STORIA LOCALE DELLA ROMAGNA
Ravenna - Forlì-Cesena - Rimini


STEFANO PELLONI, IL PASSATORE

Romagna solatìa, dolce paese
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada e re della foresta.

G. Pascoli

La più fedele immagine di Stefano Pelloni,
tracciata dal prof. Silvio Gordini di Russi
(Museo del Risorgimento, Faenza).

Per arrestare il Passatore la Legazione di Ravenna aveva provveduto a distribuire in tutta la Romagna i suoi connotati.

Stefano Pelloni, figlio di Girolamo custode del fiume Lamone

DOMICILIATO: in Boncellino
SURNOMATO: Malandri
CONDIZIONE: bracciante
STATURA: giusta
D'ANNI: venti (nato il 24 agosto 1824)
CAPELLI: neri
CIGLIA: idem
OCCHI: castani
FRONTE: spaziosa
NASO: profilato
BOCCA: giusta
COLORE: pallido
VISO: oblungo
MENTO: tondo
BARBA: senza
CORPORATURA: giusta
SEGNI PARTICOLARI: sguardo truce

(30 dicembre 1844)

Il più conosciuto tra i briganti romagnoli, nasce, ultimo di dieci figli, nel 1824 a Boncellino di Bagnacavallo, a una trentina di chilometri da Forlì, in quella Romagna che, sin dalla morte di Cesare Borgia (1507), era tornata stabilmente sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio, uno dei più arretrati e reazionari della penisola.

Quando giunsero le truppe napoleoniche a fine Settecento, la durissima condizione dei contadini non ne ebbe alcun beneficio (non dimentichiamo che allora in queste Legazioni quasi il 20% della popolazione sopravviveva grazie all'accattonaggio), anzi, per molti versi essa peggiorò, non solo per le continue spoliazioni dei militari, ma anche per la coscrizione obbligatoria e soprattutto per la trasformazione dei rapporti agrari da vetero-feudali (in cui si praticava ancora l'autoconsumo) a borghesi (in cui gli affitti dovevano essere pagati in moneta). I contadini non furono mai in grado di partecipare alla vendita all'asta dei fondi requisiti al clero regolare.

Furono piuttosto i notabili e i borghesi legati al regime giacobino che, non accettando il ripristino dello status quo ante da parte del Congresso di Vienna, favorirono il sorgere di numerose società segrete (di matrice massonica) capaci di organizzare varie rivolte (non solo antipontificie ma anche antiaustriache), culminate poi nei moti del 1820, 1830-31 e 1848, fino a quando non s'imporrà una vasta adesione della Romagna ai plebisciti del 1859 per l'annessione delle Legazioni allo Stato di Sardegna.

La presenza di "briganti" e "banditi" nel territorio romagnolo è attestata da documenti storici almeno fin dal Cinquecento, ma nessuno è famoso come il Passatore.

Stefano Pelloni, detto appunto "il Passatore", o semplicemente "Stuvané" dai suoi compaesani, fu un brigante da strada attivo nella Romagna del primo Ottocento. Il soprannome gli venne dal mestiere, ereditato dal padre, di traghettatore sul fiume Lamone; era chiamato anche Malandri, dal cognome della donna che sposò un suo bisavolo. Quando diventò brigante la sua firma era "Stuvan de Passador".

Era stato mandato dai genitori in una scuola privata, che avrebbe dovuto essere il primo gradino per diventare sacerdote, ma ne uscì schifato in terza elementare, dopo varie punizioni per il suo carattere indisciplinato. La sua vera scuola fu quindi il traghetto del fiume Lamone tra il comune di Bagnacavallo e quello di Russi, al seguito del padre.

Nel suo lavoro conobbe, specialmente di notte, contrabbandieri, banditi e ladri. Stefano imparò a riconoscere la vita infima alla quale larghissimi strati della popolazione erano obbligati per colpa dei loro padroni, nei cui confronti aveva cominciato a provare forti risentimenti. Si persuase che l'unica via d'uscita era quella della violenza e, a tale scopo, pensò di sfruttare le conoscenze acquisite, tra coloro che violavano la legge, per costruirsi una rete di confidenti e di collaboratori di vario genere.

Fece altri mestieri umili e poco remunerativi: giornaliero di campagna, scarriolante, muratore ecc., finché un giorno subì una condanna per omicidio colposo. Pare che fosse stato coinvolto in una lite nella piazzetta di fronte alla chiesa di Pieve di Cesato, dove, tirando un sasso a un coetaneo provocatore, finì coll'ammazzare casualmente una donna incinta sul sagrato della pieve. Per tale omicidio colposo Pelloni finì in carcere a Bagnacavallo, da dove però fuggì ben presto.

Ma un'altra versione lo vede alla prese con la legge già nel 1843, arrestato nei pressi di Russi, quale gregario della banda di Ferdinando Cotignola, detto Taggione.

Più volte evaso dalle sue carcerazioni, Pelloni ormai apparteneva stabilmente a una banda locale che agiva tra Brisighella e Casola Valsenio, di cui diventerà uno dei capi verso il 1847, aggregando a sé altre due bande: quelle di Giuseppe Afflitti (morto nel 1857) e di Francesco Babini (morto nel 1852).

La sua era una banda audace, agguerrita, capace di efferate violenze, sempre più numerosa (si pensa ad almeno 130 uomini, associati a vario titolo, prevalentemente braccianti, coloni e contadini, ma vi erano anche artigiani e persino alcuni religiosi). Iniziò a muoversi con decisione poco prima che una notifica pontificia del 1849 aveva obbligato i cittadini romagnoli a consegnare tutte le armi che due anni prima erano state concesse dallo stesso papato per istituire una Guardia Civica con cui difendere la proprietà privata dei cittadini più facoltosi. Evidentemente il papato s'era accorto che quelle armi non erano servite allo scopo e preferiva affidarsi a quelle degli austriaci.

Nelle Legazioni Pontificie (province di Bologna, Forlì, Ravenna e Ferrara) la banda operò con successo per tre anni (1849-51), tenendo in scacco la gendarmeria pontificia e austriaca grazie ad una vasta rete di spie, informatori, protettori, ricettatori, addirittura uomini delle forze dell'ordine e di connivenze tra la poverissima popolazione, ricompensata con i denari sottratti ai cittadini più ricchi: furono queste elargizioni che contribuirono a creare la sua fama positiva di "Robin Hood" romagnolo. Anche Garibaldi ne rimase convinto.

Invase e saccheggiò sette cittadine (Bagnara di Romagna [16 febbraio 1849], Cotignola [17 gennaio 1850], Castel Guelfo [27 gennaio 1850], Brisighella [7 febbraio 1850], Longiano [28 maggio 1850], Consandolo [9 gennaio 1851] e Forlimpopoli [25 gennaio 1851], spingendosi fino a Castrocaro e a Modigliana che appartenevano al Granducato di Toscana), derubò un numero molto elevato di persone facoltose, ne uccise almeno otto, diede l'assalto diverse volte alla diligenza scortata dello Stato pontificio.

Tra le gesta più celebri del Passatore si ricorda quella di Forlimpopoli (la notte del 25 gennaio 1851). Una quindicina di briganti penetrarono, durante l'intervallo di una rappresentazione, nel teatro comunale: saliti sul palcoscenico, aperto il sipario, puntarono le armi contro gli spettatori ed iniziarono un appello nominale rapinando gli uomini più ricchi della cittadina presenti allo spettacolo. Alcuni di loro furono accompagnati nelle proprie case e usati come lasciapassare per entrare nelle case di varie altre famiglie, al fine di ripulirle di ogni bene prezioso (quel giorno realizzarono circa 5.600 scudi, cioè un settimo dell'ammontare di tutte le rapine; uno scudo, la valuta dello Stato pontificio fino al 1866, corrispondeva a circa 70-75 euro attuali).

Fra le famiglie rapinate vi fu anche quella di Pellegrino Artusi (critico letterario, scrittore, famoso gastronomo italiano, politicamente giacobino), la cui sorella, rifugiatasi sul tetto della casa, impazzì per aver subito violenza da uno della banda (morì in manicomio a quarantasette anni). In seguito a ciò l’intera famiglia Artusi vendette la casa e l’avviato negozio di mercanzie e si trasferì a Firenze.

All’interno del teatro, oggi intitolato a Verdi, è collocata una lapide del poeta Olindo Guerrini che ricorda l’avvenimento.

Braccato dal moltiplicarsi delle forze che lo volevano morto, il Passatore, invece di cercare rifugio nell'alta Romagna, tra le foreste appenniniche, nelle vicine terre del Granducato di Toscana, che pur conosceva, inspiegabilmente indugiò nelle campagne intorno ai luoghi della sua nascita e il 23 marzo 1851, in un capanno di caccia del podere Molesa, nei pressi di Russi, la gendarmeria pontificia lo eliminò, grazie anche al tradimento di uno dei suoi uomini, Lodovico Rambelli, cui era stato promesso di poter fuggire senza essere inseguito.

La fine dell'avventura, che di politico non ha mai avuto nulla, era stata quasi annunciata: nel 1851, dopo che quarantadue dei suoi uomini erano già stati catturati, ne erano rimasti solo diciotto in libertà. Sulla sua testa pendeva una taglia considerevole per quell'epoca: tremila scudi romani (il bilancio municipale di una città come Forlimpopoli, che allora aveva meno di cinquemila abitanti, era di seimila scudi annui).

Il suo cadavere venne trasportato su un carretto per tutte le strade della Romagna, a dimostrazione della effettiva fine del brigante e per smitizzarne le gesta. A Castel Bolognese il carro sostò sulla via Emilia di fronte all'attuale sede della Banca di Romagna. Alla scena assistette Oliva Diversi, la nonna dello scrittore castellano Francesco Serantini, che del Passatore fu il più famoso storico (cfr. Fatti memorabili della banda del Passatore in terra di Romagna, pubblicato a Faenza nel 1929). Serantini evocò con documentata verità ma anche con paterna indulgenza, vita, imprese e morte di Stefano Pelloni, a lui legato per sempre e che quasi sicuramente aveva imparato a conoscere fin da bambino, grazie ai racconti di nonna Oliva.

Una delle ultime vicende che si ricordi della sua banda, dopo la morte del Passatore, fu quella di Giuseppe Afflitti, detto Lazzarino, che il 10 ottobre 1854 tentò un colpo a Castel Bolognese, entrando nell'abitazione del possidente Francesco Gottarelli, dove si appropriò di 423 scudi. Nello scontro a fuoco coi gendarmi, alcuni di questi rimasero feriti, mentre il Gottarelli morì. Afflitti fu arrestato e giustiziato in Toscana nel 1857.

Le imprese del Passatore ispirarono la musa popolare della rievocazione orale (che enfatizzò la sua generosità, divenuta leggendaria) e quella colta, da Arnaldo Fusinato a Giovanni Pascoli (che nella poesia Romagna idealizzò la sua figura evocandolo, appunto, come il Passator Cortese).

I connotati del Passatore differiscono notevolmente dalla iconografia che lo ha reso famoso, diffusasi nel dopoguerra a seguito del lancio del marchio dell'"Ente Tutela Vini Romagnoli", che lo raffigurava, ieri come oggi, somigliante a un brigante-pastore abruzzese.

In realtà Stefano Pelloni era ben diverso nel volto e nel vestire: alto intorno al metro e settanta centimetri, una statura giusta per la metà del secolo XIX in Romagna, aveva i capelli neri, gli occhi castani e la fronte spaziosa. In particolare il viso, di forma oblunga e di colorito pallido, non presentava barba.

All'epoca, alla voce "segni particolari", gli veniva indicato uno "sguardo truce": ciò è possibile in quanto Pelloni presentava una bruciatura di zolfo sotto l'occhio sinistro, forse la stessa di cui si parla quando si scrive che tutto il suo volto, dal naso agli occhi, fosse punteggiato di granelli di polvere da sparo dovuti ad una colluttazione con due pastori.

Alla figura del Pelloni è intitolata la 100 km del Passatore, una competizione podistica che dal 1973 si svolge annualmente con partenza da Firenze e arrivo a Faenza.

Alcuni sostengono che sia un antenato di Raffaella Carrà, il cui vero cognome in effetti è Pelloni.

Fonti

SitiWeb

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 31/12/2012