10 Giugno 1940:
Mussolini ci ha comunicato che siamo in guerra

L’8 giugno Mussolini fece pubblicare su ‘Il Corriere della Sera’, a lettere cubitali: “VIGILIA – Il popolo italiano che ha distrutto gli Asburgo condurrà la guerra fino in fondo contro le demoplutocrazie di Londra e Parigi. La misura è colma, ora basta!”, e aggiungeva: “L’Italia di Mussolini ha fatto da diciotto anni una politica di pace… La politica di Mussolini è stata, in altre parole, una politica equa ed equanime… se il revisionismo mussoliniano fosse stato intuito nel suo valore storico… oggi il sangue di milioni di uomini sarebbe risparmiato. Come non mai ritorna il monito d’un fante ignoto del Piave ‘Meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora’".

E il 10 comunicò al popolo italiano che aveva deciso d’entrare in guerra: “Combattenti di terra, di mare, dell’aria. Camicie Nere della Rivoluzione e delle legioni, uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania, ascoltate: Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria, l’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli Ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano...Vincere! E vinceremo! … Popolo italiano: corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore”.

Il conte Ciano scrisse nel suo diario ‘Che Dio ci aiuti’, ma solo un miracolo poteva aiutare l’Italia, e il miracolo non venne.

Cominciò a circolare sottovoce il detto: ‘Armiamoci e partite’. D’altronde ‘armiamoci e partiamo’ era passato di moda da vari secoli.

L’ambasciatore francese ricevendo da Ciano la dichiarazione di guerra gli disse: ‘I tedeschi sono padroni duri, ve ne accorgerete’. Troppo tardi tutti noi italiani, Mussolini incluso, ce ne rendemmo conto.

Il duce dette l’ordine di non attaccare, ma di restare sulla difensiva. Curiosa guerra che s’iniziava senza piani stabiliti, senza obiettivi strategici, senza preparazione, senza armi moderne, [1] senza mezzi, senza scorte di benzina e con i magazzini semivuoti. Ma che importava? I tedeschi facevano tutto, i tedeschi vincevano, la guerra non sarebbe durata più di qualche settimana.

Il 10 fu diffuso per radio e per mezzo della stampa il primo bollettino di guerra: “Il quartiere Generale delle Forze Armate comunica: Alle ore 24 del giorno 10 il previsto schieramento delle forze di terra, del mare e dell’aria era ordinatamente compiuto. Unità da bombardamento della Regia Aeronautica scortate da formazioni di caccia hanno effettuato alle prime luci dell’alba di ieri ed al tramonto violenti bombardamenti sugli impianti militari di Malta con evidenti risultati, rientrando incolumi quindi alle rispettive basi. Nel frattempo altre unità si sono spinte in ricognizione sul territorio e sui porti dell’Africa settentrionale. Al confine con la Cirenaica un tentativo d’incursione da parte dell’aviazione inglese è stato respinto. Due velivoli nemici sono stati abbattuti”.

Fino alla resa dell’Italia i bollettini giornalieri furono più di mille e raramente così ottimistici come il primo. In ogni modo tutti i belligeranti comunicavano sempre, nei loro comunicati, un sacco di bugie, duplicando o triplicando il numero delle perdite nemiche ed in ugual modo diminuendo quello delle proprie perdite.

Sul fronte interno si cominciò il razionamento di olio, burro, pane, pasta, sapone, lardo e riso. Più tardi vennero incluse anche le sigarette: dieci al giorno per persona.

I contadini e i proprietari terrieri furono obbligati a consegnare all’ammasso i raccolti di grano, olio, granturco, orzo, lasciando loro la quantità di grano corrispondente per far il pane e la pasta (che facevano in casa) durante tutto l’anno, così pure d’olio o di lardo, e d’orzo per fare il caffè.

Molti, soprattutto nelle città, cominciarono ad accaparrare gli alimenti, più tardi dilagò la borsa nera.

S’istituirono, per ordine del governo, gli orti di guerra: vi si coltivavano cavoli, rape, legumi, ma non lattuga (che aveva bisogno d’olio per essere condita), e poi i parchi, i giardini e i prati delle città e dei paesi. Si protessero i monumenti, le statue e le entrate ai musei con sacchi di sabbia, si costruirono i rifugi antiaerei. Caddero le prime bombe su Torino, Genova, Milano e Napoli, ci si accorse allora che quasi non esisteva la contraerea; in tutta l’Italia c’erano 38 batterie, di cui 23 erano della I Guerra Mondiale.

Si ridussero le ore di riscaldamento nelle case e negli uffici. S’incollarono strisce di carta sui vetri delle finestre affinché gli spostamenti d’aria causate dalle bombe non li convertissero in pericolose schegge. Si dipinsero le lampadine d’azzurro, iniziò l’oscuramento in tutta Italia. Se qualche guardia notturna vedeva qualche spiraglio di luce filtrare all’esterno gridava: ‘luce, luce’ e se il fatto si ripeteva scattava la multa.

Il lugubre suono delle sirene annunciava gli attacchi aerei: la maggior parte delle volte suonava quando stavano già cadendo le bombe.

Le donne cominciarono ad occupare i posti degli uomini nelle fabbriche, negli uffici, nei servizi pubblici.

Le auto si fecero ancora più rare, più tardi furono proibite, con eccezione di quelle che andavano a metano o a carbonella.

Si appendevano alle pareti carte geografiche d’Europa e d’Africa, sulle quali, si seguiva, sforacchiandole con spille e bandierine di carta, le avanzate e le conquiste italo-tedesche.

Infatti il 4 giugno si spostarono velocemente le bandierine con la croce uncinata: i tedeschi entrarono a Dunkerque, 40 mila soldati franco-inglesi furono catturati, ma più di 300 mila riuscirono ad imbarcarsi e a raggiungere l’Inghilterra.

Lo Stato Maggiore francese si rese conto che non aveva riserve per difendere il resto della Francia, cosicché il 13 giugno i tedeschi entrarono a Parigi, il 17 l’Alsazia e la Lorena furono circondate. I giornali annunciarono in prima pagina che la linea Maginot era stata sfondata, raggiunta la frontiera franco-svizzera ed occupate Cherbourg, Orléans, Digione, Toulouse, Colmar e Besançon, mentre una squadriglia di aerei tedeschi atterrava in piazza della Concordia a Parigi.

Il vecchio maresciallo Petain, l’eroe francese della I Guerra Mondiale, fu nominato presidente del consiglio, per le sue idee filo-tedesche, il suo atteggiamento disfattista e arrendevole. Infatti chiese subito l’armistizio, mentre un oscuro generale, Charles de Gaulle, si rifugiava in Inghilterra, non accettando la disfatta francese: qui racimolava le decine di migliaia di soldati francesi che erano riusciti a passare il Canale della Manica e annunciava la continuazione della guerra fino alla vittoria finale alleata.

A parte i rari bombardamenti, da noi, ancora tutto tranquillo: la Fiorentina vinceva la coppa Italia, battendo il Genova per 1 a 0.

Hitler ebbe la ‘faccia tosta’ di proclamare che il popolo tedesco lottava per la sua ‘libertà’ e che avrebbe combattuto fino all’eliminazione degli uomini che ‘hanno voluto la guerra…’

Con il pretesto dei primi bombardamenti inglesi sulle città del nord d’Italia e un’incursione della flotta francese su Genova, solo contrastata eroicamente dalla torpediniera ‘Calatafimi’, Mussolini dette l’ordine d’attacco sulle Alpi franco-italiane.

Malgrado le numerose difficoltà connesse a tale ordine repentino, l’esercito italiano ottenne qualche limitato successo (al prezzo di varie decine di morti e congelati), tra cui l’occupazione di Mentone.

Si cantava ‘Partono i sommergibili’, ‘Caro Papà’, e la popolare canzone tedesca, subito tradotta, ‘Lily Marlen’. Nelle grandi città si vendevano maschere antigas.

Al festival del cinema di Venezia si esibivano solo pellicole italiane e tedesche, e nelle sale cinematografiche i film ‘Un Pilota che Torna’, ‘Luciano Serra Pilota’, ‘L’Assedio dell’Alcázar’. Dopo ogni pellicola, si proiettava il notiziario fascista ‘Film Luce’ con i principali avvenimenti politici e bellici. Per fortuna Totò e Macario s’incaricavano di farci ridere ancora per qualche mese.

Nel luglio Hitler si rivolse all’Inghilterra affinché s’arrivasse ad un ennesimo accordo per porre fine alla guerra: la Germania chiedeva d'essere lasciata padrone dell’Europa che aveva conquistato, in cambio si prometteva (un’altra delle innumerevoli e mai mantenute promesse di Hitler), di garantire i possessi dell’impero inglese. Ma Churchill non si lasciò ingannare, come aveva fatto Chamberlain, e la guerra seguì il suo corso.

Allora il giornalista nostrano Mario Appelius augurò agli inglesi ‘la mala notte’ e lanciò lo slogan ‘Dio stramaledica gli inglesi’.

E per contribuire a stramaledirli Mussolini insistette presso Hitler affinché accettasse l’invio di aerei italiani per dare una mano a quelli tedeschi che, dal 10 luglio, avevano iniziato la battaglia aerea d’Inghilterra: si trattava di 75 bombardieri Fiat BR-29, e 95 caccia, che partivano da basi belghe, ma erano lenti, scarsamente armati, con le ali ricoperte di tela e inadeguatamente protetti. In meno di trecento ore complessive di volo un quarto del totale venne abbattuto dagli inglesi.

***

Vinta la Francia i tedeschi si trovarono sulla sponda del Canale della Manica senza saper cosa fare, osservando coi loro binocoli le bianche scogliere di Dover…

Hitler e i suoi generali non avevano preparato nessun piano d’invasione. Ora, dato che la flotta tedesca era inferiore a quella avversaria, solo il dominio dell’aria avrebbe dato a Hitler la possibilità d’invadere l’isola, e frettolosamente cominciò a prepararla col nome di ‘Leone marino’.

Così il 10 luglio iniziò la battaglia d’Inghilterra con lo scopo di bombardare gli obiettivi militari inglesi e distruggerne l’aviazione, alla quale presero parte, in ondate successive, 600 bombardieri, 200 stukas e 900 caccia che partivano dalle basi francesi, belghe, olandesi, danesi e norvegesi, contro i 960 caccia Hurricane e Spitfire. Però gli inglesi avevano vari vantaggi: combattevano sul loro cielo e i piloti degli aerei abbattuti, che si salvavano, ricadevano sul loro suolo, mentre quelli tedeschi venivano catturati; inoltre potevano atterrare per rifornirsi di benzina, mentre i tedeschi, se l’esaurivano, cadevano sul terreno nemico; soprattutto gli inglesi avevano il radar (superiore a quello tedesco) e sapevano quando e da dove partivano gli aerei tedeschi e quando e dove sarebbero arrivati.

Quando i tedeschi cominciarono a perdere il doppio degli aerei che perdevano gli inglesi cambiarono di tattica e cominciarono a bombardare le città, in particolare Londra, che fu attaccata durante 57 giorni e 57 notti, sicuri di fiaccare lo spirito combattivo del nemico (l’esperimento su Guernica non era poi andato tanto male…); in realtà dettero un respiro importante alle torri radar, alle fabbriche militari e all’aviazione inglese.

S’inventò anche un verbo ‘coventrizzare’, quando i bombardieri tedeschi distrussero la città di Coventry.

In totale 14 mila furono i morti civili inglesi e 20 mila i feriti.

Tuttavia i bombardieri inglesi, inattivi durante i primi mesi della battaglia aerea, cominciarono a bombardare le città tedesche, tra le quali Berlino, impiegando 500 aerei.

A questo proposito va ricordato un episodio di Molotov, ministro degli esteri russo, che era stato invitato da Hitler per convincere la Russia a entrare in guerra al suo fianco. Egli si trovava a Berlino, una sera, durante un attacco aereo inglese. Il ministro tedesco Ribbentrop lo accompagnò ad un rifugio antiaereo e gli ripeteva che l’Inghilterra non aveva altre possibilità che quella di arrendersi, dato che era lampante che già aveva perso la guerra. Allora Molotov gli rispose: ‘Se ha già perso la guerra, perché siamo in questo rifugio e di chi sono le bombe che stanno cadendo su Berlino?’

Il 15 settembre è la data che storicamente si registra come fine della battaglia d’Inghilterra e il 17 Hitler dette ordine di sospendere i preparativi per il ‘Leone marino’, anche se sporadicamente continuarono le azioni aeree tedesche fino al maggio del 1941.

Churchill poteva giustamente affermare: ‘Mai nel campo delle umane lotte, tanto fu dovuto da un così gran numero di uomini a così pochi’.

Fu la prima sconfitta dell’Asse, la prima sconfitta tedesca, anche se trattandosi solo di una battaglia aerea, fu facile a Hitler, Goering e Goebbels di ordinare ai giornali nazisti di passarla sotto silenzio.


[1] Le forze armate italiane erano in pessime condizioni per affrontare una guerra mondiale, persino inferiori per numero ed armamento a quelle della I Guerra Mondiale: l’esercito aveva 73 divisioni, delle quali solo 19 erano complete, 34 efficienti ma incomplete e 20 poco efficienti (ma in realtà erano anche molte di meno, dato che la classica divisione di tre reggimenti era stata ridotta a due, e quindi ancora meno delle 42 divisioni mobilitate nel 1914): in totale c'erano 1.580.000 uomini, armati col vecchio e superato fucile ’91 (Mussolini annunciava che poteva mobilitare otto milioni di baionette, da innestare su quali fucili non si sa, dato che i vecchi fucili non erano più di un milione e duecentomila). C’erano 6.000 cannoni, ma erano della guerra 1914-18 (tra i quali quelli catturati agli austriaci) e solo 19 di grosso calibro, mille cannoni antiaerei per tutte le città italiane (la sola Londra ne aveva 7 mila), insufficienti e antiquate le uniformi, i magazzini erano semivuoti, mancavano camicie e scarpe.

L’Italia era una nazione in prevalenza di contadini, tecnicamente impreparati e, dal punto di vista militare, scarsamente addestrati, che si scontrarono con nemici ben preparati in una guerra di tecnici e di tecniche sofisticate. I comandi supremi erano formati, per lo più, da generali incapaci, inetti, promossi per meriti fascisti, timorosi di cadere in disgrazia, preoccupati per la loro carriera e promozioni. Se Mussolini aveva sempre ragione, tutti quelli che non erano d’accordo con lui necessariamente dovevano avere sempre torto…

Le uniche tre divisioni ‘dette’ corazzate, avevano in dotazione poco più d’un migliaio di carri armati leggeri di 3.5 tonnellate (chiamati ‘scatole di sardine’, armati da due mitragliatrici) e medi da 13 tonnellate (della guerra 1915-18, armati da un cannone da 47 mm., velocità 30 km. orari, autonomia 7 ore, che gli inglesi avevano soprannominato ‘casse da morto mobili’), entrambi realmente ridicoli, se comparati con quelli francesi da 35 tonnellate, armati da due cannoni e una mitragliatrice (e con quelli inglesi da 28 tonnellate, un cannone da 57 mm. e una mitragliatrice, per non parlare dei Pershing americani, da 41 tonnellate, cannone da 80 mm., velocità 45 km. orari e un'autonomia di 160 ore).

Delle 73 divisioni suddette 14 erano in Libia (9 dell’esercito, 3 della milizia e 2 libiche), 5 in Albania, una nelle isole dell’Egeo.

Quinta nella graduatoria mondiale era la marina, dopo l’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Giappone e la Francia, ma possedeva scorte di nafta per un mese di navigazione e, peggio ancora, non aveva il radar, che invece avevano gli inglesi ed anche i tedeschi, che non lo dettero ai loro alleati, sicché nelle battaglie navali la flotta italiana fu sempre cieca, soprattutto di notte. Inoltre non aveva portaerei, dato che Mussolini aveva dichiarato che non erano necessarie, essendo l’Italia tutta una portaerei protesa nel centro del Mediterraneo. Tra le altre cose si perdette più di un terzo della marina mercantile, dato che non si pensò o non si curò di farla rientrare in Italia prima della dichiarazione di guerra.

L’aviazione aveva vinto vari premi nelle competizioni internazionali e poteva contare sulla carta di un numero imponente di 6.000 apparecchi (da bombardamento, come i Savoia Marchetti, i Caproni; i caccia d’assalto, come i Fiat, i Macchi Castoldi, i Breda, oltre quelli da ricognizione come i Cant Z e i Caproni), ma in realtà erano 2.802 moderni, dei quali solo 1.870 efficienti per l'impiego bellico. I primi Macchi MC. 292 che potevano competere nonché superare gli Hurricanes e i P-40 americani apparvero solo nel l943… troppo pochi e troppo tardi. Lo stesso successe con l’eccellente P. 108B.

Con relazione alla produzione l’Inghilterra, nel 1940, fabbricò 15.000 aerei; nel 1944 26.461 carri armati, nel 1940 ne fabbricò 1.399 e, nel 1942, 8.611.

La Germania nel 1939 fabbricò 8.295 aerei; nel 1944, 39.807; nel 1939, 1.300 carri armati e, nel 1944, 22.100.

Gli Usa nel 1940 fabbricarono 12.800 navi e, nel 1944, 96.318; nel 1940, 400 carri armati; nel 1943, 29.500; e quasi 300.000 aerei durante i quattro anni di guerra.

L’Italia riuscì a costruire, durante tutta la guerra, 12.000 aerei e 300 cannoni al mese, la metà di quelli che costruì durante la I Guerra Mondiale.

Quanto al carburante le riserve bastavano solo per quattro mesi e mezzo, le munizioni sufficienti per un solo mese di combattimento

I tedeschi ci fornirono alcune squadriglie di Stukas (che durante la battaglia d’Inghilterra erano stati ritirati perché lenti e scarsamente armati, facile preda degli Hurricanes e degli Spitfires inglesi), che in Italia si ribattezzarono ‘Picchiatelli’.

E subito circolò una nuova barzelletta: ‘Come è formata l’aviazione italiana? E' formata da un vecchio Savoia, da un Picchiatello e da 45 milioni di caproni…’

Disgraziatamente anche per l’aviazione mancava la benzina e in particolare non essendovi un’aviazione della marina, non ci fu quasi mai coordinazione tra le due armi durante le battaglie.

Dopo la caduta del fascismo circolò la voce che il duce era stato ingannato sul numero di aerei che si possedeva, che gli aerei che gli facevano vedere in un campo d’aviazione spiccavano il volo e atterravano nel campo seguente che avrebbe ispezionato, e così di seguito. Ma ciò era assurdo. Anche un semplice soldato si sarebbe reso conto dell’inganno; inoltre avrebbero dovuto ingannarlo tutti, dai generali ai gerarchi fascisti, dalle spie dell’OVRA allo stesso figlio Bruno che era ufficiale dell’aviazione. E poi a che scopo? In realtà Mussolini era ben informato.

Conto a parte: in AOI (Africa Orientale Italiana, nuovo nome che comprendeva l’Eritrea, l’Etiopia e la Somalia) per difendere un territorio sei volte più grande dell’Italia c’erano 2 divisioni nazionali e vari battaglioni autonomi per un totale di 54.000 nazionali e 270.000 coloniali, 48 carri armati, 811 pezzi d’artiglieria, la maggior parte di piccolo calibro, il resto di medio calibro e 200 aerei. (torna su)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 14/09/2014