LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE
dall'esordio al crollo


LO STALINISMO PRIMA DELLA GUERRA MONDIALE

Dopo la fine della guerra civile la Russia sovietica era passata da 143 milioni di cittadini, nel 1917, a 136 milioni nel 1922. Nel periodo 1914-22, tra guerra mondiale, rivoluzione bolscevica, guerra civile, interventismo straniero e le inevitabili carestie ed epidemie vi erano stati circa 16 milioni di morti.

All'inizio del 1921, in rapporto alla produzione d'anteguerra, quella agricola era scesa a poco più della metà, mentre quella industriale era solo il 12% (gli operai si erano ridotti da 4 a 1,5 milioni).

Dopo il periodo del "comunismo di guerra", in cui lo Stato era stato costretto a operare requisizioni di grano o a imporre prezzi politici per poter fronteggiare la crisi alimentare del paese, Lenin, nel 1921, aveva dovuto avviare la "nuova politica economica" (Nep) per impedire il collasso dell'economia. La Nep consisteva nella rinuncia alle requisizioni agricole; nel conferimento di alcune quote di grano allo Stato secondo un prezzo stabilito; nella possibilità di vendere sui mercati le eccedenze da parte dei contadini e di assumere manodopera salariata; nel favorire lo sviluppo di piccole imprese capitalistiche con meno di 21 dipendenti.

L'industria pesante, le banche e il commercio estero restavano invece di proprietà statale. Le maggiori potenze europee, interpretando la Nep come un ritorno al capitalismo, riconobbero ufficialmente il governo sovietico, anche se gli Stati Uniti lo fecero solo alla fine del 1933 e le relazioni diplomatiche con gli inglesi saranno nuovamente interrotte nel 1927.

La produzione agricola e il reddito nazionale tornarono nel 1926 ai livelli d'anteguerra. Nel 1927 i braccianti rurali e i contadini poveri erano circa il 30%; i contadini medi poco più del 60%; i contadini ricchi (kulaki) poco più del 3%. I contadini aderenti ai colcos (cooperative) e ai sovcos (fattorie statali) circa il 4%.

Di fronte ai successi della Nep il partito si spaccò in tre correnti:

  1. una capeggiata da Bucharin, favorevole a un arricchimento borghese dei contadini, che erano la stragrande maggioranza della popolazione, con cui si sarebbe potuto finanziare una graduale industrializzazione del paese;
  2. un'altra capeggiata da Trotzki, favorevole a una industrializzazione accelerata di tipo statale, contro qualunque ritorno al capitalismo e anzi col proposito di esportare la rivoluzione all'estero, onde impedire che i paesi industrialmente più avanzati potessero soffocare la rivoluzione: le risorse per realizzare questa strategia andavano prelevate da quelle contadine (soprattutto con le tasse) e da quelle naturali del paese, ch'erano immense e sfruttate solo molto parzialmente;
  3. la terza corrente era capeggiata da Stalin, che nel 1922 era stato eletto segretario generale del partito e che, alla morte di Lenin, nonostante le affermazioni espresse nel suo "testamento politico", non venne rimosso. Stalin era nettamente contrario alla cosiddetta "rivoluzione permanente" caldeggiata da Trotzki, cui opponeva la teoria del "socialismo in un solo paese", pur essendo favorevole a una industrializzazione accelerata da far pagare ai contadini.

La posizione centrista di Stalin ebbe la meglio, in quanto i quadri e i funzionari di partito, da un lato erano stanchi di attendere una rivoluzione mondiale o anche solo europea che non arrivava mai, dall'altro non si riconoscevano nella società contadina tradizionale. Inoltre gli stalinisti sfruttarono il pretesto che l'Urss non era ancora stata riconosciuta da tutti i principali paesi capitalisti, per cui ci si poteva aspettare un attacco militare.

Temendo che la Nep avesse fine, appoggiando Trotzki, Bucharin finì col sostenere Stalin, e così Trotzki, nel 1927, fu espulso dal partito insieme a un centinaio di oppositori, tra cui Kamenev e Zinoviev, ed esiliato nel 1929.

La collettivizzazione dell'agricoltura

A partire dal 1925, per aumentare l'entrata di valuta straniera, con cui finanziare l'industrializzazione, il governo iniziò ad abbassare il prezzo che lo Stato pagava ai contadini per il grano destinato all'export. La conseguenza fu che nel 1927 la raccolta di grano per lo Stato era stata di tre volte inferiore rispetto all'anno precedente. Il paese rischiava la fame.

Già nel 1923 ci si era accorti che i prezzi dei prodotti industriali erano troppo alti rispetto a quelli agricoli, proprio a motivo di una differente crescita produttiva nei due settori (l'industria non aveva ancora un vero mercato nazionale, anche perché quella leggera era del tutto insignificante, sul piano sia quantitativo che qualitativo). Allora però s'intervenne a favore dell'agricoltura; questa volta invece si pensò di favorire l'industria.

Nel 1928 Stalin ripristinò le requisizioni dei cereali, scatenando, nel contempo, una campagna propagandistica contro i contadini più ricchi (kulaki), come se tutti i problemi del paese si potessero concentrare in quest'unica classe. L'anno dopo, al fine di eliminare tutta la proprietà privata contadina, decise la collettivizzazione forzata dell'agricoltura, che consisteva nell'unificare milioni di aziende contadine private o in fattorie cooperative (colcos) o in fattorie statali (sovcos), la cui produzione veniva inserita nei piani statali quinquennali, riguardanti anche l'industria. Fu relativamente facile convincere gli strati più poveri dei contadini a optare per una requisizione forzata di tutti i beni degli strati più agiati.

Nei sovcos tutta la manodopera era salariata, per cui tutta la produzione apparteneva allo Stato. Nei colcos invece i cooperatori avevano in comune macchinari, scorte, bestiame... Essi dovevano consegnare allo Stato una parte del raccolto a prezzi politici; un'altra parte veniva accantonata come riserva e fondo di assistenza; un'altra ancora doveva servire per modernizzare gli impianti; infine l'ultima parte poteva essere venduta sul mercato o comunque usata privatamente. Nei tempi morti dei raccolti i contadini dovevano sottostare a prestazioni obbligatorie di servizi.

Bucharin e la sua corrente si opposero contro questa forzatura, ma furono tutti espulsi dal partito e molti di loro furono fucilati alla fine degli anni Trenta.

Verso la metà degli anni Trenta circa 4,5 milioni di piccole imprese contadine erano state trasformate in colcos, su una superficie pari al 17,5% di quella coltivabile. Praticamente solo il 10% rimaneva di proprietà privata. Nel 1940 le famiglie rurali nelle aziende collettive erano diventate il 97% di quelle totali.

La resistenza contadina fu molto forte in Ucraina, Siberia occidentale, Basso Volga e Caucaso settentrionale. Essa avveniva sostanzialmente in tre modi: usando le armi, imboscando le derrate alimentari e macellando il bestiame.

La risposta del governo non si fece attendere: si decise che i kulaki dovevano scomparire come classe sociale e, se necessario, anche fisicamente. Un decreto del 1930 li divise in tre categorie: quelli armati (63.000 famiglie), i fiancheggiatori (150.000 famiglie) e i leali allo Stato. Per le prime due categorie era prevista la confisca dei beni, da consegnare ai sovcos, e la deportazione in Siberia (circa 1,8 milioni); gli ultimi erano invitati ad abbandonare le loro terre (circa 200.000 si trasferirono in città).

Nonostante questi provvedimenti, solo nel 1940 la produzione di grano recuperò i livelli del periodo della Nep. Il crollo del patrimonio zootecnico fu drammatico: dal 1928 al 1933 i capi di bestiame diminuirono più della metà e senza di essi veniva meno la forza motrice e il concime (le terre non erano ancora adeguatamente meccanizzate). Non a caso la crisi agricola del 1932-33 eliminerà circa 6-7 milioni di contadini.

Naturalmente quanto più l'agricoltura veniva collettivizzata a forza, tanto più era possibile procedere a una industrializzazione accelerata, anche perché l'apertura di nuovi impianti richiedeva manodopera ingente, tutta proveniente dalle campagne: tra il 1926 e il 1939 la percentuale degli operai salì del 100%.

La collettivizzazione rurale fu completata intorno al 1935, quando lo Stato consentì ai colcosiani di coltivare in proprio piccoli appezzamenti di terra (circa 4000 mq) e di allevare anche animali di piccola taglia.

L'industrializzazione accelerata

Poiché tutta la grande industria, le banche, i trasporti e il commercio estero erano in mano allo Stato, diventava possibile pianificare integralmente l'economia. Fu questo che permise quella industrializzazione accelerata che andò di pari passo con la collettivizzazione forzata nelle campagne e che permise appunto un trasferimento di ricchezze dall'agricoltura all'industria, ivi incluso il trasferimento dei lavoratori (oltre 20 milioni). Gli abitanti delle città, in pochi anni, salirono dal 18 al 33% della popolazione.

Il primo piano quinquennale fu quello del 1928-32, il secondo quello del 1933-37, il terzo venne interrotto dall'invasione nazista. Si puntò decisamente - come già Trotzki aveva chiesto - sulla produzione dei mezzi di produzione (industria pesante), anche per dotare il paese di un apparato bellico con cui poter fronteggiare qualunque attacco militare.

Lo stesso lavoro operaio veniva pagato con bassi salari, che fino al 1940 resteranno inferiori a quelli del 1928, benché i servizi sociali passassero, nel periodo 1928-37, dal 5,1% al 7,7% del Pil. Lo sfruttamento della forza lavoro era intenso (benché il plusvalore estorto fosse tutto statale) e veniva condotto secondo regole severissime, che comportavano sanzioni disciplinari per qualunque infrazione.

Vennero costruiti imponenti complessi industriali in varie parti del paese, con conseguenze letali per l'ambiente. Da paese importatore di macchine utensili, l'Urss diventò un paese esportatore. Nel 1940 la produzione industriale era decuplicata rispetto al 1913: in un arco di tempo molto breve il paese aveva raggiunto il terzo posto, dopo Stati Uniti e Germania, nella classifica mondiale.

Nel corso del primo piano quinquennale il reddito nazionale era raddoppiato, il prodotto interno lordo aumentato di due volte e mezzo, ma non grazie a quello agricolo, che non registrò significativi progressi, disattendendo di molto gli obiettivi prefissati.

Per raggiungere tali risultati si dovette introdurre anche il salario a cottimo (quello relativo al surplus che si riesce ad ottenere rispetto a un livello standard di produttività). Si avviò anche una sorta di emulazione socialista, mediante la quale si premiavano con riconoscimenti pubblici i cosiddetti "eroi del lavoro", cioè coloro che sapevano conseguire obiettivi superiori a quelli previsti. Il minatore Stakhanov, che poteva ottenere con i suoi metodi una resa di carbone pari a 14 volte quella media di un turno di lavoro, era diventato famosissimo. Si dovettero comunque sacrificare i consumi interni, domestici, quelli tipici dell'industria leggera, che non riuscirono a raddoppiare, come previsto dal primo piano quinquennale, mentre i beni di produzione quadruplicarono. Naturalmente si dovette provvedere anche alla formazione tecnica e professionale di decine di milioni di lavoratori.

Ormai tra partito e Stato non c'era quasi nessuna differenza: l'intero paese era governato da una estesissima nomenklatura di politici, funzionari e amministratori, pari all'incirca al numero degli operai.

Il grande terrore del 1936-38

Il governo sovietico si rese tuttavia conto che i successi ottenuti dal primo piano quinquennale avevano pagato un prezzo spaventoso, sacrificando enormemente la campagna, irreggimentando l'intera società, accentuando di molto gli aspetti autoritari del sistema, impedendo un qualunque dibattito pubblico.

Per poter scatenare una repressione di massa con cui contenere il dissenso interno, Stalin creò un pretesto rimasto ancora oggi poco chiarito: l'assassinio di Kirov, segretario del partito a Leningrado. Egli aveva espresso giudizi negativi sull'operato di Stalin e questi lo fece assassinare il 1 dicembre 1934 con l'aiuto dei servizi segreti. Lo stesso Stalin, il giorno dopo, si era recato di persona a Leningrado per guidare l'inchiesta. Non fu fucilato soltanto l'autore materiale del delitto, ma anche altre 13 persone ritenute legate ad ambienti di opposizione facenti capo a Zinoviev.

Era stata tutta una montatura, ma servì come pretesto per scatenare le grandi purghe contro ex socialisti, ex menscevichi, ex kulaki, ex nobili, stranieri, preti, dirigenti politici, quadri intermedi, funzionari, ufficiali dell'esercito, semplici cittadini... L'articolo 58 del codice penale (1926) permetteva di considerare come reati contro lo Stato dei comportamenti che in un qualunque regime democratico al massimo avrebbero ottenuto una sanzione amministrativa.

Durissima fu anche la persecuzione religiosa: dall'inizio del terrore sino al 1940 il 90% delle chiese e delle moschee era stato chiuso al culto.

Nel solo biennio 1937-38 si eliminarono fisicamente oltre 681.000 persone (circa 40.000 al mese) e se ne internarono nei campi di concentramento (gulag) oltre 634.000. Gli stessi membri del Politburo avevano paura di essere convocati da Stalin: in effetti delle 31 persone tra coloro che entrarono nei Politburo di Lenin e Stalin (1919-1938) solo sei sopravvissero a Stalin (Andreev, Kaganovich, Krusciov, Mikojan, Molotov e Voroscilov); degli altri 25, 19 furono fucilati, 2 si suicidarono e solo 4 morirono di morte naturale.

I gulag erano sorti nel 1919 per imprigionare i contadini contrari al comunismo di guerra e i controrivoluzionari delle armate bianche: erano dislocati prevalentemente nelle remote lande della Siberia.

Tra il 1929 e il 1953 vi passarono circa 18 milioni di persone, con livelli di mortalità tra il 6 e il 10%. Nell'ambito più ampio dei "lavori forzati", si devono aggiungere circa 4 milioni di prigionieri di guerra, 700.000 detenuti nei campi di smistamento e almeno 6 milioni di "confinati speciali", cioè kulaki e altri contadini deportati durante la collettivizzazione, per un totale di circa 28.700.000. Per assistere al loro definitivo smantellamento si dovranno aspettare gli anni Ottanta. Fondamentale resta la pubblicazione di A. Solženicyn, Arcipelago Gulag.

Il primo leader comunista a denunciare pubblicamente gli orrori di Stalin fu Krusciov al XX congresso del Pcus nel 1956.

Con la fucilazione di Bucharin nel 1938 e l'assassinio in Messico di Trotzki nel 1940 l'intero gruppo bolscevico che aveva fatto la rivoluzione era scomparso. Stalin aveva fatto decimare anche il meglio dei quadri militari dell'Armata Rossa, sulla base di requisiti di fedeltà più che di capacità. Le forze armate sovietiche persero 3 marescialli su 5, 8 ammiragli su 8, i 9/10 dei comandanti di corpo d'armata e 35.000 ufficiali su 144.300. Le armate di Hitler approfitteranno proprio di queste epurazioni per invadere il paese.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia contemporanea
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Aggiornamento: 05/03/2013