La situazione della marina italiana

La marina e l’aviazione italiane potettero svolgere un ruolo corrispondente alle loro limitate possibilità.

La Marina, come abbiamo detto, aveva scorte di nafta per sei mesi, ma la guerra ne durò 39, e non i tre mesi che il duce aveva pronosticato e Hitler assicurato.

Ci furono molti scontri, numerosi gli eroismi e le abnegazioni, soprattutto degli equipaggi del naviglio minore, che si sacrificarono per cercare di salvare, la maggior parte delle volte inutilmente, le navi mercantili che trasportavano soldati e materiali, benzina e vettovaglie tra l’Italia e la Libia, tra l’Italia e l’Albania, tra la Grecia e Creta, senza contare le azioni belliche nell’Atlantico e nel Mar Rosso, contro la flotta inglese, la più tradizionalmente famosa e poderosa nel mondo, quindi quella ancor più recente e poderosa americana e anche quella russa del Mar Nero.

Ricordiamo qui solamente gli scontri e le azioni più importanti.

La flotta italiana non aveva radar e quindi era cieca, in particolare durante gli scontri notturni e, dopo l’attacco a Taranto, cominciò ad essere inferiore nel Mediterraneo a quella britannica; inoltre non possedeva portaerei (Mussolini aveva deciso che non ne aveva bisogno, essendo la penisola italiana di fatto una grande portaerei), quindi non aveva aerei navali e le comunicazioni con l’aviazione non funzionarono come avrebbero dovuto: errori e mancanza di tempestività e di collaborazione ne ridussero al minimo l’effettività.

Con 115 sottomarini si possedeva la flotta subacquea più numerosa del mondo, però la maggior parte era tecnicamente superata, soprattutto quella oceanica. Inoltre gli inglesi s’impossessarono del codice segreto italiano (ed anche di quello giapponese), senza che la marina se ne rendesse conto, e con falsi messaggi riuscirono ad affondare o catturare vari sottomarini.

Il capo di stato maggiore della marina, ammiraglio Domenico Cavagnari fu tenuto all’oscuro da Mussolini sulla decisione di far entrare il paese in guerra. Solo due mesi prima glielo comunicò ufficialmente il maresciallo Badoglio e l’ammiraglio fece subito sapere al duce la sua opinione negativa, presentando la situazione della marina tutt’altro che rosea. Ma Mussolini, che aveva sempre ragione, fece orecchie da mercante. Solo lui e Hitler sapevano con assoluta certezza che la guerra sarebbe durata solo pochi mesi o addirittura poche settimane, per cui si poteva dichiarare la guerra anche disarmati, anche nudi.

Tra gli scontri navali d’importanza si registrò quello di Punta Stilo. L’8-9 luglio del 1940 l’ammiraglio Campioni navigava verso la Libia a protezione d’un grosso convoglio, avendo avuto segnalazioni che navi da guerra britanniche erano uscite da Gibilterra e da Alessandria.

L’ammiraglio Cunningham conosciuta la rotta delle navi italiane si diresse verso la Calabria per attaccare le navi italiane al loro ritorno, forte d’una portaerei e di tre corazzate da 31 mila tonnellate con cannoni da 381 mm. Campioni ne aveva due, la Giulio Cesare e la Cavour, da 23 mila tonnellate con cannoni da 320 mm.

Campioni comunicò a Supermarina la rotta delle navi inglesi, e ricevette l’ordine di accettare il combattimento, dato che l’aviazione italiana avrebbe bombardato la squadra inglese prima che fosse stata avvistata da quella italiana.

Ora, mentre i ricognitori inglesi continuarono a seguire costantemente la flotta italiana, che fu attaccata anche da aerosiluranti, quelli italiani si persero nel nulla.

La flotta italiana si preparò al combattimento, essendo stata attaccata da incrociatori inglesi. L’incrociatore ‘Neptune’ fu colpito dai cannoni italiani, mentre le corazzate inglesi erano già nella zona, e un’altra ondata di aerosiluranti fu lanciata contro le navi italiane, senza causar danni, ma un proiettile da 381 colpì la ‘Giulio Cesare’, provocando un incendio d’un deposito di munizioni. Campioni mandò all’attacco i cacciatorpediniere, mentre gli incrociatori coprivano con cortine di fumo la ‘Giulio Cesare’ che cercò di rompere il combattimento. Inspiegabilmente Cunningham invertì la rotta e s’allontanò.

L’aviazione italiana apparve quando tutto era finito e sganciò le sue bombe sulle navi italiane, per fortuna senza conseguenze.

Poi, come già s’è detto, a Taranto, l’11 novembre, avvenne l’attacco su due ondate di 24 aerosiluranti che mise fuori uso tre corazzate italiane.

In ogni modo, quattro giorni dopo, avendo saputo che una flotta inglese (con una corazzata), stava lasciando Gibilterra scortando un convoglio per Malta, la flotta italiana con tutto ciò che le restava (tra cui le corazzate ‘Giulio Cesare’ e ‘Vittorio Veneto’), uscì a sbarrarle il passo. Ma venne segnalata un’altra corazzata nemica e la portaerei ‘Ark Royal’, provenienti da Alessandria.

Mentre Campioni cercò di sganciarsi gli incrociatori italiani aprirono il fuoco su quelli inglesi d’avanguardia.

Cominciò così lo scontro di Capo Teulada (27 novembre). La corazzata ‘Renouwn’ appoggiò con i suoi cannoni gli incrociatori inglesi. Il cacciatorpediniere ‘Lanciere’ accusò un colpo, ma danni furono provocati all’incrociatore ‘Manchester’ e più gravi al ‘Berwick’ che fu obbligato ad abbandonare il combattimento.

Aerei inglesi attaccarono senza successo le navi italiane, quindi cominciò a sparare la ‘Vittorio Veneto’ e gli incrociatori inglesi si celarono dietro cortine di fumo e abbandonarono la battaglia, insieme alle altre navi. Anche in questo caso l’aviazione italiana apparve quando la battaglia era terminata.

Il 26 marzo usciva da Napoli la corazzata Vittorio Veneto con quattro cacciatorpediniere, al comando dell’ammiraglio Jachino, e da Taranto gli incrociatori Zara, Pola e Fiume e quattro cacciatorpediniere (1ª divisione), e da Brindisi gli incrociatori Duca degli Abruzzi e Garibaldi e due cacciatorpediniere (8ª divisione).

Il 27 la Vittorio Veneto passava per lo stretto di Messina, preceduta dagli incrociatori Trieste, Trento e Bolzano, e da tre cacciatorpediniere (3ª divisione), che salparono da Messina. Durante la mattina le navi si riunirono. Da lì il grosso avrebbe proseguito per la Cirenaica, quindi verso Creta, per una normale scorreria, dopodiché avrebbero dovuto rientrare alle basi. I tedeschi avevano promesso la copertura aerea, ma nessun aereo apparve.

All’alba del 28 la 3a divisione segnalò l’apparizione di quattro incrociatori e quattro cacciatorpediniere inglesi e iniziò lo scontro di Gaudo (isoletta al sud di Creta). L’ammiraglio Jachino dette l’ordine d’interrompere lo scontro che dopo un’ora non aveva dato nessun risultato positivo, né da un lato né dall’altro, ma essendo giunta nel frattempo la 3ª divisione, l’ammiraglio sperò di sorprendere gli incrociatori inglesi, che si tenevano fuori tiro, con una manovra a tenaglia. Ma all’apparire della Vittorio Veneto gli incrociatori fuggirono.

Seguì un violento attacco degli aerosiluranti inglesi senza successo, mentre la Vittorio Veneto si stava dirigendo verso la base, ma un altro attacco di aerosiluranti e bombardieri la colpì alle eliche di sinistra immobilizzandola momentaneamente; dopo poco riprese la navigazione verso Taranto, continuando a chiedere inutilmente la protezione degli aerei italo-tedeschi, mentre l’8ª divisione si dirigeva verso Brindisi.

La squadra italiana credeva che le navi inglesi si fossero allontanate, ritornando ad Alessandria, invece c’erano nei paraggi tre corazzate inglesi (‘Warspite’, ‘Barham’ e ‘Valiant’), la portaerei ‘Formidable’ e nove cacciatorpedinieri che la tallonavano fuori vista.

Sopraggiunta la notte tornarono ad attaccare gli aerosiluranti inglesi e il ‘Pola’ fu immobilizzato da un siluro. Furono inviati lo ‘Zara’ e il ‘Fiume’, con i cacciatorpedinieri ‘Alfieri’, ‘Carducci’, ‘Oriani’ e ‘Gioberti’ al soccorso del ‘Pola’. Disgraziatamente gli inglesi, per mezzo del radar, scorsero il ‘Pola’ immobilizzato e la squadra di soccorso: le loro corazzate aprirono il fuoco a distanza ravvicinata contro la squadra italiana. Solo l’Oriani, gravemente colpito, e il Gioberti riuscirono a dileguarsi dopo aver inutilmente combattuto. Un cacciatorpediniere inglese si affiancò al ‘Pola’ e trasportò 258 superstiti, quindi l’affondò con due siluri. Altri naufraghi furono salvati da cacciatorpedinieri greci e inglesi. 3 mila marinai morirono nello scontro che fu chiamato di Capo Matapàn, a sud-ovest della Grecia.

Solo allora Mussolini si rese conto dell’importanza delle portaerei, e decise così di far trasformare i transatlantici ‘Roma’ e ‘Augustus’ in portaerei con i nomi rispettivamente di ‘Aquila’ e ‘Sparviero’, che non entrarono mai in servizio perché non furono mai terminate in tempo.

Inoltre la marina si rese conto, finalmente, dell’importanza fondamentale del radar e cercò di costruirne un paio con l'aiuto tedesco: erano ancora in fase sperimentale e, prima di metterli in uso, giunse l’armistizio.

Dopo sette mesi di guerra avevamo perso venti sottomarini, inclusi i quattro perduti in Eritrea, e ne avevamo affondati 14 inglesi nel Mediterraneo.

Nel 1940, eredi del Grillo e della Mignatta, già utilizzati durante la Grande Guerra, per affondare navi austriache nel porto di Pola, apparvero i due tipi di sommergibili tascabili, con due siluri ognuno, guidati l’uno da quattro e l’altro da due uomini, inoltre i motoscafi esplosivi pilotati da un uomo solo, i bauletti, rimorchiati da nuotatori muniti di pinne e i siluri speciali, soprannominati ‘maiali’ (che furono i più utilizzati ed ebbero successo ad Alessandria, Gibilterra e Algeri), comandati da due uomini che vi si collocavano a cavalcioni.

La loro missione era quella di entrare nei porti nemici, superare i numerosi ostacoli, a fior d’acqua o sott’acqua (secondo i tipi diversi) e scagliarsi contro le nave o collocare mine sotto di esse.

A settembre i sottomarini ‘Gondar’ e ‘Scirè’ (quest’ultimo al comando di Valerio Borghese), partirono con tre maiali ciascuno diretti ad Alessandria e Gibilterra, ma ricevettero l’ordine di tornare alla base, dato che le flotte inglesi erano in mare aperto. Il ‘Gondar’ fu avvistato e affondato dagli inglesi.

Anche il secondo tentativo, in ottobre, contro la base di Gibilterra andò a vuoto per avarie, e i piloti dei 'maiali' si salvarono a nuoto raggiungendo la costa spagnola.

Nel marzo del 1941 quattro motoscafi esplosivi entrarono nel baia di Suda e affondarono l’incrociatore ‘York’, la petroliera ‘Pericles’ e un piroscafo. I piloti furono catturati dagli inglesi: dopo la guerra fu concessa loro la medaglia d’oro.

In primavera, a Malta, si ebbe un completo insuccesso, dato che gli inglesi seguirono l’azione italiana per mezzo del radar. Tutti i piloti furono uccisi o catturati.

Dal marzo al settembre si registrarono varie azioni subacquee italiane, con alterni successi ed insuccessi nei pressi di Gibilterra, dove affondando varie navi.

Il 19 dicembre mezzi d’assalto, al comando del tenente di vascello Durand de la Penne, riuscirono ad entrare nel porto d’Alessandria e ad affondare le corazzate ‘Queen Elizabeth’ e ‘Valiant’. De la Penne, il capitano del genio Marceglia e il capo Bianchi furono catturati, interrogati dal comandante della ‘Valiant’ capitano di vascello Morgan e, avendo rifiutato di rivelare il luogo esatto della collocazione dei maiali, furono rinchiusi in una cala della stiva.

Pochi minuti prima dell’esplosione il de la Penne chiese di parlare col comandante e gli disse che facesse sbarcare la tripolazione, dato che la nave stava per affondare. Il comandante seguì il consiglio, ma ordinò che i tre uomini fossero ricondotti e rinchiusi della sala. Fortunatamente lo scoppio delle cariche esplosive permise loro di aprire la porta e di fuggire.

Tutti ricevettero la medaglia d’oro. Dopo la guerra, Morgan, capo della missione alleata in Italia, chiese l’onore d’appuntare sul petto del de la Penne la medaglia al valor militare.

Le forze aeronavali italo-tedesche avevano affondato, in questi due anni, una portaerei, una corazzata, 5 incrociatori, 3 cacciatorpedinieri e 5 sottomarini, e colpite 2 corazzate e diversi incrociatori e navi minori.

Nel 1942 fu creata in Crimea una base per 10 motoscafi d’assalto, più 6 sommergibili, e 6 m.a.s., che presero parte ad azioni contro navi e barconi russi carichi di soldati e contro le fortificazioni di Sebastopoli. Furono utilizzati per la prima volta i sommergibili tascabili, che affondarono due sottomarini russi. Con la ritirata tedesca la base italiana di uomini e mezzi fu rimpatriata al completo.

La marina italiana operò anche sul lago Ladoga, con 4 m.a.s. (più tardi ceduti ai finlandesi), che affondarono una cannoniera.

Nello stesso anno si creò una base segreta di 'maiali' (denominata la ‘Squadriglia dell’Orsa Maggiore’), nella rada di Gibilterra.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 14/09/2014