che doveva far saltare in aria l’economia e la finanza della Russia si è rivelato un clamoroso autogoal, poiché ha inflitto un colpo al cuore al capitalismo finanziario occidentale, terrorizzando banche centrali e possessori di dollari di quasi tutto il pianeta, amici o nemici che siano dell’occidente. Ora tutti temono che un deterioramento dei propri rapporti con gli USA possa implicare un congelamento dei propri beni.

Perfino le banche centrali di Paesi come Israele ed Egitto han dichiarato che stanno “diversificando i loro asset” (cioè si stanno sbarazzando delle riserve in dollari, diventate improvvisamente o denaro privo di valore oppure prestiti forzati al Tesoro americano).

Il tutto è accaduto senza che la Russia sia stata bastonata più di tanto, visto che il rublo non è andato in caduta libera ma si è anzi rafforzato, e la guerra di Putin viene finanziata da un surplus delle partite correnti di 20 miliardi di dollari al mese.

È paradossale che siano stati proprio i due maggiori ex-banchieri centrali dell’occidente a mandare in pezzi la pietra angolare dell’ordine finanziario internazionale: i diritti inviolabili di proprietà sui beni monetari detenuti al di fuori dei confini nazionali. Neppure durante la guerra fredda si era mai osato “armare” la finanza. D’altra parte lo sanno anche i bambini che se l’infrastruttura del sistema finanziario viene percossa, i danni maggiori ricadono su chi ne tiene le redini. E da quasi un secolo queste redini fanno capo a Wall Street e al Tesoro USA, che stampa dollari a volontà come una semplice tipografia, incurante di qualunque conseguenza.

Un tempo il dollaro era considerato un bene pubblico, un rifugio sicuro di poco inferiore all’oro. Oggi è diventato radioattivo.

Fonte: kulturjam.it

 

San Marino denuncia Meta

 

Valeria Pierfelici, magistrato di San Marino, il 14 dicembre dovrà decidere se confermare la condanna al pagamento di 4 milioni di euro a Meta (Facebook + Instagram + WhatsApp + altre aziende tech). 

La cifra di per sé è irrilevante, ma rischia di trasformarsi in un vaso di Pandora per valanghe di cause miliardarie.

Tutto è cominciato nel 2019, dopo gli episodi di hackeraggio che hanno interessato Facebook su scala globale, quando milioni di utenti dei social si sono visti carpire i loro dati personali tramite una tecnica informatica di esfiltrazione.

L’Autorità della privacy di San Marino avviò un’istruttoria che si concluse con la sanzione a Facebook per violazione dell’art. 33 della Legge n. 171/2018, relativa alle misure di sicurezza in rete, come previsto dalla normativa europea.

Ovviamente Zuckerberg teme che il provvedimento possa costituire un pericoloso precedente e creare un incontrollabile effetto domino a livello globale. Infatti è vero che la pena pecuniaria in questione riguarda soltanto circa 12.700 cittadini sammarinesi. Ma è anche vero che a livello globale gli utenti di Facebook sono oltre mezzo miliardo. La sanzione quindi può arrivare a oltre 166 miliardi di euro! Il Metaverso verrebbe inghiottito in un buco nero.

Se a questo rischio si aggiungono gli investimenti sbagliati nel Metaverso e gli 11.000 posti di lavoro tagliati, si capisce perché stiano circolando voci sulle prossime dimissioni dello stesso Zuckerberg.

Fonte: nicolaporro.it

 

[28] Il far west è finito

 

Se ci pensiamo, tutti i conflitti scatenati dagli USA negli ultimi 70 anni, da quello nella Corea a quello in Ucraina, da quelli nel sudest asiatico a quelli mediorientali, da quelli contro i Paesi comunisti a quelli contro i Paesi islamici, da quelli nel proprio continente a quelli nei continenti altrui, che cosa hanno portato? Solo a un odio generalizzato, planetario nei loro confronti.

Se si esclude la UE, il Regno Unito, il Canada, l’Australia e pochi altri Paesi, non si può dire che gli USA abbiano dei veri alleati nel mondo. Hanno semmai dei partner commerciali, dei sudditi vincolati al debito o a un’alleanza meramente militare. Ma non c’è Paese al mondo che vorrebbe seguire al proprio interno il loro stile di vita.

Gli USA sono troppo violenti, troppo abituati a comandare, a mentire, a non rispettare i patti, troppo polarizzati tra ricchi e poveri, troppo schiavi del denaro, troppo spregiudicati sul piano etico, troppo individualisti... Sono indifferenti allo Stato sociale, alla tutela della famiglia, alla ricerca della verità nei processi giudiziari... L’unica cosa che gli interessa è quella di permettere al singolo di fare business come meglio crede.

È come se al cittadino dicessero: “Ti do il massimo della libertà possibile, ma se sbagli e non ti puoi permettere un avvocato, ti aspetta la galera a vita”. Questo è un atteggiamento antipedagogico per eccellenza, che porta inevitabilmente ogni cittadino a vedere il prossimo come un nemico potenziale, nei confronti del quale, preventivamente, è meglio tenersi armati, per non pentirsi poi di non averlo fatto. Di qui le continue incredibili stragi che spesso vediamo compiere nelle scuole, nei supermercati... Di qui i tanti serial killer e i delitti più efferati. Gli USA detengono il primato mondiale del più alto tasso d’incarcerazione: circa 751 persone su ogni 100.000 abitanti. Con meno del 5% della popolazione mondiale hanno circa il 25% della popolazione carceraria mondiale.

Una società del genere non ha da insegnare niente a nessuno. È meglio che scompaia il più in fretta possibile. Anche perché i loro reiterati e devastanti crolli borsistici hanno conseguenze su quasi l’intero pianeta.

Naturalmente con questo non voglio dire che la Russia col suo nazionalismo religioso, o la Cina col suo comunismo di facciata, o l’India con la sua ideologia castale possano costituire dei modelli per l’umanità. Ma il punto è proprio questo, che loro non vogliono costituire un modello per nessuno. Vogliono solo essere lasciati in pace.

 

È perseguibile il reato di opinione?

 

Un certo Gianluca Napolitano, di nova-project, su Quora, ha postato un intervento che mi è piaciuto. Scrive:

Oggi ci troviamo di fronte a una nuova ideologia che potremmo chiamare nazismo 2.0, ma che io preferisco descrivere come internazional-interventismo. Si chiama “internazismo”.

Che cos’è? È l’insopprimibile desiderio di governare senza più tutti quei lacci e lacciuoli della democrazia, costretta a fare i conti con cose fastidiose come la critica, l’opposizione e il dissenso.

Il parlamento europeo ha deciso di dichiarare la Russia “sponsor del terrorismo”. Se a questo uniamo il fatto che il medesimo parlamento ha approvato il green pass UE (il passaporto sanitario europeo), che contiene anche tutti i dati anagrafici del soggetto in questione, dai quali si può risalire facilmente alla sua posizione bancaria e tributaria, il gioco sembra essere fatto.

Aggiungiamo poi che a livello europeo si vuole passare rapidamente dalla moneta fisica a quella virtuale. Il che permette di ottenere il totale controllo sulla vita dei cittadini.

“Ti sospendo il green pass e non puoi più lasciare il tuo Paese. E col denaro elettronico traccio dove sei, ovunque tu vada. E poi ti vengo a prendere, poiché chiunque sostenga le ragioni di uno Stato dichiarato terrorista, diventa terrorista potenziale anche lui, viene considerato come un fiancheggiatore del terrorismo e come tale diventa punibile”.

Cosa si nasconde dietro questo dichiarare esplicitamente la Russia “sponsor del terrorismo”? Il fatto che d’ora in poi chiunque non sia d’accordo sulle posizioni ufficiali del governo commette un reato. Ora sono quelle sulla guerra in Ucraina, ma domani sarà qualunque tipo di posizioni del governo. Nel concetto di “terrorismo” potranno far rientrare un sacco di cose. Cioè in maniera surrettizia ed estremamente rapida è stato introdotto in Europa il “reato di opinione”. Gli statisti stanno costruendo una fortezza europea non per difenderci da chi sta fuori ma per chiuderci dentro.

D’altra parte in Germania il reato d’opinione c’è già. Per es. il rapper Schokk (Dmitry Ginter), fondatore di Vagabund, ha chiesto e ottenuto asilo politico in Russia perché nel suo Paese volevano incriminarlo per aver sostenuto la Russia di Putin. Ma anche la giornalista Alina Lipp è dovuta fuggire dalla Germania, perché il governo non apprezzava i suoi reportage dal Donbass e aveva bloccato il suo conto corrente bancario (ora anche sua madre se ne è andata).

Ormai in Germania si rischia il penale non solo se si nega l’olocausto o se si sponsorizza il passato nazismo, ma anche se si nega il genocidio degli Yazidi o le persecuzioni cinesi contro gli Uiguri, o se si afferma che il governo di Kiev è neonazista. Han già fatto passare una legge secondo cui l’approvazione, la negazione e la grossolana banalizzazione dei crimini di guerra e dei casi di genocidio rientrano ora nel reato penale di “istigazione del popolo”.

Non è assurdo pensare che possa esistere un “reato di opinione”? Qui è la stessa libertà di coscienza che viene negata.

 

A nostra immagine e somiglianza

 

Il mondo è strano. Proprio mentre la Russia degli anni ’90 sembrava morta, è risorta. Viceversa, gli USA, che nello stesso decennio sembravano in piena forma, a partire dal III millennio hanno iniziato il loro inaspettato declino.

Con una differenza: la Russia non ha fatto pagare a nessun Paese straniero gli effetti del suo crollo “sovietico”. Certo, non ha saputo trovare una soluzione democratica al socialismo statale, preferendo buttare via l’acqua sporca col bambino dentro. Ma con Putin ha impedito che il neoliberismo selvaggio introdotto da quello sciagurato di Eltsin portasse a uno smembramento della Federazione a vantaggio delle potenze occidentali più forti.

Viceversa sia gli USA che la UE (sua serva dalla fine della II guerra mondiale) sono fermamente intenzionate a far pagare all’esterno gli effetti della loro involuzione. Come al tempo delle crociate. L’attuale guerra contro la Russia costituisce solo un anello che si va ad aggiungere a una collana di tragedie militari che hanno scatenato a partire dalla distruzione della Jugoslavia.

Non è curioso che proprio in occasione di quella guerra l’Europa occidentale riconobbe subito l’indipendenza unilaterale della Croazia e della Slovenia? Quella stessa Europa che oggi nega risolutamente la stessa cosa al Donbass e alla Crimea...

Noi occidentali ci vantiamo tanto della nostra democrazia, ma quel che ci interessa, in realtà, è solo il potere economico: tutto il resto è finalizzato a conservare e possibilmente ad aumentare questo potere. E 30 anni fa non ci sembrava vero di poter colonizzare le realtà regionali di un Paese comunista come la Jugoslavia, il cui socialismo aveva la particolarità d’essere “autogestito”. A noi occidentali piace devastare, destabilizzare ciò che è diverso da noi, per poi ricostruirlo a nostra immagine e somiglianza. E la stessa cosa abbiamo fatto coi Paesi dell’ex Patto di Varsavia.

Ora pensavamo di poterlo fare anche con la Russia, ma abbiamo fatto i conti senza l’oste. E possiamo scommettere che continueremo a sbagliarli anche con la Cina.

 

La fine del bel Paese

 

Faccio fatica a capire il motivo per cui il nostro Paese sia così contrario ai flussi migratori. Se guardiamo i dati ISTAT noi siamo destinati a spopolarci e a invecchiarci di continuo.

Con meno di 400.000 nascite all’anno, con 800.000 persone che hanno circa 90 anni (e che nel 2050 saranno 1,7 milioni), noi nel 2070 avremo 48 milioni di abitanti, di cui più della metà anziani. Già si prevede che nei prossimi 30 anni la popolazione della fascia di età di 15-64 anni scenderà dal 63,6% (37,7 milioni) al 53,4% (28,9 milioni). Le donne in età riproduttiva passeranno da 12 a 8 milioni.

Il PIL dai 1.800 miliardi di oggi scenderà a 500 miliardi. Scuola e sanità pubbliche scompariranno e per avere una pensione dignitosa uno dovrà fare i salti mortali.

 

[29] Due disegni perversi

 

Certo, ci possono essere dei disegni perversi da parte degli americani. Non sarebbe la prima volta.

Uno è già stato individuato: illudere ucraini e quindi europei che la guerra si può vincere, cioè che i russi hanno un esercito di carta, che economicamente sono destinati a fallire, che non possono produrre armi all’infinito, che Putin è malato, che i russi occidentalizzati stanno preparando un golpe e altre amenità del genere, rivelatesi tutte false.

In fondo, se ci pensiamo, l’argomento Ucraina è sceso di molto nella classifica delle news rilevanti proprio perché non ha soddisfatto le nostre aspettative. Anche se ogni giorno i nostri telegiornali devono darci la pillola russofobica, di fatto le news principali riguardano il governo Meloni, cui si sono aggiunte, in chiave estemporanea, quelle sui migranti e sui disastri ambientali; il resto è tutta cronaca nera o rosa, ivi incluso l’immancabile sport. Viviamo letteralmente nella bolla del “Truman show”, in una gigantesca placenta artificiosa.

Il secondo disegno perverso è però più preoccupante. Gli USA vogliono portare la UE alla disperazione, per indurla a dichiarare guerra (naturalmente atomica) alla Russia. Come alleati primari hanno il Regno Unito, che odia la UE a motivo della Brexit; la Polonia, che ci odia perché prima della guerra l’accusavamo di non essere un Paese democratico e la minacciavano di tagliarle i fondi; i Paesi baltici, che temono costantemente di diventare il secondo bersaglio russo dopo la fine della guerra in Ucraina. Sarà facile per gli USA mandare in esasperazione gli ex Paesi del Patto di Varsavia, poiché sono tutti economicamente poveri. L’unico a distinguersi, fino adesso, è stata l’Ungheria, il cui presidente ha detto che per un Paese come il suo, privo di sbocchi sul mare, un qualunque embargo alle fonti energetiche russe sarebbe stato un suicidio di massa. Ma anche questo Stato viene ricattato dalla Commissione Europea, che lo minaccia di non dargli i miliardi promessi se non accetta le sanzioni antirusse e non approva l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO.

Sia come sia, la NATO sta lentamente prendendo consapevolezza di non essere in grado di condurre una guerra convenzionale sul campo contro la Russia, tanto meno se di lunga durata, proprio perché non siamo abituati a fare guerre del genere. Dal secondo dopoguerra abbiamo puntato più che altro ad arricchirci. Nelle poche guerre cui noi europei abbiamo partecipato, è stata usata più che altro l’aviazione, salvo quelle missioni dette di “peacekeeping”.

In questi ultimi 9 mesi l’esercito della Federazione Russa ha combattuto casa per casa nel Donbass, anche nei più piccoli villaggi. Per noi sarebbe impensabile vincere una guerra del genere, così estremamente logorante. Anche se potessimo vantare delle truppe scelte, non ne avremmo mai abbastanza per vincere un colosso che, se proclama la mobilitazione generale, può contare su 20 milioni di riservisti.

Quindi le alternative sono diventate due: o accettare la situazione di fatto, riconoscendo alla Russia il possesso della Crimea e del Donbass, e quindi tradendo le promesse fatte al governo di Kiev, oppure pensare seriamente a una guerra nucleare. In questo secondo caso bisogna portare le popolazioni europee alla disperazione, cioè sostanzialmente alla fame. E gli statisti europei, che fanno gli interessi degli USA, sembrano essere ben disposti.

 

Il senso della realtà

 

Perché ci dobbiamo sempre dire, come un mantra, che la guerra russo-ucraina è iniziata nel 2014, quando è stato fatto un golpe neonazista che ha estromesso Janukovyč dal potere, iniziando una guerra civile contro le popolazioni filorusse del Donbass che, rifiutando il golpe, volevano costituire due repubbliche autonome?

Perché se non facciamo storia, facciamo leggenda. E la leggenda che va per la maggiore nel mainstream occidentale è quella secondo cui si può vivere benissimo anche senza alcuna memoria storica.

Noi siamo schiacciati sul presente: passato e futuro non ci interessano. Anzi, quando guardiamo il passato, ci piace immaginarlo simile a noi (vedi, per es., tutti i documentari di Piero e Alberto Angela sul mondo romano); e quando pensiamo al futuro, o ci piace immaginarlo migliore del presente (come quando ci facciamo gli auguri di capodanno), oppure temiamo che possa essere più grave del presente, poiché dai primi crack borsistici occidentali, iniziati nel III millennio, sappiano benissimo che è andata sempre peggio. Ci stavamo ancora leccando le ferite della crisi del 2008, durata un decennio, quando la pandemia ci ha buttato di nuovo al tappeto.

Ci siamo ripresi solo perché abbiamo stampato miliardi di banconote (dollari ed euro) per impedire alle banche di fallire (salvo qualcuna), evitando di considerare che questa montagna di soldi non aveva alcun corrispettivo nella ricchezza reale. Siamo dei pugili suonati che, per non perdere, usiamo dei guantoni truccati, come quelli del portoricano del Bronx Luis Resto, allenato da un grande imbroglione, Carlos “Panama” Lewis, che, guarda caso, era americano.

Oggi la finanza ci è completamente sfuggita di mano, al punto che del debito pubblico non c’importa più nulla. Anche la Commissione europea ha smesso di usarlo come pretesto per ricattarci. D’altra parte dobbiamo spendere il 2% del PIL in armi e dobbiamo continuare a finanziare Kiev.

Tuttavia le contraddizioni del capitalismo reale non possono essere risolte da una finanza virtuale. Prima o poi si ripresentano, più acute di prima, e gli statisti occidentali sono sempre più tentati dal prendere soluzioni che vanno al di là persino della finanza, come appunto quelle militari.

Ecco in tal senso il conflitto ucraino non dipende neppure dalla decisione neonazista di negare alle due repubbliche del Donbass un’autonomia amministrativa, ma dipende proprio dalla crisi di un sistema che per continuare a sussistere ha bisogno di occupare territori altrui per accaparrarsi delle loro risorse. Tutte le guerre scatenate dall’occidente in Medio Oriente avevano lo scopo di rubare il petrolio (gli USA lo fanno ancora in Siria). Oggi la guerra contro la Russia ha di mira soprattutto il suo gas e tante altre materie prime strategiche. L’occidente non riesce a vivere senza il biberon del colonialismo.

Quando siamo andati in Cina pensando di fare affari colossali per un tempo indefinito, grazie alla nostra scienza e tecnica e al loro ridicolo costo del lavoro, abbiamo sottovalutato enormemente le capacità di assimilazione che i cinesi hanno nei confronti di tutta la nostra cultura economica e scientifica. Oggi sono loro che producono le nostre stesse merci a prezzi talmente competitivi che mandano in fallimento i nostri esercenti e imprenditori. Ecco perché la Cina ci preoccupa più della Russia.

Col conflitto ucraino speravamo in un débâcle più o meno immediata della Russia, in maniera tale da poterla smembrare, sfruttandone tutte le risorse. Ora invece stiamo pensando che forse è meglio sferrare un colpo demolitore alla potenza cinese, partendo dalla questione taiwanese. Passiamo da un mito all’altro proprio perché non abbiamo il senso della realtà.

 

I gesuiti non si smentiscono mai

 

Gerard O’Connell, un gesuita della rivista "America", ha chiesto a papa Bergoglio (gesuita pure lui): "Molti negli Stati Uniti sono rimasti confusi dalla sua apparente riluttanza a criticare direttamente la Russia per la sua aggressione contro l’Ucraina. Lei ha preferito parlare più in generale della necessità di porre fine alla guerra, all’attività mercenaria e al traffico di armi. Come spiegare questa posizione agli americani che sostengono l’Ucraina?".

E lui ha risposto, senza rendersi ben conto della gravità delle sue parole:

"Quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato [invece i filorussi del Donbass non lo erano?].

Se hai un popolo martirizzato, hai qualcuno che lo martirizza [una visione in bianco e nero? La NATO non "abbaia" più ai confini della Russia?].

Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano [prende le informazioni solo dagli ucraini?].

In genere, i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i Buriati e così via [non è forse una forma di razzismo dire che i non russi sono crudeli?].

Certamente, chi invade è lo Stato russo. Questo è molto chiaro. [Ma non era la Chiesa che parlava di solidarietà nei confronti degli oppressi? E i filorussi del Donbass non lo erano?]

A volte cerco di non specificare per non offendere... Tanto è risaputo chi sto condannando. Non è necessario che metta nome e cognome. [Tutta qui l’equidistanza vantata dal Vaticano? Come avrebbe potuto il papa fare da mediatore?]

Vorrei ricordare che in questi giorni ricorre l’anniversario dell’Holodomor, il genocidio che Stalin commise contro gli ucraini [nel 1932-33]. Credo sia opportuno citarlo come antecedente storico del [presente] conflitto. [Qui l’ignoranza storica è abissale, forse non meno grande del pregiudizio anticomunista. Infatti gli ucraini sono morti di fame come tante altre popolazioni dell’URSS per colpa della collettivizzazione forzata delle terre (che Lenin non avrebbe mai fatto), non perché Stalin odiava gli ucraini].[11]

La posizione della Santa Sede è cercare la pace e una comprensione. [La pace senza la giustizia non vale nulla: non è forse anche il papa che lo dice?]

 

Un pugno di lenticchie

 

Il premier Orbán ha ceduto. Su Twitter ha scritto che “L’Ungheria sostiene l’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia e il governo ha già informato i Paesi della decisione presa”.

Ha bisogno dei 13 miliardi della UE. Ha però precisato che “La questione sarà in agenda all’Assemblea nazionale il prossimo anno”.

Forse sta pensando che Kiev si arrenderà prima. Non si rende però conto che se la Finlandia ospita basi NATO e che se queste basi dispongono di armi nucleari, la Russia non se ne starà a braccia conserte. Infatti i confini tra Russia e Finlandia sono estesi quasi quanto quelli tra Russia e Ucraina: 1.340 km. Inoltre Orbán dovrà aspettarsi che i rapporti commerciali tra il suo Paese e la Russia si guasteranno molto in fretta.

Per un pugno di lenticchie ha venduto la primogenitura di Paese europeo non ostile a Mosca.

 

[30] Accuse naziste reiterate

 

C’è da scommettere che quando il governo di Kiev dovrà ammettere che la guerra è persa, incolperà l’occidente di non averlo aiutato a sufficienza. Dirà di aver perso non per non aver saputo combattere, non perché i russi avevano una tattica e una strategia militare superiore a quella ucraina, ma per non aver avuto armamenti adeguati e finanziamenti sufficienti da parte dall’occidente, truppe terrestri da parte della NATO, una no fly zone e così via. Diranno che i russi han vinto solo per motivi quantitativi, perché avevano più mezzi e risorse, più riserve in grado di combattere, e col “generale inverno” dalla loro parte.

Tutte cose che abbiamo già sentito dai tedeschi e dagli analisti occidentali antirussi dopo la II guerra mondiale. Come i nazisti tedeschi, anche i neonazisti ucraini non si prenderanno alcuna responsabilità. Diranno che si erano sacrificati per niente fino all’ultimo ucraino. E alla fine incolperanno l’occidente di averli illusi e delusi, e attribuiranno anche a noi le cause della distruzione del loro Paese, e la perdita di importanti territori. Ci accuseranno di non aver avuto il coraggio di usare l’arma atomica contro le grandi città della Federazione Russa. Saremo rimproverati di eccessivo buonismo e di non aver capito che quando i militari ucraini torturavano, amputavano gli arti dei prigionieri russi, gli mitragliavano le gambe o li ammazzavano direttamente sul posto, o quando sottoponevano a sentenze sommarie i civili filorussi, una ragione ce l’avevano. I russi sono Übermenschen, orchi spietati, un sottoprodotto del genere umano, e, come tali, non meritano niente, vanno trattati col massimo disprezzo.

Le abbiamo già sentite tutte queste oscenità e, sinceramente parlando, non ne possiamo più. Dal nazismo ci hanno salvato i russi non gli americani. Quando fu aperto il secondo fronte in Normandia, i nazisti avevano già perso tutte le battaglie in Russia. Non andremmo lontani dalla verità se sostenessimo che quello sbarco, tanto osannato dagli euroamericani, aveva anche lo scopo d’impedire all’Armata Rossa di dilagare nell’Europa occidentale.

Oggi, dopo 9 mesi di attività bellica voluta esclusivamente dalla NATO, siamo arrivati al punto da chiudere un occhio sugli eventuali eccessi che le varie forze della compagine russa possono aver compiuto sul campo di battaglia, mentre, per quanto riguarda i neonazisti ucraini, non ci sentiamo in dovere di perdonare proprio nulla. Anzi pensiamo che Putin sia stato fin troppo paziente e che abbia aspettato troppo tempo a intervenire militarmente a fianco delle due repubbliche del Donbass. Lui stesso ha ammesso di aver creduto troppo nell’importanza degli accordi di Minsk. Ha sottovalutato la perfidia di noi occidentali, abituati a dire una cosa e a farne un’altra.

 

Tempi diversi per azioni diverse

 

Quando s’intraprendono delle guerre, la mancanza di realismo può contribuire enormemente a dover sopportare dei rovesci clamorosi, anche irreparabili.

Ricordiamo tutti quando, compiuta con successo la rivoluzione d’Ottobre (che ancora oggi gli storici occidentali interpretano come un semplice “colpo di stato”), Lenin fu l’unico a capire che se non avessero fatto una pace immediata coi prussiani, concedendo loro ampi territori della ex Russia zarista, di sicuro i bolscevichi avrebbero perso nella guerra civile che i controrivoluzionari, appoggiati dagli occidentali, stavano per scatenare. Era di una lungimiranza eccezionale.

A differenza di Stalin, che vedeva la ritirata delle truppe sovietiche come una cocente sconfitta, per cui si trovava spesso a litigare col suo miglior generale sul campo, il maresciallo Zhukov, Lenin sapeva bene che in guerra ci possono essere momenti di attacco e momenti di difesa, come in una qualunque partita a scacchi. Non ci si deve vergognare di arretrare. Sotto questo aspetto è difficile trovare un esercito che sappia combattere come quello russo, che sembra non avere mai alcuna fretta e che, per questo motivo, non viene capito per nulla dagli analisti occidentali. Hitler chiedeva ai suoi soldati di non arrendersi mai, di non arretrare neanche di un millimetro e di combattere fino all’ultima pallottola. I generali che trasgredivano i suoi ordini, venivano immediatamente rimossi o dovevano suicidarsi.

Noi occidentali, affidandoci molto alla tecnologia, siamo abituati a combattere in maniera completamente diversa dai russi. La guerra deve finire in pochi mesi, nel corso della quale useremo mezzi pesantissimi che devono scioccare il nemico, inducendolo ad arrendersi il più presto possibile (p.es. l’intera Francia fu occupata dai nazisti in poco più di un mese!). Il terrore di ripetere il disastro in Vietnam è sempre ben vivo nella mente degli americani. Ecco perché i loro vertici sono continuamente alla ricerca di armi di sterminio generale alternative all’atomica, il cui uso suscita sgomento nell’intero genere umano. Ultimamente vanno per la maggiore le ricerche in campo biologico e batteriologico, come attestano i tanti laboratori micidiali trovati in Ucraina e che gli USA hanno allestito in molti altri Paesi, impedendo a chiunque di fare controlli.

 

L’inizio di un lungo processo?

 

Forse ha ragione Stoltenberg: il conflitto ucraino è destinato a durare molti anni. Cioè può darsi che diventi l’evento scatenante di qualcosa di assai più grave. Che però – potremmo aggiungere – non necessariamente continuerà in Ucraina.

Prendiamo infatti l’attacco alle Torri Gemelle, cui gli stessi USA furono in qualche modo complici. Con soli 3.000 morti le amministrazioni statunitensi si assicurarono un ventennio di guerre contro un nemico letteralmente inventato: il terrorismo islamico. Poterono scatenare varie guerre contro alcuni Paesi islamici, rubando il loro petrolio e distraendo completamente l’opinione pubblica interna dai gravi problemi economici. Ci si perdoni il cinismo, ma quello fu un colpo geniale, per un Paese abituato a usare la politica estera guerrafondaia come strumento di controllo sociale, di irreggimentazione in politica interna.

La stessa cosa il Deep State potrebbe farla con la guerra in Ucraina. A partire da questa la NATO potrebbe tentare di distrarre la popolazione americana (e, a questo punto, anche quella europea) dalla crisi strutturale del sistema capitalistico, ovvero dalla crisi progressiva del globalismo unipolare.

Quindi dopo l’Ucraina aspettiamoci nuovi scontri bellici in Polonia, Paesi Baltici e Scandinavi, Moldavia, Georgia, Armenia, Kosovo ecc. In un crescendo continuo e tutti con lo scopo di debilitare la Russia, di affossare il progetto dei BRICS, d’impedire a Mosca un’alleanza con Pechino e, in definitiva, di smembrare la Federazione in tanti staterelli autonomi da colonizzare.

Dopodiché si passerà a provocare seriamente la Cina, dove gli argomenti non mancano di sicuro: il Tibet, gli Uiguri, le isole Salomone, Hong Kong, Shanghai e soprattutto Taiwan, per non parlare dei diritti umani, della democrazia politica ecc.

All’attuale riunione a Bucarest dei ministri degli Esteri dell’Alleanza Atlantica sono stati invitati anche i rappresentanti di Finlandia, Svezia, Ucraina e Moldavia, come se già facessero parte della NATO.

Queste son tutte provocazioni nei confronti di Mosca, che non mancherà di reagire, anche perché quando si iniziano le guerre non è affatto vero che ci si sente più deboli. Ricordiamo tutti quando gli inglesi, dopo essersi sfiancati militarmente per un secolo con la Francia, dopo essersi ammazzati reciprocamente con la trentennale guerra delle Due Rose, dopo aver avuto una rivoluzione borghese durata quasi un secolo, crearono la Gran Bretagna con cui occuparono mezzo mondo.


Dicembre

 

 

 

[1] Perché la Russia è destinata a vincere?

 

In Ucraina si sta consumando uno scontro epocale tra due forme di capitalismo: quello privato dell’occidente e quello statale della Russia. In Ucraina comandano gli oligarchi; il neonazismo è una loro creatura; e il loro modello sociale è il capitalismo privato occidentale, soprattutto statunitense.

In un certo senso lo scontro assomiglia a quello che in Europa occidentale avvenne tra il capitalismo statale del nazifascismo e quello privato degli altri Paesi europei. Se il nazifascismo non fosse stato sconfitto dal socialismo statale russo, a quest’ora in Europa il capitalismo privato, probabilmente, non esisterebbe più. Ci sarebbe solo quello statale, che è una mimesi del socialismo, una sua forma illusoria.

E il socialismo statale non è stato sconfitto dal capitalismo privato (quello euroamericano della guerra fredda): semplicemente è imploso a causa delle proprie interne contraddizioni, non avendo saputo evolvere verso un socialismo autenticamente democratico, quello che Gorbaciov avrebbe voluto e che i russi non hanno capito.

Questo per dire che se in questo conflitto epocale dovesse vincere la Russia, non avremmo neppure posto le basi di una transizione tra il capitalismo statale e il socialismo democratico. Questo sarà un compito che si porranno le generazioni future, quando capiranno che il multipolarismo non è di per sé un concetto sufficiente per realizzare la vera democrazia sociale.

Perché fino ad oggi il capitalismo privato occidentale è riuscito sempre a imporsi su quello statale? Ha potuto farlo grazie allo sfruttamento coloniale delle risorse altrui. Oggi non può più vincere così facilmente, perché le grandi aree geografiche come quella africana, sudamericana, asiatica e mediorientale non vogliono più essere sfruttate da nessuno. Per questo approvano il comportamento della Russia.

Senza questo sfruttamento il capitalismo privato è destinato a perdere. La sconfitta dell’occidente, in questa guerra contro la Russia, servirà a far capire alle popolazioni occidentali che il benessere dovrà essere ridimensionato e che l’arbitrio individualistico dovrà essere regolamentato dalle necessità dello Stato. Lo sfruttamento del lavoro dovrà essere esercitato soprattutto all’interno delle singole nazioni. Il che provocherà forti tensioni sociali, come quando il capitalismo era un neonato.

Qui infatti le alternative sono due: se vince il capitalismo privato, la Russia verrà colonizzata, e chissà per quanti secoli ancora l’occidente individualistico continuerà a sopravvivere. Se invece vince il capitalismo statale, l’occidente sarà costretto a ridimensionarsi nei suoi livelli di agiatezza e le popolazioni dovranno prepararsi a subire varie forme di dittatura politica e militare.

Capitalismo statale infatti vuol dire che poche grandi imprese domineranno la scena economica, quelle principalmente energetiche e delle grandi infrastrutture, le quali, per sopravvivere, avranno bisogno di servirsi delle leve dello Stato, che dovrà dotarsi di capacità imprenditoriali. Tutto il resto sarà sottoposto a una dittatura politica. In Italia abbiamo sperimentato il capitalismo statale sia durante il fascismo che durante il periodo dell’egemonia democristiana, cioè praticamente dopo le due catastrofiche guerre mondiali.

Lenin non fu contrario al capitalismo statale. Vi ricorse per non perdere la rivoluzione durante la guerra civile. Promosse la NEP in via provvisoria, ma temeva fortemente che una statalizzazione del socialismo avrebbe posto fine non solo al capitalismo statale ma anche all’idea stessa di socialismo democratico, che includeva quella della progressiva estinzione dello Stato. Purtroppo lo stalinismo non ebbe mai la lungimiranza del leninismo, sicché con la fine del socialismo statale, morì anche l’idea stessa di socialismo.

 

La guerra prossima ventura

 

È difficile pensare che la Russia sia capace di affrontare con successo un attacco simultaneo dei 30 Paesi della NATO, più gli altri del blocco occidentale. La NATO non è più soltanto un’Alleanza europea ma ha ambizioni a livello mondiale. Probabilmente Mosca avrebbe bisogno dell’appoggio di altri Stati, come p.es. Cina, India, Iran, ecc.

Ma una guerra del genere di che natura sarebbe: convenzionale o nucleare? È difficile pensare che una guerra mondiale possa restare in un ambito convenzionale. Anche se tutti i Paesi dichiarassero di non voler usare il nucleare, a Mosca non potrebbero di sicuro fidarsi delle dichiarazioni degli occidentali, che sul piano della lealtà, sincerità e onestà non valgono assolutamente nulla.

In questo momento i russi son fortunati che l’Ucraina, non facendo parte della NATO, non possa pretendere che venga applicato a suo favore il famoso art. 5 dello Statuto dell’Alleanza atlantica. Tuttavia alla NATO preme la sorte dell’Ucraina, perché nessun altro Paese sta offrendo l’opportunità migliore per sferrare un attacco diretto contro la Federazione Russa. Quindi non è da escludere che nei prossimi mesi gli occidentali faran di tutto per creare pretesti che facilitino lo scoppio di una guerra totale, senza esclusione di mezzi e di colpi. Si è investito troppo, in armi e denari, per accettare supinamente che la Russia si prenda tutta l’Ucraina.

Quanto più sarà evidente che l’Ucraina è destinata a perdere il confronto con la Russia, tanto più l’occidente obbligherà quest’ultima, con vari inganni, ad accettare uno scontro su scala molto più ampia.

Dunque prepariamoci al peggio. Gli statisti euroamericani non offrono molte alternative a Putin. Non ce n’è uno disposto ad aprire dei negoziati su un terreno realistico. Chiedere ai russi di evacuare il Donbass e di restituire la Crimea, e poi accusare Putin di non essere disposto al dialogo, è semplicemente ridicolo, anzi grottesco.

 

Gestiti da statisti folli

 

Pare che al momento circa 540.000 forze di combattimento russe siano concentrate nell’Ucraina meridionale, nella Russia occidentale e in Bielorussia. Queste nuove forze hanno poco in comune con l’esercito russo intervenuto nove mesi fa.

A Kiev, tutto attorno e dentro la città, stanno alacremente scavando trincee, costruendo postazioni di mitragliatrici e bunker corazzati. Questo perché le forniture occidentali di armi si stanno esaurendo, a meno che lo stesso occidente non voglia mettere a repentaglio la propria sicurezza difensiva.

La Russia invece non mostra alcun problema sui materiali: ha sia missili che droni e carri armati in abbondanza, ora ha anche più equipaggi per poterli utilizzare.

Ma quel che è peggio è che il black out energetico quasi costante in Ucraina impedisce a tutta la produzione industriale, inclusa quella bellica, di lavorare. Persino la riparazione dei mezzi rovinati o guastati diventa molto problematica.

Se a questo si aggiunge la drammatica situazione dei civili, privi di luce, gas, acqua e naturalmente riscaldamento, la decisione di non trattare coi russi è un vero e proprio suicidio collettivo. Molto probabilmente Mosca non si accontenterà più del Donbass ma si prenderà l’intera nazione.

In una situazione del genere sentire il ministro degli Esteri Tajani che a Bucarest, nel vertice della NATO, propone di combattere la Russia nei Balcani occidentali, fa sempre più pensare che la popolazione europea sia nelle mani di statisti che a dir folli è poco.

 

Meta nei guai

 

Recentemente le autorità di regolamentazione irlandesi hanno inflitto alla società madre di Facebook, Meta, una multa di 265 milioni di euro: l’ultima punizione inflitta all’azienda di Mark Zuckerberg per aver violato le severe norme sulla privacy dell’Unione Europea. Nella fattispecie i dati di oltre 533 milioni di utenti Meta sono stati scaricati online.

Con sede a Menlo Park, in California, l’azienda dell’inventore di Facebook ha il suo quartier generale europeo a Dublino, rendendo la giurisdizione irlandese responsabile del trattamento dei dati.

Meta dichiara di aver “collaborato pienamente” con l’ente di controllo irlandese e che i dati fuoriusciti sono stati ricavati da Facebook, utilizzando ingegnosamente le funzioni adibite ad aiutare gli utenti a trovare i propri amici attraverso il numero di telefono, come le varie funzioni di ricerca e d’importazione dei contatti. L’ente di controllo ha dichiarato di aver indagato sullo “scraping” avvenuto precisamente tra maggio 2018 e settembre 2019 e di aver apportato modifiche al sistema.

Tuttavia a settembre le autorità di regolamentazione irlandesi avevano già inflitto una multa di 405 milioni di euro a Instagram, altro social gigantesco in mano a Meta, dopo aver scoperto che la piattaforma stava gestendo con scorrettezza le informazioni personali degli utenti adolescenti.

Non solo, ma a marzo Meta era già stata multata per 17 milioni di euro per la gestione scorretta di una dozzina di segnalazioni per violazione dei dati.

Ma c’è di più: l’anno scorso l’autorità di vigilanza aveva già inflitto una multa di 225 milioni di euro a un’altra importantissima azienda di Meta: WhatsApp, la piattaforma verde di chat istantanea sanzionata per aver violato le regole sulla condivisione dei dati degli utenti con altre società di Meta.

Insomma un disastro…

Fonte: player.it

 

Logica tedesca

 

Il cancelliere tedesco Scholz avrebbe detto:

“La NATO non è un’alleanza aggressiva. Anche l’Unione Europea non mostra alcuna aggressività. Quando cerco di dirlo a Putin, lui cita costantemente il conflitto nell’ex Jugoslavia come argomento contro la NATO e la UE. Io gli rispondo che in quel momento abbiamo semplicemente cercato di prevenire il genocidio con le nostre azioni. Dopodiché bisogna prendere atto che gli abitanti dei Balcani occidentali sono assolutamente pronti a diventare membri dell’Unione occidentale. Questa è la differenza, e quindi l’argomentazione di Putin secondo cui il genocidio sarebbe in atto nel Donbass è semplicemente ridicola”.

In pratica avrebbe detto che si può parlare di genocidio o meno a seconda che i cittadini di un popolo siano pronti o meno a diventare “membri dell’unione occidentale”.

Kant avrebbe strabuzzato gli occhi.

 

Il destino della Lukoil

 

Un gruppo di private equity statunitense (Crossbridge Energy Partners) ha ripreso i colloqui per acquistare la più grande raffineria siciliana di petrolio dalla russa Lukoil. La Isab-Lukoil di Priolo è considerata “produzione strategica per il Paese” (coinvolge circa 10.000 persone).

Secondo fonti del “Financial Times” il valore della raffineria è stimato tra 1 e 1,5 miliardi di euro, ma il closing o arriverà in extremis, o dopo il 5 dicembre, giorno in cui  entra in vigore l’embargo europeo sul petrolio russo.

Ma se anche venisse acquistata, possiamo scommettere che farà la fine dell’Ilva di Taranto o della Whirlpool di Napoli, perché gli USA detestano la UE non meno della Russia. E ora vogliono impedire la nazionalizzazione dell’azienda, acquistandola per molto meno del suo valore. Dopodiché la chiuderanno.

La raffineria andrebbe in realtà nazionalizzata, sulla falsariga di quello che ha fatto la Germania con Sefe, ex filiale tedesca di Gazprom, anche grazie al contributo della Commissione UE: quella era una questione d’interesse nazionale.

Ma l’Italia cosa conta rispetto alla Germania? La raffineria, fallendo, manderebbe all’aria il 20% della capacità di raffinazione del Paese con pesanti ricadute anche sulla distribuzione di benzina e diesel.

Chiaro cosa vuol dire deindustrializzazione?[12]

 

[2] La pervicacia antieuropeista degli USA

 

È interessante notare che gli USA furono sempre contrari a qualunque rapporto commerciale dell’Europa occidentale con la Russia sul piano energetico. Per loro lo sbarco in Normandia nel 1944 non aveva solo lo scopo di sconfiggere le armate naziste e d’impedire a quelle sovietiche di dilagare verso ovest, ma anche quello di considerare la stessa Europa una colonia da sfruttare. In questa maniera si prendevano la rivincita nei confronti dell’atteggiamento supponente con cui gli anglo-francesi li avevano trattati alla fine della I guerra mondiale. Tant’è che gli USA non aderirono neppure alla Società delle Nazioni, antenata dell’ONU, con cui gli anglo-francesi decisero di gestire i territori degli imperi sconfitti (austroungarico, ottomano e prussiano).

Il gas sovietico fece la sua comparsa in Europa subito dopo la fine della II guerra mondiale. Dal 1946 ne furono consegnate piccole quantità alla Polonia, e negli anni ’50 furono raggiunti altri alleati socialisti di Mosca.

Negli anni ’60, con la scoperta di enormi giacimenti nella Siberia occidentale, si diffusero verso ovest estese reti di gasdotti ad alta capacità, ma senza varcare i confini di quello che era il Patto di Varsavia.

Tuttavia i Paesi dell’Europa occidentale erano estremamente interessati alle materie prime sovietiche a basso costo. Inoltre vedevano Mosca come un partner commerciale molto più stabile rispetto ai partner petroliferi del Medio Oriente.

Siccome però c’era di mezzo l’ideologia anticomunista, Mosca riuscì a firmare nel 1968 il primo contratto solo con l’Austria, che pur essendo stata liberata dall’occupazione nazista grazie ai sovietici, aveva preferito rimanere nell’ambito occidentale, in una posizione neutrale, non aderendo alla NATO.

L’anno dopo però il muro era stato infranto: Mosca firmò contratti con Italia e Francia.

Ben presto il partner più importante dell’URSS nel commercio del gas divenne la Germania, che nel 1970 era in grado di fornire ai sovietici tubi d’acciaio di alta qualità e di grande diametro (all’epoca prodotti solo da tedeschi e giapponesi) per costruire i gasdotti siberiani.

Washington però mise in guardia gli alleati europei dai pericoli della dipendenza dall’energia sovietica. Temeva che potesse rafforzarsi non solo l’URSS ma anche la stessa Europa. Una colonia non può alzare troppo la testa.

Già allora gli USA proponevano agli europei delle alternative che non avevano alcun senso commerciale. Come p.es. passare completamente al gas norvegese, oppure assicurare che dagli USA sarebbe arrivato in Europa molto più carbone.

Vedendo che gli statisti europei non cedevano, gli USA nel 1981 iniziarono una vera e propria guerra del gas contro l’URSS, opponendosi alla costruzione del gasdotto Urengoj-Pomary-Uzhgorod, finanziato da prestiti europei.

I metodi erano gli stessi di oggi, salvo che oggi si è arrivati a scatenare una guerra in Ucraina e a sabotare i due gasdotti del Nord Stream. In sostanza gli americani imposero un embargo sulle forniture all’URSS di attrezzature per il petrolio e il gas.

Alla fine però l’URSS completò il progetto da sola nel 1983, limitandosi a una sola condotta invece che due. La quale comunque permise di aumentare le forniture di gas naturale di 35 volte in 20 anni.

Alla fine degli anni ’80 già il 15% del gas bruciato in Francia proveniva dall’URSS; in Germania la cifra raggiungeva il 30%. È vero, i sovietici avevano messo l’Europa in una condizione di dipendenza dal loro gas, ma allo stesso tempo ne avevano garantito la rapida crescita economica, che sarebbe stata impossibile con gas di altre provenienze, a prezzi ben più alti.

Questo si chiama “realizzare dei rapporti economici reciprocamente vantaggiosi”. Oggi invece vogliamo che tutti i vantaggi siano nostri e alla Russia non vogliamo riconoscere un fico secco. Gli USA ringraziano per la fedeltà. Ringraziano soprattutto quelle mezze calzette che si fregiano di chiamarsi “statisti europei”.

 

La roulette russa

 

Bisogna ammettere che vedere d’accordo tutti gli statisti europei (salvo in parte Orbán) nel voler distruggere l’Europa, non può essere considerata una cosa normale. Gli storici non riusciranno facilmente a spiegarla neppure fra un secolo, quando gli interessi in gioco o gli scenari geopolitici saranno completamente diversi.

L’eccezione ungherese sembra essere dettata più che altro da una mera preoccupazione nazionalistica, di tipo economico, non tanto da una convinzione politica. Forse ha stupito di più l’atteggiamento della Turchia, che non è mai stata amica della Russia sin dai tempi della conquista selgiuchida di Costantinopoli. Anche se – bisogna ammetterlo – già con Atatürk i turchi si erano abituati a stringere la mano ai russi ogniqualvolta vedevano che gli anglo-francesi avevano intenzione di smembrare il loro Paese o di controllare gli stretti del Bosforo.

Erdoğan è stato abile a giocare su due tavoli, e la NATO ha dovuto sopportarlo malvolentieri, anche perché la chiusura degli stretti alle navi militari è stata molto vantaggiosa ai russi. C’è da dire che Erdoğan deve a Putin se è riuscito a sventare il tentativo di golpe del 2016.

Quanto agli statisti europei (che spesso si rivelano più russofobi dello stesso governo statunitense), forse non basta l’analisi politica per capirli: forse ci vuole la psicanalisi.

Infatti quando l’URSS nel 1956 sventò la rivoluzione borghese in Ungheria o quando lo fece nel 1968 a Praga, ci furono sicuramente molte condanne politiche e molti comunisti occidentali stracciarono la tessera del partito, ma la cosa si poteva capire: la contrapposizione tra est e ovest era nettamente ideologica.

Tuttavia a nessuno statista occidentale venne in mente di dichiarare guerra ai sovietici o di sostenere militarmente i filocapitalisti dei due Paesi occupati. La NATO si sentiva intimorita, poiché tutti sapevano, anche se non volevano ammetterlo, che i sovietici avevano sconfitto da soli i nazisti. Peraltro disponevano di un grande arsenale nucleare. Per di più in Europa, verso la fine degli anni ’60, si stava seriamente pensando a intavolare trattative commerciali per avere le fonti energetiche siberiane a basso prezzo.

Oggi la situazione è completamente diversa: l’URSS non esiste più dal 1991; la UE, composta da 27 Paesi, economicamente è molto forte; la NATO è presente in ben 30 Paesi e militarmente è molto più potente; e gli USA, dai tempi della guerra in Jugoslavia, han dimostrato con la loro arroganza di non aver paura di nessuno e di non sentirsi vincolati a organismi internazionali.

La convinzione di essere enormemente più forti della Russia di Putin sotto ogni aspetto ci ha come accecati: i nostri politici e giornalisti non riescono a vedere né che la ricchezza della UE dipende in gran parte dalle materie prime e dal mercato della Federazione Russa, né che gli interessi economici degli USA sono molto divergenti rispetto ai nostri. Non è l’ideologia a renderli ciechi, ma la psicologia.

I poteri dominanti sono vittime di una percezione errata della realtà. Non hanno il coraggio di guardarla in faccia. Piuttosto che ammettere i loro errori di valutazione, sembrano essere disposti ad affrontare le più grandi tensioni sociali che l’Europa abbia mai vissuto dai tempi delle guerre di religione. Sono disposti ad accettare la prospettiva del suicidio politico. Come se stessero giocando alla roulette russa. Peccato che la pistola la puntino non alla loro testa ma a quella dei loro cittadini.

 

Ignoranza giuridica

 

Sintetizzo due ottimi post di Antonello Tomanelli su Facebook.

La von der Leyen vuole espropriare non solo i beni, già congelati, di banche ed enti pubblici russi, il cui valore supera i 300 miliardi di dollari, ma anche quelli delle persone fisiche, colpevoli di essere cittadini russi. Con questi soldi vorrebbe poi creare un fondo per la ricostruzione dell’Ucraina.

Non si rende conto che prima di confiscare un bene bisogna dimostrare che il suo possessore sia un criminale. E uno non può esserlo solo perché russo, come nel passato uno non poteva esserlo solo perché ebreo, come invece pretendevano i nazisti.

Né si può giustificare la confisca asserendo che il governo di Mosca “sponsorizza il terrorismo”. In realtà la Russia sta conducendo una guerra vera e propria in Ucraina, cercando di colpire obiettivi militari e, di recente, anche le infrastrutture civili a scopo energetico. Terroristi semmai sono i neonazisti ucraini, che buttano bombe sui civili filorussi e uccidono sul posto i prigionieri russi che si sono arresi. Questi crimini di guerra non sono ammessi da nessun regolamento internazionale.

Anche la sua idea di istituire il delitto di “inosservanza delle sanzioni UE alla Russia”, per giustificare la confisca, non sta in piedi, poiché non ci sarebbe proporzionalità tra reato e sanzione.

Ma c’è di più. L’analfabeta presidente della Commissione Europea sembra non sapere che nessuno può essere punito per un fatto che, nel momento in cui fu commesso, non costituiva reato. Cioè retrodatare ad arbitrio le recenti sanzioni contro la Russia fino ad epoche in cui nemmeno si immaginava l’invasione dell’Ucraina, è impensabile.

 

[3] Chi è lo Stato che sponsorizza il terrorismo?

 

A ottobre l’Università di Boston ha sviluppato un coronavirus ibrido, basato sulla variante Omicron e sul ceppo originale di Wuhan. Il virus ha ucciso l’80% degli animali da laboratorio infetti, causando sintomi neurologici atipici e lesioni polmonari significative.

Così ha detto il tenente generale Igor Kirillov, capo delle truppe di protezione nucleare, biologica e chimica, in un briefing prima della nona Conferenza di revisione della Convenzione sulle armi biologiche.

Ha anche aggiunto che se una Università può comportarsi così, vuol dire che al governo americano manca il controllo sull’ingegneria genetica e sulla ricerca di biologia sintetica, benché la ricerca sia stata condotta proprio coi fondi del governo.

 

Doppiezza stomachevole

 

Grandi guerre possono scoppiare anche per un banale pretesto, reale o artefatto. Oppure per un evento piuttosto grave ma non tale da giustificare il coinvolgimento di intere popolazioni nazionali.

Era grave l’eccidio di Sarajevo? Sì ma non c’era bisogno di scatenare una guerra mondiale.

Era giusto per i tedeschi rivendicare il possesso di quei territori abitati quasi completamente da germanofoni (come i Sudeti e la Prussia orientale)? Sì ma i Paesi vincitori della I guerra mondiale non ne volevano sapere di ridurre i confini della Polonia, allargando quelli della Germania. Al massimo si potevano ridurre i confini della Cecoslovacchia.

Il fatto è che quando le tensioni che precedono lo scoppio di una guerra covano da tempo, perché con la diplomazia non si è stati capaci di risolverle, si finisce inevitabilmente per rimpiazzare le armi del diritto col diritto delle armi.

In Ucraina, non avendo risolta la questione del Donbass, è successa la stessa cosa. La UE ha difeso uno Stato golpista, terrorista e neonazista, e ora pretende di paragonare Putin a Hitler.

In realtà le parti si sono rovesciate: alla Conferenza di Monaco l’Europa occidentale riconobbe il principio dell’autodeterminazione dei popoli e assegnò i Sudeti ai tedeschi (cioè in sostanza glieli riconsegnò). Oggi invece questo stesso principio lo nega alla Russia nei confronti dei russofoni del Donbass.

 

Tra Socrate e san Paolo

 

Ho l’impressione (mi sbaglierò) che dopo 9 mesi di combattimenti in Ucraina, se c’è ancora qualcuno che sostiene la tesi del Paese aggredito e del Paese aggressore, non possa più trincerarsi dietro la beata innocenza di chi non sa come stanno le cose, ma debba per forza ammettere che sta dalla parte dei neonazisti di Kiev.

A febbraio si poteva anche accettare (al limite) la completa ignoranza sul golpe del 2014, sulla strage di Odessa, sulla guerra civile nel Donbass (che procurò 14.000 morti), sui vari referendum vinti dai filorussi con percentuali vicine all’unanimità, sull’intenzione dei neonazisti di entrare nella NATO e di attaccare la Russia, sulla piena partecipazione dell’occidente a finanziare, armare e addestrare questa banda di criminali, e sulla profonda corruzione degli oligarchi ucraini.

Oggi questa beata innocenza non è più possibile. Le anime belle, che affrontano i problemi in chiave meramente etica o filosofica o, peggio ancora, teologica, sono complici (se vogliamo indirettamente) di un’ideologia e di una pratica politica e militare che è quanto di più aberrante vi possa essere in Europa. Forse l’unica cosa ancora più vergognosa è il culto del neonazismo in nome di una pseudo democrazia.

Posso capire la Boldrini (presidente della Camera) che nel 2017 accoglieva con tutti gli onori Andriy Parubiy, il presidente neonazista del parlamento ucraino. Quella povera donna molto probabilmente non sapeva neanche chi aveva di fronte e che cosa di mostruoso aveva fatto. In fondo gli italiani sono così ingenui e provinciali che si possono anche capire.

Oggi, dopo tutto quello che abbiamo visto fare da questa feccia dell’umanità, dopo le visioni di tanti video di controinformazione reperibili sui canali di Telegram e YouTube, dopo gli studi approfonditi sui testi di Giulietto Chiesa, Manlio Dinucci, Franco Fracassi, Alessandro Orsini, Franco Cardini, Nicolai Lilin, Giorgio Bianchi, Paolo Borgognone, Andrea Gaspardo e altri ancora, non è più possibile dire, come Socrate, “so di non sapere”. Bisogna dire con san Paolo “non faccio ciò che voglio ma ciò che non voglio, e lo faccio consapevolmente. Chi mi libererà da questo corpo di morte?”.

 

Una sana laicità del pensiero

 

A volte si sentono certe espressioni teologiche, in questa guerra dell’occidente contro la Russia, che lasciano perplessi.

Il vice presidente Medvedev anche l’altro giorno ha qualificato il governo di Kiev come “satanista”, cioè come nemico di Cristo e della fede ortodossa. Indirettamente avrebbe paragonato Putin o la Russia a Gesù Cristo liberatore.

Ha usato la stessa terminologia obsoleta del patriarca Kirill, secondo cui Putin è un “combattente contro l’Anticristo”.

Che poi anche Putin dice la stessa cosa. Quando ha annunciato l’annessione del Donbass, ha promesso una ribellione contro l’occidente “satanista”, in riferimento all’ideologia gender propagandata dagli anglosassoni.

Qui stanno venendo al pettine tensioni che solo in parte riguardano la geopolitica: in realtà toccano anche i codici culturali. Sembra che la Russia voglia guidare una resistenza globale all’occidente, come una sorta di crociata anticoloniale per liberare il mondo dall’egoismo e insieme dalla blasfemia.

Anche l’islamico Ramzan Kadyrov, capo politico e militare della Cecenia, ha detto che questa guerra è una “jihad contro l’occidente satanista”.

Lo stesso governo di Kiev perseguita, senza una valida ragione, la Chiesa ortodossa ucraina, fedele al patriarcato moscovita e totalmente estranea all’attività politica.

A volte nei canali di Telegram appaiono espressioni come “liberalismo massonico-satanista”, “agenda transumanista e satanista” (che giustifica l’impianto di microchip nel corpo umano), “élite pedo-satanista” (che giustifica la pedofilia), come anche “mafia sionista-kazara-ashkenazita” (Rockefeller, Rothschild, Soros ecc., che usano le leve del debito per schiavizzare il mondo). Il tutto ovviamente contro il vero cristianesimo, la vera democrazia, il vero socialismo ecc.

Autentici “satanisti” sarebbero Lula da Silva (che avrebbe truccato le elezioni), Klaus Schwab (che per realizzare il Grande Reset metterebbe in preventivo l’estinzione di mezza umanità), Mario Draghi (che protegge solo le grandi imprese, distruggendo tutte le altre) e tanti altri (persino la miniserie natalizia della Disney “Babbo Natale” in onda su Disney+, in cui il “Santa Claus” degli anglofoni verrebbe trasformato in “Satan Claus”).

Siamo a livelli di guerra escatologica o apocalittica, in cui pochi si salverebbero. D’altra parte l’ideologia di fondo del WEF di Klaus Schwab sembra non lasciare alternative per questi cultori dei linguaggi surreali: se Dio è morto, e Gesù è una fake news, e l’uomo non ha un’anima ma è un “animale hackerabile” che può essere sovragestito, e se i leader del WEF hanno acquisito poteri divini per governare l’umanità, allora non resta che una guerra totale.

Quanto mi sento lontano da tutto questo ciarpame mistico non riesco neppure a spiegarlo. Spero solo che se la Russia vincerà il confronto con l’occidente, si affermi anche una sana laicità del pensiero. Altrimenti avremo fatto un passo avanti e due indietro.

 

Di nuovo straparla il fascista Borrell

 

All’Assemblea parlamentare euro-latinoamericana (organismo multilaterale composto da 150 parlamentari di Europa e America Latina) il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha avuto il coraggio di dire che “come gli esploratori e i conquistatori, dobbiamo inventare un Nuovo Mondo”. Cioè in pratica ha difeso la colonizzazione come paradigma geopolitico.

Probabilmente teme i discorsi anticolonialistici di Putin; teme che l’esempio del Brasile, Stato membro del BRICS, possa essere imitato da altri Paesi sudamericani; teme che Russia e Cina possano diventare partner strategici sul piano commerciale e militare dell’intero Sudamerica.

Non è il primo episodio in cui Borrell si lancia in dichiarazioni eurocentriche, razziste, discriminatorie e dal sapore neocolonialista. Nell’ottobre scorso ha definito l’Europa un “giardino” e il resto del mondo come “una giungla”. “La giungla ha una forte capacità di crescita e il muro non sarà mai abbastanza alto per proteggere il giardino”, sono state alcune delle sue becere parole.

Poi è stato costretto a precisare... Ma se ricade così spesso in questo tipo di dichiarazioni, vuol dire che il fascismo ce l’ha nel sangue.

Fonte: lantidiplomatico.it

 

[4] Un Paese fallito

 

Prima ancora che iniziassero i bombardamenti russi alle infrastrutture civili, la Banca Mondiale aveva previsto un calo del PIL ucraino del 35% quest’anno.

Ora quanto sarà? 50%?

Chi ricostruirà l’Ucraina, che già adesso ha il più alto numero di sfollati interni nel mondo? Se la guerra continua, gli attuali 8 milioni di sfollati esterni probabilmente non ritorneranno più, poiché nel frattempo dovranno sistemarsi, sul piano lavorativo, nei Paesi europei che li hanno ospitati.

Come potrà un Paese messo in queste condizioni aspettarsi molti investimenti dall’estero? Persino la Gazprom ha iniziato a metà novembre a ridurre la fornitura di gas, in quanto gli ucraini lo rubano ai moldavi.

La von der Leyen, dall’alto della sua insipienza, ha detto che vanno confiscati i 300 miliardi di dollari della Banca centrale russa per ricostruire l’Ucraina. Una soluzione del genere non solo compatterà tutto il mondo non occidentale contro il dollaro e l’euro, ma non sarà sufficiente per un Paese che è prossimo a spopolarsi proprio a causa della guerra in corso. Se operano un furto del genere, si divideranno il malloppo i neonazisti di Kiev.

 

Che tipo di sicurezza pretendere?

 

Gli statunitensi trasferiscono sul piano militare la stessa concezione di difesa personale che hanno nella vita privata: si sentono più sicuri quanto più sono armati. Di qui la necessità di dotarsi di armi con cui nella vita quotidiana potrebbero compiere orribili stragi di molte persone. Di qui la necessità di creare armi nucleari sempre più sofisticate e potenti.

È un bel modo per ricattare intimidire minacciare tutti gli altri Paesi del mondo. Per loro il Far West non è mai finito.

Siccome poi si sentono forti economicamente, obbligano gli Stati già nuclearizzati a investire enormi capitali per continuare a gareggiare in una corsa senza fine al riarmo.

Solo al tempo di Gorbaciov e Reagan si riuscì a compiere una certa smilitarizzazione nucleare. Passò il principio che in una guerra nucleare non ci potrebbero essere né vinti né vincitori. Inoltre ci si rese conto dell’assurdità di continuare a produrre armi nucleari quando quelle a disposizione erano più che sufficienti per distruggere l’intero pianeta non una ma molte volte. La Russia infine affermò altri due princìpi di fondamentale importanza, che gli USA non hanno mai condiviso: le armi dovrebbero servire per difendersi non per attaccare; uno Stato dovrebbe impegnarsi ufficialmente a non usare mai per primo l’atomica.

Putin ha più volte detto di non volere l’Ucraina dentro la NATO. Ma non può non sapere che qualunque missile nucleare lanciato da una base NATO in Europa potrebbe colpire le principali città russe in pochi minuti. Non esistono missili russi in Messico o a Cuba che potrebbero fare la stessa cosa negli USA.

È difficile pensare che la tensione tra Occidente collettivo e Federazione Russa potrà risolversi dopo la fine della guerra in Ucraina.

Gli USA sono usciti in maniera unilaterale dal Trattato INF, che proibiva l’uso di missili nucleari a raggio intermedio con base a terra, e a Natale “Santa Klaus” ci regalerà le micidiali bombe B61-12, in grado di distruggere i bunker dei missili nucleari russi.

 

I popoli contano qualcosa o no?

 

Alla Conferenza di Monaco del 1938 Francia, Inghilterra e Italia si vantarono di aver scongiurato una nuova guerra mondiale, permettendo alla Germania di annettersi i Sudeti germanofoni, che le potenze vincitrici della I guerra mondiale avevano sottratto all’impero austro-ungarico.

A quella Conferenza il governo cecoslovacco non fu neppure invitato e subito l’URSS di Stalin arrivò a dire che quel Paese era stato pugnalato alle spalle.

In realtà la richiesta dei tedeschi rispondeva all’esigenza dei suddetti germanofoni di tornare a far parte della nazione madre, l’Austria, che in quel momento era stata annessa dalla Germania nazista. Che poi Hitler ne approfittò per occupare tutta la Cecoslovacchia è un altro discorso.

Concentriamoci sui Sudeti, perché somigliano molto al Donbass. Anzitutto i Sudetendeutsche non occupavano tutta l’area dei Sudeti ma solo le fasce di confine della Boemia e della Moravia, anche se a quella Conferenza si permise alla Germania di prendersi tutto il Sudetenland.

Tra tedeschi e boemi i rapporti furono sempre molto tesi, soprattutto per motivi amministrativi e linguistici. Dopo il crollo dell’impero asburgico i cecoslovacchi non vollero riconoscere nulla né all’Austria né ai Sudetendeutsche, neppure l’uso dello strumento del referendum. Stessa sorte subirono le minoranze ungherese, polacca e rutena. Da notare che i germanofoni erano numericamente superiori agli stessi croati.

La provincia dei Sudeti fu fondata autonomamente nel 1918, lo stesso anno in cui fu creata dal Trattato di Versailles la Cecoslovacchia. La stragrande maggioranza dei Sudetendeutsche voleva avvalersi del principio di autodeterminazione dei popoli (previsto anche dai “Quattordici punti” del presidente americano Wilson) allo scopo di annettersi all’Austria tedesca e quindi al Reich hitleriano, ma il trattato di Saint-Germain glielo impedì. Francia e Inghilterra volevano una grande Cecoslovacchia (e una grande Polonia) per penalizzare tutto il mondo germanofono dell’Europa.

Come finì questa storia? Terminata la II guerra mondiale i Sudetendeutsche furono espulsi dai Sudeti (lo furono anche gli ungheresi dalla Croazia). Nel 1993 la Cecoslovacchia si divise, senza spargimento di sangue, in due repubbliche: Cekia e Slovacchia.

Come si può facilmente notare la volontà di potenza degli Stati europei passò sopra quella di autodeterminazione dei popoli.

 

Grazie von der Leyen!

 

I Paesi OPEC+ sarebbero intenzionati a ridurre la produzione globale di petrolio a causa dell’introduzione di un “tetto” sul prezzo delle materie prime russe deciso da G7 e UE.

Il problema sarà discusso dai rappresentanti di 23 Paesi produttori di petrolio guidati da Russia e Arabia Saudita. Se venisse confermata la riduzione della produzione di petrolio, il suo prezzo aumenterebbe in modo significativo. Le decisioni anti-russe sull’acquisto di petrolio rischiano di tradursi quindi in un ulteriore colpo alle economie europee.

 

Dati Banca d’Italia 2004-2021

 

Dopo la Grecia siamo il Paese più indebitato d’Europa. Praticamente dal 2004 al 2021 è passato da 105% sul PIL a 150% (lordo). Al di fuori della UE solo il Giappone ci supera (241%), ma gestisce in proprio la Banca centrale.

La pressione fiscale è passata da 39,2 a 43,4% (sempre in rapporto al PIL). Più alta della nostra ce l’hanno Belgio, Francia, Danimarca, Austria.

Se guardiamo le imposte dirette (in percentuale rispetto al PIL), siamo nella media. Solo la Danimarca ha il doppio di noi: 32,2% contro 15%.

Anche per quelle indirette siamo nella media, ma sarebbe meglio andare a vivere in Irlanda, poiché qui sono la metà delle nostre (6,9% contro 14,5%).

Ma per quanto riguarda i contributi sociali la Danimarca batte tutti: 0,8% contro il nostro 13,7%. Molto bassi anche in Svezia (3,4%) e Irlanda (4%).

In Irlanda è come se ti dicessero: ti metto poche tasse, ma se vuoi avere delle garanzie ti devi arrangiare.

Quello che ammazza il nostro Stato è la spesa sugli interessi: rispetto alla media europea paghiamo il triplo in più.

Se guardiamo poi i redditi da lavoro vien da piangere: rispetto al 2004 (10,4%) siamo calati (9,9%). Consoliamoci che Germania, Irlanda, Paesi Bassi son messi peggio.

 

[5] NATO disperata

 

James Stavridis, ammiraglio degli Stati Uniti in pensione ed ex comandante militare supremo della NATO in Europa, afferma che i leader della NATO stanno valutando la possibilità di fornire aerei da combattimento avanzati all’Ucraina. Gli F-16 non mancano agli USA e i MIG-29 sono già pronti all’uso in Polonia.

Secondo Stavridis, entrambi i modelli sono facili da imparare per i piloti ucraini.

L’ex ammiraglio è anche convinto che la NATO alla fine accetterà la richiesta del presidente Zelensky di chiudere lo spazio aereo del Paese e fornire assistenza con un gran numero di sistemi missilistici avanzati, ivi incluso il sistema robotico antiaereo israeliano Iron Dome.

Stavridis non cita alcuna fonte. Sappiamo solo che finora l’occidente si è rifiutato di consegnare aerei da combattimento, poiché non può prevedere la risposta della Russia.

Stavridis ritiene inoltre che senza controllo dei cieli l’Ucraina non potrà mai vincere.

Fonte: nyadagbladet.se

 

Somme favolose

 

Muhammadu Buhari, presidente nigeriano, durante il 16° Summit dei Capi di Stato della Commissione per il Bacino del Lago Ciad, ospitato nella capitale nigeriana Abuja, ha accusato l’Ucraina di trafficare le armi ricevute gratuitamente dall’occidente nei Paesi del bacino del lago, alimentando la criminalità organizzata e il terrorismo nella regione (Boko Haram e ISIS).

Per questo motivo il presidente nigeriano ha accettato d’intensificare il coordinamento militare coi leader di Benin, Ciad, Niger e Repubblica Centrafricana.

A quanto pare l’occidente non ha assolutamente alcun controllo sul destino delle armi che fornisce all’Ucraina. Fucili, ATGM e MANPADS entrano liberamente in Medio Oriente, Africa e persino in Europa. La giunta di Kiev sta guadagnando somme favolose.

 

Ci risiamo con le etnie non rispettate

 

Lunedì sono scoppiati violenti scontri a Salonicco tra oltre mille manifestanti di etnia rom, armati di sassi e bottiglie molotov, e la polizia in assetto antisommossa che ha risposto con gas lacrimogeni e granate stordenti.

Motivo della protesta è stato il ferimento del 16enne rom Kostas Fragoulis, da parte di un agente di polizia in motocicletta, dopo un rocambolesco inseguimento.

Il giovane, reo di non aver pagato un rifornimento di gasolio di 20 euro, è attualmente ricoverato in ospedale in condizioni critiche, con una ferita da proiettile alla testa.

Nel 2021 un altro giovane rom è stato ucciso vicino al porto del Pireo, sempre durante un inseguimento della polizia, dando vita, anche in quel caso, a violenti scontri tra la comunità rom e le forze dell’ordine.

La questione dei Rom in Grecia, che rappresentano il 2,47% della popolazione totale, rimane tuttora controversa, a causa soprattutto della convinzione popolare che li vuole colpevoli dei più disparati reati, come furti, rapine e traffico di droga.

Questo stigma deriva anche da un vero e proprio razzismo in divisa, che discrimina e isola questa etnia, costringendola a vivere di sotterfugi e criminalità.

Dieci anni dopo la crisi, a cui è seguita la depredazione selvaggia degli speculatori globalisti, i Rom in Grecia devono ancora affrontare la povertà estrema.

Un recente e sconcertante rapporto ha mostrato che, mentre circa il 20% della popolazione greca in generale è a rischio di povertà, lo stesso vale per quasi il 100% dei Rom greci.

 

Deterrenza nucleare

 

Questa notte le forze armate ucraine hanno bombardato l’aeroporto militare di Engels, in Russia, nella regione di Saratov, a 600 km dalla linea di contatto più vicina, dove sono presenti bombardieri strategici nucleari Tu160 e Tu95 delle forze aerospaziali.

Probabile l’impiego di un drone a lunga percorrenza da parte di Kiev, che proprio ieri aveva annunciato la realizzazione di un drone pesante da 1.000 km di autonomia.

Un attacco deliberato a un sito nucleare mina la capacità della deterrenza di evitare un’escalation atomica, per due ragioni:

- i vertici NATO possono pensare che la capacità nucleare di risposta della Russia sia insufficiente, quindi che una guerra atomica possa essere vinta;

- la possibilità che la Russia utilizzi armi nucleari potrebbe essere considerata un bluff, quindi sottostimata.

Stiamo parlando di quella che di fatto è parte integrante della triade nucleare di Mosca, insieme a missili balistici intercontinentali terrestri e incrociatori nucleari sottomarini che trasportano missili balistici intercontinentali.

In teoria si potrebbero addirittura considerare, secondo la dottrina di deterrenza nucleare russa, attacchi capaci di "legittimare" l’uso dell’atomica.

Nelle prossime ore in Ucraina sarà di nuovo l’inferno.

 

[6] Gli ungheresi non sopportano Kiev

 

Forse pochi sanno che l’Ungheria ha assunto una posizione indipendente sull’Ucraina perché non sopporta il governo di Kiev sin dal 2014, anno del golpe. Infatti il governo nazionalista e neonazista non discriminava solo la minoranza russa ma anche quella ungherese (e non solo queste due ovviamente). La comunità consta di circa 156.000 persone, che vivono nel sud-ovest dell’Ucraina, in Transcarpazia. Tra le varie discriminazioni subite sono stati privati del diritto di ricevere un’istruzione nella loro lingua madre.

Il ministro delle finanze ungherese, Mihaly Varga, ha bloccato un pacchetto di prestiti agevolati da 18 miliardi di euro per l’Ucraina.

Budapest sta rischiando di non ricevere i 7,5 miliardi di euro di fondi promessi dalla UE. Formalmente perché non ha approvato una serie di riforme in 17 punti, nonché una nuova aliquota fiscale globale del 15% per le grandi società. Ma lo scontro è anche sul concetto di “Stato di diritto”.

Nella sostanza invece gli statisti europei odiano il governo di Orbán, perché ha rifiutato di ridurre le forniture di energia dalla Russia e ha rifiutato di consentire alla NATO di inviare attrezzature militari in Ucraina attraverso il suo territorio. Inoltre Orbán ha chiesto una revisione delle sanzioni anti-russe, affermando che la crisi energetica dell’Europa dovrebbe essere affrontata “rapidamente” per evitare che la sua base industriale scompaia. Infatti il conflitto in corso colpisce l’Unione Europea e gli Stati Uniti in modi molto diversi. Il che è evidente: la UE è un acquirente di gas e petrolio, mentre gli USA sono un produttore.

Queste cose le capisce anche un bambino.

 

Hai voglia a trattare con questa gente

 

I simboli della divisione SS “Galizia” non sono nazisti. Questa la  decisione presa dalla Corte Suprema dell’Ucraina. L’ha annunciato l’avvocato Vyacheslav Yakubenko, che rappresenta gli interessi dell’Istituto ucraino di memoria nazionale. La Corte Suprema ha posto fine alla lunga epopea giudiziaria, iniziata 5 anni fa da sostenitori del mondo russo.

La 14ma divisione Waffen Grenadier SS “Galizia” faceva parte delle truppe naziste. Era stata formata da nazionalisti ucraini nel 1943, e nell’aprile 1945 fu riformata e formalmente inclusa nell’Esercito Nazionale Ucraino, subordinato al Comitato Nazionale Ucraino. Come noto era stata coinvolta in operazioni punitive e massacri di civili.

Ecco uno pensa che dietro le menzogne dell’Ucraina ci sia solo il governo. Sbagliato: ci sono tutte le istituzioni politiche, amministrative e giudiziarie.

Fare la pace sarà impossibile, se non dopo una resa incondizionata.

 

Trave o pagliuzza?

Come faremo a liberarci degli statisti europei che in questa guerra ucraina si sono comportati nella maniera più vergognosa possibile?

Non potremo usare la trave, dovremo per forza usare la pagliuzza. E in genere le pagliuzze riguardano gli scandali sessuali, i conflitti d’interesse, la corruzione economica...

Tutte cose che in occidente vengono affidate alla magistratura, che ci mette i suoi tempi.

Statisti a rischio sono Biden, Macron, von der Leyen, Scholz... Nel calderone ci metterei anche Draghi, che ha devastato la nostra economia.

 

Follia della Osmani

 

La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, ha dichiarato, prima dell’inizio del vertice UE a Tirana, che alla fine di quest’anno si candideranno per entrare nella UE.

Questa deve essere impazzita completamente. Il Kosovo è sotto amministrazione provvisoria (ad interim) da parte dell’ONU, decisa il 10 giugno 1999 dal Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 1244. Cioè non è uno Stato indipendente. E Osmani pretende che la Serbia riconosca l’indipendenza del Kosovo: cosa che non farà mai, perché il Kosovo è la culla della cultura serba.

È chiaramente una provocazione da parte degli statisti europei per creare un nuovo focolaio di tensione. La stessa von der Leyen ha voluto assicurare la Osmani che la UE invierà 75,3 milioni di dollari in sostegno finanziario al Kosovo per mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia. Ha poi invitato il Kosovo a partecipare al piano europeo di appalti congiunti per gli acquisti di gas. Non è strano, visto che il Kosovo potrebbe acquistare dalla Serbia tutto il gas e il petrolio che vuole, non avendo la Serbia aderito alle sanzioni antirusse? Invece l’ideologica von der Leyen odia a morte la Serbia e non le permetterà mai di entrare nella UE.

Questa povera pazza scriteriata si è scordata di dire che dal 1999 ad oggi la UE è sempre stata divisa sull’opportunità di riconoscere un Kosovo indipendente, senza l’approvazione internazionale e serba.

Intanto la NATO ha assicurato pieno sostegno per la ripresa delle provocazioni contro la popolazione serba sulla questione delle targhe automobilistiche e sui passaporti serbi.

Insomma prepariamoci a una Ucraina bis.

 

[7] Si può fare di più

 

La formula delle relazioni bilaterali tra Cina e Arabia Saudita abbiamo capito qual è, altrimenti Xi Jinping non si sarebbe recato di persona a Riyadh.

I pilastri politici sono i seguenti: il rispetto per la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale; la non interferenza negli affari interni reciproci.

Al momento l’Arabia Saudita (ma anche altri Paesi del Golfo) dipendono dalla tecnologia militare americana, che la Cina non sarebbe in grado di sostituire facilmente.

Questo però non ha impedito all’Arabia Saudita (e ad altri Paesi del Golfo) di avvicinarsi a Pechino per cooperare nel commercio, nella tecnologia e persino nella tecnologia dei missili balistici e dei droni armati. Ormai gli USA sono sempre più emarginati, al punto che persino le transazioni petrolifere saranno presto condotte tramite le valute nazionali cino-saudite.

L’Arabia Saudita è in cima alla lista delle destinazioni degli investimenti esteri cinesi annunciati nella regione del Golfo negli ultimi 20 anni. Questo perché, mentre l’Arabia Saudita è il principale fornitore di greggio della Cina, quest’ultima invece è il principale partner commerciale del regno. La tecnologia 5G di Huawei, odiatissima dagli USA, è una vera tentazione per Riyadh.

Tuttavia per me il vero problema è un altro.

Tra i princìpi politici fondamentali ne manca uno: il rispetto delle minoranze etnico-linguistiche, anticamera di un altro importante principio, quello sull’autodeterminazione dei popoli.

Parlare, a priori, di non interferenza negli affari interni reciproci, può essere un incentivo a non rispettare alcun diritto.

Avrei preferito tra i due Stati una sorta di patto etico-giuridico simile alla dichiarazione d’intenti che Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi firmarono nel 1986.

 

Pecunia non olet

 

Josep Borrell, capo della politica estera dell’UE, sta attualmente riscuotendo una pensione da un fondo pensione volontario del Parlamento europeo, che ha un debito di circa 400 milioni di euro (e continua a crescere) e potrebbe richiedere un salvataggio da parte dei contribuenti in un momento in cui l’inflazione e gli alti costi energetici stanno colpendo molti europei.

Il 75enne socialista ha diritto ai pagamenti della pensione, che si aggiungono al suo stipendio mensile di ben oltre 20.000 euro, esclusi i benefici.

Le persone che hanno aderito al regime erano deputati al Parlamento europeo prima del 2009 e hanno dovuto pagare solo per due anni prima di ottenere la pensione (che viene data dopo i 65 anni). Da notare che anche i vedovi e gli orfani riceveranno i pagamenti.

Tali pagamenti sono stati detratti da una controversa indennità mensile di spesa, che il Parlamento europeo ha poi integrato con un contributo di due terzi. Il tutto è stato poi gestito da un fondo d’investimento lussemburghese, che non dirà mai niente sulla sua gestione.

Almeno 872 persone dovrebbero ricevere una pensione dal fondo entro il 2024. Ma si pensa che il fondo dovrebbe fallire tra il 2024 (anno delle elezioni europee) e il 2026.

Qui vien da chiedersi: questa UE ha ancora un senso? O è solo una slot machine succhia soldi? Ed è normale che un socialista si comporti in questa maniera?

È che di fronte ai soldi si è tutti uguali: al fondo pensione aderirono infatti anche i nazionalisti francesi di destra anti-UE Marine Le Pen e suo padre, Jean-Marie. E pure Nigel Farage, che ha contribuito a far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea. Da noi l’ha fatto Antonio Tajani.

Fonte: euobserver.com

 

Violenza e memoria

 

Ieri sera ho rivisto un discreto film di Coppola del 1997, L’uomo della pioggia, che ho reinterpretato in una delle sue storie.

Una donna veniva continuamente e pesantemente malmenata dal marito, che sembrava un pazzo scatenato. Ma lei non si decideva a denunciarlo perché temeva d’essere ammazzata. In ospedale incontra un avvocato che le propone di chiedere almeno il divorzio. Proprio mentre stanno facendo le valigie in casa di lei, si presenta suo marito con in mano una mazza da baseball. Nasce una furibonda colluttazione, in cui ha la peggio l’energumeno. Però per non rovinare la carriera all’avvocato, lei gli dice di andarsene, dopodiché è lei che dà il colpo di grazia al marito con la stessa mazza.

Quando la polizia va ad arrestarla, il padre del marito gliene dice di tutti i colori e anche lui quasi vorrebbe malmenarla. Al processo però il giudice l’assolve per legittima difesa.

Ora provate a fare queste associazioni: il pazzo scatenato è l’ucraino neonazista, la moglie è l’ucraina filorussa, l’avvocato è il russo, l’occidente è il padre dell’energumeno.

Capite che la storia dell’Ucraina non nasce il 24 febbraio? In occidente alcuni sembrano averlo capito, ma continuano a parlare di Paese aggredito e Paese aggressore.

Il fatto è che in occidente non diamo nessun peso alla storia. Noi viviamo nel presente e consideriamo positivamente solo le civiltà che nel passato ci somigliavano, e ci immaginiamo un futuro non molto diverso dal presente, ad eccezione naturalmente per gli aspetti tecno-scientifici, nei confronti dei quali nutriamo un culto di tipo religioso.

E siccome siamo orgogliosi dei nostri successi economici, non ammetteremo mai di esserci sbagliati nella nostra schematica narrativa di vittima e carnefice. Ci vorrà un secolo prima di riprendere i rapporti con la Russia.

Il problema di fondo è che noi occidentali non riconosciamo i concetti di etnia o di minoranza, altrimenti avremmo capito subito che il governo di Kiev era l’aggressore. Per noi etnia o minoranza linguistica sono solo entità strumentalizzabili e comunque vanno tenute debitamente ai margini della società.

Insomma la violenza è una brutta bestia ma l’assenza di memoria è peggio. E non a caso marciano sempre in coppia.

 

[8] L’ideologia calvinista

 

Da dove viene agli statunitensi questa furia omicida che hanno a livello nazionale e internazionale? Viene dal calvinismo, cioè dalla corrente borghese più estremista del protestantesimo.

Come noto il capitalismo è nato nei Comuni cattolici italiani del Mille. Quello di cui parla Marx è il capitalismo industriale inglese del XVI sec., che si formò grazie agli influssi di quello olandese.

Esiste una mostruosa linea di continuità che praticamente attraversa un intero millennio.

L’ideologia religiosa, prima cattolica, poi protestante, è servita per giustificare una pratica aberrante: quella di sfruttare il lavoro non di persone giuridicamente schiave, come si era fatto dal tempo degli Egizi e degli Assiro-Babilonesi sino al crollo dell’impero romano d’occidente, ma di persone giuridicamente libere.

La mostruosità che la borghesia ha inventato (cui nessuno nel periodo schiavistico era arrivato) è stata proprio quella di poter sfruttare il lavoratore come uno schiavo, pur riconoscendogli una formale libertà giuridica. Un’operazione del genere senza un uso strumentale del cristianesimo sarebbe stata impossibile.

Ebbene il calvinismo, che arrivò negli USA coi Padri Pellegrini (1620), aveva già trionfato in Europa in varie maniere: in Francia dietro la facciata del gallicanesimo (un tipo di cattolicesimo politico totalmente privo di etica); in Inghilterra dietro la facciata dell’anglicanesimo (che del cattolicesimo conserva solo alcuni aspetti rituali); in Olanda confondendosi con l’ebraismo, molto presente in quel Paese a causa delle persecuzioni subite nella penisola iberica; in Svizzera, dove il calvinismo ha giustificato di tutto: il prestito a interesse, l’usura, il segreto bancario, il culto idolatrico del lavoro che produce ricchezza, il culto del denaro, l’individualismo basato sulla convinzione d’essere protetti da Dio (cui gli USA aggiunsero la missione di dover diffondere al mondo intero questa esclusività mistica, basata sulla formale democrazia parlamentare e sulla retorica dei diritti umani) e altre perle del genere.

Chi viene impedito dal realizzare i propri obiettivi di successo o il proprio senso della giustizia, è facile che si trasformi in un “giustiziere della notte” (un argomento che troviamo in tantissimi film americani). Oggi il giustiziere è lo Stato in persona (che svolge una funzione sia politica che religiosa), con tutti i suoi apparati repressivi, la pena di morte, il carcere a vita, le confessioni estorte prima del processo, la facile privazione della libertà (a meno che non si sia in grado di pagare una cauzione  e di avere un avvocato), la violazione impunita della privacy, ecc. Il calvinismo ha molti aspetti del Vecchio Testamento, in cui la legge del taglione era la regola.

Perché il calvinismo ha trovato negli USA il terreno più fertile per impiantarsi e diffondersi? Perché qui mancavano i due ostacoli principali: cattolicesimo e luteranesimo (quest’ultimo trionfò soltanto in Germania e nei Paesi scandinavi). Inoltre i calvinisti americani avevano una netta superiorità a livello di narrazione ideologica e di strumentazione bellica, per cui gli indiani poterono essere sterminati in massa senza grandi difficoltà.

Tuttavia il calvinismo è così individualistico che per sopravvivere come stile di vita ha bisogno di risorse illimitate, e quando non le trova a livello nazionale, le va a cercare all’estero, senza preoccuparsi eccessivamente dei mezzi da usare e delle conseguenze che può provocare.[13]

 

Pensare prima di parlare

 

Il recente premio Nobel per la pace, Irina Scherbakova, non crede a una soluzione diplomatica del conflitto tra Russia e Ucraina. “Finché Putin sarà al potere, l’unica soluzione possibile sarà militare”, ha detto la confodatrice dell’organizzazione russa per i diritti umani Memorial. “La diplomazia? Potrà parlare solo quando l’Ucraina riterrà di aver vinto sul campo e potrà stabilire le sue condizioni”. “Uno scenario che – secondo la pluripremiata storica russa – sarà tuttavia possibile soltanto quando Putin lascerà le redini della Russia. La guerra ha cambiato troppe cose. Nulla tornerà come prima”. Sembra parlare come se fosse la portavoce personale di Zelensky.

Ora, a parte che l’ONG Memorial è stata identificata dal Cremlino come “agente straniero” ed è stata quindi ufficialmente bandita, qui quello che stupisce di più è che una storica russa, premio Nobel per la pace, chieda di scendere a trattative solo dopo che gli ucraini avranno la certezza di aver vinto la guerra sul campo, e solo dopo che Putin avrà rassegnato le dimissioni da presidente della Federazione.

Questa non è in grado di capire neppure l’ABC della diplomazia. Le trattative si possono intavolare quando le condizioni che entrambe le parti pongono sono sufficientemente credibili, accettabili o praticabili. E fino adesso quelle del governo di Kiev sono state di un’assurdità totale, soprattutto là dove pretende la restituzione del Donbass e della Crimea.

Paradossalmente son proprio i russi a pensare che di fronte a un atteggiamento così irresponsabile, la fine della guerra potrà essere decisa solo sul campo. E, considerando il quantitativo di riservisti già mobilitati (300.000), che è una prima tranche del milione previsto, e considerando la totale devastazione delle infrastrutture che garantiscono ai civili luce, gas e acqua, si ha la netta impressione che Mosca punti a una resa incondizionata. Se andiamo avanti così, non ci sarà nessuna trattativa, ma per motivi opposti a quelli indicati dalla Scherbakova, che dovrebbe anche evitare di dire che gli appelli alla pace sono “infantili”. Nessun appello lo è, a meno che non venga fatto all’interno della retorica manichea, ormai piuttosto stucchevole, del Paese aggredito e del Paese aggressore.

Fonte: it.euronews.com

 

[9] L’idealismo di Putin

 

Pare che Putin abbia detto che accettare l’accordo di Minsk sia stato un errore che non avrebbe ripetuto. In che senso?

Nel senso che il suo parlamento gli aveva chiesto di usare la forza nei confronti del governo di Kiev che aveva scatenato una guerra civile nel Donbass. Invece lui si limitò a prendere atto del risultato del referendum della Crimea nel 2014 e non diede peso agli analoghi referendum delle due repubbliche autonomiste. Pensò che gli Accordi di Minsk sarebbero stati sufficienti per garantire l’autonomia ai filorussi.

Questo dimostra che Putin è un moderato che crede nel valore della parola scritta, soprattutto quella sottoscritta da istituzioni di prestigio, come p.es. i governi degli Stati o l’ONU. Cosa che invece per gli occidentali ha importanza solo sulla base di convenienze di volta in volta mutevoli.

Chi conosce la Russia dovrebbe sapere che spesso i suoi presidenti sono degli idealisti, persone di altri tempi, che in occidente non esistono più da un pezzo. Non vogliono passare alla storia come dei soggetti cinici e crudeli. E tanto meno vogliono assomigliare ai presidenti statunitensi, che per non apparire cinici e crudeli, si fingono umani e democratici.

Io penso che Putin passerà alla storia e la storia gli darà ragione quando non ascoltò gli estremisti russi che lo criticavano d’essersi fidato delle promesse di Francia e Germania, che si erano fatte garanti dell’attuazione degli Accordi di Minsk. Nel 2014-15 nessuno poteva immaginare che queste due grandi nazioni europee sarebbero state caratterizzate da un voltafaccia così clamoroso.

Anche Zelensky passerà alla storia, ma come il peggior presidente che l’Ucraina abbia mai avuto.

 

L’ipocrisia di Kiev sostenuta a ovest

 

Nel maggio del 2022 Poroshenko ha dichiarato al “Financial Times” che l’Ucraina non aveva forze armate adeguate e che il grande risultato diplomatico dell’accordo di Minsk era stato uno solo: “tenere la Russia lontana dai nostri confini e dare a noi il tempo per costruire un nostro esercito”.

Naturalmente non ha precisato che senza l’aiuto finanziario e militare dell’occidente non avrebbero potuto far nulla, altrimenti avrebbe dovuto dar ragione a Putin quando diceva che l’Ucraina era già di fatto in mano agli americani.

Inoltre quel volgare neonazista di Poroshenko, che detesta qualunque trattato diplomatico coi russi e che ha voluto togliere ai russofoni persino il diritto di usare la propria lingua, può rilasciare tali dichiarazioni solo perché sa che, finita la guerra, si godrà in qualche isola felice il suo ingente patrimonio da oligarca. Ha già tentato due volte di fuggire dal suo Paese, passando per la frontiera polacca, ma l’hanno sempre arrestato. Ora il tribunale gli ha intimato di non espatriare, chiedendogli come cauzione 35,7 milioni di dollari.

Il vero obiettivo del governo di Kiev era però un altro: occupare militarmente le due repubbliche autonomiste del Donbass e cacciare i russi dalla Crimea con l’aiuto della NATO. Un obiettivo che l’occidente ha sempre negato, anche per evitare di giustificare l’operazione militare speciale voluta da Putin. Un obiettivo che se si fosse davvero realizzato, avrebbe trasformato l’Ucraina in una mera colonia degli USA e della UE, come oggi sono, sul piano economico, tutti i Paesi dell’ex URSS.

Ancora oggi i neonazisti accusano la Russia di non aver mai ritirato le sue truppe dalle due repubbliche di Luhansk e Donetsk: truppe più che altro simboliche e volte a verificare il rispetto degli Accordi di Minsk. In effetti la Russia avrebbe dovuto ritirare tutti i suoi militari dal Donbass, ma solo se il governo di Kiev avesse approvato una legge che garantisse l’autonomia delle due repubbliche. Cosa che però non ha mai fatto.

 

Qualcuno deve salvarsi la faccia

 

Il rifiuto di Zelensky di trattare con Putin è ormai diventata una sua questione personale, che lo sta facendo sragionare. Al G-20 di Bali ha escluso a priori che possa ripetersi un accordo in stile Minsk coi suoi attuali nemici.

Anche Putin dice la stessa cosa ma non per motivi personali. Ormai il Donbass è entrato de jure e de facto nella Federazione e indietro non si torna. Inoltre l’intera NATO (esclusa Ungheria e Turchia) è contro la Russia. Parlare di nuovi accordi di Minsk sarebbe ridicolo per tutti. Ma questo non vuol dire che Putin sia contrario a una trattativa con Zelensky. È Zelensky, che essendo una pedina della NATO, non potrebbe mai parteciparvi liberamente. Le stesse parole relative al rifiuto aprioristico di trattare con Putin, gli sono state suggerite dietro le quinte. Lui di suo non dice proprio nulla. Non è nelle condizioni di farlo, neanche se volesse.

E pensare che proprio i due Accordi di Minsk erano stati la migliore soluzione diplomatica alla crisi. Mediati da Francia e Germania, concordati tra Ucraina e Russia e accettati da Stati Uniti e Nazioni Unite, avevano lo scopo di restituire pacificamente all’Ucraina le due repubbliche del Donbass contrarie al golpe, accordando loro, però, una piena autonomia. La prospettiva della neutralità e la questione dell’adesione alla NATO avrebbero dovuto essere esaminate in un secondo momento.

I neonazisti di Kiev volevano però riprendersi tutto con la forza, convinti che potessero farlo grazie all’appoggio della NATO. Ma le cose si sono messe molto male. Siamo in presenza di un’autentica tragedia nazionale.

Ora l’occidente collettivo, per salvarsi la faccia (di bronzo), sarà costretto a considerare Zelensky unico responsabile di tutti gli errori compiuti nel passato e nel presente: il mancato rispetto degli Accordi di Minsk, il fallimento economico del Paese, la mancata lotta contro gli oligarchi e la grande corruzione del Paese, il miraggio di poter entrare nella UE secondo un percorso privilegiato, la sconfitta militare nella guerra contro la Russia, l’illusione di poter essere aiutati ad libitum, sul piano militare, pur non facendo parte della NATO, la falsa aspettativa che le sanzioni economiche e finanziarie avrebbero destabilizzato l’intera Federazione Russa, l’idea bislacca di poter sottoporre Putin a un tribunale penale internazionale e altre cose del genere, cui Zelensky, nella sua ingenuità di attore comico avido di successo facile, non avrebbe mai potuto pensare senza una regia che lo manovrasse. Chissà se gli permetteranno di scrivere un libro in cui chiarirà tutti i retroscena, in cui rifiuterà di accollarsi tutte le colpe storiche del disastro del suo Paese.

Di sicuro, e al momento, più la guerra si metterà male per gli ucraini e più gli USA daranno la colpa a Zelensky di non voler trattare. Apoteosi dell’ipocrisia. Zelensky verrà travolto dalla sua stessa limitatezza mentale, dalla sua ingordigia sul piano finanziario e megalomania su quello politico. Ha voluto assumere il ruolo dello schiacciasassi, ma sta per essere asfaltato come il bitume che nelle strade copre le buche.

 

Che succede in Perù?

 

Il tentativo del presidente della repubblica peruviana, Pedro Castillo, d’impedire un golpe legislativo, sciogliendo il Congresso (la cui opposizione di destra gli impediva di varare riforme socio-economiche), ha provocato il suo arresto. Il Congresso ha un indice di disapprovazione dell’85% tra la popolazione. Non a caso il suo attuale presidente è un ex militare che, durante i 20 anni della guerra civile, si era occupato di ammazzare i contadini. Il Procuratore generale del Paese è invece un esponente della mafia che difende i narcotrafficanti. Quindi non è del tutto sbagliata la definizione del Perù come “Narcostato”.

Insegnante da 24 anni in una scuola rurale, Castillo era salito alla ribalta per aver guidato uno sciopero sindacale nazionale nel 2017.

Aveva vinto le elezioni del giugno 2021 con un programma chiaramente di sinistra, contro l’esponente di destra Keiko Fujimori, la figlia accusata di corruzione dell’ex presidente Alberto Fujimori, che nel 2009 era stato condannato a 25 anni di carcere per crimini contro l’umanità ai sensi del diritto internazionale. La maggior parte delle sue vittime erano comunisti, sindacalisti e contadini che subirono esecuzioni extragiudiziali, torture, sparizioni forzate e rapimenti. Alberto è stato rilasciato in modo controverso all’inizio di quest’anno.

Prima dell’attuale golpe Castillo aveva già dovuto affrontare, contro di lui, tre tentativi di impeachment, sei indagini per “incapacità morale” di esercitare il potere e cinque rimpasti di governo. La destra è molto forte in Perù (anche perché molto sostenuta dagli USA) e si avvale di una Costituzione che ha dell’incredibile: è consentito di avviare procedimenti di impeachment contro un presidente sulla base di presunti illeciti morali o politici piuttosto che legali, rendendo gli impeachment una prassi normale. In questa maniera basta pochissimo per essere accusati di indegnità morale o incapacità politica: non a caso Castillo è stato il terzo presidente dal 2018 ad essere estromesso dal potere. Il Perù non è estraneo all’instabilità politica: ha avuto tre diversi presidenti in cinque giorni nel 2020, e ora è al suo sesto presidente dal 2016. Per queste ragioni Castillo voleva modificare la Costituzione, anche perché vincere come presidente di sinistra, ma essere controllato in tutto e per tutto da un’opposizione di destra, non ha senso. Il suo partito, Perù Libero, aveva solo 37 seggi su 130 al Congresso. Nel 2020 neanche uno.

L’attuale vicepresidente Dina Boluarte, un avvocato di 60 anni, ha prestato giuramento come prima donna presidente del Perù poche ore dopo che Castillo ha tentato di sciogliere il Congresso: deve concludere il resto del mandato di Castillo fino al 2026 e non è obbligata a indire elezioni anticipate. Era già stata espulsa dal partito Perù Libero per divergenze politiche.

Insomma fanno coincidere etica e politica, rendendo letteralmente impossibile governare. La stessa Boluarte gestiva un club privato mentre era ministra dello Sviluppo e dell’Inclusione Sociale nel governo di Castillo. Si era poi dimessa da questo incarico ma non da quello di vicepresidente.

In ogni caso questa destituzione sembra somigliare a quella di Viktor Janukovyč in Ucraina: quindi prepariamoci al peggio. Questa volta dovranno stare molto attenti a non ledere gli interessi dei cinesi, perché in Perù la Cina è ovunque. Già oggi, grazie al porto di Chancay, la Cina finirà col distribuire le sue merci in tutto il Sudamerica.

 

[10] Un’altra ipocrita di prestigio

 

Le ultime dichiarazioni della Merkel sugli accordi di Minsk sono state un colpo al cuore all’idealista Putin. Lui, sempre attento a pesare le parole che dice, si è limitato a definirle “deludenti”, ma avrebbe dovuto usare l’aggettivo “false”.

Probabilmente l’atteggiamento di questi sepolcri imbiancati lo convincerà ancora di più a troncare in futuro qualunque rapporto con gli occidentali. Ne andrebbe della sua dignità personale. Infatti sono frasi che forniscono un assist notevole a quegli estremisti che in patria avrebbero voluto che Putin occupasse l’intero Donbass o dichiarasse guerra a Kiev sin dal 2014, quando ancora l’esercito ucraino era in fasce. La Russia si sarebbe risparmiata migliaia di combattenti morti e feriti.

Ma cos’ha detto la Merkel di così “deludente”? Ha detto (sul quotidiano “Die Zeit”) che gli accordi di Minsk del 2015 sono stati “un tentativo di dare tempo all’Ucraina”. Tempo per cosa? Per riempirsi d’armi e per addestrare l’esercito. Quindi non per risolvere il conflitto nel Donbass.

Il bello è che di questi accordi i mediatori di Francia (con Hollande) e Germania (con Merkel) ne hanno sottoscritti due. Perché dunque mentire su due intenzioni di pace? È probabile che la Merkel l’abbia fatto perché non vuole essere accusata di ignavia. Di fatto sia la Germania che la Francia non fecero assolutamente nulla per verificare che quegli accordi venissero rispettati alla lettera. E così, piuttosto che apparire indifferente, preferisce apparire ipocrita, ben sapendo che in occidente questo atteggiamento viene considerato in politica un’astuzia di tipo machiavellico. Per i russi invece, che in questo somigliano ai nativi americani, si è in presenza di una “lingua biforcuta”, di cui a priori è meglio non fidarsi.

Lo stesso Hollande ebbe a dire: “Dobbiamo asfissiare l’economia russa e mettere la massima pressione su Putin, perché ragiona solo in termini di rapporti di forza”. Poi per forza Putin è stato costretto ad affermare che alla Russia non è stata lasciata scelta per risolvere il problema del Donbass.

Insomma se Putin per l’occidente è un delinquente, bisognerebbe anche ammettere che chi lo ha istigato a delinquere è infinitamente peggio di lui.

No, non sono solo i russi che non si meritano d’essere trattati così; siamo anche noi occidentali che non ci meritiamo la loro amicizia e il loro rispetto.

 

Bambini e prostitute

 

L’occidente è infetto da un virus infinitamente più pericoloso dell’ultimo che ha scatenato la nota pandemia: è il virus dell’ipocrisia.

Dev’essere un virus di una forza straordinaria, perché colpisce la quasi totalità di chi fa politica, soprattutto di chi detiene ruoli di responsabilità. Ma lo si trova ovunque, anche in chi si limita a fare affari, ad amministrare questi affari, a insegnare come farli ecc. È il virus della borghesia, la cui origine risale ai Comuni italiani del Mille. Quella borghesia che, a differenza di tutte le borghesie precedenti o coeve, ha fatto nascere il modo di produzione capitalistico e lo ha esportato in tutto il mondo.

Coinvolgendo persone geograficamente lontanissime, che non si sono neppure mai viste né conosciute, questo virus ha dimostrato di provenire da un ceppo unico di tipo non tanto politico quanto piuttosto culturale. Oggi è così diffuso a livello planetario che, per eliminarlo, non servirebbe a nulla isolare il focolaio da cui è partito. Ci vuole un atteggiamento culturale antivirale che riguardi il mondo intero, cioè che coinvolga la responsabilità di ogni cittadino.

Ci vuole un atteggiamento che sul piano umano sia il contrario dell’ipocrisia. Dobbiamo creare una cultura basata sulla sincerità, sull’onestà di fondo, sulla coerenza tra il dire e il fare, sulla limpidezza delle intenzioni, dei pensieri, che eviti i meccanismi contorti dei secondi fini.

Nei vangeli, che pur sono un’enorme falsificazione di ciò che disse e fece il loro personaggio principale, vi sono affermazioni che in maniera eloquente ci fanno capire quanto l’ipocrisia (cioè la doppiezza, il non voler ammettere l’evidenza, il ragionare basato unicamente su un’interesse personale o del gruppo cui si appartiene, ecc.) sia un male assoluto, in grado d’infettare l’intero organismo. Eccone due: “Le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli”; “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.

Appendice

 

 

 

La Dichiarazione di Nuova Delhi del 27 novembre 1986

 

È difficile incontrare una dichiarazione a favore della pace superiore a quella firmata da Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi. Forse bisognerebbe rivolgersi ai vangeli. Di sicuro se in occidente l’avessero messa in pratica, non solo la guerra in Ucraina, ma tanti altri conflitti non sarebbero mai accaduti o sarebbero stati facilmente risolti.

A quel tempo 1/5 dell’umanità chiedeva un totale rovesciamento della politica di dominio e di guerra, e proponeva di costruire un mondo libero dalle armi nucleari e non violento, in cui la vita umana fosse considerata il valore supremo. Il messaggio fu del tutto ignorato in occidente e oggi l’intero pianeta sta seriamente rischiando di finire in una guerra mondiale nucleare.

Oggi l’arma nucleare (che dal 1986 non ha mai smesso di perfezionarsi, anzi sono state introdotte dagli USA nuove armi di sterminio di massa, come le armi biologiche e batteriologiche) minaccia di distruggere non solo quanto l’uomo ha realizzato nei secoli, ma anche lo stesso genere umano e persino la vita sulla Terra.

Nell’era nucleare gli uomini dovrebbero elaborare una nuova mentalità politica, una nuova concezione della pace, che sia una garanzia certa di sopravvivenza dell’umanità. Ma gli statisti occidentali stanno facendo esattamente il contrario. Sanno che la loro civiltà è al capolinea, ma siccome non vogliono ammetterlo, stanno facendo di tutto per cambiare le carte in tavola.

Il mondo che abbiamo ereditato appartiene alle generazioni presenti e future, il che impone di dare priorità ai valori universali. Occorre riconoscere il diritto di ogni popolo e di ogni persona alla vita, alla libertà, alla pace e alla ricerca della felicità. È necessario rinunciare all’uso della forza e alla minaccia del suo impiego. Dev’essere rispettato il diritto di ogni popolo a una scelta propria: sociale, politica e ideologica. Dev’essere respinta la politica volta ad affermare la supremazia di alcuni su altri. La crescita degli arsenali nucleari, la messa a punto delle armi spaziali minano la convinzione unanimemente riconosciuta, secondo cui la guerra nucleare non deve essere mai scatenata e non può essere vinta da nessuno.

Dunque i princìpi per la costruzione di un mondo libero dagli armamenti nucleari e dalla violenza, sono i seguenti:

1. La coesistenza pacifica deve diventare una norma universale dei rapporti internazionali: nell’era nucleare è indispensabile ristrutturare le relazioni internazionali, affinché il confronto sia soppiantato dalla cooperazione e le situazioni di conflitto siano risolte con mezzi politici pacifici e senza ricorrere alle armi.

2. La vita umana dev’essere considerata il valore supremo: il progresso e lo sviluppo della civiltà umana possono essere assicurati in condizioni di pace e soltanto dal genio creativo dell’uomo.

3. La nonviolenza dev’essere alla base della vita della comunità umana: la filosofia e la politica fondate sulla violenza e sull’intimidazione, sulla disuguaglianza e sull’oppressione, sulla discriminazione di razza, di fede religiosa o di colore della pelle sono immorali e inammissibili. Esse sprigionano uno spirito di intolleranza, sono deleterie per le nobili aspirazioni dell’uomo e negano tutti i valori umani.

4. La comprensione reciproca e la fiducia devono sostituire la paura e il sospetto: la sfiducia, la paura e il sospetto fra i Paesi e i popoli alterano la percezione del mondo reale. Generano tensione e, in ultima analisi, arrecano danno a tutta la comunità internazionale.

5. Deve essere riconosciuto e rispettato il diritto di ogni Stato all’indipendenza politica ed economica: è necessario instaurare un nuovo ordine mondiale per garantire giustizia economica e uguale sicurezza politica per tutti gli Stati. La cessazione della corsa agli armamenti è il presupposto necessario per l’instaurazione di un simile ordine.

6. Le risorse impiegate per gli armamenti devono essere volte ad assicurare lo sviluppo sociale ed economico: soltanto col disarmo si possono disimpegnare ingenti risorse supplementari, necessarie alla lotta contro l’arretratezza economica e la miseria.

7. Devono essere garantite le condizioni necessarie per uno sviluppo armonioso della personalità: tutti i Paesi devono operare insieme per risolvere i problemi umanitari maturi e cooperare nel campo della cultura, dell’arte, della scienza, dell’istruzione e della medicina, per uno sviluppo completo della personalità. Un mondo senza armi nucleari e senza violenza aprirà grandiose prospettive a questo riguardo.

8. Il potenziale materiale e intellettuale dell’umanità deve essere utilizzato per risolvere i problemi globali: è necessario trovare la soluzione di problemi globali quali il problema alimentare e quello demografico, la liquidazione dell’analfabetismo, la tutela dell’ambiente circostante attraverso un impiego razionale delle risorse della Terra. Gli oceani, il fondo marino e lo spazio cosmico sono patrimonio comune dell’umanità. La cessazione della corsa agli armamenti creerà le migliori condizioni per raggiungere tale obiettivo.

9. La sicurezza internazionale globale deve prendere il posto dell’“equilibrio del terrore”: il mondo è uno e la sua sicurezza è indivisibile. Est e Ovest, Nord e Sud, indipendentemente dai sistemi sociali, dalle ideologie, dalle religioni e dalle razze, devono essere uniti nella fedeltà al disarmo e allo sviluppo. La sicurezza internazionale può essere garantita con l’adozione di misure globali nel campo del disarmo nucleare, mediante tutti i mezzi accessibili e concordati di controllo, nonché con l’adozione di misure di fiducia e con una giusta composizione politica dei conflitti regionali attraverso trattative pacifiche e con la cooperazione nei campi politico, economico e umanitario.

10. Un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento richiede misure concrete e urgenti volte al disarmo. Ci si può arrivare attraverso la stipulazione di accordi concernenti:

– la totale eliminazione degli arsenali nucleari entro la fine di questo secolo;

– l’inammissibilità della dislocazione di armi di qualsiasi tipo nello spazio, che è patrimonio comune dell’umanità;

– la totale interdizione degli esperimenti dell’arma nucleare;

– il divieto di creare nuovi tipi di armi di sterminio di massa;

– la messa al bando delle armi chimiche e l’eliminazione delle loro scorte;

– l’abbassamento dei livelli degli armamenti convenzionali e delle forze armate.

Finché le armi nucleari non saranno liquidate, l’Unione Sovietica e l’India propongono di stipulare immediatamente una convenzione internazionale che vieti l’uso delle armi nucleari o la minaccia di esso. Ciò rappresenterebbe un grosso passo concreto sulla via del disarmo nucleare totale.

La costruzione di un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento esige una trasformazione rivoluzionaria della mentalità degli uomini, l’educazione dei popoli nello spirito della pace, il rispetto reciproco e la tolleranza. Occorre vietare la propaganda della guerra, dell’odio e della violenza e rinunciare agli stereotipi della mentalità di chi vede un nemico in altri Paesi e popoli.

La saggezza consiste nel non permettere che si accumulino e si aggravino i problemi globali, poiché evitare di risolverli oggi richiederà domani maggiori sacrifici.

Grande è il pericolo che incombe sull’umanità. Ma quest’ultima dispone di ingenti forze per scongiurare la catastrofe e aprire la strada che conduce a una civiltà senza armi nucleari. La coalizione della pace, che sta accumulando le forze e che unisce gli sforzi del movimento dei non allineati, del gruppo dei “Sei”[14], di tutti i Paesi, partiti politici e organizzazioni sociali amanti della pace, ci dà motivo di speranza e di ottimismo. È arrivato il momento di azioni decisive e improrogabili.


Conclusione

 

 

 

Avrei voluto parlare di tante cose accadute nel 2022, ma il lettore si sarà facilmente accorto che a partire dal mese di luglio, dopo i tre libri già scritti sul conflitto russo-ucraino, quest’ultimo argomento mi ha di nuovo coinvolto fin nel profondo e con molta preoccupazione.

D’altra parte è fuor di dubbio che la vicenda più significativa del 2022 è stato proprio questo conflitto, tra russi (che volevano liberare il Donbass dai neonazisti) e ucraini (che volevano tenerlo sottomesso). Ha costituito una svolta incredibile, non solo per aver tolto di mezzo dai media le informazioni sulla pandemia del Covid-19, ma anche perché ha indotto l’Unione Europea a darsi un volto molto più bellicistico e, nello specifico, neonazistico e antirusso.

In questa maniera però la UE ha dimostrato d’avere la medesima narrativa degli Stati Uniti, i quali han potuto realizzare due obiettivi fondamentali: indebolire la Russia e portare al collasso economico la stessa UE, che dipendeva, fino a ieri, dalle fonti energetiche russe in maniera vitale.

I due colossi economici più concorrenziali degli USA sono la UE e la Cina. La prima si sta velocemente deindustrializzando. La seconda va ridimensionata con una guerra che ne limiti fortemente l’espansione mondiale, e a tale scopo il pretesto non può essere che quello di Taiwan.

Per sopravvivere gli USA han bisogno di dominare il mondo intero, altrimenti le fortissime contraddizioni interne li farebbero implodere in continue guerre civili. Ma per poterlo dominare si devono dare dei nemici internazionali da combattere sulla base delle regole del diritto e della democrazia, che naturalmente sono del tutto formali. Dopo la fine del comunismo sovietico era stato scelto come nemico il fondamentalismo islamico. Ora i nemici sono diventati tre: Russia, Cina e Unione Europea. La prima per motivi militari, le altre due per motivi economici. E di queste due, una è un nemico esplicito, l’altra può essere solo un nemico implicito, avendo la NATO come alleanza comune.

Tutti i principali statisti europei, o per convinzione o perché indotti dalle circostanze, non fanno gli interessi dell’Europa ma degli Stati Uniti. E siccome questo è sotto gli occhi di tutti, dovranno per forza darsi un volto molto autoritario per restare al potere. I governi di emergenza (ieri dovuti alla pandemia, oggi e domani dovuti ai razionamenti), per non rischiare d’essere spazzati via dalle popolazioni nazionali, dovranno per forza giocare la carta della guerra mondiale. In ogni caso il mondo unipolare voluto dall’occidente, di cui la madrepatria è il Nordamerica, mentre tutto il resto è “colonia”, non esiste più. Proprio la guerra dell’occidente contro la Federazione Russa ha innescato processi geopolitici di portata epocale, i cui effetti si vedranno nei prossimi decenni.


Bibliografia su Amazon

 

 

Attualità:

Multipolare 2022 (luglio-dicembre)

La truffa ucraina

Il signore del gas

La guerra totale

Diario di Facebook (2017-2020)

Diario di Facebook (gen-mar 2021)

Diario di Facebook (apr-dic 2021)

Memorie:

Sopravvissuto. Memorie di un ex

Grido ad Manghinot. Politica e Turismo a Riccione (1859-1967)

Storia:

L’impero romano. I. Dalla monarchia alla repubblica

L’impero romano: II. Dalla repubblica al principato

Homo primitivus. Le ultime tracce di socialismo

Cristianesimo medievale

Dal feudalesimo all’umanesimo. Quadro storico-culturale di una transizione

Protagonisti dell’Umanesimo e del Rinascimento

Storia dell’Inghilterra. Dai Normanni alla rivoluzione inglese

Scoperta e conquista dell’America

Storia della Spagna

Il potere dei senzadio. Rivoluzione francese e questione religiosa

Cenni di storiografia

Herbis non verbis. Introduzione alla fitoterapia

Arte:

Arte da amare

La svolta di Giotto. La nascita borghese dell’arte moderna

Letteratura-Linguaggi:

Letterati italiani

Letterati stranieri

Pagine di letteratura

Pazìnzia e distèin in Walter Galli

Dante laico e cattolico

Grammatica e Scrittura. Dalle astrazioni dei manuali scolastici alla scrittura creativa

Contro Ulisse

Poesie:

Nato vecchio; La fine; Prof e Stud; Natura; Poesie in strada; Esistenza in vita; Un amore sognato

Filosofia:

Laicismo medievale

Ideologia della chiesa latina

l’impossibile Nietzsche

Da Cartesio a Rousseau

Rousseau e l’arcantropia

Il Trattato di Wittgenstein

Preve disincantato

Critica laica

Le ragioni della laicità

Che cos’è la coscienza? Pagine di diario

Che cos’è la verità? Pagine di diario

Scienza e Natura. Per un’apologia della materia

Spazio e Tempo: nei filosofi e nella vita quotidiana

La scienza nel Seicento

Linguaggio e comunicazione

Interviste e Dialoghi

Antropologia:

La scienza del colonialismo. Critica dell’antropologia culturale

Ribaltare i miti: miti e fiabe destrutturati

Economia:

Esegeti di Marx

Maledetto capitale

Marx economista

Il meglio di Marx

Etica ed economia. Per una teoria dell’umanesimo laico

Le teorie economiche di Giuseppe Mazzini

Politica:

Lenin e la guerra imperialista

L’idealista Gorbaciov. Le forme del socialismo democratico

Il grande Lenin

Cinico Engels. Oltre l’Anti-Dühring

L’aquila Rosa. Critica della Luxemburg

Società ecologica e democrazia diretta

Stato di diritto e ideologia della violenza

Democrazia socialista e terzomondiale

La dittatura della democrazia. Come uscire dal sistema

Dialogo a distanza sui massimi sistemi

Diritto:

Siae contro Homolaicus

Diritto laico

Psicologia:

Psicologia generale

La colpa originaria. Analisi della caduta

In principio era il due

Sesso e amore

Didattica:

Per una riforma della scuola

Zetesis. Dalle conoscenze e abilità alle competenze nella didattica della storia

Ateismo:

Cristo in Facebook

Diario su Cristo

Studi laici sull’Antico Testamento

L’Apocalisse di Giovanni

Johannes. Il discepolo anonimo, prediletto e tradito

Pescatori di uomini. Le mistificazioni nel vangelo di Marco

Contro Luca. Moralismo e opportunismo nel terzo vangelo

Metodologia dell’esegesi laica. Per una quarta ricerca

Protagonisti dell’esegesi laica. Per una quarta ricerca

Ombra delle cose future. Esegesi laica delle lettere paoline

Umano e Politico. Biografia demistificata del Cristo

Le diatribe del Cristo. Veri e falsi problemi nei vangeli

Ateo e sovversivo. I lati oscuri della mistificazione cristologica

Risorto o Scomparso? Dal giudizio di fatto a quello di valore

Cristianesimo primitivo. Dalle origini alla svolta costantiniana

Guarigioni e Parabole: fatti improbabili e parole ambigue

Gli apostoli traditori. Sviluppi del Cristo impolitico


Indice

 

Premessa...................................................................................... 5

Luglio.............................................................................................. 7

[1] Qual è la filosofia politica di Putin?...................................... 7

Tragica prospettiva per l’Ucraina................................................ 7

[2] La contesa isola dei Serpenti................................................. 8

[3] Provocazione antirussa dalla Norvegia.................................. 9

I Paesi Bassi in rivolta............................................................... 10

[4] Prigionieri del Donbass torturati.......................................... 10

Che cos’è il metaverso?............................................................. 11

[5] Socialismo di ieri e di oggi.................................................. 13

Gli attacchi informatici degli hacker......................................... 13

Gli esperti UE dicono no al nucleare e al gas............................ 14

[6] Moriremo di debiti............................................................... 14

Lo scioglimento del permafrost................................................. 16

[7] Palese doppiezza occidentale............................................... 17

Il Copasir e l’energia come problema di sicurezza nazionale... 18

[8] Il disarmo nucleare mondiale è utopico............................... 19

Ci stiamo armando troppo......................................................... 19

[9] Davvero era da osannare Shinzo Abe?................................ 20

L’industria dell’elettricità nel mondo........................................ 22

Draghi è un soggetto molto pericoloso...................................... 23

[10] Il destino di Odessa............................................................ 23

Borrell parla a vanvera.............................................................. 24

[11] Dare i numeri..................................................................... 25

Spezzeremo le reni alla Russia.................................................. 25

Il Metodo Giacarta..................................................................... 26

[12] In Africa Zelensky è ridicolo............................................. 27

Macron e gli Uber files.............................................................. 27

Ricchi e poveri polarizzati......................................................... 28

Povertà e precarietà in Italia, anche nelle idee.......................... 28

[13] Ecco i loro riservisti........................................................... 29

Basta un cavillo giuridico.......................................................... 29

[14] Come rimediare al caro energia......................................... 30

[15] Un novax e una russa vincono a Wimbledon.................... 31

[16] I vantaggi della fame nel mondo....................................... 31

[17] I BRICS si allargano.......................................................... 33

[18] L’inverno del nostro scontento.......................................... 33

Siamo ormai alla resa dei conti................................................. 34

Tony Blair scopre l’America..................................................... 35

[19] Impossibile controllare i prezzi sotto il capitalismo.......... 36

Per non riconoscere le due repubbliche perderanno mezza nazione        37

[20] Che fine ha fatto l’oro ucraino?......................................... 37

L’Algeria diventa il primo fornitore di gas dell’Italia............... 38

[21] Razionamento del gas anticipato....................................... 38

Dopo Johnson tocca a Draghi dimettersi................................... 39

[22] Siamo un continente razzista e ipocrita............................. 39

Intenzioni di voto in un sondaggio............................................ 41

[23] Quale alternativa a Draghi?............................................... 41

Anche la Lettonia si prepara alla guerra.................................... 42

[24] Finalmente sui cereali l’occidente è sceso a compromessi 43

La menzogna quotidiana dei nostri tg....................................... 44

C’è chi scende e chi sale............................................................ 44

[25] In che senso Nuovo Ordine Mondiale?.............................. 45

[26] Ora anche l’Estonia vuole la guerra................................... 47

Politica sempre più sconvolta in vari Paesi del mondo............. 48

[27] Il capitalismo è riformabile?.............................................. 49

La Sakorafa ha le idee chiare sulla NATO................................ 51

[28] Destino amaro per l’Ucraina.............................................. 52

Conseguenze russofobiche........................................................ 53

[29] Vecchio imperialismo americano...................................... 54

Sepolti in una bara di cemento.................................................. 55

Un ministro molto pericoloso.................................................... 55

[30] Siamo alle scelte di campo per sopravvivere..................... 56

Kiev ammazza i suoi pupilli...................................................... 57

[31] Il tic-tac dell’orologio dell’apocalisse............................... 58

Dopo l’Ucraina la Moldavia?.................................................... 59

Moldavia come Ucraina bis?..................................................... 60

Agosto............................................................................................ 62

[1] Il voltafaccia azero............................................................... 62

Bye bye dollaro.......................................................................... 62

Ucraina come prova generale.................................................... 63

[2] Altro casus belli antirusso.................................................... 64

[3] Antecedenti alla guerra russo-ucraina................................. 65

[4] Che succede nel settore immobiliare cinese?...................... 68

Sconcertante dichiarazione neonazista...................................... 70

[5] No chip no party.................................................................. 70

Ci mancava anche questa........................................................... 72

I viaggi del papa........................................................................ 73

La verità di Amnesty................................................................. 73

[6] Quando l’ideologia è cieca.................................................. 74

Sanzioni boomerang.................................................................. 75

[7] Che succede in Svizzera?..................................................... 76

Segreto d’ufficio sui contratti anti-covid................................... 76

Bolla immobiliare quasi in zona rossa...................................... 76

Tagli del personale alla Credit Suisse....................................... 76

Perdite cospicue alla BNS......................................................... 77

Super affari in barba alle sanzioni............................................. 77

Scorte urgenti di candele e legna............................................... 78

[8] Agricoltura KO.................................................................... 78

Sempre più disperati a Kiev...................................................... 78

England sotto shock................................................................... 79

[9] No nuke................................................................................ 80

Carità pelosa della Polonia........................................................ 81

[10] In due giorni la Cina risolve tutto...................................... 83

Difetti del Rosatellum................................................................ 83

Misteri della coalizione Vita..................................................... 84

[11] Il corrotto Zelensky............................................................ 84

Terreni ucraini in svendita......................................................... 85

Arricchirsi a spese nostre........................................................... 86

Incaponirsi................................................................................. 86

Francia e Germania nel panico.................................................. 87

Più caldo l’autunno dell’estate.................................................. 87

Countdown per Scholz.............................................................. 87

Addio bollicine.......................................................................... 88

[12] Chi salverà l’Afghanistan?................................................. 89

Misunderstanding...................................................................... 90

È meglio non dire bugie............................................................ 90

Eliminato anche Rahimullah Haqqani....................................... 90

[13] L’occidente ha perso anche l’America latina.................... 91

Cina e Lituania ai ferri corti...................................................... 92

Bollettino di guerra prossima ventura....................................... 93

Visti Schengen facili e impossibili............................................ 93

[14] Misure finanziarie cinesi contro gli USA.......................... 94

Debito americano alle stelle...................................................... 94

La UE se la conosci, la eviti...................................................... 95

Stiamo attenti alle farse............................................................. 96

[15] Zelensky nella Conservapedia........................................... 96

Siamo al delirio.......................................................................... 98

Israele si scava la fossa con le proprie mani............................. 99

[16] Di cosa è fatta la propaganda ucraina?............................ 100

C’è un limite a tutto................................................................. 101

[17] Cosa vuole veramente Dugin?......................................... 102

Quale socialismo quale democrazia........................................ 105

[18] Giornalismo italiano e autodeterminazione dei popoli.... 105

I costi dell’energia ci stanno atterrando.................................. 110

[19] Altra mazzata contro l’occidente..................................... 111

L’ipocrisia degli aiuti alimentari............................................. 112

[20] Gli OGM e i governi corrotti dell’Ucraina...................... 113

Insopportabili certi atteggiamenti di maniera.......................... 114

[21] Continuiamo a farci del male........................................... 114

Attentato terroristico ai Dugin................................................. 115

[22] Aria di guerra civile negli USA....................................... 116

I riferimenti culturali di Dugin................................................ 117

[23] Il Pakistan a un passo dalla guerra civile......................... 118

Crisi del fondo norvegese........................................................ 119

Che figura di m…!................................................................... 120

Siamo alla resa dei conti?........................................................ 120

News allarmanti dalla Germania............................................. 120

[24] L’alternativa di una destra becera.................................... 121

La Caporetto economica della Moldavia................................. 121

Parole incontrovertibili del guru Orsini................................... 122

Quante vedove e orfani volete prima di arrendervi?............... 124

Il Nord Stream 2 dev’essere smantellato!............................... 124

Quel governo islamico della Lettonia..................................... 125

Anche in Estonia come in Lituania......................................... 125

Sei sicuro di quel che dici?...................................................... 126

[25] Una considerazione semplice ma realistica..................... 126

La nostra pochezza intellettuale.............................................. 127

Obiettivo raggiunto.................................................................. 128

Salvini come Pinocchio........................................................... 128

Meno male che abbiamo economisti preparati........................ 129

[26] Prendere atto di un esito inevitabile................................. 130

[27] Equidistanza inaccettabile del pontefice.......................... 133

Siamo i soliti ingenui............................................................... 134

A che tipo di guerra stiamo assistendo?.................................. 134

Gli affari prima di tutto............................................................ 136

[28] Che alternative abbiamo?................................................ 136

Macron e l’inizio dei sacrifici................................................. 137

Il 25 settembre fai la cosa giusta............................................. 137

[29] Lezioni di guerra.............................................................. 138

Grande strategia militare russa................................................ 139

[30] Unipolarismo occidentale violento dal II dopoguerra..... 140

Un tragico bagno di sangue..................................................... 142

[31] Nuova area di scontro militare......................................... 142

Le sue idee mi piacevano........................................................ 143

La UE nel Terzo mondo.......................................................... 143

Settembre..................................................................................... 145

[1] Si rubano tutto.................................................................... 145

Un mondo difficile da capire................................................... 145

La verità vien sempre a galla................................................... 146

In mano a scriteriati................................................................. 146

[2] Senza USA e UE si sarebbero già arresi............................ 147

[3] L’importante è avere la coscienza a posto......................... 147

In Ucraina anche i giornalisti allineati devono tacere............. 148

Domande cruciali e tabù.......................................................... 149

England alle corde................................................................... 149

Pur di far cassa si privatizza tutto............................................ 149

[4] Il governo tedesco aiuta i propri cittadini, noi no.............. 149

Carcere e confische ai filorussi................................................ 150

Praga in rivolta........................................................................ 150

[5] La realtà è putiniana........................................................... 151

Il governo polacco si sente diverso......................................... 152

Costi energetici triplicati......................................................... 152

[6] Tutta colpa del TTF........................................................... 152

Una truffa vera e propria......................................................... 153

Assurdità da criminali economici............................................ 154

Una riforma orribile................................................................. 154

Il price cap fallito preventivamente......................................... 155

Anche Kiev vuole speculare sul gas........................................ 155

[7] Fine delle monete occidentali............................................ 156

Il flop della tassa sugli extraprofitti......................................... 156

Le rinnovabili non contano niente........................................... 157

Anche lei se n’è accorta........................................................... 157

La scala mobile vietata solo per gli altri.................................. 158

[8] La Turchia sta crollando?.................................................. 158

Han visto coi loro occhi ma non basta..................................... 159

Come siamo generosi!............................................................. 160

In Olanda gli agricoltori scherzano poco................................ 160

[9] Viviamo in un mondo rovesciato....................................... 161

L’economia è una cosa, la finanza tutt’altra............................ 162

Si decide tutto là dove meno te l’aspetti.................................. 162

Se la UE soffre, l’Olanda se la ride......................................... 163

È ridicolo chiedere aiuto alla UE............................................ 163

[10] Un ritorno a quale Medioevo?......................................... 164

W le donne!............................................................................. 165

Un dubbio amletico................................................................. 165

[11] Non sono petali profumati............................................... 166

Uno sminamento da sfruttare................................................... 167

Grecia e Turchia ai ferri corti.................................................. 167

La resa è la soluzione migliore per negoziare......................... 167

[12] È iniziato l’orrore ukronazi.............................................. 168

L’importanza di uno stretto..................................................... 169

Meglio tardi che mai................................................................ 169

[13] Un price cap basato sui princìpi....................................... 170

L’arma della delazione............................................................ 170

Non si festeggia per la morte di un grande statista.................. 171

[14] Ognun per sé e pochi privilegiati se la godono................ 171

Alternative al gas urgono......................................................... 172

Classe media byebye............................................................... 172

[15] Anche i ricchi piangono................................................... 173

Dietro la rivolte in Kazakistan la manina degli americani?.... 175

I dittatori vanno in Svizzera coi loro soldi.............................. 176

Ucraina in svendita.................................................................. 177

[16] Ungheria fuori dalla UE?................................................. 177

CSTO imploso?....................................................................... 178

Contatori intelligenti, anche troppo......................................... 178

Inutili ritorsioni........................................................................ 179

[17] Apocalypse now............................................................... 180

Ottimo Antonio Di Siena......................................................... 180

Non riconosco la Grecia.......................................................... 181

Altre falsità ukronaziste........................................................... 181

Scuola di fascismo e delazione................................................ 182

[18] Ci siamo cascati come polli............................................. 182

Masha e l’orso......................................................................... 183

La verità non si può dire.......................................................... 184

Il saggio Orbán........................................................................ 184

[19] Gli affari sporchi della famiglia Biden............................ 185

Sempre più chiara la strategia americana................................ 187

Ursula contro tutti.................................................................... 188

Torturare costa......................................................................... 188

La Polonia vuole la sua parte!................................................. 189

Guerra civile alle porte negli USA.......................................... 190

Chi votare?............................................................................... 190

[20] La Bestia di Carlo Palermo.............................................. 190

Inattingibile il petrolio venezuelano........................................ 191

Berlino ha le mani lunghe........................................................ 192

Ricerca scientifica è stato bello............................................... 193

Facciamo il punto sul nucleare civile...................................... 193

[21] L’occidente non riconoscerà alcun referendum in Ucraina 195

Ognuno dovrebbe fare il suo mestiere..................................... 196

Contro Draghi.......................................................................... 197

Ha senso pensare che Putin bleffi?.......................................... 197

[22] Anzitutto e soprattutto autodeterminazione dei popoli.... 197

Ognuno a casa sua................................................................... 198

Un teatro dell’assurdo.............................................................. 199

[23] Serve ancora l’ONU?....................................................... 200

Quando l’ingerenza è giusta?.................................................. 201

La paura fa 90.......................................................................... 202

[24] Occidente smemorato...................................................... 202

Una testa vuota........................................................................ 203

Obiettivo: imbavagliare........................................................... 204

La memoria corta di Draghi.................................................... 204

Fosse comuni di chi?............................................................... 205

La realtà con la fantasia........................................................... 205

Cosa ottiene la Russia e cosa perde l’Ucraina dopo i referendum?         205

[25] Basta col nucleare militare!............................................. 206

La prigione più grande del mondo........................................... 206

Mentana continua a mentire.................................................... 208

Situazione esplosiva in SudCorea........................................... 208

Quale proprietà?...................................................................... 209

[26] In questa tornata elettorale............................................... 209

Che ci fanno i nostri militari in Sudan?................................... 211

Il diritto di veto all’ONU......................................................... 212

[27] Quali rischi militari stiamo correndo?............................. 212

Quei gasdotti non andavano fatti............................................. 213

Referendum nel Donbass......................................................... 214

[28] Mutamento radicale di paradigmi politici........................ 215

Cosa vuol dire militarizzare l’economia?................................ 216

Ius soli subito per tutti............................................................. 217

[29] Venti di guerra globale.................................................... 217

Tutti la vogliono morta............................................................ 218

Cellulari a singhiozzo.............................................................. 219

Biglietto verde di rabbia.......................................................... 219

[30] Un biolab pure a Sigonella............................................... 220

USA ladri in Siria.................................................................... 221

Bum Bum! Spariamole grosse................................................. 221

Onorificenza ucraina a Draghi................................................. 222

Ottobre......................................................................................... 223

[1] Un’ambiguità da chiarire................................................... 223

Cosa vuol dire autodifendersi?................................................ 223

George Friedman senza peli sulla lingua................................ 224

[2] Non siamo poi così stupidi................................................. 225

Su cosa contiamo?................................................................... 226

L’oppofinzione della Meloni................................................... 227

I burkinabé filorussi................................................................. 227

[3] Hezbollah e i pugni sul tavolo........................................... 228

Una pandemia mentale............................................................ 229

Non basta rifarsi alla Costituzione.......................................... 230

Ipotesi suggestive.................................................................... 231

Da che pulpito!........................................................................ 232

[4] Che cos’è la ex-Italia?........................................................ 232

Il caso Caroline........................................................................ 233

[5] Il diritto all’autodifesa oggi............................................... 234

Le questioni giuridiche sono sostanziali................................. 235

Le proposte di pace di Elon Musk........................................... 237

La richiesta di Zelensky approvata da 1/3............................... 237

Lituania e Russia ai ferri corti................................................. 238

[6] Ci vuole più buon senso..................................................... 239

Due pesi due misure................................................................ 240

[7] L’ottavo comandamento della NATO............................... 241

Un finto socialista.................................................................... 243

[8] La Legge sulla Chiarezza................................................... 243

Cancella la Dottrina................................................................. 245

Premiati i russofobi.................................................................. 246

[9] Basta il multipolarismo degli imperi?................................ 246

Che cosa vuol dire autodeterminazione dei popoli?................ 248

Il tardivo principio di autodeterminazione dei popoli............. 249

Il tradimento della Sandu........................................................ 250

[10] Davvero Putin userà per primo il nucleare?.................... 250

Creare diversivi è una loro specialità...................................... 251

Il bispensiero orwelliano......................................................... 252

Non abbiamo iniziato nulla..................................................... 253

[11] Nostalgia degli anni ’70................................................... 254

Il veleno sta nella coda............................................................ 255

L’ONU va abolito.................................................................... 256

Era ora che qualcuno se ne accorgesse.................................... 256

[12] Perché Guterres non studia la Carta dell’ONU?.............. 257

La guerra non è un film........................................................... 258

Un modo per risolvere il problema energetico........................ 258

Quando si ricorre al terrorismo, si è già perso......................... 259

[13] Che cos’è la Terza Roma?............................................... 260

Corsi e ricorsi.......................................................................... 262

[14] Niente di nuovo sul fronte occidentale............................ 263

Dalla Russia con GNL............................................................. 263

[15] Cos’è la Dottrina Gerasimov?.......................................... 264

Gli avvoltoi sono tutti nostri.................................................... 265

Ora la Russia è uno Stato terrorista......................................... 266

[16] Ministoria della CIA........................................................ 268

Fine Massimo Fini................................................................... 269

Camminare sulle uova? Anche no!.......................................... 271

[17] La strada è tracciata......................................................... 272

I nostri sogni in default............................................................ 273

Al buio e al freddo................................................................... 274

Le proposte di Putin................................................................. 274

[18] Le api assassine della democrazia................................... 275

Quel simpaticone di Tabarelli................................................. 276

[19] Il bisogno impellente di una guerra................................. 277

I moralisti del Bene assoluto................................................... 279

[20] Una guerra pedagogica?................................................... 281

Una guerra rivelatrice.............................................................. 282

Lo zio Sam ti vuole morto....................................................... 283

[21] Useremo il nucleare perché siamo vivi............................ 285

Mercanti diffamatori................................................................ 286

La pace a quali condizioni?..................................................... 287

[22] Diga, arma di distruzione di massa.................................. 289

L’odio acceca........................................................................... 290

Una bella discussione.............................................................. 290

[23] Un baratto multipolare..................................................... 292

Le ambiguità di Lilin............................................................... 293

[24] Una guerra mondiale nucleare alle porte?....................... 295

Se documenti il Donbass ti licenzio........................................ 295

Un governo inutile................................................................... 296

[25] Cambiare tutto per non cambiare niente.......................... 296

Un analfabeta di ritorno........................................................... 297

L’ideologia di Stoltenberg....................................................... 298

[26] Il buon senso di Kujat...................................................... 300

A mali estremi, estremi rimedi................................................ 301

Qualcosa di irrazionale............................................................ 302

Maia Sandu: prossimo premier a cadere................................. 303

[27] I guanti sono stati tolti..................................................... 305

Deutsch für alle........................................................................ 306

[28] Quel povero essere amorale di Stoltenberg..................... 308

[29] Come non umiliare gli sconfitti....................................... 309

I sogni da giovani si realizzano da vecchi............................... 310

[30] Non sopravvalutiamo Putin............................................. 311

Fingeremo sulle verità bislacche del nostro giornalismo?...... 312

Il ritorno della trincea.............................................................. 313

[31] Scopri le differenze.......................................................... 314

Armi sicure per la salute.......................................................... 315

Armi nucleari tattiche tra Turchia e PKK............................... 316

L’etica cattolica....................................................................... 317

Novembre.................................................................................... 319

[1] Una speranza per l’umanità............................................... 319

Matsokin sta anticipando il futuro?......................................... 320

Una cosa abbastanza singolare................................................ 321

[2] Il miraggio del price cap e le sabbie mobili....................... 322

E vai con l’ultradestra!............................................................ 323

[3] Chi sono i filorussi nostrani?............................................. 324

Desertificazione tedesca in stato avanzato.............................. 325

Una vittoria contestata............................................................. 326

Non se ne può più dei profughi ucraini................................... 326

[4] Siamo un branco di ipocriti................................................ 327

Scienza e tecnica per il bene dell’umanità.............................. 328

Essere o non essere?................................................................ 329

Uno spezzatino per pranzo...................................................... 330

[5] La Dottrina Wolfowitz....................................................... 331

La storia è la storia.................................................................. 332

Articolo mostruoso di Sinchenko............................................ 332

Se non vi potete difendere, ci pensiamo noi............................ 333

Italiani brava gente? Mica tutti................................................ 334

[6] Chi eredita cosa?................................................................ 335

Ma come c’è ancora il nazismo?............................................. 335

Balliamo sul Titanic................................................................ 336

Elogio della Zakharova............................................................ 337

[7] La guerra contro i civili..................................................... 337

Lombardo-Veneto pronto all’indipendenza............................ 339

Uomini o caporali?.................................................................. 340

L’asino di Buridano................................................................. 341

[8] In memoria di Darya Dugina............................................. 342

E poi i geopolitici dicono che l’economia non conta.............. 343

Più maschi muoiono, più femmine disponibili........................ 344

[9] Cui prodest this war?......................................................... 345

Anzitutto odiare....................................................................... 346

Charles Michel fuori dal vaso.................................................. 348

Il destino della NATO............................................................. 348

[10] Il velo di Maja.................................................................. 349

Ti licenzio su due piedi............................................................ 350

[11] Gli USA e la guerra nelle viscere.................................... 351

A che serve demolire i monumenti?........................................ 352

Perché loro sì e noi no?........................................................... 353

Situazione esplosiva nel Kosovo............................................. 353

[12] Analisi di Paolo Borgognone sul Midterm...................... 354

Affossato il tetto al prezzo del gas.......................................... 355

Dall’Ucraina alla Svizzera....................................................... 356

Congo nel caos........................................................................ 356

[13] Dritti dritti verso il baratro............................................... 357

Un secolo fa la Russia e l’occidente........................................ 358

La Pelosi si è dimessa.............................................................. 360

[14] Il lupo perde il pelo ma non il vizio................................. 362

Il dopo Stoltenberg sarà peggio............................................... 366

I sottomarini nucleari sono nucleari........................................ 367

[15] Quanto siamo superficiali!............................................... 368

Un messia da non attendere..................................................... 369

Caino e Abele.......................................................................... 370

Perché contro di loro perdiamo sempre?................................. 371

Sognare ad occhi aperti........................................................... 372

Strano atto dinamitardo........................................................... 373

La cieca von der Leyen............................................................ 374

[16] Il realismo è una gran cosa.............................................. 374

Un minimo di riconoscenza no?.............................................. 376

[17] Echi lontani...................................................................... 378

Un mediocre attore rimane sempre tale................................... 379

[18] Un conflitto moralmente difficile.................................... 379

Le banche nel paese delle meraviglie...................................... 380

Pesci rossi e criceti.................................................................. 381

Morti che camminano.............................................................. 382

[19] Cornuti e mazziati............................................................ 383

Un giornalismo di qualità........................................................ 384

Doppiezze................................................................................ 386

[20] L’intelligenza duttile di Surovikin................................... 386

Coinvolgimenti sempre più stretti........................................... 387

Le doglie del parto................................................................... 388

[21] Combattere l’unipolarismo tutelando l’ambiente............ 389

Il Grande Reset........................................................................ 390

Nella UE neppure gli analisti americani vengono ascoltati.... 392

[22] G7, G20, FMI, Banca Mondiale... bye bye...................... 393

Il nuovo avanza........................................................................ 394

Una RAI strumentale e un’Italia razzista................................ 395

[23] A che servono i mass-media?.......................................... 396

Le assurdità di Stoltenberg...................................................... 398

[24] Un’Europa di pazzi scatenati........................................... 399

Democrazia contro Autocrazia................................................ 400

Fino a che punto neonazisti?................................................... 401

[25] L’anomalia della Turchia come Paese NATO................. 402

No a una Russia messianica.................................................... 403

[26] Restare nella caverna....................................................... 403

Un disastro epocale.................................................................. 404

Oggi le comiche....................................................................... 405

[27] Dalla boxe al wrestling.................................................... 406

Davvero la NATO è così forte?............................................... 407

Un grande flop occidentale...................................................... 408

San Marino denuncia Meta...................................................... 409

[28] Il far west è finito............................................................. 410

È perseguibile il reato di opinione?......................................... 411

A nostra immagine e somiglianza........................................... 412

La fine del bel Paese................................................................ 413

[29] Due disegni perversi........................................................ 413

Il senso della realtà.................................................................. 414

I gesuiti non si smentiscono mai............................................. 416

Un pugno di lenticchie............................................................. 417

[30] Accuse naziste reiterate................................................... 418

Tempi diversi per azioni diverse............................................. 419

L’inizio di un lungo processo?................................................ 419

Dicembre..................................................................................... 421

[1] Perché la Russia è destinata a vincere?.............................. 421

La guerra prossima ventura..................................................... 422

Gestiti da statisti folli............................................................... 423

Meta nei guai........................................................................... 423

Logica tedesca......................................................................... 424

Il destino della Lukoil.............................................................. 425

[2] La pervicacia antieuropeista degli USA............................ 425

La roulette russa...................................................................... 427

Ignoranza giuridica.................................................................. 428

[3] Chi è lo Stato che sponsorizza il terrorismo?.................... 429

Doppiezza stomachevole......................................................... 429

Tra Socrate e san Paolo........................................................... 430

Una sana laicità del pensiero................................................... 431

Di nuovo straparla il fascista Borrell....................................... 432

[4] Un Paese fallito.................................................................. 433

Che tipo di sicurezza pretendere?............................................ 433

I popoli contano qualcosa o no?.............................................. 434

Grazie von der Leyen!............................................................. 435

Dati Banca d’Italia 2004-2021................................................ 435

[5] NATO disperata................................................................. 436

Somme favolose...................................................................... 436

Ci risiamo con le etnie non rispettate...................................... 437

Deterrenza nucleare................................................................. 437

[6] Gli ungheresi non sopportano Kiev................................... 438

Hai voglia a trattare con questa gente..................................... 439

Trave o pagliuzza?................................................................... 439

Follia della Osmani.................................................................. 439

[7] Si può fare di più................................................................ 440

Pecunia non olet...................................................................... 441

Violenza e memoria................................................................. 442

[8] L’ideologia calvinista........................................................ 442

Pensare prima di parlare.......................................................... 444

[9] L’idealismo di Putin........................................................... 445

L’ipocrisia di Kiev sostenuta a ovest....................................... 446

Qualcuno deve salvarsi la faccia............................................. 446

Che succede in Perù?............................................................... 448

[10] Un’altra ipocrita di prestigio............................................ 449

Bambini e prostitute................................................................ 450

Appendice................................................................................ 451

La Dichiarazione di Nuova Delhi del 27 novembre 1986....... 451

Conclusione............................................................................. 455

Bibliografia su Amazon........................................................... 457

 

 



[1] I fondatori russi dell’euroasiatismo sono Nikolaj S. Trubeckoj (1890-1938), George Vernadsky (1887-1973) e Pyotr Savitsky (1895-1965): un linguista, uno storico e un economista. I quali, a loro volta, s’ispiravano al filosofo Konstantin N. Leont’ev. Altri euroasiatisti furono il teologo Georges V. Florovsky (1893-1973) e Lev N. Gumilëv (1912-92), etno-antropologo e storico.

[2] Ha poi rinunciato anche a presentarsi alle elezioni del 25 settembre, mostrandosi così ancora più servile nei confronti della segreteria del suo partito.

[3] Da notare che negli Stati Uniti l’1% più ricco della popolazione controlla circa 1/3 della ricchezza complessiva.

[4] Dopo le elezioni politiche del 25 settembre si è dimesso dalla carica di segretario del PD. Ha dato la colpa della sconfitta del centrosinistra ai Movimento 5 Stelle che aveva deciso di uscire dal governo Draghi, perché lo trovava indifferente ai problemi sociali. Era convinto di vincere le elezioni anche senza l’alleanza col M5S.

[5] Come noto, Gheddafi stava cercando di convincere altri Paesi africani di dotarsi di un sistema d’informazione vero panafricano, nonché di una moneta unica basata sull’oro per le materie prime.

[6] Gli investigatori dell’OSINT (Open Source Intelligence) hanno indicato le reali perdite dell’esercito ucraino. Al 20 ottobre 2022 le forze armate ucraine avevano perso 402.000 unità, di cui 387.000 uccisi. Le perdite tra mercenari e volontari provenienti da Polonia, Paesi baltici e Romania sono state 54.000, con 31.240 uccisi.

[7] Roberta Metsola, esponente del Partito popolare, è stata votata soprattutto sia dall’estrema destra che dall’ala conservatrice (ma anche dai socialisti!). Si è sempre dichiarata antiabortista: nel 2015 aveva sottolineato come l’accesso all’interruzione di gravidanza non era materia da includere nella parità di genere, inoltre si era espressa a sfavore di un report europeo che sottolineava la rilevanza dell’aborto sicuro per le donne dell’Unione. D’altra parte il Paese da cui proviene, Malta, è l’unico dell’Unione dove l’aborto è ancora illegale, anche per i casi d’incesto o stupro. La Lega l’ha appoggiata non solo per la sua posizione antiabortista ma anche perché è contraria all’immigrazione clandestina e all’ambientalismo dei Verdi.

[8] Vedi però l’art. più avanti: “Più maschi muoiono, più femmine disponibili”.

[9] Attenzione che questo non vuol dire, come invece accade negli USA, che ogni persona ha diritto di armarsi per qualunque motivo. Non è il fatto in sé di possedere un’arma che offre maggiore sicurezza, tanto meno se la società civile è già violenta di suo. Negli USA sono molto frequenti le stragi in scuole, cinema, centri commerciali e in famiglia.

[10] Sarebbe un errore considerare Zalužnyj politicamente più democratico di Zelensky. Infatti il suo punto di riferimento è il nazista ucraino Roman Shukhevych (1907-50), responsabile del massacro di 100.000 ebrei e polacchi in Galizia-Volinia.

[11] Nel 1932-33 la tragica carestia si verificò non solo in Ucraina, ma anche in Bielorussia, Caucaso settentrionale, regione del Volga, Urali meridionali, Siberia occidentale, Kazakhstan, mietendo, a seconda delle stime, da 2 a 8 milioni di persone. Uno studio della rivista “Expert” stima l’eccesso di mortalità in URSS nel 1932-33 in circa 4,5 milioni di persone, di cui 1,9 milioni in Ucraina. Già l’impero zarista aveva conosciuto molte carestie: nel 1873, 1880, 1883, 1891, 1892, 1897, 1898, 1901, 1905, 1906, 1907, 1908, 1911, 1913, e la Russia sovietica conobbe la carestia del 1921-22, causata dalla guerra civile, e l’ultima grande carestia del 1946-47, anch’essa come conseguenza della guerra. Non c’è mai stato nulla d’intenzionale in nessuna carestia. Il termine “Holodomor” è stato introdotto in Ucraina dall’avvocato polacco-americano Rafael Lemkin nel 1953, nel contesto della guerra fredda, quindi è un termine politico.

[12] Il governo ha poi deciso un’amministrazione straordinaria di un anno, prorogabile al massimo per un altro, cioè una sorta di nazionalizzazione i cui gestori (non specificati) saranno società a controllo pubblico operanti nel medesimo settore. Non potranno raffinare petrolio russo, e se avranno bisogno di soldi potranno chiederli allo Stato. Cioè da un lato si riconosce che è strategica per il Paese, dall’altro si fa capire che non lo è abbastanza per nazionalizzarla definitivamente.

[13] Ho poi aggiunto a un commento di Claudio Boiocchi: Nell’Europa del sud la Chiesa romana cercò di contrastare il protestantesimo con la Controriforma, che ci riportò al Medioevo, ma poi col Concilio Vaticano II il papato dovette ammettere la sconfitta e abbracciò in toto in capitalismo. Ma il capitalismo è nato dalla borghesia cattolica italiana, che aveva voluto porre in essere a livello sociale quell’individualismo assurdo che la Chiesa romana affermava sul piano politico (papa superiore a tutti, infallibile, primato di Pietro, giurisdizione universale e altre scemenze del genere). Infatti la Chiesa romana non ha mai contestato la borghesia italiana, almeno fino a quando questa non volle farsi protestante.

[14] Il G6 (Gruppo dei Sei) dell’Unione Europea è il gruppo informale formato dai ministri dell’Interno dei sei maggiori Stati membri della UE (Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna e Polonia), cioè quelli con la popolazione più numerosa e, quindi, con la maggioranza dei voti nel Consiglio dell’Unione Europea. Il G6 è stato fondato nel 2003 come G5 per trattare le tematiche legate a immigrazione, terrorismo e ordine pubblico; successivamente, nel 2006, la Polonia è entrata nel gruppo, ridenominato da allora G6. L’ultima riunione è avvenuta nel 2014. Molta più importanza oggi hanno il G7 (7 maggiori economie avanzate del mondo: Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti e Canada) e il G20 (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sudafrica, Turchia, Unione europea).

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