LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE
dall'esordio al crollo


JEANNE LABOURBE

Battuti dalla rivoluzione d'Ottobre, i grandi proprietari fondiari e i capitalisti della Russia, di concerto coi generali delle guardie bianche, complottarono con i governi dei paesi dell'Intesa (Inghilterra, Francia, Giappone e Usa) per scatenare nel 1918 un'aggressione militare contro la giovane repubblica sovietica.

L'Intesa, pur essendo impegnata a fronteggiare la Germania e l'impero austro-ungarico, disponeva di ingenti mezzi finanziari e militari e non le fu difficile occupare vastissime zone della Russia, a nord, a sud e nell'Estremo Oriente.

Essa si risolse ad appoggiare la controrivoluzione interna non solo per ovvi motivi di conquista imperialistica, ma anche perché temeva che la rivoluzione bolscevica potesse costituire un esempio da imitare nei paesi capitalisti.

Fu soprattutto la pace di Brest-Lìtowsk, stipulata nel marzo 1918 fra la Russia e le potenze centrali, a preoccupare seriamente l'Intesa. Si temeva l'ulteriore consolidamento del movimento progressista europeo, già abbastanza forte; tant'è che nel novembre 1918 si verificò in Germania la rivoluzione che rovesciò il governo del kaiser Guglielmo; e nel 1918-19 si realizzarono nell'Austria-Ungheria la rivoluzione democratico-borghese e la repubblica socialista dei Consigli.

Dopo il trattato di Brest gli imperialisti austro-tedeschi, consapevoli della debolezza della Russia, invasero l'Ucraina, la Bielorussia, la Crimea, parte della Transcaucasia e della regione del Don liquidandovi il potere sovietico.

Benché rivali sul piano interimperialistico con i governi dell'Intesa, gli Stati centrali erano concordi nell'ostilità contro la Russia. Ma a causa della sconfitta nella guerra mondiale e della rivoluzione antimonarchica, la Germania fu ben presto costretta ad abbandonare le sue conquiste nelle mani dell'intesa.

La notte del 16 novembre 1918, protetti dalle navi da guerra penetrate nel mar Nero, soldati francesi, inglesi e greci, ai quali più tardi si uniranno contingenti polacchi, serbi, romeni, sbarcarono a Odessa, Sebastopoli, Batumie in altri porti ancora.

Nel febbraio del 1919 le truppe straniere, escluse le guardie bianche, erano circa 130 mila.

Ci siamo soffermati a parlare di questa zona perché è qui che operò, con maggiori responsabilità, la comunista francese Jeanne Labourbe.

Figlia d'un garzone di fattoria d'un piccolo paese della Francia, la Labourbe era stata ben presto costretta a emigrare per guadagnarsi da vivere. In un primo momento trovò posto come governante presso una famiglia aristocratica polacca, poi, dopo aver preso contatti con dei rivoluzionari polacchi, raggiunse Mosca, dove poté meglio comprendere la portata degli avvenimenti del 1917.

Qui consacrò tutto il suo tempo e le sue energie a propagandare le idee del comunismo tra i francesi che allora vivevano a Mosca; pronunciò così spesso discorsi appassionati durante gli incontri della Federazione degli internazionalisti (che, militante nel Pc bolscevico, era presieduta dall'ungherese Béla Kun), e lanciò inoltre appelli ai soldati anglo-francesi che occupavano a nord la regione sovietica di Murmansk.

Ma tutto questo, specie quando la guerra civile e la controrivoluzione assunsero un'ampiezza considerevole, non le sembrava più sufficiente.

A Mosca la Labourbe era segretaria del gruppo francese, che comprendeva più di 30 persone. Incontrò Lenin il 19 agosto 1918 e, discutendo sull'attività dei comunisti francesi e inglesi in territorio russo, lo invitò a utilizzare senza indugio il personale propagandistico degli internazionalisti. Lo stesso giorno Lenin scrisse al commissario del popolo agli Affari esteri, Cicerin, di soddisfare tutte le richieste della Labourbe, la principale delle quali era quella di creare un giornale in lingua francese a Mosca per far conoscere ai lavoratori dell'Europa occidentale il significato della rivoluzione russa.

Il primo numero uscì il 20 ottobre 1918; esso invitava gli operai e i contadini francesi a non sparare sugli operai e i contadini russi. Si spiegava inoltre come la verità dei fatti si facesse sempre più strada nella coscienza dei soldati e dei marinai degli eserciti imperiali, determinando ribellioni e forme di solidarietà con il proletariato russo.

In particolare la Labourbe, commentando il primo anniversario della rivoluzione, criticava duramente tutte quelle asserzioni con le quali si voleva negare l'appoggio popolare alla repubblica sovietica.

Per quanto urgenti e difficili fossero i compiti che la obbligavano a restare a Mosca, la Labourbe non vedeva l'ora d'andare al fronte. Il pericolo non la spaventava. “Si muore solo una volta”, aveva detto all'amico Jacques Sadoul che le raccomandava la prudenza.

E così agli inizi del 1919 Jeanne fu inviata a 0dessa, nelle retrovie dell'esercito bianco, in qualità di propagandista clandestina. Aveva una missione assai importante da compiere: far pervenire ai compagni del comitato regionale del Partito comunista clandestino dell'Ucraina danari e letteratura propagandistica. E lo fece pensando che, come francese, era adatta meglio di chiunque altro a diffondere le idee internazionaliste “dentro” gli eserciti imperiali.

I lavoratori dell'Ucraina erano d'altra parte desiderosi di liberare il loro paese, soprattutto a destra del Dnepr, dalle truppe dell'odiato PetIjura, uno dei capi dei Direttorio borghese-nazionalista ucraino. Pertanto le organizzazioni bolsceviche clandestine furono costrette a rafforzare il loro lavoro fra le masse e le truppe interventiste.

Il comitato regionale del partito di Odessa, diretto dal bolscevico I. Smirnov, organizzò il cosiddetto “collegio straniero”, che doveva condurre la sua agitazione fra i soldati e i marinai dell'Intesa. La composizione del collegio era internazionalista, e con l'arrivo della Labourbe e di altri due compagni se ne approfondì notevolmente l'impegno.

Di nuovo, come a Mosca, Jeanne s'incaricò di pubblicare e diffondere un giornale in lingua francese: il “Kommunist”. La sua collaborazione iniziò dal terzo numero, determinando un miglioramento qualitativo e stilistico degli articoli, ciò che peraltro non passò inosservato ai servizi del controspionaggio nemico.

Ma Jeanne non si limitava a questo. Rischiando anche più del dovuto avrebbe voluto salire a bordo delle navi militari per parlare direttamente coi marinai; non potendolo fare, cercava d'incontrarli per le vie di Odessa o nei locali del porto in cui essi amavano passare le serate.

I risultati di questo intenso e pericoloso lavoro propagandistico non si fecero attendere. Nel febbraio 1919 i marinai della nave Mirabeau cominciarono a ribellarsi agli ordini, i soldati del 58° e 176° reggimento di fanteria, dislocati, rispettivamente, nei pressi di Tiraspol e a Cherson, si rifiutarono di combattere contro la repubblica dei soviet.

Questi fatti indussero il controspionaggio a intensificare le indagini e le ricerche per cercare di catturare gli attivisti e chiudere le tipografie clandestine, dalle quali non usciva soltanto il “Kommunist”, ma anche decine di volantini e di manifesti in francese, inglese, greco e polacco.

Il 1 marzo i membri del comitato clandestino si riunirono per discutere se organizzare una sollevazione armata contro il regime d'occupazione. La Labourbe era favorevole, non dubitando del successo.

Terminato l'incontro, Jeanne rientrò a casa sua, nella piccola stanza di via Puskin. Verso le 10 di sera alcuni ufficiali delle guardie bianche, informati da delatori francesi, vi fecero irruzione. Durante la perquisizione trovarono copie dei “Kommunist” e dei volantini.

Jeanne fu condotta al posto dì comando con 10 membri del comitato anch'essi arrestati. A mezzanotte, dopo inutili torture, vennero portati tutti fuori città e fucilati senza alcun processo.

L'indomani gli interventisti - che ignoravano la grande popolarità della Labourbe e di Smirnov -furono costretti ad autorizzare il seppellimento legale dei clandestini.

Sotto gli occhi degli agenti nemici, noti e segreti, i membri del comitato regionale clandestino deposero sulla tomba una corona che portava scritto, in una fascia scarlatta: “Morte agli assassini!”.

E in effetti né il terrore né le violenze riuscirono a sradicare le idee dell'internazionalismo che con sempre maggiore insistenza circolavano fra i soldati dell'Intesa.

Fu soprattutto la morte di Jeanne che suscito un grande movimento di protesta fra questi soldati. Persino in Francia, grazie alla sua intensa propaganda e a quella di Sadoul, si era sviluppato un movimento d'intellettuali progressisti in difesa della Russia, fra i cui promotori spiccano i nomi di Henri Barbusse e Romain Rolland.

Intanto un gruppo di soldati francesi, nelle zone di Odessa e della Crimea, pubblicarono il 25 marzo 1919 una lettera aperta nella stampa sovietica, affermando che, convinti della giustezza della lotta rivoluzionaria del proletariato russo, essi rinunciavano alla guerra e che al ritorno in patria avrebbero raccontato la verità ai lavoratori francesi.

Molti marinai francesi parteciparono alle manifestazioni e ai comizi del proletariato di Odessa contro l'intervento e consegnavano alle organizzazioni bolsceviche armi per la difesa della rivoluzione. Vi Furono anche casi di passaggio di soldati e marinai francesi nelle file dell'Armata rossa.

Il 16 aprile scoppiò su molte navi da guerra francesi un vero e proprio ammutinamento; il 20 aprile i marinai degli incrociatori France e Jean Bart a Sebastopoli inalberarono le bandiere rosse esigendo il rimpatrio.

Ben presto manifestazioni simili si ebbero in quasi tutta la flotta francese attraccata ai porti del mar Nero, tanto che il governo di Clemenceau fu costretto a smobilitare la maggioranza dei marinai e a dichiarare ufficialmente la rinuncia alla partecipazione diretta all'intervento. Nel contempo però scatenò dure repressioni contro i soldati e i marinai rivoluzionari.

Alla fine dell'aprile 1919 le regioni meridionali della Russia furono completamente liberate dalla presenza degli interventisti e delle guardie bianche.

Lenin, spiegando il successo, scrisse che la vittoria contro le truppe anglo-francesi era la più grande vittoria riportata sull'Intesa. “Noi abbiamo risposto alla sua illimitata supremazia tecnica e militare togliendole tale supremazia con la solidarietà dei lavoratori contro i governi imperialisti”. “E' vero, noi non avevamo che dei fogli insignificanti, rispetto alle migliaia di giornali della stampa inglese e francese, in cui ogni frase veniva stampata e propagandata su decine dì migliaia di colonne; noi non potevamo pubblicare che 2 o 3 fogli in 4° al mese, nel migliore dei casi si aveva un foglio per 10 mila soldati francesi, e di questo non sono neppure sicuro. Perché dunque i soldati francesi e inglesi avevano fiducia nella nostra propaganda? Perché noi diciamo la verità; perché quando essi sbarcarono in Russia, si resero subito conto d'essere stati ingannati”.

Al VII congresso dei soviet a Mosca Lenin parlò in termini molto calorosi della Labourbe. Disse che il suo nome, conosciuto da tutto il proletariato francese, era già diventato una parola d'ordine di lotta, il simbolo della solidarietà internazionale dei combattenti rivoluzionari. “Intorno a questo nome tutti gli operai francesi, senza distinzioni di tendenze frazionistico-sindacali che sembravano tanto difficili da superare, si sono uniti per agire contro l'imperialismo internazionale”.


Cronologia delle riforme sulla questione femminile (pdf-zip)

Questo brano in lingua francese è tratto da www.marxists.org/francais/rosmer/works/msl/msl2020.htm

Le groupe communiste français de Moscou était bien tel que je viens de le décrire, en 1920 ; il se survivait. Mais il avait connu à ses débuts de grands heures : deux de ses membres avaient été pris par la contre-révolution. Pour ne pas laisser le lecteur sur l’impression de sa fin pénible, je veux reproduire ici un fragment du bref historique qu’en fit Pascal :

“Le 30 août 1918, les Isvestia publiaient l’annonce suivante: Tous les camarades parlant français et anglais et sympathisant avec l’idéal du Parti communiste sont invités à assister à une réunion qui aura lieu samedi 31 août à sept heures du soir, Vozdvijenka, n° 20. Ordre du jour : Rapport sur la situation, en anglais, par le camarade Price, Morgan Philips ; en français par la camarade Jeanne Labourbe ; 2° Organisation d’un groupe anglo-français.
“ Jeanne Labourbe était un précurseur. Dans sa jeunesse laborieuse, elle avait gardé les troupeaux dans son village de Bourgogne, puis elle entra en service à la ville jusqu’au jour où la lettre d’une compagne fut l’occasion de son départ en Russie. Installée dans une famille polonaise, elle dut y jouer le rôle douloureux d’institutrice et de demi-servante qui lui permit cependant, tout en enseignant à son élève sa langue maternelle de compléter sa propre éducation. Lorsqu’éclata la Révolution de 1905, son grand cœur, son courage viril, son dévouement absolu à toutes les causes justes, la lancèrent dans le mouvement libérateur. Elle s’y donna certainement tout entière, comme nous l’avons vue parmi nous ne vivre que pour le groupe et pour le communisme. On sait comment elle est morte, le 2 mars 1919, lâchement assassinée dans la nuit, au fond d’un faubourg désert d’Odessa, par un groupe d’officiers français et russes, sous la présidence du général Borius. ”

C’est également dans la région d’Odessa, où les forces françaises secondaient les Blancs, que devait tomber la seconde victime. Dans des Souvenirs de guerre civile, Marcel Body écrivit :

“Odessa est bloquée par mer et par terre... il n’y a plus de pain, plus d’eau, plus de combustible dans la ville ; en revanche il y a des contre-révolutionnaires partout ; la situation empire. Au moment où je prends la parole, un camarade me glisse un billet où je lis : “ On s’attend à l’occupation de la ville cette nuit ; préparez-vous à vous réfugier dans un logement clandestin. ” Peu après, je vois entrer dans la salle Henri Barberey, armé et équipé ; quelques instants auparavant, il a prononcé en russe, un beau discours. Il a, si je ne me trompe, dix-huit ans, ce qui ne l’empêche pas d’être par ses convictions, un homme fait ; c’est un des premiers Français qui se soient ralliés à la Révolution. Au début de l’intervention française, le groupe communiste français l’a envoyé, avec Jeanne Labourbe, dans le Sud de la Russie pour y militer ; son courage confine à la témérité. À Sébastopol, où il se trouvait au moment de la révolte des marins de l’escadre française de la mer Noire, il a joué, dans les événements eux-mêmes décisifs, un rôle de premier plan. Déguisé en matelot, il s’est rendu sur les bateaux de guerre français pour y seconder une agitation qui a porté ses fruits... Dans la nuit du 30 au 31 juillet, Henri Barberey part à la tête d’un petit détachement de volontaires français combattre les insurgés qui déjà massacrent les communistes et les juifs dans les faubourgs d’Odessa. Il se bat avec sa bravoure accoutumée ; à certains moments ses compagnons s’efforcent vainement de le modérer. Parti seul en éclaireur - ou en parlementaire - il est fait prisonnier sous les yeux de ses camarades, impuissants à le sauver. Nous ne le reverrons plus. ” (Correspondance internationale, 11 novembre 1922.)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia contemporanea
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Aggiornamento: 20/11/2012