STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


IL CONCILIO DI FERRARA-FIRENZE (1438-39)

Il Concilio di Costanza

Premessa

Un'incredibile coincidenza permise alla chiesa romana di sopravvivere come istituzione di potere dopo il periodo della cosiddetta "cattività avignonese" (1305-77), durante il quale il papato era stato posto al servizio della corona francese, che aveva avuto il coraggio e la capacità di por fine alla teocrazia di Bonifacio VIII.

E non ci fu solo quella umiliante servitù cesaropapista a dare un colpo alla chiesa, ma anche il Grande Scisma d'Occidente (1378-1417), con cui i vescovi riunitisi nel Concilio di Costanza affermarono la superiorità dell'istanza conciliare su quella pontificia (anche se poi condannarono le idee dei due grandi riformatori ecclesiastici, anticipatori di Lutero: John Wyclif e Jan Hus); e infine il Piccolo Scisma d'Occidente (1439-1449), con cui i vescovi riunitisi a Basilea cercarono di ridimensionare ulteriormente le prerogative del papato.

La coincidenza che permise alla chiesa romana di uscire indenne da questi smacchi e anzi di far valere tutta la sua autorità e il suo prestigio, si verificò nel corso del Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39), con cui poté ottenere una cosa che dal 1054 (anno delle reciproche scomuniche) sembrava impossibile da realizzare: la sottomissione dell'intera chiesa bizantina.

Artefice di questa impresa eccezionale fu il papa Eugenio IV, che poté sfruttare magnificamente il fatto che Costantinopoli stava crollando sotto i colpi delle armate turche, sicché il basileus in persona, Giovanni VIII Paleologo, era venuto in Italia, disperato, a chiedere aiuti militari, offrendo in cambio, non senza il consenso di alcuni importanti prelati ortodossi, il riconoscimento del primato giurisdizionale della sede cattolico-romana su quella bizantina.

Fu proprio grazie all'unione della chiesa greca con quella latina (durata dal 1439 al 1456) che il papato riuscì a trionfare sui suoi nemici interni, ripristinando il suo primato sui filo-conciliaristi. Ma fu proprio anche grazie a quella unione che la chiesa russa, la prima a rigettarla, prese a considerarsi come legittima erede della chiesa greca e Mosca come la "Terza Roma".

LO SCISMA D'OCCIDENTE (1378-1417) E IL CONCILIO DI COSTANZA (1414-1418)

L'origine dello scisma è da ricercare nel trasferimento della sede apostolica da Avignone a Roma, voluta da papa Gregorio XI nel 1377, dopo circa un settantennio di permanenza nella cittadina provenzale. Morto Gregorio, l'anno successivo i Romani si sollevarono contro il collegio cardinalizio, con l'obiettivo di scongiurare la prevedibile elezione dell'ennesimo papa francese, che nei loro timori avrebbe potuto disporre il ritorno della Curia ad Avignone. Il popolo reclamò a gran voce la scelta di un papa gradito.

L'8 aprile 1378 i cardinali, spaventati dal clamore popolare, si riunirono in conclave ed elessero al trono di Pietro il napoletano Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, che assunse il nome di Urbano VI (1378-89), già amministratore della Cancelleria Apostolica ad Avignone, ma estraneo al Collegio cardinalizio.

Una volta eletto, egli si oppose fermamente all'idea di spostare di nuovo la sede del papato ad Avignone, sicché la tensione fra cardinali filo-avignonesi e filo-romani divenne altissima. Ad un certo punto i cardinali francesi cominciarono a dire sia che Urbano era stato scelto sotto la minaccia di violenza da parte del popolo, sia che la sede era ancora vacante, sia che Urbano era un apostata.

L'imperatore Carlo IV gli era favorevole, ma non il re di Francia Carlo V, che indusse i cardinali francesi a eleggere papa il cardinale Robert di Ginevra (il "boia di Cesena", in quanto responsabile del cosiddetto "Sacco dei Bretoni"), col nome di Clemente VII, che ristabilì la propria sede ad Avignone, in opposizione alla corte romana di Urbano VI.

Con due pontefici in carica la Chiesa occidentale fu spezzata in due corpi autocefali e la stessa comunità dei fedeli risultò divisa fra "obbedienza romana" e "obbedienza avignonese". A fianco di Urbano VI si schierarono, oltre all'imperatore, Ungheria, Polonia, Svezia, Danimarca, Portogallo, Inghilterra, Fiandre e Italia (ma non il regno di Napoli, ch'era governato dai francesi). All'obbedienza avignonese si allinearono invece i regni di Francia, Aragona, Castiglia, Cipro, Borgogna, Napoli, Scozia, Sicilia e il Ducato di Savoia.

Prima di trasferire la sede ad Avignone, Clemente VII, coi suoi Bretoni mercenari, cercò di occupare Roma, ma fu sconfitto da Alberico da Barbiano. Subito dopo Urbano VI ne approfittò per dichiarare la sovrana di Napoli, Giovanna, eretica e scismatica e per offrire il regno di lei a Carlo di Durazzo, che infatti se lo prese, col titolo di re Carlo III, e non mancò di farla strangolare.

Fu a questo punto che Urbano VI cominciò a dar segni di spiccato autoritarismo, in quanto non voleva avere alcun tipo di sorpresa da parte dei francesi. I cardinali però cominciarono a tramare contro di lui con l'aiuto dello stesso Carlo III, che non voleva sentirsi suo vassallo.

Per tutta risposta il papa fece incarcerare vari cardinali e scomunicò Carlo III, il quale reagì sul piano militare, senza però conseguire successi decisivi. Urbano restò sempre sospettoso e arrogante sino alla fine dei suoi giorni, attirandosi le ire di tutti i porporati, alcuni dei quali furono fatti assassinare da lui stesso.

Nel 1389, alla morte di Urbano, i cardinali romani elevarono al soglio pontificio Bonifacio IX, mentre ad Avignone, scomparso Clemente, fu eletto nel 1394 Benedetto XIII. Uno spiraglio sembrò aprirsi nel 1404, quando alla morte di Bonifacio IX i cardinali del conclave si dissero disposti ad astenersi dall'eleggere un successore, qualora Benedetto avesse accettato di dimettersi. Di fronte al rifiuto del papa avignonese, i cardinali romani procedettero all'elezione di Innocenzo VII. Due anni dopo, nel 1406, gli successe Gregorio XII.

Nel frattempo teologi ed eruditi cominciarono a ipotizzare soluzioni adeguate al problema, che rischiava ormai di delegittimare la funzione stessa del papato e gettare la cristianità occidentale nel caos. Il rimedio più ovvio apparve la convocazione di un concilio ecumenico che ricomponesse lo scisma e mettesse fine alla controversia, ma i due rivali si opposero energicamente, non potendo accettare che si attribuisse a un concilio un potere superiore a quello del papa.

Apparentemente impraticabile per l'opposizione dei contendenti, la soluzione conciliare fu ripresa nel 1409, quando la maggior parte dei cardinali di entrambe le parti si riunì a Pisa per tentare la via del compromesso. Il Concilio stabilì la deposizione di Benedetto XIII e Gregorio XII, dichiarati eretici e scismatici, e l'elezione di un nuovo pontefice, che salì al trono papale col nome di Alessandro V. Quello che avrebbe dovuto essere l'atto finale di uno scisma che da trent'anni lacerava la comunità cattolica finì invece col complicare ulteriormente la situazione: Benedetto e Gregorio, supportati da larghi strati del mondo ecclesiastico, dichiararono illegittimo il Concilio e si rifiutarono di deporre la carica, cosicché da due i papi contendenti divennero tre.

La soluzione della crisi fu possibile soltanto qualche anno dopo, grazie all'iniziativa di Sigismondo di Lussemburgo e del nuovo pontefice pisano Giovanni XXIII, succeduto nel frattempo ad Alessandro V. Convocato a Costanza, in Germania, nel 1414, il nuovo Concilio chiuse i lavori soltanto nel 1417, quando tutte le questioni che minacciavano la stabilità della Chiesa furono adeguatamente discusse e superate. Affermata la superiorità del concilio su qualunque autorità ecclesiastica, compresa quella del papa, i padri conciliari dichiararono deposti Giovanni XXIII e Benedetto XIII - Gregorio XII preferì dimettersi spontaneamente – e nel corso di un breve conclave elessero pontefice il cardinale Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V.

L'elezione di Martino V rappresentò la definitiva ricomposizione dello Scisma d'Occidente: Roma fu ripristinata quale sede naturale della cattedra apostolica e Avignone chiuse la sua esperienza di centro della Cristianità.

Il Concilio di Costanza è tristemente noto per aver mandato al rogo Jan Hus e aver condannato tutte le teorie di John Wyclif, che anticiparono di oltre un secolo quelle protestanti.

CONCILIO DI BASILEA (1431-49)

Il Concilio di Basilea fu convocato da papa Martino V (1417-1431) nel 1431, in applicazione del decreto del Concilio di Costanza, che prevedeva la tenuta periodica di un concilio della Chiesa cattolica (la Svizzera, all'epoca, era cattolica).

I padri conciliari propendevano ancora, in maggioranza, per la superiorità delle decisioni del concilio sul papa (conciliarismo). Ma il successore di Martino V, Eugenio IV (1431-1447), giudicando negativamente tale propensione, trasferì il Concilio da Basilea a Ferrara, nel 1438, col pretesto che, secondo le decisioni del Concilio di Costanza, i concili dovevano tenersi in Italia. In realtà aveva di mira un tentativo di riunificazione con la chiesa bizantina, da gestirsi in maniera autonoma, senza alcuna interferenza da parte del concilio, che pur era a conoscenza della necessità di far qualcosa a favore di Bisanzio, sfruttando l'occasione che il basileus aveva chiesto all'Europa cattolica un aiuto di tipo militare contro i turchi.

I conciliaristi rimasti a Basilea, spalleggiati dalle Università, proclamarono decaduto Eugenio IV ed elessero in sua vece un antipapa, il Duca di Savoia Amedeo VIII, sotto il nome di Felice V (1439-49): si era giunti al piccolo scisma d'Occidente, che venne ricomposto solo dieci anni dopo, durante l'ultima sessione a Losanna, nel 1449, con la spontanea deposizione della tiara da parte di Felice V. (La Francia ne approfittò, col re antipapista Carlo VII, che con la "Prammatica Sanzione" di Bourges fece nascere la cosiddetta "Chiesa gallicana".)

In particolare i conciliaristi, avversi al principio secondo cui solo il papa aveva la plena potestas, fecero sapere a Eugenio IV che non aveva alcun diritto a sciogliere il Concilio e che in almeno tre questioni fondamentali la competenza era tutta del Concilio: 1) i dogmi, 2) gli scismi e le eresie, 3) la riforma della chiesa (tutte cose già dette al Concilio di Costanza). E, poiché il papa non volle prendere in considerazione queste delibere, il Concilio precisò ulteriori fondamentali principi: 1) che solo dio e lo stesso Concilio potevano ritenersi "infallibili"; 2) che la subordinazione del papato al concilio ecumenico era "materia di fede" e non semplicemente amministrativa (fidem concernit); 3) che se il papa non voleva convocare periodicamente il concilio, poteva essere ritenuto alla stregua di uno scismatico e poteva anche essere deposto. (1)

Vedendo la risolutezza del Concilio, Eugenio IV emanò una serie di bolle che si contraddicevano a vicenda, allo scopo di prendersi il tempo necessario per organizzare il Concilio di Ferrara. E così il 29 luglio 1433 con la bolla Inscrutabilis annullò le decisioni prese a Basilea contro di lui; il 1° agosto con la bolla Dudum Sacra decise invece di riconoscerle, a condizione che il concilio fosse presieduto dai suoi legati e fossero annullati tutti i decreti contro di lui; l'11 settembre con la bolla In Arcano contraddiceva quella precedente; il 15 dicembre con un'altra bolla faceva lo stesso con la precedente.

I vescovi di Basilea, rimasti sconcertati da questa serie di bolle, facevano notare a Eugenio IV che l'idea di considerare il concilio superiore al papa non l'avevano solo i bizantini, ma anche molti padri latini della chiesa, come p.es. Agostino, Girolamo, Gregorio Magno, ed era stata chiaramente espressa da un concilio che la stessa sede romana aveva pienamente riconosciuto, quello di Calcedonia.

I vescovi non s'erano accorti che il papa stava tramando alle loro spalle. Infatti per convincere i bizantini a non fare alcuna trattativa con loro, era ricorso a ogni mezzo, lecito e illecito (p.es. contro Giovanni di Ragusa, creato cardinale da papa Felice V). Un primo effetto lo ottenne nei confronti della delegazione russa, guidata da Isidoro (metropolita di Kiev e di tutte le Russie), che aveva deciso di recarsi a Basilea per trattare l'unione delle due chiese, cattolica e ortodossa, ma che s'era fatto convincere dal vescovo papista di Lubecca, Giovanni Schele, a trasferire la delegazione a Ferrara, ove già li attendevano il basileus e il patriarca bizantini.

CONCILIO DI FERRARA-FIRENZE (1438-39)

A Venezia arrivò, via nave, una nutrita delegazione bizantina, per trattare la riunione delle chiese latina ed ortodossa, come premessa per l'aiuto occidentale a Costantinopoli e all'impero bizantino ormai in procinto di crollare sotto l'assedio dei turchi ottomani. Facevano parte della delegazione l'imperatore Giovanni VIII Paleologo, suo fratello Demetrio, il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II e un numero imprecisato di vescovi, dotti e teologi, tra i quali spiccavano Basilio Bessarione (favorevole all'Unione), Isidoro di Kiev (favorevole), Marco di Efeso (contrario), Balsamon (favorevole), Giorgio Gemisto Pletone (favorevole), Giorgio (Gennadio) Scolario (contrario), Giovanni Argiropulo (favorevole). Avevano deciso di partecipare al Concilio di Ferrara piuttosto che a quello di Basilea, per trattare l'unione.

Fra i vescovi latini intervenuti, si segnalarono: il cardinal Giuliano Cesarini, l'arcivescovo di Rodi Andrea, il vescovo di Forlì Luigi Pirano.

I greci arrivarono a Ferrara nell'aprile del 1438, restandovi inattivi sino a ottobre: infatti avevano atteso invano l'arrivo dei vescovi del Concilio di Basilea, che rappresentavano i francesi e i tedeschi. Questo perché non se la sentivano di considerare "ecumenico" un Concilio (quale quello di Ferrara) composto da otto cardinali cattolici, due patriarchi titolari, 61 arcivescovi prevalentemente nominati dalla sede romana, 43 abati cattolici e un generale d'ordine. Non a caso tale Concilio verrà riconosciuto "ecumenico" solo nel XIX sec. e solo dal Vaticano.

Eugenio IV fu costretto a ridurre i vescovi italiani a 50, aggiungendovi alcuni vescovi provenienti dalla Borgogna, dalla Provenza e dalla Spagna, arrivando a 62.

L'incongruenza del momento era comunque evidente a tutti: mentre a Ferrara (e poi a Firenze) il papa chiedeva ai greci di considerarlo superiore al concilio, a Basilea si affermava esattamente il contrario; tant'è che il 24 marzo 1438 a Basilea avevano dichiarato nullo il Concilio ferrarese, in quanto scismatico, e negarono al papa il diritto di sciogliere o annullare qualsivoglia concilio, tantomeno il diritto di trasferire quello di Ferrara e Firenze. Il 25 giugno 1439 il papa fu dichiarato eretico e scismatico e quindi deposto e sostituito con l'antipapa Felice V, che trasferì il Concilio da Basilea a Losanna.

La sede di Ferrara venne comunque abbandonata durante uno stallo dei lavori, soprattutto per problemi logistici e per l'arrivo della peste in città.

Durante la missione bizantina in Italia, Giovanni VIII Paleologo informò il patriarca Giuseppe II della pretesa di papa Eugenio IV, posta come condizione preliminare al loro incontro, che gli fossero baciati i piedi e le ginocchia, in segno di totale sottomissione e che non era stato possibile farlo desistere da questa richiesta. Giuseppe II giunse, nel novembre del 1437, al porto fluviale di Ferrara e fece gettare l'àncora, ma decise di non scendere dall'imbarcazione, rifiutando tale umiliante rituale. All'insistenza del papa, il patriarca minacciò di tornare a Venezia e si arrivò ad un accordo che prevedeva il rituale bacio dei piedi in privato e non in pubblico.(2) Lo stesso basileus fu costretto a costatare che il trono più vicino a quello del pontefice non era stato riservato a lui ma all'imperatore di Germania.

Su pressione di Cosimo il Vecchio nel 1439 il Concilio venne trasferito a Firenze. Il capostipite dei Medici presiedette alla riunificazione fra la Chiesa latina, rappresentata da papa Eugenio IV, e quella bizantina, rappresentata dall'imperatore Giovanni VIII Paleologo e dal patriarca Giuseppe. La riunificazione sarebbe dovuta avvenire sul piano dogmatico e disciplinare, ma si sarebbero dovute mantenere le differenze sul piano liturgico, secondo quella differenza che sarà costante in tutti i tentativi delle Chiese uniati.

Il Decretum Unionis, firmato dai greci nel 1439, fu più che altro il tentativo disperato dell'imperatore bizantino di ottenere aiuto dall'Occidente in vista dell'assedio sempre più stretto dei turchi alla sua capitale, Costantinopoli (l'impero romano d'Oriente cadrà infatti il 29 maggio 1453). I punti maggiormente controversi furono quelli del Filioque, del purgatorio, del pane azzimo e del primato pontificio. La formula con cui i teologi cattolici indussero quelli ortodossi ad accettare la superiorità del papa sul concilio fu abbastanza ambigua: i greci infatti erano sempre stati disposti ad accettare un primato d'onore (o etico) del papa (primus inter pares), ma non un primato giurisdizionale, cioè politico.

Per dimostrare le loro tesi, i teologi latini non si fecero scrupoli ad usare testi apocrifi (come le Decretali dello Pseudo-Isidoro o il sesto canone del I° Concilio di Nicea) e addirittura palesemente falsi, come la Donazione di Costantino, già giudicata inautentica da Lorenzo Valla e Nicola Cusano.

In questo Concilio per la prima volta nacque la cosiddetta "chiesa uniate", cioè la chiesa cattolica che, pur restando sottomessa al papa, era libera di usare il rito bizantino: una sorta di "cavallo di Troia" per convincere gli ortodossi a diventare cattolici. Infatti, nel 1596, al Concilio di Brest, i russi ortodossi (che civilmente erano cittadini lituani e polacchi) si riconoscevano uniti alla chiesa romana sulla base delle conclusioni di Firenze.

DOPO IL CONCILIO DI FIRENZE

I risultati del Concilio non vennero ratificati, anzi, al ritorno a Costantinopoli della delegazione bizantina, due terzi dei vescovi e dignitari firmatari (21 su 31) ritrattarono l'appoggio e negarono l'accordo, anche per via delle rimostranze delle comunità bizantine, le quali, piuttosto che rinunciare alle proprie tradizioni liturgiche e teologiche, sottomettendosi alla "tiara" papale, preferivano "il turbante", per certi versi più tollerante, degli ottomani. Questo partito anti-latino, che non aveva certo dimenticato la quarta crociata né gli atteggiamenti prevaricatori dei crociati in generale né le mire espansionistiche di Venezia, Genova e dei Normanni, era guidato da uno dei fratelli dell'imperatore, Demetrio e dal Mega dux Luca Notara.

Ungheria e Polonia s'impegnarono invece a promuovere i dettami del Concilio, riuscendo a porre sotto Roma importanti comunità di ortodossi, che da allora formano la Chiesa uniate, che raduna oggi più di 6 milioni di persone, soprattutto in Ucraina, Slovacchia e Transilvania.

Il metropolita di Kiev, Isidoro, aveva firmato perché in cambio il papa gli aveva concesso il titolo di "legatus a latere" per la Polonia, la Lituania, la Livonia e la Russia, offrendogli anche la nomina a cardinale.

Dalla sua delegazione s'erano ben presto staccati l'ambasciatore Tommaso e il monaco Simeone, che avevano rigettato le condizioni umilianti di Firenze. Invece Isidoro andò a Budapest per confermarle e poi in tutti i paesi ove era stato nominato legato pontificio. Fu ben accolto anche a Kiev dal principe Alessandro.

Nel marzo del 1441 celebrò nella cattedrale del Cremlino, a Mosca, una liturgia in cui fece leggere il Decreto d'Unione, in presenza del principe Vasilij Vasil'evich, il quale però, dopo pochi giorni, lo fece incarcerare nel monastero di Ciudov, da dove riuscì a fuggire nel 1441. Non aveva assolutamente capito che per il popolo russo la difesa della propria terra coincideva con la difesa dell'ortodossia, avendo dovuto affrontare, verso la metà del XIII sec., le devastazioni dei cavalieri teutonici, che avevano occupato Pskov e Novgorod, e che furono battuti dal principe Alessandro Nevskij.

Isidoro cercò di dirigere la chiesa cattolica nelle terre del Nord Europa, dove però incontrò, persino in questa confessione, molti credenti favorevoli al conciliarismo; ad un certo punto decise di ritornare a Roma, dove morì nel 1463.

In particolare i principi russi rifiutarono dell'Unione fiorentina soprattutto il fatto che il basileus avesse rinunciato alle sue prerogative inginocchiandosi davanti al papa. Quel gesto fu interpretato come un tradimento dell'ortodossia e, siccome il Gran Principato di Mosca appariva come una forza unificatrice di tutta la Russia (nella guerra contro i Tartari), quest'ultima cominciò a sentirsi investita di un compito affidatole dalla Provvidenza: quello di difendere le tradizioni e i dogmi dell'ortodossia sotto la guida del Gran Principe russo, che avrebbe preso il posto del basileus bizantino. Fu così che Mosca si convinse d'essere diventata la "Terza Roma".

La chiesa russa proclamò in maniera unilaterale la propria autocefalia nel 1448, anche in relazione al fatto che la sede di Costantinopoli stava favorendo, nelle nomine dei metropoliti, la cattolica Lituania contro l'ortodossa Russia (da notare che tra il 1380 e il 1400 oltre il 60% dell'antica Rus', compresa Kiev, era in mano ai principi lituani).

Dopo la caduta di Costantinopoli (1453) furono gli stessi Ottomani, timorosi di una crociata ai loro danni, a impedire che le due chiese, un tempo rivali, potessero riconciliarsi: tant'è che imposero come primo patriarca di Costantinopoli Giorgio Scolario, nettamente anti-unionista.

Gli ortodossi però accettarono incontri non ufficiali coi cattolici, di cui il primo fu quello tra il vescovo Pietro Cedolini (1581) e il patriarca Geremia II. Il papato infatti era molto preoccupato della diffusione in Europa di una nuova eresia, quella luterana, e cercava di convincere il patriarca a non fare accordi coi teologi protestanti.

In realtà su tre aspetti i protestanti avevano trovato un'intesa con gli ortodossi: 1) il rifiuto del primato pontificio, 2) il rifiuto del purgatorio, 3) il rifiuto dell'usanza cattolica di dare l'eucaristia ai laici senza il vino.

Le differenze però restavano nette sulla questione del Filioque (che i luterani non avevano mai messo in discussione), sul libero arbitrio (che luterani e calvinisti negavano in nome della predestinazione), sui sacramenti (che tutti i protestanti ridussero a due), sull'invocazione dei santi (ritenuta superstiziosa dai protestanti), sulla confessione (negata dai protestanti in quanto il credente ha un rapporto diretto con dio) e sulla vita monastica (che i protestanti rifiutavano, avendo abolito la differenza tra clero e laicato).

Grazie a questa pseudo-unione il papato era però riuscito a imporsi sul Concilio di Basilea, del quale dichiarò nulli, in un collegio di cardinali in cui lesse la bolla Mojses (11 settembre 1439), tutti i decreti. Il suo principale teologo di riferimento era Juan de Torquemada.

Dopodiché il successore di Eugenio IV, e cioè Niccolò V (1447-55), propose a Felice V di rinunciare al titolo, in cambio di un lauto compenso in denaro e del titolo di cardinale, con cui poteva amministrare le sedi di Losanna e Ginevra. Felice V accettò nel 1449 e due anni dopo morì.

Niccolò V poté giungere, nel 1448, a un concordato coi principi germanici e soprattutto con l'imperatore Federico III d'Asburgo, incoronato a Roma nel 1452 (sarà l'ultima volta che un papa farà questo tipo d'incoronazione a Roma).

Sotto questo papa lo Stato della chiesa cominciò a diventare un vero e proprio Stato rinascimentale, dotato non solo di arte e cultura, ma anche di un forte regime poliziesco, di cui egli si servì subito per giustiziare alcuni congiurati repubblicani nel 1453.

Il papato era convinto d'aver risolto tutti i suoi problemi, d'aver recuperato la credibilità perduta, d'aver messo a tacere per sempre i sostenitori della superiorità del concilio, d'aver eliminato la sua più pericolosa concorrente, la chiesa bizantina: non poteva sospettare né che l'Umanesimo e il Rinascimento stavano elaborando teorie filosofiche che sarebbero andate ben oltre le diatribe di tipo teologico, inaugurando una stagione che darà frutti straordinari al pensiero laico e persino ateistico in Europa (3); né che nell'Europa del Nord stava scoppiando una rivoluzione del pensiero religioso, quale non s'era mai vista dagli esordi dei primi movimenti pauperistici ereticali; né che in Medioriente l'avanzata turca si sarebbe rivelata particolarmente pericolosa per le sorti del commercio mediterraneo e per l'espansione cattolica nei Balcani.

Col papa neopagano Pio II e col papa mondano Leone X la chiesa romana si ostinava a cancellare dalla storia i due concili di Costanza e di Basilea, senza rendersi conto di quali possenti nemici si profilavano all'orizzonte. Il primo, con la bolla Execrabilis, del 1460, condannava chiunque avesse intenzione di proclamare il diritto di appellarsi a un concilio in funzione anti-pontificia (4); il secondo, con la bolla Pastor aeternus, del 1516, proclamava l'invalidità del Concilio di Costanza nei decreti relativi alla superiorità del concilio sul papa, accettando solo quelli in cui si condannavano le dottrine di Hus e Wyclif, e lo stesso Concilio di Basilea fu del tutto espunto dall'elenco dei concili ecumenici. L'anno dopo Lutero affiggeva le sue 95 tesi alla porta della chiesa di Ognissanti di Wittenberg.

In una storiografia del "se" sarebbe interessante porsi la domanda su cosa sarebbe potuto accadere se l'unione con la chiesa greca fosse avvenuta su base paritetica ed egualitaria, superando le motivazioni che avevano portato allo scisma del 1054: nel nord Europa vi sarebbero forse avute meno motivazioni per creare un nuovo scisma della cristianità? Oppure i tempi erano sufficientemente maturi perché la borghesia si desse una propria religione o perché, al contrario, vi rinunciasse una volta per tutte?

Note

(1) Da notare che il Concilio di Basilea fu escluso dai concili ecumenici, riconosciuti dalla chiesa romana, benché in esso fu formulata la dottrina cattolica dell'Immacolata concezione, proclamata "dogma" da Pio IX nel 1854.

(2) Dopo oltre mezzo millennio, il ricordo di quell'episodio fu all'origine dell'eclatante gesto di riconciliazione fatto dal papa Paolo VI che nella cappella Sistina, il 14 dicembre 1975, s'inginocchiò a baciare i piedi del metropolita Melitone di Calcedonia, inviato dal patriarca di Costantinopoli Demetrio I.

(3) I teologi ortodossi fuggiti da Bisanzio, occupata dai turchi, favorirono nell'Europa occidentale la rinascita degli studi classici e della lingua greca, che portarono alla riscoperta del platonismo (neoplatonismo), che fu fonte principale per la formazione delle idee umanistiche e rinascimentali. Fu proprio grazie a questi contatti con gli ambienti ortodossi che si scoprì la falsità di tanti documenti ecclesiali prodotti dal papato, in cui per molti secoli s'era ciecamente creduto.

(4) Singolare il fatto che prima di diventare papa col nome di Pio II, il cardinale Piccolomini fu segretario del vescovo Capranica al Concilio di Basilea, dove aveva condiviso le tesi conciliariste, trovandosi persino coinvolto nel tentativo di rapimento di Eugenio IV, esule a Firenze; e quando approvò l'elezione dell'antipapa Felice V, ne era divenuto suo segretario personale.

Fonti

SitiWeb


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015