LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


LA RESISTENZA IN ITALIA (1943-45)

La Resistenza italiana fu inevitabile dopo una serie inaspettata di sconfitte militari, a partire da quella con la Grecia (ottobre 1940), che quasi comportò la perdita anche dell'Albania, a quella navale nella rada di Taranto da parte degli inglesi (novembre 1940), i quali avevano avuto la meglio anche in Libia, Egitto, Etiopia, Eritrea e Somalia (febbraio 1941). E anche con la Francia non era andata meglio nel giugno 1940: il duce aveva concentrato 32 divisioni sul fronte alpino contro le 6 francesi, ma, nonostante questo, ci volle l'ingresso tedesco a Parigi per far vincere gli italiani.

L'Italia aveva assolutamente bisogno della Germania sia sul piano militare che economico. La campagna tedesca in Grecia e Jugoslavia fu in effetti vittoriosa, ma con essa l'Italia poteva dire addio a un ruolo egemonico nei Balcani. Anche l'intervento tedesco in Libia, momentaneamente vittorioso, sancì la netta subordinazione dell'Italia, che infatti dovette provvedere a spedire un contingente armato di 110.000 soldati in Russia, per dare man forte ai nazisti, peraltro inutilmente, in quanto più della metà di quel contingente morì agli inizi del 1943.

Nell'autunno 1942 appariva chiaro che la presenza anglo-americana in Africa del Nord si stava rivelando catastrofica per i nazifascisti.

L’Italia era anche tagliata fuori dalle tradizionali fonti straniere di rifornimento necessari alla sua economia. I settori civili dell’industria erano quasi completamente paralizzati, le maggiori fabbriche nazionali lavoravano sotto il controllo dei tedeschi. La popolazione era affamata. Il paese si trovava sull’orlo della bancarotta finanziaria; il debito pubblico era 10 volte superiore al reddito nazionale annuo. Oltre 500.000 operai italiani - metallurgici, minatori, chimici, edili - furono deportati in Germania a lavorare.

Nel dicembre del 1942 si costituì a Torino un comitato antifascista di comunisti, socialisti, liberali, democratici, ecc. che organizzò uno sciopero di 100.000 operai nel marzo 1943. Nel febbraio 1943 i nazisti avevano perso la grande battaglia di Stalingrado, determinando l'inizio dell'offensiva sovietica. In Italia persino alcuni gerarchi fascisti cominciarono a pensare che il paese sarebbe stato travolto dalla sconfitta tedesca.

Nel luglio 1943 gli anglo-americani approfittarono della situazione per sbarcare in Sicilia, iniziando a sottoporre a forti e indiscriminati bombardamenti molte città italiane. Dopo questo sbarco, la Germania rimaneva l’ultima speranza del fascismo italiano. Tuttavia la situazione sul fronte russo era così disperata che Hitler si vide costretto a chiedere a Mussolini di abbandonare l’Italia meridionale e di organizzare la difesa del paese con truppe italiane su una linea più breve del fronte.

Intanto all'interno dello stesso governo fascista si venne facendo strada la convinzione che la guerra era persa e che bisognava sganciarsi dai tedeschi. Siccome Mussolini appariva come un burattino nelle mani di Hitler, si provvide a esautorarlo di ogni potere nella seduta del Gran Consiglio del 24 luglio 1943 (l'ultima sua riunione era stata nel dicembre 1939). Mussolini aveva chiesto a Hitler di stipulare un armistizio con la Russia per poter cacciare gli Alleati dall'Italia e dalla Grecia, ma ne aveva ottenuto solo un rifiuto.

Il re Vittorio Emanuele III assumeva il comando delle forze armate, fece arrestare il duce, il quale era ancora convinto che le sorti della guerra stessero per cambiare da un momento all'altro, in quanto Hitler gli aveva confidato d'essere in possesso di un'arma segreta, e passò i poteri politici al maresciallo Pietro Badoglio, che aveva comandato le truppe fasciste nella guerra italo-etiopica del 1935-1936. Egli assicurò che la guerra continuava al fianco della Germania, ma segretamente avviò trattative con l’Inghilterra e gli Stati Uniti sulle condizioni dell’uscita dell’Italia dal conflitto. Il nuovo governo cercò di impedire che la caduta del fascismo si trasformasse in un grande movimento democratico di massa. Lasciando al loro posto i generali reazionari e i funzionari fascisti, Badoglio cercava di assicurare una sostanziale continuità con il passato, tant'è che proclamò lo stato d’assedio e proibì qualsiasi attività politica.

Tuttavia il 26-27 luglio l’Italia fu percorsa da manifestazioni di massa che chiedevano la completa liquidazione del regime fascista, la punizione dei criminali fascisti e il ripristino delle libertà democratiche. I comunisti e i socialisti uscirono dalla clandestinità, alleandosi coi partiti antifascisti borghesi. Chiedevano di liquidare ogni residuo del fascismo, di ripristinare le libertà democratiche e di concludere l’armistizio con gli Alleati. Badoglio fu costretto a sciogliere il partito fascista e a permettere la ricostituzione degli altri partiti.

La dittatura fascista pareva conclusa e gli italiani erano convinti che presto sarebbe finita anche la guerra. Tuttavia mantenne un atteggiamento ambiguo coi tedeschi e non chiese l'armistizio agli Alleati, sicché le truppe di Hitler invasero la penisola, intenzionate a resistere agli anglo-americani e a ricostituire il fascismo, dopo aver liberato Mussolini dalla sua prigionia abruzzese sul Gran Sasso.

I 45 giorni del governo Badoglio (dal 25 luglio all'8 settembre 1943) furono una tragica farsa. Non si decise a dichiarare guerra alla Germania, né a stipulare un armistizio con gli Alleati, ma si limitò soltanto a temporeggiare, ben sapendo che gli Alleati non volevano una trattativa bensì una resa. In accordo col re, voleva uscire dal conflitto col consenso dei tedeschi, al fine di salvare il prestigio della monarchia, compromessasi per vent'anni col fascismo. Tuttavia Hitler non ne voleva sapere e gli Alleati continuavano a bombardare le città. La svolta arrivò quando questi sbarcarono in Calabria.

L'annuncio dell'armistizio del 3 settembre 1943 fu dato subito dagli anglo-americani, poi dallo stesso Badoglio, senza però dare indicazioni di sorta all'esercito italiano, se non quella di non rivolgere le armi contro gli Alleati. Badoglio, il re e alcuni ministri si rifugiarono a Pescara, poi a Brindisi, ponendosi sotto la protezione alleata.

I tedeschi si preparavano a combattere, anche contro gli stessi italiani (massacrarono p. es. 8400 militari a Cefalonia). Nello sbandamento generale molti militari tornarono allo stato civile, altri entrarono nelle formazioni partigiane, circa 186.000 si misero a disposizione dei tedeschi (20.000 si arruolarono nelle S.S.): 600.000 militari verranno internati in Germania e in Polonia a lavorare per il Reich e di questi ne moriranno circa 40-50.000.

Dopo la sua liberazione sul Gran Sasso, Mussolini annunciò la costituzione di un partito fascista repubblicano nell'Italia del Nord, avente un programma filo-socialista, che i tedeschi però gli impediranno di realizzare. La nuova sede del governo repubblicano era Salò, sul lago di Garda.

Intanto a Napoli un'insurrezione di quattro giorni, senza intervento alleato, obbligò i tedeschi a lasciare la città (settembre 1943). Si temeva una rivoluzione comunista: il cardinale I. Schuster pubblicò nell'agosto 1943 un violento Catechismo contro il marxismo. Lo stesso Churchill dichiarò d'essere favorevole alla monarchia e non voleva gli antifascisti nel governo di Badoglio.

L'Italia è divisa in due: a sud il territorio in mano alleata va da Napoli a Pescara (Linea Gustav); al centro-nord comandano chiaramente i tedeschi. I rispettivi governi italiani sono solo dei fantocci in mano agli stranieri.

Il 13 ottobre 1943 Badoglio dichiara guerra alla Germania e chiede al re di abdicare, ma questi non ne vuol sapere. Badoglio vuole anche spingere gli Alleati ad accelerare la liberazione dell'Italia, appoggiando le iniziative partigiane, ma gli Alleati stavano per aprire il secondo fronte in Normandia (deciso nella Conferenza di Teheran il 30 novembre per il maggio 1944) e mostravano di non avere molta fretta. Peraltro non erano neppure interessati ad appoggiare più di tanto i partigiani, sapendo che erano prevalentemente social-comunisti. Sicché il Comitato di Liberazione Nazionale cominciò a capire che non poteva aspettarsi quasi nulla né da Badoglio né dal re e neppure dagli Alleati, e decise di muoversi in autonomia.

Intanto a Salò si ricostituisce l'esercito fascista (circa 100.000 unità) e si chiede di processare gli ex-gerarchi che hanno firmato l'ordine del giorno di Grandi relativo alla dimissioni di Mussolini (alcuni di loro in effetti verranno fucilati).

Poiché la situazione è del tutto bloccata, in quanto gli Alleati non si fidano degli antifascisti e del CLN e non ascoltano gli inviti del governo russo di por fine alla contrapposizione CLN-Badoglio, il leader comunista Togliatti ritorna in Italia dall'esilio moscovita e a Salerno chiede di rinviare la questione istituzionale (repubblica o monarchia) a guerra finita, riconosce inoltre il governo Badoglio e si preoccupa di formare un partito di massa, non ideologico, per fare un fronte comune contro i nazisti e i fascisti. (La questione istituzionale era stata creata dal Partito d’azione e dai socialisti, che esigevano l’immediata abdicazione del re.)

In pratica si chiedeva a Badoglio di guidare da Salerno la resistenza antifascista: Roosevelt accettò, Churchill no. Il re intanto annunciava che si sarebbe dimesso a favore del figlio Umberto appena Roma fosse stata liberata: cosa che avviene il 4 giugno 1944, non prima che molti gerarchi nazisti riusciranno a fuggire dall'Italia grazie a coperture vaticane (operazione Rat Line).

La ritirata tedesca si compie in mezzo a immani tragedie a carico di partigiani combattenti e civili inermi (Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto...), che né Badoglio né gli Alleati sono assolutamente in grado di impedire. Per questo motivo il CLN chiede la sostituzione di Badoglio con Bonomi, capo del Partito democratico del lavoro e presidente del CLN (giugno 1944).

Il secondo fronte in Francia ha il compito non solo di eliminare la presenza tedesca nei territori occupati dai nazisti, ma anche di bloccare l'avanzata dell’Armata rossa nell’Europa centrale e occidentale: per questo si conta di arrivare in Germania prima dell’arrivo degli eserciti sovietici. Inoltre gli Alleati volevano impedire che si estendesse l’influenza dei movimenti di liberazione politicamente più avanzati.

I tedeschi in Italia esigono di poter ripiegare in maniera tranquilla e, in effetti, l'offensiva alleata si arresta sulla Linea gotica, che va da Pesaro a Massa Carrara (settembre 1944). Hitler annetté anche parte del Veneto e la Venezia Giulia al Terzo Reich. Lo Stato Maggiore americano ordina persino ai partigiani di cessare le operazioni su vasta scala e promette loro, nel dicembre 1944, materiale bellico e rifornimenti, pretendendo in cambio che, finita la guerra, sciolgano le loro formazioni e riconsegnino tutte le armi.

A causa di questo ingiustificato attendismo degli Alleati, il periodo che va dal settembre 1944 all'aprile 1945 sarà durissimo per i partigiani: su circa 150-200.000 combattenti vi saranno circa 46.000 morti. Di ciò saranno complici anche i partiti moderati (DC, liberale e Democrazia del lavoro), che cercavano di ostacolare lo sviluppo della lotta popolare, tentando di trasformare il CLN in un organo interpartitico con funzioni consultive (p.es. il CLN romano non riuscì assolutamente a trasformarsi in un centro militare di direzione delle azioni partigiane: Roma fu una delle poche città italiane in cui la lotta partigiana non si concluse con una insurrezione).

Sarà piuttosto il CLN milanese, che aveva assunto il nome di CLNAI (Comitato di liberazione nazionale alta Italia), a diventare effettivamente il centro di direzione della Resistenza. Grazie ad esso si riuscì a organizzare un imponente sciopero il 1° marzo 1944 di circa un milione di operai, appoggiati da più di 20.000 partigiani e da numerosi gruppi di azione patriottica: i GAP. L'effetto fu che mentre nel marzo i partigiani erano circa 30.000, nell'estate divennero circa 80.000.

Gli eserciti alleati riuscirono a forzare la Linea gotica soltanto nell'ottobre 1944, senza comunque raggiungere gli obiettivi prestabiliti, anzi, ad un certo punto l’offensiva si arrestò, permettendo ai nazisti di sottrarre contingenti di truppe da questo fronte per impegnarle direttamente contro i partigiani. Il 12 novembre il comandante delle truppe alleate, generale Alexander, lanciò addirittura un proclama ai partigiani, annunciando che l’offensiva estiva era terminata e invitandoli a sospendere le azioni di guerra fino alla prossima primavera. I comunisti respinsero decisamente le disposizioni del proclama.

Mussolini, attraverso il cardinale Schuster di Milano, propose agli Alleati la propria resa, in cambio dell'incolumità per sé e per i gerarchi di Salò, ma il CLNAI voleva fare un'insurrezione nazionale per trattare da posizioni di forza con gli Alleati, quindi pretese nel volere le città del Nord Italia liberate prima dell'arrivo degli Alleati e così in effetti avverrà. Temendo anzi che i gerarchi fascisti possano beneficiare di favori particolari da parte degli Alleati, provvedono a fucilarli sul posto, incluso lo stesso Mussolini.

I comandanti tedeschi firmano la resa senza condizioni a Caserta il 29 aprile 1945. Ma già dal mese di marzo gli Alleati avevano preso a garantire la fuga di alcuni gerarchi e scienziati nazisti negli Stati Uniti o in Sudamerica (operazioni Blowback e Paperclip).


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 30/04/2013