STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


I LONGOBARDI IN ITALIA

I - II - III

La migrazione dei Longobardi

L'Italia al tempo del re longobardo AlboinoL'Italia al tempo del re longobardo Astolfo

Premessa

Quando in Italia giunsero gli ostrogoti (489-553), pretesero subito un terzo dei raccolti dalle terre dei proprietari romani; poi divennero comproprietari delle medesime terre; infine proprietari esclusivi di un terzo delle terre dell'intera penisola. Poterono farlo non solo perché erano entrati col permesso dell'imperatore d'oriente (il quale però non si sarebbe mai aspettato un'evoluzione del genere), ma anche perché avevano una politica centralizzata, in virtù della quale erano riusciti a creare una nobiltà omogenea, terriera, fondendola con quella romana. Per il resto il re Teodorico mantenne l'amministrazione romana quanto a tributi, dazi e monopoli. Anzi col suo Editto, egli aveva preferito basarsi sul principio della territorialità (romani e barbari sottoposti alle stesse leggi) e non più su quello germanico della personalità (ogni gruppo etnico soggetto a proprie leggi).

Gli ostrogoti, il cui regno includeva anche la Dalmazia e la Provenza, persero tutto in seguito alla guerra greco-gotica (535-553), ma nel 568 buona parte delle loro terre fu occupata dai nuovi invasori (questa volta non autorizzati dal basileus): i longobardi, i quali però non conquisteranno mai l'intera penisola, benché molto più numerosi degli ostrogoti (come minimo 120.000 unità). Ai bizantini, in un primo momento, lasciarono l'Esarcato di Ravenna (l'attuale Romagna, ma che arrivava sino a Ferrara e Bologna), la Pentapoli (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) e il Ducato di Roma, oltre a buona parte del Mezzogiorno: Puglia, Calabria, Sicilia e alcune città costiere della Campania.

L'errore degli ostrogoti fu quello di pretendere un regno assolutamente sproporzionato rispetto all'esiguità della propria popolazione e di sottovalutare la forza dei bizantini; l'errore dei longobardi sarà quello di non dare abbastanza peso alla centralizzazione del potere o comunque di non cercare una pacifica convivenza con gli italici, e soprattutto di aver sottovalutato la forza della chiesa romana.

Gli inizi dell'occupazione militare

I longobardi erano una confederazione di vari gruppi etnico-clanico-tribali (germanici: sassoni, scandinavi ecc. e slavi: sarmati, bulgari ecc.), basati sui legami parentali (fara), e tali vollero restare quasi sino all'ultimo. Solo in periodo di guerra accettavano di sottomettersi a un sovrano: finita la guerra, tornavano a dividersi in tribù, che in Italia venivano governate dai duchi (comandanti militari).

Essi fecero la stessa cosa degli ostrogoti: occuparono l'Italia emigrando dalla Pannonia (ove erano rimasti una quarantina d'anni), dopo aver sottomesso i gepidi, con la differenza che lo fecero in massa, cioè incluse donne, vecchi e bambini. S'insediarono subito in Friuli, Trentino, Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Spoleto e Benevento (queste due ultime città costituivano dei ducati molto ampi). Non è da escludere che un loro intervento, ovviamente non così massiccio, fosse stato chiesto dai bizantini contro gli ostrogoti. In Pannonia comunque s'insediarono gli unni.

Appena entrati, confiscarono subito con la violenza una parte dei latifondi romani e pretesero dai contadini sottomessi un terzo dei loro raccolti. Molti esponenti della grande aristocrazia romana furono eliminati: i duchi erano infatti convinti che non avrebbero incontrato particolare resistenza né da parte dei bizantini, né da parte della chiesa romana. Il primo ducato longobardo fu quello di Cividale del Friuli (568).

Fu così che si formò una nuova nobiltà terriera e militare (il grado maggiore era appunto quello di duca), che cominciò a creare sul piano economico una sorta di rapporti feudali. L'intento di questa nobiltà era quello di occupare l'intera penisola, ma venne subito a scontrarsi con la volontà della chiesa romana, che aveva intenzione di togliere al potere bizantino sia il Ducato romano che l'Esarcato ravennate, da cui poi sarebbe nato lo Stato della chiesa.

Sia gli ostrogoti che i longobardi, venendo a contatto col mondo romano, persero progressivamente le loro consuetudini tribali (basate sulle libere comunità agricole) e acquisirono uno stile di vita basato sulla proprietà privata. Le forme di dipendenza servile create dai longobardi consistevano in pagamenti di canoni (in natura o in corvées) sia che la terra appartenesse al contadino sia che gli venisse concessa in usufrutto. Alla scadenza il contratto (livellare, enfiteutico ecc.) era rinnovabile.

I longobardi erano molto fieri delle loro antiche tradizioni e guardavano con disprezzo i romani, cercando di mantenere separate le usanze e le norme di comportamento. Come gli ostrogoti erano di religione ariana, cioè insofferenti a una gestione politica della fede da parte del papato, per cui il rapporto con la chiesa di Roma fu sempre molto difficile sino alla fine del loro regno.

La vita socioeconomica

I longobardi erano sostanzialmente abituati a vivere nelle campagne, di caccia, agricoltura e allevamento, costruendo villaggi in cui si teneva conto dei vincoli di parentela. Lo scambio di rapporti con le comunità più vicine prevedeva l'uso comune dei boschi e dei terreni prativi per le greggi.

Tuttavia il loro ingresso nella penisola li aveva portati ad affermare progressivamente sulle terre arabili il diritto alla proprietà privata, trasmissibile per via ereditaria, nell'ambito della famiglia patriarcale. Se una terra veniva affidata in concessione o donata, il beneficiario era tenuto ad obblighi abbastanza restrittivi per poterla conservare: cosa che non succedeva quando essi vivevano in Germania o in Pannonia.

Tra i longobardi non esisteva una nobiltà di nascita, intesa come un ceto esclusivo e privilegiato; ogni individuo libero veniva valutato non solo in riferimento alla nobiltà di stirpe, ma anche in base al merito e alla qualità (generalmente militare), per cui chiunque poteva diventare nobile.

Chi fruiva di tutti i diritti erano solo i maschi liberi, che potevano portare le armi, fonte di ricchezza economica. Erano loro che prendevano le decisioni nelle assemblee di villaggio e figuravano come soggetti di norme giuridiche (anche perché possedevano gli arativi).

Sotto i liberi c'erano i liberti, cioè schiavi liberati (generalmente non possessori di terre, ma liberi di svolgere qualunque altro lavoro). Infine i semiliberi (aldii), che avevano alcuni diritti e libertà (lo schiavismo come sistema sociale, in stile romano, i germani non l'hanno mai avuto): costoro potevano addirittura possedere alcuni schiavi, ma senza poterli vendere, né poteva alienare la terra su cui lavoravano, dato che non era di loro proprietà.

Gli schiavi erano generalmente divisi in tre categorie, in base alle loro mansioni:

  • ministeriali, cresciuti alla corte del duca o del sovrano, istruiti, utilizzati come sorveglianti del bestiame e dei pastori nelle terre della corona e della nuova nobiltà di servizio (non di nascita);
  • domestici, vivevano nella stessa corte signorile ed erano utilizzati come manodopera agricola;
  • massari, potevano essere utilizzati in qualunque azienda agricola dei liberi, come forza-lavoro impiegata a seconda delle necessità.

Quando entrarono in Italia, i longobardi disponevano soltanto di pochi schiavi che utilizzavano come manodopera ausiliaria a livello domestico.

Al crescere dell'apparato amministrativo emergono nuove figure professionali, tra cui le principali i gastaldi, che gestivano il patrimonio reale e svolgevano funzioni di agenti politici e giudiziari del sovrano (potevano anche essere governatori di città). Gli stessi duchi, per molti aspetti, si stavano trasformando in funzionari del re.

Indubbiamente la progressiva centralizzazione dei poteri portava i longobardi a diventare sempre più simili ai romani. Ciò è ben visibile sotto Liutprando, il primo re longobardo disposto a riconoscere un qualche valore al diritto romano: infatti dalle sue nuove disposizioni (713-16) appare chiaro che la grande famiglia patriarcale (che già aveva rimpiazzato la ancora più grande fara clanico-tribale) stava per essere sostituita da nuclei familiari ristretti, in cui si tendeva ad affermare l'uguaglianza dei sessi, ben visibile nelle successioni ereditarie. La proprietà terriera tende a privatizzarsi sempre di più. Le stesse donazioni e concessioni si trasformavano in proprietà se il beneficiario le usava per trent'anni. I rapporti di vicinato diventano molto più importanti di quelli di consanguineità, proprio perché occorre stabilire con precisione le proprietà giuridiche, i confini territoriali, i danni materiali ecc. I figli ereditano anche i debiti dei padri e i prestiti ipotecari finiscono coll'impoverire persino le persone libere.

Nel 750, stando alle disposizioni di Astolfo, gli arimanni, cioè coloro che combattevano, erano divisi in tre categorie:

  • i più agiati, in grado di combattere a cavallo;
  • i meno agiati, possessori di un solo cavallo, autorizzati a esentarsi dal servizio militare;
  • i poveri, da mobilitarsi come fanti solo in caso di estrema necessità, Costoro diventano sempre più dipendenti (contadini) dai proprietari terrieri.

L'antica aristocrazia di sangue veniva sempre più soppiantata dalla nobiltà militare e di servizio, costituita dai duchi, dai funzionari regi, dai gasindi (piccola nobiltà legata al re da patti di protezione), dalla guardia del sovrano: tutta una pletora di aristocratici che poteva influenzare enormemente il sovrano.

L'organizzazione politica

I primi due re longobardi, Alboino (568-572) e Clefi (572-574), che in realtà erano solo due duchi, furono entrambi assassinati in occasione di congiure di palazzo (la loro capitale era Pavia), a testimonianza che non veniva riconosciuta una leadership centrale. Per un decennio infatti (574-584) si preferì restare divisi in 36 ducati dispotici e violenti, e solo quando franchi e bizantini cominciarono ad allearsi, i longobardi si convinsero a darsi un re, Autari (584-590), cedendogli la metà dei loro possedimenti fondiari, e fu solo a questo punto che pensarono seriamente a occupare l'intera penisola.

Autari sposò Teodolinda, principessa bavara di religione cattolica (anche se aderente allo scisma dei Tre Capitoli), per suggellare un'alleanza coi bavari. Teodolinda rappresentò il primo collegamento tra i longobardi ariani e la chiesa di Roma; infatti quando Autari, alla sua morte, fu sostituito da Agilulfo (590-615) si creò un primo compromesso basato sulle seguenti condizioni: i longobardi si sarebbero convertiti al cattolicesimo se la chiesa li avesse aiutati a cacciare i bizantini dalla penisola. Papa Gregorio Magno non ebbe alcuna difficoltà ad accettare un'intesa del genere, benché la sua intenzione, inizialmente, fosse quella di conquistare le terre bizantine meridionali non occupate dai longobardi.

Il primo re longobardo a convertirsi fu appunto Agilulfo, ma già sotto il suo regno accaddero degli eventi che colsero impreparato il papa: dal un lato infatti il duca di Spoleto conquistò i valichi dell'Appennino che collegavano il Ducato romano coll'Esarcato, isolando così quest'ultimo; dall'altro il duca di Benevento si allargavano nell'Agro romano, in Campania, Puglia, Calabria, cacciando i vescovi cattolici, gli abati dei monasteri, i proprietari italici.

Il papato si rese ben presto conto che dei longobardi non ci si poteva fidare: anche gli altri duchi non erano affatto intenzionati a prendere ordini da Roma. Lo stesso Agilulfo attaccò il Ducato romano e non arrivò sino a Roma solo perché il basileus s'era impegnato a pagargli un tributo oneroso (598). Agilulfo però nel 601 aveva ripreso le ostilità, occupando regioni e città dell'Italia settentrionale, pur senza mai raggiungere risultati significativi ai fini dell'unificazione longobarda della penisola. Né seppero fare di meglio i suoi successori, che comunque tornarono all'arianesimo: il figlio di Agilulfo, Adaloaldo (615-627), fu addirittura assassinato (probabilmente con la madre) da Arioaldo (627-636).

L'anarchia interna, invece di diminuire, col tempo aumentava, anche perché i sovrani non erano eletti dall'insieme della nobiltà e dalla massa dei guerrieri liberi, ma provenivano dalla ristretta cerchia dei duchi. I sovrani, a volte, pur combattendo i bizantini, chiedevano loro aiuto contro i duchi, e anche questi facevano lo stesso. Forse solo col re Rotari (636-652), uno dei più importanti dei longobardi, che non volle saperne di farsi cattolico, il potere centrale iniziò a rafforzarsi.

Appoggiato da tutta la nobiltà militare del nord Italia, si concentrò a occupare la Liguria (i cui territori erano amministrati dal vescovo di Milano), la Sardegna e l'Esarcato, mirando a sottomettere tutti i duchi. Sostenne anche il duca di Benevento nell'assedio, risultato vittorioso, delle città di Salerno e Sorrento.

Il suo Editto (643) rispecchia ancora gli usi e i costumi germanici e guarda con disprezzo quello romano, codificato nel Digesto promulgato dall'imperatore Giustiniano I nel 533. Nell'Editto sono previste regole fondamentali che dovevano essere valide per tutta la penisola, quali p.es. la sostituzione della faida (cui era tenuta l'intera fara) col risarcimento pecuniario (guidrigildo, ch'era il valore di una persona espresso in termini monetari) e la diversificazione della pena a seconda di chi commetteva il reato e di chi lo subiva; altre norme erano invece tipicamente germaniche: p.es. il mundio, cioè la potestà dell'uomo sulla donna, ch'era priva di diritti (il matrimonio non era che un contratto stipulato tra il padre della ragazza e il suo futuro sposo, tenuto a pagare un prezzo d'acquisto), e l'ordalia, consistente, nei casi dubbi, nella prova dei carboni ardenti per l'imputato (era sempre l'accusato a dover provare la propria innocenza); si poteva ricorrere anche al duello per risolvere casi giudiziari. Vennero anche confermati i rapporti sociali basati sulla successione ereditaria per via maschile. L'importanza dei legami di consanguineità risultava ancora netta, sebbene il grande gruppo della "fara" si andava progressivamente restringendo in famiglie di tipo patriarcale, con possibilità di trasmettere la quota di eredità della donna anche per linea femminile.

Uno dei suoi successori, Grimoaldo (662-671), riuscì a creare un demanio regio nel nord Italia che, per estensione, superava i possessi di tutti gli altri ducati messi insieme. Con suo figlio Romualdo riuscì a conquistare Taranto e Brindisi, togliendole ai bizantini. Questi successi inaspettati convinsero il papato a scendere nuovamente a trattative coi longobardi, i quali infatti cominciarono, nel 680, ad avvicinarsi al cattolicesimo romano, benché più al sud che al nord.

Liutprando (712-744) fu perfettamente in grado di comprendere che senza l'appoggio del papato sarebbe stato impossibile sbarazzarsi dei bizantini in Italia: infatti agevolò di molto le donazioni alla chiesa, e quelle che dava ai laici diventavano proprietà di quest'ultimi dopo sessant'anni. Sotto di lui infatti i longobardi tornarono ad essere cattolici.

Durante la crisi iconoclastica, scatenata dal basileus Leone III Isaurico, nel 718, Liutprando aveva sperato che papa Gregorio II gli chiedesse l'aiuto militare per cacciare tutti i bizantini dall'Italia, ma il papa lo temeva e non si fidava delle promesse dei sovrani longobardi. Sicché Liutprando si alleò improvvisamente con l'esarca di Ravenna per sottomettere i duchi di Spoleto e Benevento, dopodiché riprese a combattere i bizantini dell'Esarcato (732-33), estromettendoli non solo da qui ma anche dalla Pentapoli e dal Ducato romano.

Il papa tuttavia, volendo impadronirsi dell'Esarcato, fece in modo di far intervenire gli abitanti delle lagune venete con la loro flotta, e Ravenna restò in mano a Bisanzio. Il papato voleva creare un proprio Stato indipendente sia da Bisanzio che da Pavia. Non poteva permettere ai longobardi di occupare l'Italia centrale senza aver fatto alcun patto con Roma. Né poteva certo accontentarsi di ciò che Liutprando era disposto a concedergli (il castello di Sutri nel Viterbese). Il pontefice voleva non solo il Ducato romano ma anche l'Esarcato e la Pentapoli.

Nel frattempo Carlo Martello aveva fermato gli islamici a Poitiers (732) e Liutprando s'affrettò a stringere con lui un accordo di tipo militare, in virtù del quale, nel 737-38 egli mosse in Provenza, sino ad Arles.

Vedendolo impegnato al di fuori della penisola, il papa spinse il duca di Spoleto a ribellarsi contro il proprio sovrano, ma questi tornò immediatamente in Italia, assediò Ravenna e minacciò seriamente Roma. Fu a questo punto che papa Gregorio III iniziò a intavolare serie trattative coi franchi di Carlo Martello.

La guerra tra franchi e longobardi

I franchi non intervennero subito, non solo perché impegnati a combattere i saraceni, ma anche perché in fondo erano in ottimi rapporti coi longobardi.

Allora il papa Zaccaria fece un accordo con Liutprando per la durata di vent'anni, secondo cui il sovrano avrebbe avuto mano libera sull'Esarcato e in cambio non avrebbe minacciato minimamente il Ducato romano. Liutprando però, vedendo che i successori di Carlo Martello (morto nel 741) si stavano orientando a stringere un'alleanza col papato, concluse una trattativa pacifica col basileus, in base alla quale egli si sarebbe tenuto alcune zone dell'Esarcato ma non avrebbe attaccato Ravenna.

Il suo successore Rachis (744-749) continuò a fare donazioni alla chiesa, però attaccò la Pentapoli e strinse d'assedio Perugia. Papa Zaccaria lo intimò ad abbandonare i suoi progetti di conquista, e Rachis, intimorito dall'autorità del papato, vi rinunciò, suscitando molto malcontento tra l'aristocrazia militare. Rachis preferì addirittura abdicare, ritirandosi a Montecassino, per vivere secondo la fede cristiana.

La nobiltà longobarda proclamò re suo fratello Astolfo (749-757), che si mise a minacciare seriamente Roma, dopo aver occupato Esarcato e Pentapoli, avanzando fino all'Istria. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Assolutamente intenzionato a costruire per la propria chiesa uno Stato politico, papa Zaccaria fece incoronare Pipino il Breve (741-768) re dei franchi, pur avendo preso il potere in maniera abusiva, deponendo con un colpo di stato l'ultimo re merovingio.

Alle minacce di Astolfo, il nuovo papa Stefano II (752-757) stabilì con Pipino il Breve un patto (Kiersy, 754) molto semplice: il Ducato romano, l'Esarcato e la Pentapoli passavano alla chiesa, mentre Pipino riceveva il titolo di "patrizio romano", con cui si legittimava la sua carica regale (da notare che solo il basileus poteva conferire un titolo così elevato, equivalente a "viceré d'Italia": cosa che già aveva fatto con Odoacre e Teodorico).

Pipino scese in Italia nel 754, assediò Astolfo a Pavia e lo costrinse a promettere che avrebbe consegnato al papa le terre da lui richieste. Partiti i franchi, Astolfo non solo non mantenne la promessa, ma cominciò ad assediare Roma (756). La seconda discesa di Pipino in Italia portò Astolfo alla morte, sicché il suo successore, Desiderio (757-774), si vide costretto a rispettare gli accordi, non senza aver fatto prime vaste concessioni terriere alla chiesa.

Tuttavia Desiderio non si arrese e fece alcuni passi a livello di politica matrimoniale: fece sposare due sue figlie, Ermengarda e Gerberga, ai due figli di Pipino il Breve, Carlo (che diventerà Carlomagno), che in quel momento era re di Neustria (Gallia del nord-ovest fino alla Loira), e Carlomanno, re di Austrasia (Gallia dell'est lungo il Reno e la Mosa). Entrambi erano già sposati e il papa Stefano III protestò, non per la bigamia, ma per l'intesa politica.

Gli eventi nel 771 precipitarono molto rapidamente. Carlo ripudia Ermengarda nella primavera e la rimanda al padre. Carlomanno, col sostegno di Desiderio, comincia a prendere in considerazione una guerra contro Carlo, nettamente appoggiato dal papa. Nel mese di dicembre, improvvisamente, Carlomanno muore e la vedova, non sentendosi sicura, torna a Pavia. Desiderio riconosce i figli di lei come legittimi eredi, ma Carlo non ne vuol sapere e s'impadronisce del regno del fratello. Inevitabilmente Desiderio rompe l'alleanza con Carlo, pretende dal papa Adriano I (772-795) la legittima successione ai figli di Carlomanno e, siccome il papa non ne vuol sapere, inizia a occupare il Ducato romano, l'Esarcato e la Pentapoli. Adriano invoca l'intervento armato di Carlo, che con due eserciti pone l'assedio a Pavia e a Verona, costringendo le due città ad arrendersi (773-74). Desiderio viene rinchiuso in un monastero francese, mentre suo figlio Adelchi fugge a Costantinopoli.

Fu così che nacque lo Stato della chiesa e l'impero carolingio. In un primo momento Carlo prese il titolo di "re dei franchi e dei longobardi", confermato dal giuramento solenne dei duchi. Quest'ultimi però, istigati da Adelchi, dopo qualche tempo cercarono d'insorgere. Carlo ridiscese in Italia e questa volta sostituì i duchi con propri conti e marchesi. Sopravvisse solo il Ducato di Benevento, costretto a pagare un tributo. Il papato rivendicò anche la proprietà di altri territori bizantini o longobardi, come Istria, Spoleto e Benevento, ma Carlomagno non ne volle sapere.

Osservazioni

Gli storici, generalmente, ritengono che la principale debolezza dei longobardi consistette nella mancata realizzazione di un forte potere centrale. Tuttavia, osservando la composizione eterogenea di questa popolazione, una soluzione politica e anche organizzativa di tipo confederale appariva più adeguata. Non si può quindi sostenere ch'essi furono sconfitti per l'insufficiente centralizzazione del loro Stato, anche perché il crollo avvenne proprio quando essi avevano raggiunto il livello maggiore di concentrazione regale del potere.

Semmai il problema era un altro: le singole componenti di questa tribù, governate dai singoli duchi, avevano un atteggiamento molto violento nei confronti della popolazione italica, cui non riconobbero mai gli stessi loro diritti civili e politici. Non riuscirono mai a trovare un vero punto d'intesa, a realizzare una convivenza pacifica, né a garantire una certa giustizia sociale. Sino all'inizio dell'VIII non si preoccuparono mai d'integrare la propria popolazione con quella italica: ognuna di esse aveva proprie leggi (prima di entrare in Italia i longobardi non le avevano mai avute in forma scritta), propri linguaggi (nella scrittura ovviamente i longobardi usavano il latino), proprie religioni (l'arianesimo era nettamente minoritario in Italia). L'Editto di Rotari dava assolutamente preminenza al diritto germanico, basato sui legami di parentela. Alla legge romana viene riconosciuta una qualche dignità solo a partire dal regno di Liutprando.

Non avevano intenzione di realizzare un grande regno come quello ostrogoto, perché sapevano di essere entrati in Italia come invasori, d'aver approfittato della devastante guerra greco-gotica e di avere, dentro e fuori della penisola, molti nemici, ma non seppero neppure realizzare un regno ove la democrazia dei rapporti sociali riuscisse a imporsi. La loro nobiltà non fece che sostituirsi a quella romana pretendendo un terzo di tutti i raccolti.

C'è da dire che i longobardi erano usciti da una situazione disperata in Pannonia (in cui erano giunti dopo aver abbandonato le terre della Germania settentrionale), per cui è da presumere non volessero rischiare, entrando in Italia come "intero popolo", di dover affrontare altri gravi problemi. Volevano assicurarsi, in tempi molto brevi, la necessaria sicurezza per poter risiedere nella penisola. Ecco perché all'inizio furono particolarmente duri coi ceti agrari più elevati. Non dimentichiamo inoltre che per molti secoli le popolazioni germaniche, cui i longobardi appartenevano, avevano visto i romani come i loro peggiori nemici.

Tuttavia, dopo aver preso possesso delle terre sufficienti per vivere, non seppero mai costruire una vera intesa politica con gli italici, non solo perché restarono quasi sempre ariani, ma anche e soprattutto perché il loro obiettivo principale era quello di dominare l'intera penisola.

La diplomazia fece loro grande difetto, ma anche la strategia politica. Sottovalutarono enormemente la forza del papato, la capacità d'intesa che questo aveva coi franchi e non cercarono mai un'intesa coll'impero bizantino, che invece avrebbe potuto legittimare la loro presenza nella penisola, fatte salve alcune condizioni.

vedi Lo scisma dei Tre Capitoli

Fonti

Sitiweb


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015