STORIA LOCALE DELLA ROMAGNA
Ravenna - Forlì-Cesena - Rimini


BREVE STORIA DELLE ALFONSINE

La storia “tradizionale” indica che circa 1500 anni a.C. i Pelasgi fondarono la città di Spina su di un isolotto alla foce dell’Eridano (attuale Po) nella terra di Saturnia (antico nome dell’Italia), costruendo una fortificazione in legno. Foce che prese il nome di “spinetica” e che oggi con tale nome viene indicato il luogo (spinetico) nella prosciugata valle di Comacchio. Il Dr. Frizzi, nelle sue “Memorie per la Storia di Ferrara” indica la foce spinetica (descritta da Plinio) nei pressi della chiesa di Santa Maria del Passetto vicino ad Alfonsine. Altri: Desiderio Spreti la indica nelle vicinanze di Longastrino e Amati, nella zona di Savarna.

Nel 1114 a.C. gli Etruschi distrussero Spina e tutti gli abitanti superstiti si dispersero nei luoghi vicini, aggregandosi e dando vita ad Argenta, Comacchio e Ravenna. Molti si isolarono nelle poche terre limacciose all’interno della Valle Padusa. Dionigi di Alicarnasso, cita nelle sue opere che, molte isolette della Padusa erano abitate. Prima della calata dei Celti nella valle padana, gli “Assagi Etrusci” modificarono il corso del Po ed iniziarono con l’innalzamento degli argini di diversi fiumi e torrenti.

Dal V secolo a.C. l’attuale “bassa Romagna” venne occupata dalle tribù celtiche (Galli) che erano emigrate dall'attuale Francia e Germania verso l'Italia. Si stanziarono, da sud i galli senoni originari della valle della Senna, fino al fiume Utis (Montone) e al Sinnium (Senio - che indicava il confine dei senoni), i galli Lingoni originari della valle della Loira dal Senio al Sillaro ed i galli Boi originari della valle del Reno oltre al Sillaro fino a Modena. Nacque, in un certo qual modo, una autoctonia formata dal miscuglio di tre razze (pelasgi, etruschi e senoni) alle quali poi si aggiungeranno dopo la promulgazione della "Lex Flaminia" (232 a.C.), anche i romani.

Esisteva a quel tempo una grande selva, chiamata Litana, in omaggio alla dea celtica degli inferi, delimitata nord dall’antico corso del Reno, a Sud dal Fiume Savio, ad est dal mare e ad ovest dalla direttrice che poi divenne la Via Emilia. Nel 216 a.C. ebbe luogo in questa selva, il cui abitato principale era "Lugh" (l'attuale Lugo) in onore di un altro dio celtico, la famosa battaglia della Selva Litana, raccontata da Tito Livio, dove i romani subirono una delle più grandi sconfitte della storia da parte della coalizione gallica di senoni, lingoni e boi. Livio infatti dice che entrarono nella selva circa 25.000 soldati romani e ne uscirono vivi solamente dieci.

Questa vasta foresta molto paludosa verso valle, terminava nell'antica foce dell'Eridano proprio nelle vicinanze di Alfonsine e precisamente in quel luogo che ancor oggi viene chiamato "Bocca Grande" nella frazione di Longastrino. Dalle valli emergevano isolotti abitati in massima parte da quella popolazione formatasi dalla fuga dei Pelasgi dopo la distruzione di Spina da parte degli Etruschi, stanziatisi questi ultimi a Rasenna (l'attuale Ravenna). Rasenna indicava la parola “Etruschi” nella loro lingua. Nei primi secoli d.C. andava delineandosi una vasta zona valliva chiamata Libba divisa al suo interno in due importanti valli: la valle Fenaria era la più ampia, delimitata a nord dal Fiume Santerno a sud dal Fiume Lamone (Rafanara e poi Aimone) e ad est dal Badareno ramo del “Po vecchio” e la valle Zusverti che era situata a sud-ovest verso l’interno. Nella valle Fenaria le due isole maggiori erano l'isola del Pereo che, dopo l'anno 1000, prenderà il nome di Sant'Alberto e l'isola Sabbionara che poi prenderà il nome di Contrada Grossa e successivamente: Alfonsine.

Col ritirarsi delle acque ed a seguito delle grandi bonifiche iniziate dai Frati di Porto aumentarono le terre emerse attorno alle quali restavano ampi acquitrini che venivano pure loro chiamate valli (nel senso di zone semi-acquatiche). Infatti l'antico suolo alfonsinese, come cita, nel 1833, lo storico lughese Gianfrancesco Rambelli, era composto da sette valli. In realtà circa nel 1400 senza considerare l'antica valle Humana e la più recente valle del Passetto, le valli che comprendevano l'attuale Alfonsine erano nove e precisamente: Loibe, Dana, Negajone (di sopra e di sotto), Gualdinella, Polisinella, Sagatelle (o Trivella), Contrà (o Contrada), Cormolano (o Cormalano) e Mezzan di Po.

Nella metà del primo millennio d.C. si era consolidata una zona a muraglia fra le prime terre emerse ed il mare, muraglia composta dall’apporto delle piene fluviali da una parte (terra e argilla) e dall’altra parta dall’apporto di sabbia dal mare. Una parte di questa delimitazione la si trova ancora ai giorni nostri a lato delle valli di Comacchio: l’argine di Agosta. Il Po si diramava in tanti bracci ed uno dei maggiori era chiamato “Badarenus” che entrava nella fossa Butriatica situata all’incirca nella zona che oggi viene individuata fra l’Anerina ed il “Magazzeno” di Alfonsine. La “Tabula Peutingeriana” indica, nella zona, un luogo chiamato “Butrium” dal quale appunto deriva il nome di fossa Butriatica e, alcuni ricercatori, fra i quali Marino Marini, hanno individuato questo sito fra il Magazzeno e la Cilla. Questa fossa interna arrivava fino a Ravenna e rendeva il territorio molto difendibile e quasi inespugnabile.

Nel 565 d.C. ci fu un vero e proprio diluvio di acque che fece straripare i fiumi inondando la Valle padana, sommergendo le diverse isole che si erano precedentemente formate ed erano abitate. Con il passare degli anni, le acque defluirono a valle e le inondazioni portarono detriti argillosi che favorirono il riempimento delle zone paludose.

In quel periodo, il Senio (Sinnium e/o Seno) si immetteva nella Valle Polisenella (circa l’attuale zona di fiumazzo Pini), dove iniziava l’isola Sabbionara che si estendeva fino al Magazzeno.

A parte gli scritti di Strabone e di Plinio, il primo atto “ufficiale” che determinava in modo abbastanza preciso la divisione delle terre e delle valli è la “Carta Piscatoria”, con la quale venivano fatte diverse delimitazioni di valli concesse a diritto di “pescagione” all’antica “Schola Piscatorum”, oggi denominata Casa Matha. Si consideri che, ancora oggi (anno 2007), la Casa Matha è proprietaria di alcuni fondi nella “Loibe” fra il Fiume Santerno e l’Anerina, in quella zona che allor tempo era chiamata “Cordiselva”. La “Carta Piscatoria” fu redatta dal “Notaro Giorgio Ravennate” il 12 aprile del 943. Esiste peraltro un atto precedente (del 787) con il quale Carlo Magno concedeva ai “Custodi della Chiesa Ravennate” la pesca e la caccia nelle valli fra i Badareno e la Fossa Butriatica (Ab uno latere Patareno, et at alio latere Trentum, seu a tercio latere Fenaria seu fossa, que uocatur Butriatica….).

La concessione si limitava a questo, ma comunque sempre nella zona dell’attuale Alfonsine. Altro atto importante è quello del 15 gennaio 977, con il quale l’Arcivescovo Onesto II concedeva a vari “coloni” il diritto di pescare ed andare a caccia di uccelli e quadrupedi nell’intera Valle Augusta che si estendeva nel territorio di Comacchio fra il Pereo, il Badareno e il Po. Anche con questo atto veniva delimitata la zona che comprende l’attuale Alfonsine, Sant’Alberto e Longastrino. Non deve peraltro trarci in inganno il nome “Comacchio” le cui valli comprendevano la stessa Valle Humana ed iniziavano oltre il Badareno dopo la Valle del Passetto. Quindi Le valli di Comacchio erano contigue a quelle del Passetto, divise dal Fiume Badareno. Lo Spreti indica in una sua opera che: “nella valle sorgevano qua e là abituri di canne e stuore, formati per assistere alle pescate che nel Badareno facevansi principalmente”.

Verso la metà del 1.100, Onorio II, accorda al Vescovo di Imola, la possibilità di esigere dazi in un luogo della sua diocesi chiamata Massam Libbam (che da San Savino arrivava all’attuale Fiumazzo Pini) ed era collegata alla Via Stropa (Stroppata) dalla strada dei palazzi (Via dei Placci). Nel XIII secolo il territorio e le valli della Libba e Fenaria, dal Po fino a Ravenna, appartenevano al Contado di Argenta che dipendeva dall’Arcivescovo di Ravenna, come stabilito dall’Imperatore Federico II.

Nel 1215, papa Innocenzo III concesse alla Chiesa di Imola diritti sul Porto della Libba e della Valle Fenaria. Ma dove si trovava il Porto della Libba? Esaminando le carte più antiche si nota che la parte destra del Fiume Santerno era divisa in tre valli, sotto Lugo verso Fusignano (Valle Libba), sotto Lavezzola verso Voltana, più distaccata dal fiume, (Valle di Negajone superiore) e sotto San Biagio verso Alfonsine (Valle Loibe). Si ritiene peraltro che tutta la parte sotto il Santerno fosse la Libba il cui nome nei secoli sia stato cambiato nella parte più verso mare in Loibe. Il Porto della Libba potrebbe quindi essere l’antico porto romano che si trovava all’ingresso della Fossa Butriatica e fungeva pure da controllo per le merci. Anche i Veneziani avevano costruito (nel 1258) un porto commerciale nella confluenza del Badareno con il Po con tanto di castello a difesa, si che l’Arcivescovo di Ravenna minacciò di scomunicare i veneti se non avessero immediatamente abbandonato quei luoghi.

Nel 1304 la Casa Matha comprò la valle “Corii Sille” (Cordiselva) che come accennato in precedenza, ancor oggi vanta proprietà in quella zona. Nel 1317 i marchesi d’Este, con l’aiuto dei veneziani, occupano Sant’Alberto e territori limitrofi, iniziando così i loro interessi verso la Romagna. Mentre la famiglia estense (ferrarese) premeva da nord verso il Santerno ed il Senio, la famiglia Da Polenta (ravennate) premeva da sud verso le stesse zone. Gli abitanti delle poche terre emerse della Libba e della Fenaria, si trovarono coinvolti in diverse scaramucce e più volte soggiogati dall’uno o dall’altro contendente. Nel 1348 scoppiò una furiosa peste che vide decimata la popolazione e maggiormente quella che abitava i territori acquitrinosi e che era senza assistenza alcuna, come appunto le genti della bassa Romagna. Dalla metà del 1300 inizia in un miglior modo, con maggior dettaglio e quindi meno approssimazione, la confinatura dei territori. Nel 1355, Alfonsine (allora chiamata Sabbionara) fu acquistata dalla famiglia da Polenta unitamente alle zone limitrofe di Filo, Longastrino e San Biagio.

Alcune valli della Fenaria, come la Negajone, la Loibe ed i territori a monte di San Savino, Fusignano e fino a Lugo erano di proprietà dei Conti di Cunio che nel 1357 le cedettero al “dominatore” di Ravenna Bernardino da Polenta. Dette valli e selve, sono ben indicate in un atto presso l’archivio comunale di Ravenna che le elenca in: “Fenaria, Gualdinella, Loibe, Nagaioni, Polisenella, Butriatica, Badarena…” e quindi quasi l’intero territorio di Alfonsine. Nel 1406 Obizzo da Polenta, Vicario della Santa Sede, fece testamento indicando che se non avesse avuto eredi, avrebbe lasciato per successione detti territori, alla Repubblica di Venezia. Alla morte di Obizzo (1431) rimase erede il giovane Ostasio che era mal visto dai ravennati per la sua dissennatezza, si che i ravennati stessi chiesero alla Repubblica di Venezia di impadronirsi della loro città e per questo avrebbero avuto l’aiuto della popolazione.

E così fu nel 1441 quando Ostasio, a furor di popolo, fu esiliato. I Veneziani poi nel 1458 vendettero a Pietro del Piemonte tutte le terre e valli a destra del Po di Primaro, quindi anche le nove valli che formavano il territorio alfonsinese. Però anche gli Estensi vantavano diritti su questi territori, che già da un po’ di tempo avevano continuato nelle bonifiche intraprese circa due secoli prima dai frati di Porto. Il giorno di Natale del 1464 (Gianfrancesco Rambelli indica il 1465) , Borso, duca di Ferrara, Modena e Reggio, fece dono di questi territori, unitamente al feudo di Fusignano, a Teofilo Calcagnini da Rovigo. Nacque una feroce disputa fra Pietro di Piemonte e Teofilo Calcagnini su quei territori poiché ognuno ne reclamava la proprietà. Le parti si accordarono e, dietro pagamento, Pietro cedette in toto i diritti su quei territori e così Teofilo Calcagnini divenne pienamente proprietario di dette terre e continuò nell’opera di bonifica.

A Teofilo successe il figlio Alfonso che, nel 1494, dopo aver sposato Laura, figlia di Rinaldo d’Este, fu inserito nella famiglia Estense prendendo il nome di Alfonso Calcagnini d’Este. Alfonso si impegnò in modo incisivo nel proseguire l’opera di bonifica del territorio e continuò l’opera di arginatura, di cui la più importante fu quella dedicata al Duca Borso d’Este che, nel 1466, aveva proceduto al primo drizzagno del Fiume Senio. Su detta arginatura fu costruita una strada, che ancora oggi porta il suo nome: Via Borse. Da subito queste terre furono chiamate le terre di Alfonso e da qui “Le Alfonsine”. Fu per opera sua che fu costruita nel 1502 una chiesuola dedicata a Nostra Donna. Questa chiesuola viene considerata il primo luogo di culto ad Alfonsine.

In effetti è vero se si considera il nome “Alfonsine”, ma non è esatto se consideriamo il territorio. A tal proposito, esiste una mappa molto interessante, nell’Archivio Storico di Ravenna, la nr. 526 dell’anno 1552, dove si evincono chiaramente le proprietà dei Frati di Porto e dove si nota nel prolungamento di Via Valeria ad est dell’attuale Via Reale un luogo di culto dei frati di Porto. I Frati di Porto abitavano questa zona già dall’anno 1000 ed avevano alcuni luoghi di culto, fra i quali il più importante era la chiesuola di “Santa Maria al Passetto” che si trovava dove ora c’è una “edicola” che noi romagnoli chiamiamo “madonnina”, circa all’incrocio fra Via Passetto,Via Puglie e la Via Storta. Detta chiesuola la si può datare a circa l’anno 1200 e quindi è stato il primo luogo di culto della zona di Alfonsine, quando Alfonsine non si chiamava ancora così.

Ritornando ai primi anni del 1500, si riaccese una disputa fra gli Estensi ed i Veneziani (allora signori di Ravenna) circa la proprietà ed i diritti sui territori di Argenta, Lugo, Fusignano ed Alfonsine. Il Papa Giulio II prendendo le difese dei Calcagnini inviò, per dirimere la diatriba, il generale Francesco Maria della Rovere che, il 20 luglio 1510, occupò senza colpo ferire, i territori di Massalombarda, Lugo, Sant’Agata, Fusignano, Bagnacavallo ed Alfonsine, consegnando gli stessi nella disponibilità dei Calcagnini. Fu quindi stabilita una demarcazione con l’apposizione di cippi e stele, che prese il nome di “Confinazione Estense”. La questione però non terminava qui poiché alla delimitazione dei confini si opposero i Frati di Santa Maria in Porto (che vantavano ancora diverse proprietà nelle Valli del Passetto) e i fratelli Raffaele e Ottavio Rasponi (che vantavano proprietà fra la Via Raspona ed il Fiume Senio).

Fu Papa Leone X che avocò a se il caso e, dando nuovamente ragione ai Calcagnini, con la “breve” del 3 dicembre 1519 concesse “in feudo nobile con pienezza di podestà, mero, misto impero…..di sovranità a Borso e Tommaso Calcagnini figliuoli e discendenti loro in perpetuo la Baronia delle Alfonsine formata dai luoghi bonificati da Alfonso e dallo smembramento de’ circonvicini distretti”. Con la stessa breve Leone X stabilì che detti territori prendessero il nome di “Leonino” e che i Calcagnini avessero giuspadronato perpetuo sulla chiesa di Alfonsine.

Però i ravennati non si dettero per vinti e continuarono le loro pretese dapprima con papa Paolo II e poi con Giulio III. Fu Pier Donato Cesi, Vescovo di Narni e Presidente di Romagna che, nel 1558, determinò nuovi confini togliendo una parte di territorio alfonsinate ai Calcagnini a beneficio dei ravennati e al distretto di Bagnacavallo. Come Gianfrancesco Rambelli ci indica in una nota alle sue “Memorie storiche dell’Alfonsine” redatte nel 1833, la divisione di Monsignor Cesi prevedeva: “Nella parte inferiore prendendosi dalla via di Bagnacavallo detta la Rossetta veniva a traverso d’una possessione de’ fratelli Morini, e passando il fiume alquanto superiormente al Guado di Ravenna tagliava in parte il palazzo Spreti, oggi Mascanzoni, poscia andava al principio della Strada Passetto, quindi traversava il podere Regalina sul Fiumazzo e per la val Dana giungeva al Palazzone.

Nella parte superiore prendendosi dalla punta del Prato lungo veniva nella via di S. Savino, poi sopra la Strozza e passando il fiume alla punta dello Stradone della Chiesa, sempre restringendosi tornava nella via di Bagnacavallo in un podere oggi della famiglia Isani.”. Intanto, nel 1537 ci fu il primo importante inalveamento del Fiume Senio che veniva immesso nel Po di Primaro nel luogo che fino ad oggi è stato chiamato il passo dell’Anerina, a circa un miglio a nord della Madonna del Bosco. Passarono 40 anni e nel 1598, papa Clemente VIII, confermava alla famiglia Calcagnini tutti i diritti già concessi da Leone X sui feudi di Fusignano e di Leonino. Nel 1632, quando il Senio si immetteva nuovamente fra la Valle Negajone di sotto e la Valle Polisenella, subì una piena notevole e ruppe l’argine tre miglia dopo Fusignano, creando un nuovo alveo fra i campi, andandosi a perdere nelle valli Bresciane e in quella zona che fu chiamata Fiumazzo. Si può dire cha da qui iniziarono nuove peripezie del fiume Senio con le sue rotte, modifiche e storia fino ai giorni nostri. Infatti nel 1674, i Calcagnini decisero di reimmettere il fiume nel suo antico alveo e riportarlo quindi a sfociare in Po attraverso le valli del Passetto.

Nel 1708 l’imperatore Austriaco Giuseppe I dichiarò guerra a Clemente XI chiedendo la cessione di Comacchio. I Calcagnini inviarono duecento fanti alle milizie di Romagna per dar man forte all’esercito pontificio che contrastava gli austriaci che avevano occupato Comacchio. Le milizie di Romagna ebbero la meglio nella battaglia della Stellata e gli austriaci, messi in fuga, si rifugiarono a Ferrara. Il 15 gennaio 1709 fu firmata la pace ed i superstiti della Milizia Romagnola ritornarono dalle loro famiglie ad Alfonsine e Fusignano. Il 19 febbraio 1754, nasce ad Alfonsine, Vincenzo Monti, nella casa posta all’inizio della via del Passetto e di proprietà della Famiglia Calcagnini. Nel 1756 Alfonsine viene diviso da Fusignano ed investito di una sua autonomia anche con la costruzione di un fabbricato destinato ai processi, con annesso carcere. Siamo al 22 novembre 1760 quando viene inaugurato il ponte di legno che collega la “Violina” con la parte sinistra di Alfonsine, costruito con il contributo dei cittadini.

Nel 1780 il Senio venne definitivamente incanalato nella Fossa di Munio Superiore e portato nel Reno in località Magazzino dei Frati o Magazzino di Porto.

Nel 1796 L’Italia è invasa dalla Francia e l’anno successivo viene istituita la Repubblica Cispadana ed Alfonsine diventa Comune con la nomina di un Comitato Economico di cui il Presidente fu Giuseppe Lanconelli. Quando la Repubblica Cispadana viene mutata in Cisalpina il Senio ha un suo ruolo e cioè la parte sinistra di Alfonsine viene assoggettata a Lugo e quella a destra divisa fra Bagnacavallo e Ravenna. Poi la Romagna fu presa dagli Austriaci nel 1799- 1800 e Alfonsine fu nuovamente riunito in unico Comune. Con l’instaurazione della Repubblica Italiana del 1804 e 1805, Alfonsine è nuovamente diviso in due comuni, Alfonsine-ravignane nella sinistra senio, con Sindaco Giovanni Bendazzi e Alfonsine Leonino nella parte destra con Sindaco Giovanni Antonio Camerani.

Nel 1809 i due comuni furono nuovamente uniti, ma dipendevano da Fusignano fino al 1814 quando Alfonsine divenne indipendente e Giuseppe Corelli fu nominato Podestà. A quella data, Alfonsine contava 4.500 abitanti. Nel 1811 ci fu una tremenda inondazione e l’acqua stagnò nei campi fino al mese di luglio, producendo febbri epidemiche e mietendo oltre trecento vittime. Da Bologna fu inviata una commissione di medici con il compito di debellare l’epidemia e fu il Dottor Pietro Dall’Ara da Reggio Emilia che riuscì a salvare la popolazione da quella perniciosa malattia. Il Dottor Dall’Ara rimase ad Alfonsine e nel 1831 fu nominato Priore (Sindaco) del Comune. Già dai primi anni del 1800, dopo l’espandersi del rivoluzionarismo-repubblicano francese, anche le popolazioni di Romagna avanzarono richieste di diritti civili, di autonomie decisionali, di minore ingerenza delle autorità, si da creare un primo cenno di pensiero anarchico più che giacobino.

Le inondazioni del 1811 e lo scarso raccolto protrattosi fino al 1816 ed una epidemia di tifo nel 1817 portarono lutti e carestia. Molte famiglia persero chi le sosteneva e la situazione diventò difficilissima dal punto di vista sociale. Più che pretese, gran parte degli alfonsinesi, per poter sfamare la famiglia, cominciarono a rubare, aggredire e saccheggiare si che si fece la nomea di covo di ladri ed assassini. La miseria e fame imperversava e la gente si arrangiava come poteva. I primi moti rivoluzionai del 1820/1821 non videro presenza di genti delle nostre zone, occupate a cercare qualsiasi forma di sostentamento possibile. In quegli anni il Gonfaloniere Comunale si inventò un lavoro, rimasto storico nella memoria degli alfonsinesi. C’era un vecchio canale di bonifica che collegava il fosso di Munio superiore, nel quale già era stato inalveato il Senio, con il fosso della Rossetta che a sua volta si collegava con il “navigabile” che veniva da Bagnacavallo. Questo fosso era praticamente stagnante e contribuiva a sviluppare la malaria che ancora imperversava nella zona. Fu deciso di “munirlo” con il contributo delle Opere Pie di Faenza. Furono assunti a turno braccianti presi dalla quasi totalità delle famiglie alfonsinesi più povere che, con una paga da fame, con le loro braccia, ceste e carriole, colmarono il fossato, sul quale fù costruita la via che dal centro di Alfonsine portava sulla via Rossetta (l’attuale Via Roma) che fu inizialmente chiamata “la via della fame” e ancora oggi conosciuta con quel nome. Intanto nel ravennate proliferavano sette segrete, massoniche e giacobine che contrastavano il potere della Chiesa.

Nel 1824 il Cardinale Agostino Rivarola, dopo l’uccisione del Capo della Polizia da parte di ignoti, prese il comando e fece arrestare un migliaio di persone, ne fece processare oltre 500 con l’accusa di appartenere alle “sette massoniche, carbonare e di essere liberali incalliti”. Fra questi vi era anche un alfonsinese: Domenico Costa che sembra, più che rivoluzionario fosse un delinquente comune trovato in possesso di lama da taglio vietata.

Nel 1831 a seguito dei moti di Bologna anche la Romagna si sollevò contro il potere papale e gli austriaci ed a Rimini ci fu una furiosa battaglia dove i rivoltosi ebbero la peggio. Fra questi erano presenti anche 10 volontari alfonsinesi: Bagnara Giovanni, Bini Felice, Calderoni Giacomo, Cortesi Giuseppe, Fiorentini Vincenzo, Marcucci Luigi, Mascanzoni Cirillo, Massaroli Giacomo, Rambelli Simone e Salvatori Domenico.

Dal 1843 iniziò a proliferare nel ravennate il pensiero mazziniano e cominciano a girare le prime bandiere rosse del mondo bracciantile e a nascere i circoli e società di mutuo soccorso, le primi aspirazioni di una società del popolo, le prime forme cooperativistiche. Il potere clericale cercò in ogni modo di stroncare sul nascere l’anelito di libertà delle classe più povere e proletarie, preoccupata non tanto dal minor interessamento della popolazione alla religione, ma dalla paura di perdere potere e privilegi.

Da allora ed oltre sebbene i romagnoli siano chiamati “mangiapreti” esprimevano a loro lo modo il proprio senso religioso anche se non frequentavano la chiesa ed anche colpendo il potere papale si rivolgevano all’altissimo dicendo: “se e signor e vuò” oppure “ spiren che e signor um’aiuta”. Devozione anche atea verso “e signor” (Il Signore) ma molto meno con l’appellativo di Dio che normalmente comprendeva una bestemmia. Nel 1845 sempre a Rimini ci furono sollevazioni popolari alle quali presero parte parenti e cugini della famiglia di Giovanni Pasi, in tutto cinque persone, come cita Massimo D’Azeglio sugli “ultimi casi di Romagna”.

Il 16 giugno 1846 viene eletto papa Giovanni Maria Mastai Ferretti, che prende il nome di Pio IX. Questo papa era visto molto bene anche dai “rivoluzionari” perché aveva la fama di essere un liberale. Anche Giuseppe Mazzini nel 1847 scrisse al Papa una famosa lettera per esortarlo a prendere la guida del movimento per l'unità e l'indipendenza d'Italia. Ben presto si spensero le speranze di poter trovare nel nuovo papa colui che avrebbe risolto i problemi delle classi più povere. Nel gennaio del 1848 scoppiano i primi moti a Palermo e a Napoli e poi a Milano ed in tutto il Lombardo-Veneto.

L’anno seguente 30 alfonsinesi parteciparono alla battaglia di Vicenza, inquadrati nel Battaglione del Senio. I loro nomi sono incisi su di un marmo all’ingresso del Palazzo Municipale ai cui lati si trovano le effigi di Garibaldi e Mazzini. I rivoluzionari repubblicani avevano preso corpo anche ad Alfonsine. Intanto tutto il nord dell’Italia insorgeva. Il 9 febbraio del 1949 fu proclamata la Repubblica Romana ed anche ad Alfonsine fu innalzato l’albero della libertà a lato della via Violina ed ancora oggi, di fronte all’Albergo Gallo, si trova una targa marmorea cementata nell’asfalto, per ricordare quell’avvenimento.

Nello stesso anno, dopo la trafila di Garibaldi attraverso la Romagna e dopo che gli austriaci avevano occupato le maggiori città della regione dopo aver fucilato gran parte degli insorti, anche ad Alfonsine venne abbattuto l’albero della libertà. Rimaneva peraltro accesa, sotto la cenere, quella brace patriottica e di libertà che ha sempre animato lo spirito degli alfonsinesi anche nei tempi successivi. Tutto tornò saldamente in mano al potere pontificio.

Le società di mutuo soccorso svolsero un ruolo di “sindacato” a difesa delle classi povere, iniziarono sospensioni dal lavoro per avere salari adeguati, fino all’organizzazione di veri e propri scioperi a difesa del lavoro e del bracciantato.

Nel 1855 Alfonsine fu colpita da una epidemia di colera con oltre 200 persone contaminate ed oltre 100 i morti. La mancanza di lavoro e quindi la miseria fecero si che la piccola illegalità si tramutasse in vero e proprio banditismo. Alfonsine conobbe un periodo di terrore che colpì non solo i benestanti e possidenti, ma anche le persone più umili. I “grassatori” non guardavano in faccia a nessuno e girare per le campagne, alla sera, era impresa ardua e rischiosa non solo della borsa ma anche della pelle.

La banda più pericolosa che imperversava era certamente quella dell’Altini che aveva la “schioppa” ed il coltello facile. Nel 1866 ci fu un processo alla Corte di Assise di Ravenna contro quella che fu chiamata l’associazione dei malfattori di Alfonsine, dopo che si ebbe la loro incarcerazione, nota ancora con il nome “ e ligaz di trentasi”. Fra questi ci fu un delatore o come oggi meglio viene chiamato un collaboratore di giustizia che, diversamente da quelli moderni che vengono lautamente pagati, ottenne, come ricompensa, i lavori forzati a vita anziché la pena di morte. Certamente aveva sbagliato periodo.

Nel 1859 alla seconda guerra di indipendenza (26 aprile 1859 - 12 luglio 1859) parteciparono 30 volontari alfonsinesi, i cui nomi sono incisi nel marmo all’ingresso del Palazzo Municipale. Altri 60 alfonsinesi parteciparono nel 1860 come volontari alla campagna per l’Unità d’Italia. Nel 1865, la Congregazione di Carità di Alfonsine che aveva ricevuto in donazione alcuni fabbricati e terreni in via Reale, istituì in quei locali l’Ospedale per gli infermi nella parte adiacente alla strada ed il ricovero per i miserabili in un fabbricato all’interno di un giardino limitrofo all’ospedale.

Solo venti anni dopo (nel 1885) con l’interessamento del Dr. Giulio Gamberini, che fu il primo primario dell’Ospedale, furono fatti lavori di ristrutturazione e riattamento per rendere i locali dell’ospedale più abitabili ed igienici. Così rimase fino al secondo conflitto mondiale. Dopo l’Unità d’Italia Alfonsine aveva l’Ospedale Civile, il Ricovero per gli anziani, la Pretura, la Residenza Comunale, il Pubblico Macello, la Caserma della Guardia Nazionale, le Carceri, e successivamente l’Ufficio del Registro e le Scuole professionali.

Nel 1883 iniziò la costruzione della linea ferroviaria Ravenna-Ferrara e quindi ne beneficiarono prima di tutto i braccianti alfonsinesi che furono chiamati al lavoro, mentre nel 1888 venne istituita una linea di tram trainati da cavallo che dall’attuale Via Tramvia passando per Fusignano raggiungeva Lugo.

A fine 800 al “pensiero ed azione” repubblicano si aggiunse il rivoluzionarismo anarchico e socialista ed i seguaci di Bakunin, ad Alfonsine, furono molti. Coloro che venivano chiamati “anarchici sovversivi” avevano una vita non facile e per un nulla erano incarcerati. Contro di loro la repressione poliziesca si mostrava molto dura. Assieme ai repubblicani e socialisti, quando passava per la Reale un nobile di alto rango od un prelato in vista, venivano invitati a trascorrere un po’ di tempo nella caserma dei Carabinieri, almeno fino a quando il nobile aveva oltrepassato il territorio alfonsinese.

C’era allora uno slogan che diceva: “con le budelle dell’ultimo papa impiccheremo l’ultimo re”; più che altro era spavalderia perché in quel periodo di atti inconsulti gravi verso la chiesa o la monarchia, ad Alfonsine, non sono mai stati fatti. Nel 1899 Giuseppe Marini costituisce l’embrione di quella che poi diventerà l’industria Marini dei giorni nostri, iniziando con la costruzione di telai per biciclette. Nell’anno 1900 gli abitanti di Alfonsine erano 10.300.

Nel 1901 ci fu un duro scontro fra le Leghe bracciantili ed i grandi proprietari terrieri che, per ritorsione e per punire i facinorosi, lasciarono marcire nei campi tutte le colture. A questo si aggiunse nell’inverno lo straripamento del Senio.

Gli animi si inasprirono sempre di più e nel febbraio 1902, i braccianti e gli operai, cercarono di occupare il Municipio per incendiarlo, ma furono fermati da un reparto di cavalleria inviato da Ravenna. In quel momento Alfredo Oriani, nei suoi scritti, diceva degli alfonsinesi: “…parlano di Mazzini e sognano di Marx…”.

Nel 1903, socialisti e repubblicani uniti in una sola coalizione , vinsero le elezioni comunali, sbaragliando i clericali, ma dopo litigi interni, nel 1906 dovettero cedere l’amministrazione del Comune alla lista clericale.

Nel 1903 iniziarono anche i lavori del Canale di destra Reno e durarono circa 4 anni, occupando in massima parte manodopera degli scariolanti e braccianti alfonsinesi. Nel 1906 venne costituita la “Società Cooperativa fra operai braccianti”, mentre l’impresa meccanica più importante fu quella di Aristide Ravaglia (e’ pargarôl) che riparava attrezzi meccanici ed agricoli e costruiva aratri. Intanto si inasprivano i contrasti fra repubblicani e socialisti per la questione dello scambio di “opere” (lavoro) fra braccianti e coloni. Alla chiamata della guerra di Libia nel 1911, molti furono gli alfonsinesi che non aderirono, specialmente fra gli anarchici.

La prima grande insurrezione popolare ad Alfonsine la si ha dopo la caduta del governo Giolitti (1914). In Italia le proteste popolari si intensificarono e ad Ancona, il 7 giugno dello stesso anno, i Carabinieri sparano sulla folla uccidendo tre persone. Subito nelle Marche ed in Romagna si unirono repubblicani, anarchici e socialisti per contrastare quello che chiamavano “imperialismo militarista e monarchico”. Ad Alfonsine durante la “Settimana Rossa” furono incendiati il Palazzo Comunale, la Pretura, la stazione ferroviaria, il circolo monarchico e la chiesa. C’è una citazione doverosa da fare, relativamente alla devastazione della chiesa.

C’era allora un giovane cappellano, Don Mario Bonetti che, nel tentativo di fermare i rivoltosi, prese un pugno che lo sollevò da terra e lo fece stramazzare nel cortile della chiesa. Alle lamentele ed ai perché che Don Mario chiedeva piangendo, gli scalmanati desistettero nel compiere maggiori danni. Don Mario, che era amico di tutti e che da tutti era benvoluto, anche dagli anarchici “dla Niculena”, durante il primo conflitto mondiale chiese di essere arruolato come cappellano volontario per poter recare conforto ai suoi concittadini chiamati alle armi. Morì nel 1918 a seguito delle ferite procuratesi in trincea, per non abbandonare i combattenti alfonsinesi.

Allo scoppio della prima guerra mondiale partirono da Alfonsine una ventina di volontari “garibaldini, repubblicani” per andare a contrastare gli Austriaci sul territorio francese. Alcuni altri alfonsinesi, anche in questo frangente in maggior parte anarchici, disertarono, poiché ritenevano la guerra ingiusta ed asservita alla borghesia, mentre altri accorsero alla chiamata. Nel nostro cimitero ci sono ancora oggi decine di loculi contenenti i resti di concittadini morti nelle decine di battaglie combattute dentro e fuori le trincee anche con la sola baionetta.

La disastrosa ritirata di Caporetto (24.10.1917) segnò per l’Italia la fine della prima guerra mondiale trascinandosi una grave crisi economica, politica e sociale. Nel 1919 Benito Mussolini fonda i fasci di combattimento, concentrando attorno a se gli ex combattenti e reduci della guerra e con un programma iniziale che molto si avvicinava a quello socialista. Anche ad Alfonsine fu costituito il fascio ed i primi ad aderirvi furono gli ex combattenti repubblicani e socialisti animati da quello spirito rivoluzionario che Mussolini aveva inculcato.

Ben presto costoro si accorsero invece che il movimento di Mussolini stata diventando un movimento personalistico al quale aderivano personaggi violenti e scalmanati che per un nonnulla attaccavano briga; così in molti non solo lo lasciarono, ma ne divennero acerrimi nemici. Cominciarono a crearsi tensioni anche fra socialisti e repubblicani per l’occupazione delle terre e diversi furono gli scontri fra braccianti rossi (socialisti) e gialli (repubblicani).

Il fascismo prendeva sempre più piede e si rafforzava, mentre i socialisti, dopo l’Internazionale di Mosca del 1920, cominciarono a litigare fra di loro. Di questo ne approfittarono i fascisti e nello stesso anno ci fu la prima grave aggressione fascista a Bologna che provocò la morte di 9 socialisti ed il ferimento di altri 50. Lo stato monarchico non reagiva, preferiva difendere gli squadristi mussoliniani che rimanevano sempre impuniti, mentre molte volte chi “osava” difendersi veniva incarcerato.

Nel 1921 a Livorno ci fu la scissione del PSI ed il gruppo massimalista marxista fonda il Partito Comunista d’Italia. Si amplificano i contrasti non solo all’interno della sinistra e di questi ne fa buon gioco il fascismo che non trova più l’opposizione di una sinistra poco forte, ma di due sinistre più che mai deboli. Il primo segretario comunista di Alfonsine fu Costa Eumeo e gli aderenti e simpatizzanti furono 427, secondo i voti ottenuti alle elezioni dello stesso anno. C’erano ad Alfonsine, in quell’anno, sezioni e circoli socialista, repubblicano, comunista, monarchico e popolare cristiano.

Solo nell’agosto del 1922 fu costituita ad Alfonsine la sezione del fascio ed il primo segretario fu Leonardi Ottavio. La Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, alla quale parteciparono pure 55 alfonsinesi, fu un evento che simbolicamente rappresentò l'ascesa al potere del Partito Nazionale Fascista (PNF). Agli attriti fra comunisti e socialisti fra di loro e poi fra repubblicani e socialisti, si aggiunsero i fascisti contro tutti. Iniziò un periodo di violenza e terrore. La prima vittima alfonsinese del fascismo fu il repubblicano Peo Bertoni ucciso il 29 ottobre 1922.

Alle elezioni amministrative del ‘22 si presentarono oltre ai fascisti, solamente i repubblicani. Su circa 2.700 votanti il risultato fu il seguente: 1950 (72%) ai fascisti e 750 (28%) ai repubblicani che ottennero voti anche da socialisti e comunisti. Alfonsine, quindi, nel 1922 era per il 72% fascista e per il 28% antifascista. Da questo si vede l’adattamento delle persone al momento politico e l’asservimento al principe di turno.

Nel 1923 venne nominato un nuovo direttorio della sezione del PNF di Alfonsine, con a capo il segretario politico Faccani Abele. Nello stesso anno dopo un diverbio fra l’Associazione dei combattenti di Alfonsine ed il segretario del PNF, scoppiò una furiosa lite a colpi di rivoltella e Faccani rimase ferito. Cominciarono così le bastonature, i pestaggi e le cure a base di olio di ricino per gli ex combattenti, da parte degli squadristi. Ma Faccani era sempre deciso a mettere fine alla storia, facendola pagare cara a chi lo aveva ferito. Infatti il 2 marzo del 1924, Abele Faccani con il fratello Giuseppe bloccarono l’ex combattente Mino Gessi e tentarono di pugnalarlo, ma il Gessi, estratta la pistola, fece fuoco e li ferì entrambi.

Il peggio fu per Abele che a seguito delle ferite, pochi giorni dopo, morì. Mino Gessi, per sfuggire alla vendetta dei fascisti, fu costretto ad espatriare e si rifugiò in Francia. Le proprietà del Gessi furono incendiate o devastate e fu incendiato anche il Circolo Repubblicano, perché ritenuto un covo di sovversivi.

Intanto anche a livello nazionale la situazione si faceva difficile, dapprima con l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, le bastonature che portarono alla morte di Piero Godetti e di Giovanni Amendola, poi con la reazione dei fascisti quando, il 31 ottobre 1926 fu attentata la vita a Mussolini. il PNF prese la palla al balzo, e dal quel momento si instaurò il regime dittatoriale fascista, con lo scioglimento dei partiti politici d’opposizione, la chiusura dei giornali contrari al regime, l’istituzione di un tribunale speciale per gli oppositori politici.

Mentre Antonio Gramsci veniva incarcerato, i capi degli altri partiti d’opposizione furono costretti a fuggire all’estero. Diversi furono gli alfonsinesi condannati dal tribunale speciale e quelli che non riuscirono a scappare furono condannati al domicilio coatto o mandati al confino.

Nel 1929 fu inaugurata la Scuola Materna “cristo Re” nei locali della ex sezione repubblicana. Nel 1930 viene costruito il Ricovero Boari sul vecchio fabbricato all’interno del giardino dell’ospedale. Intanto le adesioni (con tessera) al PNF aumentavano, non tanto per ideologia, ma per il fatto che, chi non aveva la tessera non poteva lavorare.

Nel 1933 Aldo Ravaglia (e’ pargarôl) costruì un aereo con una tecnologia all’avanguardia per quei tempi ed era intenzionato a fabbricarli industrialmente, ma venne osteggiato poiché rifiutò l’iscrizione (d’ufficio) al PNF.

Nel 1935 a seguito delle ostilità dell’Italia contro l’Etiopia, la Società delle Nazioni impose sanzioni di embargo totale all’Italia fascista. Ad Alfonsine in molti si opposero all’intervento italiano in Africa, anche fra gli aderenti al PNF, ma furono presi e malmenati solamente gli antifascisti, mentre molti altri furono ammoniti.

Nel 1936 il regime militare franchista tentò il colpo di stato in Spagna; Mussolini ed Hitler mandarono volontari (obbligati) in aiuto di Franco, mentre le organizzazioni internazionali antifasciste fecero un appello per organizzare quanto più forze necessarie in aiuto al legittimo governo repubblicano spagnolo. Un volontario alfonsinese, Argelli Eugenio, arruolato nella Brigata Garibaldi, fuggito dall’Italia perché ricercato dalla polizia segreta fascista, fu ucciso nella battaglia della Sierra Cabals.

Nel 1937 Hitler e Mussolini firmano l’accordo di non belligeranza e di reciproco aiuto militare, conosciuto col nome di “Asse Roma-Berlino”. Nel 1938 furono emanate le Leggi razziali. Nel 1939 l’Italia invadeva l’Albania, Mussolini stringeva il “patto d’acciaio” con Hitler e la Germania invadeva la Polonia (1.9.1939). Iniziò così la seconda guerra mondiale.

Gran parte della popolazione sperava nella neutralità dell’Italia al conflitto, ma dovette ricredersi quando il 10 giugno 1940 Mussolini entrò in guerra a fianco della Germania nazista. I generali italiani, con un esercito sgangherato, privo di armi e materiale di casermaggio, mandarono al macello tanti giovani e particolarmente nell’inverno del 1942 – 1943 con l’infausta spedizione in Russia dove si contarono circa 85.000 morti nelle sole fila italiane. Per questi ed altri fatti cresceva il malcontento fra la popolazione ed anche fra i fascisti ci furono molti che non avevano condiviso l’entrata in guerra e non condividevano l’appoggio alla Germania nazista.

Il 25 luglio 1943 il gran consiglio del fascismo decretò la caduta di Mussolini e lo fece arrestare. Un giubilo nazionale attraversò l’Italia ed il giorno dopo anche Alfonsine insorse, devastando ed incendiando la casa del fascio, ma senza torcere capello ad alcun fascista. Fra gli insorti c’erano anche molti ex-fascisti che pensarono bene in quel frangente di cambiare bandiera, forse prevedendo che il futuro non avrebbe riservato niente di buono per loro.

I partiti democratici istituirono un Comitato di salute pubblica per poter alleviare i disagi della popolazione. L’8 settembre 1943, il Re con un gesto inqualificabile, fugge da Roma lasciando l’Italia in mano ai tedeschi, nominando plenipotenziario il Gen. Badoglio che rappresentava quindi il leggitimo governo italiano. I tedeschi iniziarono con rappresaglie, fucilazioni, rastrellamenti e deportazioni. Molti furono gli alfonsinesi internati nei campi di concentramento e cinque di loro mai hanno fatto ritorno alle loro case. Il 9 settembre ad Alfonsine fu costituito il Comitato Antifascista con una manifestazione che vide la presenza di Giuseppe D’Alema e di Don Luigi Liverani i quali invitarono la popolazione a restare unita. Intanto Mussolini dopo essere stato liberato dai tedeschi dalla prigionia di Campo Imperatore e dopo l’incontro con Hitler lancia un discorso radiofonico (18 settembre 1943) da Monaco di Baviera chiedendo al popolo italiano di appoggiare l’esercito germanico. Il 23 settembre Mussolini con altri gerarchi fuggiti dopo il 25 luglio, costituì la Repubblica di Salò (Repubblica Sociale Italiana) che di fatto fu uno stato fantoccio usato dai tedeschi principalmente come strumento di repressione antipartigiana.

Nel 1943, Alfonsine contava circa 12.000 abitanti. La mancanza del legittimo Stato Monarchico Italiano, dopo il tradimento del Re, fece si che la RSI occupasse tutti i posti di potere e di comando (Prefetture, Questure, Caserme dei Carabinieri, ecc.) ed operasse come se fosse lo stato legittimo. Anche ad Alfonsine i vecchi gerarchi fascisti organizzarono una manifestazione ed instaurarono ai primi di novembre, il Fascio di Alfonsine, chiedendo alla popolazione di aderire alla RSI.

Pian piano ricomparirono le camicie nere ed i vecchi miliziani diventarono ancor più feroci con coloro che pochi mesi prima li avevano contrastati. Intanto giovani volontari e renitenti alla leva cominciarono ad organizzare gruppi partigiani dapprima sulle colline romagnole e poi in pianura. Inizialmente le operazioni partigiane furono di semplice contrasto, poi con l’aiuto avuto di armi e mezzi dagli inglesi, iniziarono con azioni di guerriglia.

La percentuale dei giovani romagnoli che aderirono al movimento partigiano fu di gran lunga superiore a quella della Regione e dell’Italia stessa. Lo spirito di libertà che da secoli animava i romagnoli, ritornava senza distinzione di ceto o di colore politico, con le stesse parole dei volontari del Risorgimento: “vai fuori d’Italia, vai fuori o straniero”. Nell’aprile del 1944, nei pressi di Biserno in provincia di Forlì, due comandanti partigiani, Amos Calderoni e Terzo Lori, furono uccisi durante un furioso rastrellamento da parte dei tedeschi e dei fascisti. Furono poi insigniti della medaglia d’oro al valor militare. Intanto nella pianura i GAP e i SAP compivano azioni di guerriglia per ostacolare la GNR, la X Mas e le truppe tedesche. Il mese di aprile del 44 fu infausto per gli alfonsinesi.

Dopo la morte di Calderoni e Lori, il giorno 23, a seguito di precedenti spiate i tedeschi e fascisti attaccarono due luoghi di rifugio dei partigiani (il Palazzone e la Zanchetta) e sette partigiani furono uccisi, alcuni barbaramente. Fu costituito il CLN con l’intervento di tutti i partiti democratici ed il movimento anarchico, che si incaricò, oltre che delle questioni militari, anche di alleviare i disagi della popolazione sia di carattere alimentare che sanitario. Il 4 dicembre 1944 venne liberata Ravenna, anche con l’aiuto di molti partigiani alfonsinesi che erano stanziati nelle valli e negli isolotti e canneti delle pialasse. L’inverno 1944-1945 fu rigido ed ancor più duro perché gli alleati decisero di fermare il fronte per riprendere i combattimenti nella primavera. Alfonsine rimase linea di fronte, come tutto il Senio, dal dicembre 1944 all’aprile 1945.

Durante gli ultimi due mesi del fronte, Alfonsine, venne ripetutamente bombardata dagli inglesi, con l’intento di ricacciare i tedeschi verso nord. Quello che non distrussero gli alleati fu distrutto dai tedeschi in fuga nei primi giorni dell’aprile 1945. Il 10 aprile 1945 Alfonsine fu liberata dalla Brigata Cremona con l’aiuto dei partigiani ed era distrutta per oltre il 70%. Come in ogni guerra, anche ad Alfonsine ci furono degli strascichi brutali. Quello che il fascismo aveva provocato suscitò, per alcuni mesi, una reazione che sembrava irrefrenabile.

Ci fu una vera e propria caccia al fascista ed il CNL ed i partiti politici ricostituiti, non riuscivano a contenere la rabbia dei molti, alcuni dei quali si abbandonarono anche ad atti di crudeltà, immaginabili solo in un simile contesto, ma, in ogni caso inaccettabili, come del resto è inaccettabile la guerra che li ha provocati.

La guerra ad Alfonsine finiva con questi numeri:

  • Morti e feriti fra i civili: oltre 300.
  • Partigiani combattenti: circa 450
  • Partigiani morti (in battaglia e successivamente per fatti di guerra) : 49, feriti : 19.
  • Morti fascisti della RSI, GNR e X Mas: 43.
  • Fascisti civili uccisi in agguati durante la guerra: 10
  • Fascisti ed altre persone uccise o scomparse, dopo la guerra: 25

Già dai primi giorni dopo la fine della guerra, gli alfonsinesi si sono rimboccati le maniche ed hanno ricostruito il paese, i servizi, le attività commerciali ed industriali, riscattandosi dalle miserie, anche antiche. Gli alfonsinesi hanno dimostrato sempre uno spirito democratico e partecipativo. Basti segnalare che al Referendum del 1946 fra Repubblica e Monarchia, non solo Alfonsine ebbe, a livello nazionale, la massima percentuale di affluenza alle urne, ma fu quella che, sempre percentualmente, più di ogni altro Comune d’Italia si espresse a favore della Repubblica (96,63%). Per questo, Alfonsine è il paese più Repubblicano della Repubblica Italiana. Il resto è storia recente e saranno i posteri a documentarla.

Possiamo dire, senza peccare di presunzione, che, Alfonsine, nella buona o cattiva sorte, più che una lunga storia ha una antica vita, nascosta negli isolotti paludosi della Selva Litana. Una storia molto lontana nel tempo, se si pensa che Ravenna è ancora più antica di Roma.

Ugo Cortesi - Le Alfonsine - Agosto 2007

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 31/12/2012