Ritorno al Paracleto II

Non è facile ricostruire la realtà, dal momento che non ci è del tutto chiara la natura dei rapporti tra Abelardo e Pietro il Venerabile; ufficialmente, si erano conosciuti da poco; parte della critica storica infatti contesta che siano dirette proprio al filosofo due lettere del Venerabile del 1121: affettuose e preoccupate, che lo esortano a «lasciare i tumulti scolastici» e a rifugiarsi nel chiostro, presso di lui. Aprirebbero una diversa prospettiva su una loro consorteria giovanile, nel primo periodo del Paracleto.

Ma nella fitta trama di lotte in corso per il predominio religioso e scolastico (tra clero e maestri « pubblici» (non consacrati sacerdoti o monaci), tra benedettini «neri» veteroregolari e «bianchi» riformati, e tra clerici studenti, i futuri goliardi, e autorità della Chiesa e dello Stato) è difficile rintracciare quale sia stato il percorso ideologico, sociale e politico, di Abelardo.

Si sa che le sue simpatie andavano ai «neri», di cui Pietro il Venerabile era in Francia il rappresentante più acclamato; che anch'egli fu monaco «nero» e maestro pubblico molto amato e ascoltato dai clerici, mentre la scuola monastica gli era ostile; e che negli ultimi dieci anni di vita scampò a vari attentati, non più imputabili ormai ai misteriosi «parenti» che avevano vendicato Eloisa. Bernardo di Chiaravalle, abate «bianco», era stato il suo più scoperto accusatore in campo teologico. Ma ce n'erano stati altri, e di altro genere, i cui nomi non ci sono stati trasmessi.

Ma comunque siano andate le cose, questo suo secondo riposo fu protetto dall'autorità di Cluny e dalla sconfinata devozione di Eloisa; questa donna ancor giovane, in cui la dolcezza non escludeva la forza, né la sottomissione al maestro una sua personale volontà di ferro, se anche ospitare la salma di Abelardo fosse stato un rischio non avrebbe esitato affatto. All'interno del Paracleto, organizzò rito e studio nel nome del fondatore, stabilendo un'impronta «abelardiana» che sarebbe durata secoli; e innanzi tutto dispose che alla propria morte - avvenuta vent'anni dopo, il 16 maggio del 1164 - le sue monache l'avrebbero sepolta con Abelardo. 

Alcune fonti dicono che fu deposta nello stesso loculo; altre, che fu calata nella stessa bara; né è più possibile appurare l'informazione esatta. Una leggenda successiva, citata anche da Etienne Gilson, narrava che il feretro del filosofo fu aperto e che lo scheletro di lui spalancò le braccia per accogliervi l'amata. Con umorismo un po' nero, però adatto al tema, Gilson commentò che a parer suo era più probabile che fosse stata la salma di lei a compiere quel prodigio, stringendo a sé, finalmente, l'uomo posseduto per così breve tempo e desiderato tanto a lungo.

Nei tre secoli seguenti il Paracleto attraversò gravi vicissitudini; fu più volte saccheggiato e semidistrutto nel corso di varie guerre e purtroppo perse o disperse in quel periodo i tesori della sua biblioteca: forse, gli originali delle opere di Abelardo e dell'Epistolario suo e di Eloisa. Secondo studi recenti - tra i più noti quelli di John Benton - il monastero attraversò pure disordini interni, di natura religiosa e politica, durante i quali è possibile che siano stati alterati o falsificati i documenti della sua fondazione, allo scopo di attribuirne la totale paternità ad Abelardo. Col tempo, la figura del « fondatore» sfumava sempre più nel mito e nel fanatismo ed era sempre più utilizzata per accrescere la fama del Paracleto.

Nel 1497, la badessa Caterina de Courcelles giudicò che il sepolcro nella cappella, ormai diroccato, non fosse più degno di Abelardo e fece esumare la bara, o le bare. Furono approntati due tumuli separati, all'interno della chiesa del monastero: a destra del coro quello di Abelardo, a sinistra quello di Eloisa. Si ignora il motivo di questa decisione, contraria alla volontà dei due fondatori; ma i due corpi così rimasero fino al 1621, quando la badessa Marie de la Rochefoucault li riunì, trasferendoli davanti all'altar maggiore, con una collocazione molto più sontuosa e scoperta delle precedenti.

Il fatto è che da qualche tempo non c'era più bisogno di «nascondere» Abelardo; la sua filosofia tornava ad essere nota per la pubblicazione a stampa dell'opera omnia, nel 1616; e il ricordo della sua storia d'amore, non più giudicata vergognosa, ma esemplare, andava facendone un eroe letterario, grazie alla diffusione dell'Epistolario e all'attenzione di saggisti e poeti. Si avvicinava il « secolo dei lumi », che avrebbe visto in lui un difensore della libertà di pensiero e in Eloisa una «martire» o una «santa dell'amore». 

Il Paracleto attraversò un periodo di gloria; fu meta di pellegrinaggi di umili e potenti, fu visitato da storici, eruditi, religiosi. Le più nobili famiglie di Francia gareggiavano per collocarvi le figlie come scolare o come novizie: lo attesta una lunga serie di nomi di badesse, tutte di sangue principesco, fino alle soglie della rivoluzione. Il sepolcro, così ricco di fascino era stato intanto abbellito, ornato di lapidi, fregi, decorazionì. 

Nel 1768, fu perfino eseguita una pubblica "verifica" dei poveri resti, al fine di bandire ogni dubbio sulla loro realtà e permanenza. E poiché davvero «esistevano», per la quinta volta furono risepelliti in uno stesso feretro piombato, diviso però in due settori da una lastra intermedia. Al tumulo davanti all'altar maggiore fu sovrapposta una scultura raffigurante la Trinità. Poi, la rivoluzione travolse il monastero: demolito, incendiato, venduto come ex‑bene ecclesiastico, non tornò più alla Chiesa; l'ordine femminile si disperse. 

Nel 1792 restava solo un rudere all'asta; nulla fu rispettato, tranne il feretro sotto l'altare, dove giacevano i due che anche i più accesi rivoluzionari consideravano figure emblematiche della lotta alla repressione del pensiero. Un corteo ufficiale, col neo-eletto sindaco in testa, trasportò il doppio feretro nella chiesa di Nogent-sur-Seine, dove le autorità ecclesiastiche avevano «aderito» al governo repubblicano, tumulandolo in una cappella tra canti libertari e soprattutto discorsi. A nome della Repubblica francese, fu posta una lastra di bronzo in memoria degli époux infortunés: come nota Charlotte Charrier, il giacobinismo celava un animo preromantico e l'attenzione scivolava dai diritti dell'uomo ai diritti dell'amore. 

Si esaltava il filosofo razionalista, ma ci si commuoveva per l'amante castrato; si ammirava la scrittrice delle splendide Lettere, ma si piangeva sulla donna straziata e fedele. I pellegrinaggi ripresero in veste laica, con tutto lo sfoggio di emozioni che lo stile dell'epoca imponeva: lagrime, svenimenti, tentati suicidi, giuramenti d'amanti sul sepolcro; e con tutti i vantaggi «turistici» che si possono immaginare, dall'organizzazione di cerimonie pubbliche alla vendita di reliquie. Ciò scatenò una faida tra gli abitanti di Nogent e quelli di Quincey, che vantavano un diritto sui due cadaveri per la maggiore vicinanza al Paracleto. Fra visite, celebrazioni e contestazioni, il monumento alla Trinità andò perduto.

Sotto il Direttorio, Alexandre Lenoir, nominato direttore del Museo dei monumenti francesi, prese l'iniziativa di raccogliere i feretri di molte personalità illustri, spesso rimaste senza sepoltura nei disordini e devastazioni del Terrore: da Cartesio a Molière, da Boileau a La Fontaine. Nel 1800, dopo lunghe trattative con la municipalità di Nogent, anche il feretro di Eloisa e Abelardo fu trasportato a Parigi. Era in pessime condizioni, forse ad opera di qualche violatore. Perciò fu ordinata una perizia, in presenza di un medico; ancora restava qualcosa tra le ossa polverizzate, i lunghi femori di Abelardo e il teschio di Eloisa dalla fronte coulante, arrotondata. Il feretro fu allora collocato in una sala del museo, in attesa di costruire una cappella. Ma i fondi mancavano.