STORIA LOCALE DELLA ROMAGNA
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L'EREMO DI S. ALBERICO

S. Alberico

L'eremo è situato in diocesi di Sarsina, all'altezza di m.1147, tra il monte Ocri, il monte Aquilone e il massiccio del Fumaiolo.

Una tradizione costante attesta che fu fondato ed abitato da S. Alberico, sebbene nulla sia noto con certezza della vita del Santo. Secondo alcuni egli sarebbe vissuto nel V secolo, secondo altri nel XIII secolo, e sarebbe stato amico di S. Francesco. Oggi però varie considerazioni fanno però propendere gli storici per l'ipotesi che egli sia vissuto nell' XI secolo.

In breve, è documentato come in questa zona, a pochissima distanza dall'eremo, abbia soggiornato e operato S. Romualdo, fondatore della congregazione dei Camaldolesi: nel 986-989 egli eresse infatti il monastero di S. Michele a Verghereto; poi si ritirò per qualche tempo in solitudine nella località detta Cella di S. Alberico (20 minuti a piedi dall'Eremo). A poca distanza, vicinissimo alle sorgenti del Tevere, sorgeva anche l'eremo di Ocri, in cui si ritiene dimorasse per breve tempo S. Pier Damiani, discepolo e biografo di S. Romualdo. Inoltre, sul finire dell' XI secolo era già esistente a circa un miglio dalla Cella di S. Alberico il monastero di San Giovanni Battista inter ambas Paras, (così detto perché sorgente tra i due rami iniziali del fiume Para), che secondo un documento del secolo XIV sarebbe stato fondato da S. Alberico. Tutto ciò fa pensare che Alberico sia stato un seguace o un emulo di S. Romualdo o dei suoi successori, conducendo negli stessi luoghi e negli stessi anni o poco più tardi lo stesso tipo di vita eremitica.

Pare certo comunque che egli morì e fu sepolto all'Eremo, poiché qui era il suo sepolcro, che fin da subito fu venerato da devoti provenienti dalle Balze, dal Montefeltro e dalla Toscana.

Storia dell'Eremo

Nel secolo XIV, forse a causa di una revisione dei confini compiuta dalla Repubblica di Firenze in questa zona, il corpo di S. Alberico venne trasferito all'interno del territorio del Montefeltro, in un'urna nascosta entro un muro dell'Abbazia di Valle S. Anastasia. Col tempo se ne perse la memoria, finché nel 1640 l'urna fu rinvenuta nel corso dei restauri. Le ossa, riconosciute per quelle del Santo, vennero collocate in un altare laterale dove tuttora si trovano, presso a una lapide dello stesso anno che ricorda l'avvenimento.

Il culto del Santo continuò tuttavia anche presso l'Eremo, documentato da Brevi pontifici e da documenti presenti negli archivi camaldolesi fin dal XIV secolo. La festa del Santo ricorreva già allora, come oggi, il 29 agosto. Vi sono anche attestazioni di miracoli avvenuti per sua intercessione.

Almeno dal XIV secolo l'Eremo, come pure il monastero di S. Giovanni Battista inter ambas Paras, fu di proprietà dei monaci Camaldolesi, che lo tennero fino al 1821. In quella data l'Eremo passò in mani private; non cessò tuttavia l'afflusso dei fedeli, e l'assistenza spirituale venne esercitata dal Parroco della Parrocchia di Capanne, nel cui territorio si trova.

Devoto del santo, il Granduca Leopoldo II di Toscana compì un pellegrinaggio all'Eremo nel 1835, pernottando alle Balze in casa Gabiccini, come ricorda una lapide murata sull'edificio. In quell'occasione il Granduca diede ordine di costruire la mulattiera detta "Via Nuova", che dalle Balze conduce direttamente all'Eremo senza sconfinare in territorio del Montefeltro (il percorso di arrivo degli escursionisti). Allo stesso modo, egli fece sistemare il sentiero "delle scalette" che dall'Eremo scende verso la Cella (il percorso di allontanamento degli escursionisti). In precedenza, il sentiero superava un enorme scoglio (lo "scoglio delle scalette") con difficili gradini intagliati nel sasso.

Nel 1873 il sacerdote Francesco Dezzi delle Balze, erede dei primi acquirenti dell'Eremo, eseguì a sue spese radicali restaturi per consolidare la chiesetta e l'annesso rifugio, e fece costruire la Via Crucis lungo la mulattiera che va dalle Balze all'Eremo. L'Eremo divenne così residenza saltuaria di qualche buon laico che accettava di dimorarvi per custodire il santuario e offrire assistenza ai devoti, che specie d'inverno incontravano non pochi disagi nel loro pellegrinaggio a S. Alberico. Nel 1924 vi giunse Quintino Sicuro, che ottenne di ritirarvisi come eremita, ricostruì l'eremo e vi risiedette fino alla morte.

Il Servo di Dio don Quintino Sicuro

Quintino Sicuro nacque a Melissano (Lecce) nel 1920, ultimo dei cinque figli di Cosimo e Maria Potenza. Giovane esuberante e volitivo, coltivò con successo la passione sportiva, e nel 1939 si arruolò nella Guardia di Finanza.

Partecipò col 1° Battaglione alle operazioni militari sul fronte greco-albanese e a Corfù. Dopo l'8 settembre 1943, preso prigioniero dai tedeschi, sfuggì miracolosamente all'eccidio di Cefalonia: rinchiuso con alcuni compagni in una baracca, vide entrare una donna pallida e vestita di nero, che disse loro di fuggire. In essa a Quintino parve di scorgere la Madonna, a cui fu da allora in poi particolarmente devoto. Rientrato in patria, aderì alla lotta partigiana, finché fu catturato dalle milizie repubblichine e rinchiuso nel carcere di Brescia. Anche di qui evase però avventurosamente, grazie alla classica lima nella pagnotta portata dalla fidanzata di un compagno di prigionia.

Dopo la guerra frequentò la Scuola Sottufficiali, venendo promosso sottobrigadiere nel 1946. Intanto il richiamo per la vita religiosa, avvertito già nell'infanzia, si fece sentire più forte (specialmente, secondo un suo racconto, dopo la visione di un film sulle apparizioni di Lourdes), e nel 1947 entrò nel Convento dei Frati Minori di Ascoli Piceno. Ma non si trattava ancora della sua strada definitiva, ed egli maturò la vocazione ad una scelta di più radicale povertà ed ascesi: nel 1949 si ritirò infatti come eremita all'eremo di S. Francesco a Montegallo, in provincia di Ascoli Piceno.

Nel 1954, poiché in quell'eremo desiderava ritirarsi il parroco del luogo, se ne andò giungendo al Santuario della Madonna del Faggio sul Monte Carpegna. Il luogo era già occupato da un custode, e dopo avervi dimorato brevemente, egli venne indirizzato a S. Alberico. Accolto dal parroco di Capanne, fu convinto a stabilirsi all'Eremo, vuoto da qualche anno, e dal Vescovo di Sarsina ebbe l'incarico di esserne custode.

A S. Alberico, come a Montegallo, Quintino visse in preghiera e povertà, camminando scalzo e vestito di un unico abito, digiunando spesso, nutrendosi di quel che i visitatori gli portavano, quando ne giungevano. Contemporaneamente esercitava le opere di misericordia, recandosi alle Balze, a Capanne e nei paesi limitrofi per visitare gli infermi, animare i gruppi giovanili, partecipare alla vita liturgica. Con i giovani della parrocchia mise in scena spettacoli teatrali e rappresentazioni della Passione di Cristo. Dall'Eremo alle Balze e agli altri paesi, egli si spostava a piedi, e così anche per viaggi più lunghi, come da Montegallo si era recato a piedi in visita ai genitori in Puglia, e in pellegrinaggio a Roma. All'Eremo accoglieva ogni visitatore con spirito gioviale e fraterno, dividendo il poco cibo ed affrendo amicizia, consolazione, ispirazione spirituale. Tutti se ne riparttivano ammirati e rafforzati nell'animo.

Avvertendo la chiamata alla missione sacerdotale, nel 1957, nonostante l'età ormai adulta, affrontò gli studi prima a Firenze, poi a Bologna e quindi presso l'ateneo Angelicum di Roma, venendo infine ordinato nel 1961.

Nel 1962 fu raggiunto da un compaesano, Vincenzo Minutello, che conosciutolo desiderava seguirne le orme. Da allora Fratel Vincenzo ne condivise la vita,e dopo la morte di Don Quintino è rimasto a proseguirne la missione a custodia dell'Eremo. Con lui Don Quintino compì un pellegrinaggio a Lourdes in ringraziamento alla Madonna, che aveva avuto tanta importanza nei momenti cruciali della sua vita. Anche a Lourdes andò a piedi, senza portar con sé cibo né denaro. I due partirono l'11 ottobre, calzati di scarpe ricevute in carità, e non particolarmente comode, affidandosi per il vitto e l'ospitalità alla provvidenza, e giungendo alla meta il 28 novembre. Il ritorno, alle soglie dell'inverno, fu compiuto in autostop.

Rientrato a S. Alberico, Don Quintino pose mano al restauro della chiesetta, riportando in vista le originarie strutture di pietra viva, e sistemando l'altare e gli arredi in modo consono all'ambiente; allargò il piazzale, circondandolo di un muro di cinta, ombrggiandolo con alberi e conducendovi con l'aiuto della Forestale una fresca acqua corrente; ristrutturò radicalmente l'ormai fatiscente rifugio, elevandolo di un piano e rendendolo adatto ad accogliere pellegrini e gruppi per rititri spirituali. In breve, diede all'eremo la sua suggestiva veste attuale. Tutto questo fu effettuato con le elemosine, con contributi statali e con grandissimi sacrifici dei due eremiti, che fornirono personalmente gran parte della mano d'opera. Don Quintino ottenne inoltre dal Vescovo del Montefeltro di poter riportare all'Eremo una reliquia di Sant'Alberico. A Valle Sant'Anastasia si procedette pertanto a una ricognizione del corpo del Santo, dal quale fu prelevata una tibia che ora si venera nella chiesetta dell'Eremo.

La vigilia di Natale del 1968 confessò e celebrò la Messa di mezzanotte e quella dell'alba alle Balze; poi, dovendo incontrare alcuni forestieri, si diresse  a S. Alberico, dove tuttavia giunse spossato. Si rimise comunque in cammino per celebrare la Messa delle 11,30 alle Balze, e infine rientrò all'Eremo la sera. Era stata costruita allora la sciovia del Monte Fumaiolo, e don Quintino, sempre amante dello sport e promotore di momenti di serena aggregazione, aveva accettato di salire per benedirla. La mattina del 26 un'auto andò a prelevarlo alle Scalette di S. Alberico, ma lungo la salita al Fumaiolo il ghiaccio sulla strada costrinse ripetutamente Don Quintino e Fratel Vincenzo a scendere per spingere l'auto. Giunti infine sul passo del Fumaiolo, da dove occorreva proseguire a piedi, Don Quintino scese caricandosi lo zaino con l'occorrente per la S. Messa, ma immediatamente si accasciò a terra, vittima di un infarto. Riuscito vano ogni tentativo di rianimazione, compì così la sua missione terrena. Sepolto provvisoriamente nel cimitero delle Balze, nel 1969 la sua salma venne poi traslata nel sarcofago di arenaria posto nel cortile dell'eremo, ove tutt'ora riposa.

La sua memoria è sempre vivissima presso gli abitanti dell'Appennino, il corpo delle Guardie di Finanza, e le Associazioni degli amici di don Quintino sorte a Melissano, a Montegallo e a Sarsina. Nel 1985 è stato introdotto il processo diocesano di beatificazione, conclusosi nel 1991. Nel 1993 si è aperto il processo di beatificazione presso la Curia Romana.

Questa scheda è tratta, talora verbatim, dall'opera di Mons. Carlo Bandini Il Servo di Dio Don Quintino Sicuro, guardia di finanza ed eremita di S. Alberico, Quaderni del Corriere Cesenate n. 5, Cesena 1994. E' stato consultato inoltre il volume di Duilio Farneti L'Eremita di S. Alberico (Mio compagno d'arme), Il Ponte Vecchio, Cesena 1996.

Mario Alai


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 31/12/2012