STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


LE REPUBBLICHE ROMANE DEL MEDIOEVO

Innocenzo III

Per tutta la sua vita, gli interlocutori più importanti di Carlo Magno furono i pontefici. Carlo era l’uomo della Provvidenza, anche se era permanentemente in guerra. Papa Paolo I (757-767), chiamava il re franco Pipino III con l’appellativo di compare, perché padrino di una sua figlia. Il Papa ha anche usato i Franchi contro i Longobardi che volevano unificare l’Italia.

Nell’VIII secolo Pipino I e Carlo Magno posero le basi del futuro Stato della Chiesa, che, con il sostegno dei germani, si separò prima dalla tutela di Bisanzio e poi da quella dei Longobardi, così il Papa ascese da Vicario di Bisanzio, a Vicario di Cristo, da capo di una repubblica, a sovrano elettivo. Infatti, all’inizio il Papa era eletto nel corso di un’assemblea popolare, furono i papi i primi a dare a Roma, emancipata da Bisanzio, il nome di Repubblica romana.

Ben presto però la Repubblica, prima gentilizia e poi popolare, si pose contro il Papa. Il principe Alberico, figlio di Marozia, rinchiuse Papa Giovanni XI (931-935) e si pose a capo di una repubblica gentilizia, circondato dal senato degli ottimati, cioè dall’alta nobiltà. L’aristocrazia romana aveva ridato vita al senato, con competenze amministrative e giudiziarie, ed ora rivendicava il diritto di eleggere imperatore e papa, diritti già appartenuti ai romani.

Il papato si riprese imponendosi sui nobili e poi cercò anche di prevalere sull’imperatore, infatti, quando divenne papa il monaco cluniacense Gregorio VII (1073-1085), questo teorizzò la teocrazia papale e il primato della Chiesa sull’Impero. Questo papa, come Innocenzo III (1198-1216), riteneva di essere un sovrano con il potere di scomunicare e nominare gli altri sovrani e di orientare la politica dei governi laici.

Naturalmente nel 1083 l’imperatore Enrico IV gli si rivoltò e arrivò minaccioso a Roma, allora Gregorio VII si rifugiò a Castel Sant’Angelo, sotto la protezione dell’aristocratico ebreo Pierleone. Un Pierleone si era convertito con il nome Benedetto Cristiano e si legò al monaco Ildebrando di Soana, poi divenuto Gregorio VII (1073-1085).

Urbano II (1088-1099) affidò ad un Pierleoni la difesa di Castel Sant’Angelo, questi Pierleoni erano banchieri o usurai, come si diceva in quei tempi, divennero uno dei casati più illustri di Roma, secondo alcuni, due Pierleoni, emigrati in Germania, vi avevano fondato la casa d’Asburgo.

Nel 1106 il successivo imperatore Enrico V scese in Italia si macchiò di immani devastazioni. Un Pierleone era plenipotenziario di papa Pasquale II, che era contro l’investitura dei vescovi da parte dell’imperatore. I romani volevano sottrarre all’imperatore anche l’investitura del prefetto, Pierleone era sostenuto dal Papa: questa famiglia, originaria di Trastevere e dell’isola Tiberina, diede senatori, consoli, cardinali e l’antipapa Anacleto II.

A Roma l’ebreo Baruch finanziava aspiranti papi ed in città vi operava una banca ebraica dei Pierleoni. I papi si compravano la carica e Pasquale II (1099-1118) era salito al Soglio di Pietro con il denaro di un Pierleone, nipote dell’ebreo convertito Baruch Benedetto. Questo casato, da Nicolò II (1059-1061) in poi, aveva sostenuto una serie di papi e diversi cardinali. Pietro Pierleone divenne l’antipapa Anacleto II. I papi Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1089) trovarono protezione, dai romani e dall’impero, nella fortezza di questa famiglia, a Roma i Pierleoni erano osteggiati dalla famiglia aristocratica dei Frangipane.

Papa Gelasio II (1118-1119) era sostenuto dai normanni e dai Pierleoni, ma osteggiato dal nobile Cencio Frangipane e dal partito imperiale, l’imperatore Enrico V arrivò a Roma e lo fece fuggire, poi fece antipapa Gregorio VIII, accettato dalla repubblica romana. Il popolo romano era volubile e ondeggiava tra papa e imperatore, anche se era sempre avverso al potere civile del papa.

I Pierleoni volevano fare papa un membro della loro famiglia. Gli ebrei erano insediati in Trastevere dai tempi di Pompeo, Claudio e Tito, erano una comunità numerosa e abitavano fuori le mura, avevano una scuola ed i migliori medici e cambiavalute (cioè i primi banchieri), praticavano l’usura, e finanziavano anche il papa. A dire il vero, tanti vescovi romani e d’altre importanti città dell’impero avevano fatto l’usuraio, soprattutto tramite prestanome.

Sotto Onorio II (1124-1130), due famiglie nobili si contendono il potere: i Frangipane e i Pierleoni, che aspiravano alla carica di prefetto ed al soglio pontificio. Onorio II creò cardinali più vicini alla famiglia dei Frangipane. Innocenzo II (1130-1143) fu eletto dai cardinali del partito del Frangipane e perciò i Pierleoni gli opposero un antipapa nella persona dell’ebreo Anacleto II, pronipote di Baruch-Benedetto.

L’imperatore Lotario III sosteneva Innocenzo II e arrivò a Roma per ricevere la corona imperiale, però il popolo romano e i normanni dell’Italia meridionale sostenevano Anacleto II. Lotario III si scagliò contro i nemici di Innocenzo II e li sbaragliò. Partito l’imperatore, il popolo romano ristabilì l’autorità del senato e decretò la fine del potere temporale dei papi, proclamando la repubblica guidata da Giordano Pierleoni, fratello di Pietro, cioè di Anacleto II; i romani costrinsero Innocenzo II a rifugiarsi nella fortezza dei Frangipane, alleati con i corsi.

Una Pierleoni sposò il normanno Ruggero di Sicilia. Pare che Innocenzo II fu fatto papa irregolarmente, mentre i Pierleoni fecero eleggere papa, nella procedura corretta, Pietro, già cardinale, con il nome di Anacleto II (1130-1138). Innocenzo II fu riconosciuto da Germania, Francia e Inghilterra, mentre Anacleto II dal popolo romano e da Ruggero di Sicilia; negli annali dei pontefici o liber ponificalis, tra i papi, fu posto Innocenzo II, mentre Anacleto II fu declassato ad antipapa, probabilmente perché ebreo.

Innocenzo II fuggì a Pisa dove il concilio del 1135 lo confermò come papa. Chiese ancora aiuto all’imperatore contro i romani e a Bisanzio contro il normanno Ruggero II. Grazie alla mediazione di Bernardo di Chiaravalle, Lotario III annunciò una nuova campagna in Italia. Bernardo gli chiedeva di liberare la Chiesa dalla rabbia ebraica, riferendosi ad Anacleto II.

Innocenzo II prevalse su Anacleto II perché si enfatizzava l’origine ebraica del suo rivale. In città ci furono scontri armati tra le due fazioni: Innocenzo II aveva migliori relazioni internazionali del suo rivale, godeva del sostegno del suo amico Bernardo di Chiaravalle, del re di Francia Luigi VI, del re d’Inghilterra Enrico I, dell’imperatore Lotario III e dell’episcopato dell’impero. La dieta imperiale del 1130, sotto Lotario III, riconobbe come papa Innocenzo II.

La ribellione romana al papa perdurò sotto i papi Innocenzo II, Celestino II e Lucio II, il consiglio comunale ed i nobili si opponevano al papa, la neonata repubblica elesse a sua guida Giordano Pierleone, fratello dell’antipapa Anacleto II. Quando fu eletto papa Eugenio III (1124-1153), discepolo di San Bernardo di Chiaravalle, rifiutò la costituzione repubblicana, perciò il popolo insorse e distrusse le ville dei cardinali. Nel 1144 Eugenio III, per annientare l’Islam, lanciò il proclama per la seconda crociata (1147-1149), gli italiani fornivano flotta, armi e macchine d’assedio, animatore dell’impresa era Bernardo di Chiaravalle, come della prima era stato Pietro l’eremita.

Secondo Bernardo di Chiaravalle, il combattente di Cristo poteva uccidere con coscienza tranquilla, contro gli slavi pagani creò reparti di diversi paesi, con la parola d’ordine: Battesimo o sterminio!, Bernardo era molto influente, condizionava i papi, li indottrinava e li faceva eleggere, sostenne Innocenzo II ed era contro i romani, sobillò il re di Francia e il papa contro i catari. Nel 1143, sull’esempio delle altre città italiane del centro-nord, la nobiltà minore romana si unì al ceto medio per fondare le libertà comunali, s’impadronì del Campidoglio e scacciò gli ottimati, cioè l’alta aristocrazia, ora il senato era divenuto plebeo o meglio borghese.

I grandi nobili, detti anche ottimati e consoli, avevano in precedenza costituito il senato del Campidoglio e avevano costituito un’oligarchia ed un governo aristocratico, quando nel 1143 questo fu rovesciato, fu insediato il consiglio comunale; i papi, che si erano scontrati spesso con i nobili, li volevano divisi e non cercarono l’appoggio del ceto medio, per non destare lo spirito comunale, anche perché, nel centro-nord d’Italia, i vescovi-conti avevano perso la sovranità territoriale a vantaggio dei comuni. Nel 1143 il monaco Arnaldo da Brescia era a Roma e affermava che il clero non doveva possedere proprietà, né esercitare il potere temporale. Divenne la guida del comune di Roma e si pronunciò contro il clero mondano, esortando il popolo a disobbedire al papa e ai vescovi corrotti, condannò il battesimo dei bambini e negò la validità ai sacramenti amministrati dai sacerdoti indegni, accusava il papato di corruzione, Eugenio III (1145-1153), che aveva armato la seconda crociata, fu definito da Arnaldo da Brescia cane sanguinario.

Eugenio III rifiutò la costituzione repubblicana, perciò il popolo insorse e la città cadde sotto il controllo del senatore Brancaleone degli Andalò. Appoggiato dalla borghesia, questo fondò una nuova repubblica nemica degli ottimati e del papa. Poi i senatori romani ottennero da Eugenio III che riconoscesse la costituzione repubblicana ed elessero un patrizio con ampi poteri, nella persona di Giovanni Pierleoni, e fecero comandante della milizia Giordano Pierleoni.

Il santo abate Bernardo di Chiaravalle, nato nel 1090 in Borgogna, faceva parte dell’alta nobiltà, costruì tanti conventi in Francia, sostenne Innocenzo II contro i romani e Anacleto II, combatté Arnaldo Da Brescia e in Aquitania e Linguadoca sobillò il re di Francia e il papa contro i catari. Bernardo fu l’instancabile predicatore della guerra santa e propagandista della Seconda Crociata. In Francia lavorò con strepitoso successo nel reclutamento, diceva che la guerra era celestiale, era un mistico della guerra, chiamava i musulmani cani e porci, diceva che la morte in una guerra santa era un guadagno, perché consentiva di raggiungere il paradiso. Bernardo era anche taumaturgo, reclutò nobili, popolo, briganti e sbandati, però anche la seconda crociata finì nella disfatta, questa crociata prese le mosse nel 1147 e, come la prima, cominciò con la strage degli ebrei del Reno, però Bernardo non voleva lo sterminio degli ebrei, diceva che andavano vessati ma risparmiati, perché erano una testimonianza vivente per i cristiani.

Quando Arnaldo da Brescia era a Roma, il papa lanciò l’interdetto sui romani ribelli, così nella città cessarono le cerimonie religiose, i sacramenti e la tumulazione in terra consacrata, i romani temettero soprattutto di perdere i pellegrini diretti Roma che portavano soldi, perciò, per rabbonire il papa, espulsero Arnaldo da Brescia, che aveva animato la rivolta antipapista.

Eugenio III (1145-1153) si alleò con il re dei normanni Ruggero, che pose l’assedio a Roma, mentre la repubblica chiese l’aiuto all’imperatore Corrado III; i romani erano intenzionati ad abbattere il potere temporale dei papi ed il trasformismo della politica produceva il cambio delle alleanze.

I nobili romani rappresentavano il partito guelfo del papa, contrario al popolo e all’impero; quando fu fatto capo della repubblica Giordano Pierleoni, fratello dell’antipapa Anacleto II, fu varata la costituzione municipale e quando divenne papa Eugenio III, i senatori del governo popolare gli chiesero la rinuncia al potere civile e il riconoscimento della repubblica; il papa rifiutò e fu costretto a fuggire, a Roma i palazzi degli ottimati favorevoli al papa furono saccheggiati ed il governo popolare abolì anche la prefettura imperiale.

Come Milano, anche Roma voleva la sovranità sulle piccole repubbliche di campagna ed il senato voleva costringere la nobiltà feudale ad accettare l’investitura feudale dal Campidoglio, anziché del papa; però poi, a causa dei continui disordini e della perdita dei pellegrini, i romani chiesero il ritorno del papa. Eugenio III (1145-1153) con un trattato riconobbe la repubblica mentre i romani insediarono un nuovo prefetto.

I 56 senatori erano prevalentemente borghesi e plebei, mentre prima erano stati aristocratici. Nel senato erano rappresentate le compagnie della milizia e i cittadini elettori formavano un parlamento popolare che si riuniva in Campidoglio. Il senato era anche tribunale civile, però non vi erano trattate le liti fra ecclesiastici, riservate a tribunali ecclesiastici, il papa decideva in appello, la repubblica si dava leggi e dichiarava la guerra senza sentire il pontefice.

La nobiltà era ostile al senato, lo Stato della chiesa era diviso in baronie ostili, mentre il potere cittadino era nelle mani di Giordano Pierleoni. Arnaldo da Brescia, voleva abbattere il dominio temporale dei papi e sostenere il Comune: sosteneva la povertà apostolica e la purezza dei costumi e i suoi seguaci erano detti lombardi o arnoldisti. Arnaldo prendeva spesso la parola in parlamento, condannava i vizi dei cardinali, diceva che il papa era assassino e avido.

Fu fatto consigliere comunale e propose di creare dei cavalieri tra la piccola nobiltà favorevole al popolo, infatti, la piccola nobiltà ed il basso clero aderirono al comune, Eugenio III, quando tornò a Roma, scomunicò Arnaldo, mentre San Bernardo invitava i romani a tornare al loro pastore.

I romani erano infiammati da Arnaldo, però, dopo aver accolto Eugenio III, per interesse, furono costretti anche a riconoscere il successivo papa Adriano IV (1154-1159), che voleva abrogare la costituzione capitolina ed espellere Arnaldo, seppellire la repubblica ed il senato; allora i romani chiesero aiuto a Guglielmo I di Sicilia, mentre Adriano IV si chiuse in San Pietro.

Poi Adriano IV acconsentì a togliere l’anatema sulla città, a condizione che lo scomunicato Arnaldo fosse cacciato. Il monaco fuggì da Roma, mentre i romani facevano giungere all’imperatore dei messaggi, con cui dicevano di volersi scuotere il giogo dei preti; purtroppo l’Hohenstaufen non comprendeva lo spirito di libertà che infiammava le città italiane e riteneva che le glorie dei romani erano state ereditate dai tedeschi e le glorie degli imperatori romani dagli imperatori tedeschi.

Federico I arrivò a Roma, preceduto da Adriano IV, e non riconobbe la costituzione cittadina. I romani si sentivano traditi, erano stati privati del diritto elettorale dell’imperatore e del papa ed ora l’imperatore era incoronato dal papa. I cittadini della repubblica romana avevano offerto a Federico I Barbarossa la corona imperiale ed un tributo annuo in oro, ma Federico I, forte dei diritti feudali, li aveva respinti e si fece incoronare da papa Adriano IV che voleva rovesciare la repubblica.

Arnaldo da Brescia aveva flagellato le istituzioni ecclesiastiche, per lui la chiesa di Roma era ricettacolo d’usurai e una spelonca di briganti, il papa era un sanguinario che santificava uccisioni ed incendi, un ipocrita smanioso di potere, che si preoccupava solo della sua carne, svuotando le tasche degli altri e riempiendo le sue.

Arnaldo fu l’animatore della rivoluzione comunale, inalberò il potere del comune popolare contro nobiltà e clero. Questo monaco, nato a Brescia, divenne tribuno popolare, voleva purificare la chiesa ed emancipare la borghesia; Brescia era stata una delle sedi dei patarini, contrari all’alto clero simoniaco infeudato all’impero, cioè ai vescovi-conti.

Arnaldo affermava che il possesso di terre da parte del clero contrastava con la dottrina cristiana, che i preti dovevano sostenersi solo con le decime, che il potere civile apparteneva alla repubblica. Proponeva di togliere ai vescovi il potere temporale, era contro le investiture di feudi a favore del clero. I romani lottarono con lui contro il potere temporale dei papi, però, contemporaneamente, desideravano anche un ritorno ai fasti del passato, credevano ancora alla missione storica di Roma.

Come Arnaldo, anche San Bernardo fustigava i vizi terreni dei vescovi, che secondo lui avrebbero dovuto seguire solo l’ufficio religioso, comunque, condannò il ribelle Arnaldo e i suoi alleati Pierleoni e Abelardo (1079-1142).

Arnaldo da Brescia era stato un entusiasta della repubblica, si era appoggiato al basso clero ed alla borghesia, voleva una repubblica romana indipendente dal papa e dall’imperatore, nel 1145 era divenuto la guida del comune di Roma e si pronunciò contro il clero mondano. Voleva abbattere il dominio temporale dei papi e sostenere il comune.

Per sfuggire all’imperatore sceso in Italia, Arnaldo, per prudenza, si era rifugiato a Zurigo e nelle valli alpine dove entrò in contatto con i catari, i suoi discepoli confluirono nei valdesi; ritornato in Italia e fu catturato da Federico I, i romani, sperando di liberarlo, assalirono senza successo l’accampamento dell’imperatore; Castel Sant’Angelo, controllato dai Pierleoni, era neutrale. Oddone Frangipane invece era nemico della repubblica.

Adriano IV chiese a Federico I di consegnargli Arnaldo suo prigioniero, Federico I si allontanò da Roma, accompagnato da papa e cardinali, e nel 1155, a Soratte, Arnaldo fu impiccato, come eretico e ribelle, le sue ceneri disperse nel Tevere. Poi il pontefice assolse le truppe tedesche da ogni colpa per il sangue versato a Roma. Da notare che papa Adriano IV sosteneva i comuni lombardi, retti da borghesi, che lottavano per l’autonomia contro Federico I Barbarossa, però non sosteneva la repubblica romana.

Forse per vendicarsi del sostegno dato dal papa alle città ribelli del nord d’Italia, ad un certo punto l’imperatore contestò la donazione di Costantino ed affermò che i vescovi dovevano rinunciare ai beni terreni, ora adottava le tesi di Arnaldo che aveva impiccato. Arnaldo da Brescia aveva dimostrato il falso della donazione di Costantino, che aveva dato origine alla sovranità territoriale del papa e il suo discepolo, Wezel, informò Federico I Barbarossa che la donazione di Costantino era una favola, perciò nel XIII secolo la mise in dubbio anche l’imperatore Federico II. Oggi alcuni studiosi cattolici definiscono questi falsi medioevali “devozione antica” ed i falsari della chiesa come “venerabili falsari”. Nel 1440 anche Lorenzo Valla, segretario del papa, riconobbe l’imbroglio.

Adriano IV voleva l’affrancamento dal potere imperiale senza rinunciare al suo potere temporale, reclamava la magistratura su Roma, chiedeva la sovranità per lo Stato della Chiesa. Però l’imperatore non voleva rinunciare alla signoria su Roma, mentre i romani volevano essere liberi da papa e imperatore. Adriano IV, volendo rovesciare la repubblica, aveva chiesto aiuto a Federico I Barbarossa, mentre i romani si rivolsero al re normanno Guglielmo I, succeduto a Ruggero. In città cresceva l’ostilità contro i preti ed un cardinale fu pugnalato, perciò il papa lanciò l’interdetto sulla città sospendendo le funzioni religiose.

Il potere cittadino era nelle mani di Giordano Pierleoni che controllava Castel Sant’Angelo. A Roma le famiglie più importanti erano i Tuscolo, i Colonna, i Crescenzi, i Frangipane, i Pierleoni, i Corsi, i Normanni, gli Orsini; i nomi rivelavano, per lo più, una discendenza germanica, eccettuati Corsi e Pierleoni, i primi corsi e i secondi ebrei. La vecchia nobiltà romana era estinta, solo i Crescenzi erano di discendenza latina, ma non aristocratica.

Visti i nuovi contrasti tra papa e imperatore, il senato romano cercò di riavvicinarsi a questo e gli chiese un’amnistia che l’imperatore concesse. Federico I Barbarossa (1121-1190) fece la pace con la repubblica romana, riconobbe il senato romano e la repubblica, nominò un prefetto imperiale e fece eleggere un nuovo consiglio comunale. Nel 1159 Adriano IV morì. Questo anglosassone, come già Gregorio VII, voleva realizzare la signoria universale del pontefice; i baroni romani si erano indeboliti e avevano accettato di diventare feudatari del pontefice, solo il senato dal Campidoglio resisteva al papa.

Una nuova dottrina, derivata da Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova, Ockham, Wycliff, Lollardi, Giovanni Hus e Gerolamo di Praga contestava il potere temporale dei papi, l’assolutismo, la gerarchia della Chiesa, e dava la prevalenza alle sacre scritture; allora la Germania era più religiosa dell’Italia. Più avanti, proprio in Germania sarebbe esplosa la Riforma di Lutero.

Nel 1166 il senato romano fece un trattato commerciale e un’alleanza con Genova. Le corporazioni o gilde dei commercianti romani erano rappresentate da Cencio Pierleoni. Anche papa Lucio III (1181-1185) era contro la repubblica romana e nel 1183 i romani attaccarono la città di Tuscolo, difesa dall’arcivescovo Cristiano di Magonza che aveva un harem e usava la mazza da guerra per rompere le teste dei nemici.

Clemente III (1187-1191) cercò la pace con il senato romano. Il papa propose alla città un rapporto come quello esistente tra impero e comuni lombardi, perciò fu fatto capo della repubblica alla quale competeva dichiarare la guerra. Anche i nobili in seguito riconobbero il senato popolare. Con la costituzione romana del 1188 furono neutralizzati imperatore e nobili, il rapporto tra Roma e impero era sciolto e con il trattato di Anagni il papa rinunciò al potere legislativo e di governo a vantaggio del comune.

Al tempio di Celestino III (1191-1198) il senato era fatto in maggioranza di borghesi e cavalieri, poi fu posto a capo della repubblica un solo uomo: era la dittatura, si fece senatore unico Benedetto Carushomo, un borghese, al quale successe Giovanni Capoccio e poi Giovanni Pierleoni. Nel 1197 fu restaurata la costituzione democratica ed il senato collettivo e nel XIII secolo decaddero le famiglie dei Frangipane e dei Pierleoni.

Sulla scia di Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova ( 1280-1343) aveva contestato il primato del papa, sostenendo che Pietro non era mai giunto a Roma, che il papa non aveva alcun diritto ad eleggere o deporre l’imperatore, la superiorità del concilio sul papa, ed infine auspicò un controllo statale sulla Chiesa, dimostrò che anche le decretali pseudoisidoriane, che sostenevano i poteri del papa ed i privilegi della chiesa, erano false, perciò fu bollato dalla Chiesa come eretico e scomunicato.

Contestava le ambizioni papali e proponeva la sovranità popolare, voleva sottomettere la Chiesa allo stato, non riconosceva alla chiesa potestà punitiva, contestava ogni pretesa di supremazia del papa, come la giurisdizione indipendente per vescovi e sacerdoti, era a favore di una monarchia costituzionale.

L’aristotelico Marsilio da Padova, nell’opera defensor pacis difendeva il potere temporale dell’imperatore e attaccava il potere spirituale del papa. Affermava che Pietro non era stato maggiore degli altri apostoli, che non era stato fatto Capo della Chiesa, che non aveva fondato il vescovado di Roma e non era mai stato in questa città. Diceva che i religiosi non avevano la potestà di giudicare e che il papa non aveva l’autorità terrena.

Marsilio affermava che nessun prete aveva la potestà di sciogliere e legare, che questo compito spettava a Dio, che il concilio poteva insediare e deporre il papa, il quale non poteva convalidare l’elezione imperiale, che non la gerarchia, ma la comunità dei fedeli costituiva la chiesa, affermava la superiorità del concilio ecumenico sul papa.

Guglielmo di Ockham, pieno d’erudizione scolastica, concordava con Marsilio, confutava la donazione di Costantino e collocava imperatore e concilio ecumenico al disopra del papa, affermava che l’incoronazione dell’imperatore poteva essere fatta da qualunque vescovo, i monarchisti sottoponevano la chiesa allo stato e tanti, contro il papa, si appellavano alle sacre scritture.

Anche Dante (1265-1321) nel De monarchia riconosceva i diritti inviolabili del popolo romano, espropriati dal papa. Marsilio propose all’imperatore Ludovico IV il Bavaro di farsi incoronare dal popolo romano, a Roma faceva parte di una commissione mista di laici ed ecclesiastici, riunita in parlamento, la quale dichiarò eretico il papa francese Giovanni XXII (1316-1334), residente ad Avignone, e lo depose, accusandolo di aver accumulato tesori, di nepotismo e d’usurpazione dei poteri, di aver spogliato le chiese e di aver venduto uffici ecclesiastici. Roma non cessava di attrarre i grandi lumi.

I monarchisti e i riformatori affermavano che il papa poteva essere giudicato da imperatore e concilio e poteva essere deposto, perciò il popolo bruciò Giovanni XXII in effige, l’assemblea popolare deliberò che il papa doveva risiedere a Roma e doveva allontanarsi dalla città solo con il consenso dei romani.

Nel 1305 il re Filippo IV il Bello di Francia aveva fatto eleggere papa il francese Clemente V (1305-1314), che si stabilì ad Avignone, Giovanni XXII era il suo successore, da allora il papa prese a risiedere ad Avignone (1309-1367); la sua lontananza da Roma favorì le aspirazioni autonomiste e repubblicane della città, che però, a causa della lontananza del papa, ne perse economicamente, invece il papa era controllato dal re di Francia. Comunque egli, all’inizio, poiché distante da Roma, per contenere i nobili della città sostenne Cola di Rienzo (1313-1354).

Al tempo di Clemente V, i Colonna, gli Orsini e altri nobili, facevano parte del senato, anche Clemente V ottenne la carica senatoria a vita, però la repubblica era indipendente ed il clero era escluso dalle cariche statali. I romani ordinarono ai cardinali di incoronare imperatore Enrico VII ed agli ebrei di versargli un contributo, da parte sua, l’imperatore giurò di difendere la repubblica romana e le sue leggi.

La milizia repubblicana aveva domato momentaneamente l’aristocrazia e posto un freno alla guerra tra famiglie, poi Roma cadde sotto il dominio di Cola di Rienzo, che si fece dittatore della città. Nel 1343 Cola di Rienzo pensò di farsi re d’Italia, ma non riuscì a domare i nobili romani, aveva promesso giustizia sociale, un esercito popolare, l’unità, la laicità e l’indipendenza nazionale italiana.

La presa del potere da parte di Cola di Rienzo fu favorita da un’altra rivoluzione, il senato era stato rovesciato e al suo posto era stato insidiato un governo di tredici priori con a capo Cola di Rienzo, nemico dei nobili, questo, come ambasciatore dei romani, fece visita a Clemente VI ad Avignone, dove conobbe Petrarca, che lo ammirava.

Anche il successivo papa Clemente VI (1342-1354) era più favorevole alla democrazia romana che alla nobiltà cittadina e perciò fece Cola di Rienzo, che già si faceva chiamare console, notaio del tesoro romano. Cola di Rienzo  era nato nel 1313 da una povera famiglia di contadini, si dedicò agli studi, frequentò l’università e divenne amante delle arti, era benvoluto dal popolo e odiato da notabili. Alla sua epoca a Roma si affiggevano manifesti anonimi contro le autorità, che lanciavano appelli al popolo. La polizia non era in grado di reprimere il fenomeno, fu da questo filone che nacquero le pasquinate.

Cola di Rienzo parlava della maestà svanita del popolo romano ed era applaudito, però i baroni lo vedevano come un sognatore, perciò Cola sull’Aventino preparò una congiura per abbatterli: era credente, raccomandò se stesso allo spirito santo e iniziò la sua rivoluzione contro i nobili, sostenuto dal papa e dal popolo.

Il suo programma prevedeva l’emarginazione politica dei baroni, la pena di morte per l’assassinio, una giustizia più veloce, la pensione per i caduti in guerra, voleva che i dazi affluissero al comune e non nelle tasche dei baroni, non voleva che questi ospitassero i banditi, come accadeva in quei tempi. Perciò il parlamento conferì a Cola la signoria sulla città ed il potere illimitato. Nel suo governo Cola era affiancato da un vicario papale, assunse il titolo di tribuno del popolo e nobili e senatori fuggirono.

Il tribuno occupò i castelli e ordinò ai nobili di rendergli omaggio in Campidoglio, con messaggeri comunicò al di fuori di Roma le novità intervenute nella città, diceva che voleva la liberazione di Roma e dell’Italia, invitò le città d’Italia a mandare deputati a Roma per la creazione di un parlamento nazionale, aveva un piano per una confederazione italiana.

Cola abolì il senato e creò un collegio di sindaci, coniò monete, raccolse una milizia a lui devota, fece giustiziare nobili e religiosi, i cattivi giudici furono messi alla berlina, punì adulteri e giocatori. Il tribuno abolì i pedaggi riscossi dai baroni, calmierò i prezzi dei generi alimentari, combatté il banditismo e così le strade divennero più sicure.

Petrarca condivideva i principi del De Monarchia di Dante, considerava il popolo romano fonte del potere universale e riteneva che Roma dovesse essere la sede dell’impero e del papa; da Avignone, Petrarca si felicitò con Cola, che chiamava nuovo Camillo, liberatore d’Italia inviato da Dio, e gli dedicò una poesia.

Cola depose il tiranno di Viterbo, Giovanni di Vico, e poi chiese ai giuristi se il popolo romano poteva riprendersi i suoi poteri, un consiglio di giuristi rispose di si, perciò il tribuno emanò un editto che riduceva i privilegi di nobiltà, chiesa e impero, anche per Cola il popolo romano era fonte d’ogni potere.

Parecchi castelli si arresero al tribuno: Cola voleva riunire a Roma un parlamento nazionale che desse le leggi a tutto il paese, il tempo era favorevole per l’indipendenza italiana, perché il papa era ad Avignone, l’imperatore era debole e assente, il feudalesimo in crisi, la borghesia al potere nelle repubbliche cittadine e in Francia si era affermata la monarchia.

Però Cola, diversamente da Cromwell, non fu in grado di portare a termine questa rivoluzione. Credeva al regno dello spirito santo, si fece incoronare come tribuno e cavaliere, si fece chiamare cavaliere dello spirito santo e prese altri titoli altisonanti. Proclamò che Roma era capitale del mondo e fondamento del cristianesimo, conferì a tutti gli italiani la cittadinanza romana, proclamò che l’imperatore doveva essere eletto dal popolo romano e fu coperto da applausi.

Come gli ebrei della diaspora, anche i romani della decadenza ritenevano di avere ancora una missione eterna e sognavano il riscatto. Cola celebrò in Campidoglio la festa dell’unità d’Italia e mandò i suoi messaggeri per il mondo. Si fece incoronare tribuno con sei corone, nel corso di una cerimonia suggestiva. Vietò all’imperatore di entrare con le armi in Italia senza il permesso del popolo romano, combatté guelfi e ghibellini, però sapeva che la nobiltà congiurava contro di lui.

Durante un banchetto fece arrestare cinque Orsini e due Colonna e li condannò a morte, i baroni si sottomisero e il papa intervenne a loro favore, così Cola li rilasciò e, per la sua magnanimità, fu criticato da Tetrarca. Altri tiranni erano abituati ad agire diversamente.

Cola non si appoggiava a nessun partito, ma diceva di appoggiarsi alla nazione italiana. Non si curava dell’imperatore e del papa, voleva il papa e l’imperatore a Roma e Roma capitale d’Italia. Per Cola Roma era il centro della monarchia universale e dei due poteri, diceva che tutti gli italiani, poiché divenuti cittadini di Roma, dovevano eleggere l’imperatore che doveva essere italiano. Idee queste vicine a quelle dei guelfi.

Su tavole di bronzo fece incidere gli articoli del nuovo patto con l’Italia libera, a questo punto Clemente VI sbottò e chiese al cardinale legato, Bertrando, la deposizione di Cola perché eretico. Poi, con una congiura, aizzò i nobili romani contro di lui e preparò la scomunica contro di lui.

Cola mise al bando gli Orsini, fece spianare i loro palazzi e assediò una fortezza dei Colonna. Quando giunse il legato Bertrando, con l’ordine del papa rivolto a Cola di recarsi al suo cospetto, fu scansato dal tribuno. Purtroppo, ora anche Cola gozzovigliava ed estorceva denaro, aveva anche aumentato le tasse sul sale e Petrarca piangeva per le sue degenerazioni e per la sua follia. Il papa accusò Cola di voler rovesciare la chiesa e l’impero e, per rappresaglia, stava per revocare il giubileo, che portava denaro nelle tasche dei romani.

Il barone Giovanni, conte di Minervino, a causa dei suoi atti di brigantaggio, era odiato da Cola, che lo citò dinanzi al suo tribunale. Però il popolo romano si stava allontanando dal tribuno, perciò Cola depose le insegne di tribunato, lasciò il Campidoglio e si chiuse a Castel Sant’Angelo. Il legato papale Bertrando annullò i decreti del tribuno e citò Cola davanti al suo tribunale, come eretico e ribelle, e infine lo scomunicò. Cola fuggì e si rifugiò a Napoli ove era arrivato re Luigi d’Ungheria: a Roma si temeva che Cola sarebbe tornato con le truppe ungheresi e con la banda di mercenari del duca Werner, nipote del duca di Spoleto.

Questa banda saccheggiava il Lazio e chiedeva riscatti alle città ed alle persone. Anche il regno di Napoli era infestato dai banditi e da rapaci condottieri che scorazzavano. Werner si diceva nemico di Dio, della pietà e della misericordia. Roma e la Toscana fecero lega contro questa compagnia, che, ad un certo punto, entrò al servizio della Chiesa.

Re Luigi d’Ungheria scaricò Cola, che si rifugiò in Abruzzo. A Roma, tra nobiltà e popolo, regnava la discordia, nelle strade rapine e delitti, nel 1348 ci fu la peste, la carestia e l’inflazione, e le contese sulla proprietà erano senza fine. La città fu colpita anche da un terremoto, perciò i romani, per rifarsi, sollecitavano giubileo e indulgenze.

In Abruzzo Cola di Rienzo si era unito agli eremiti spirituali di Celestino V, eredi di San Francesco. Questi seguivano la regola della povertà e le profezie dell’abate Gioachino Da Fiore, aspettavano un messia per riformare la chiesa e realizzare il regno dello spirito santo, erano stati tanti, prima di Lutero, a chiedere una riforma della chiesa.

Tra questi eremiti, frate Angelo convinse Cola ad incoronare a Roma re dei romani, cioè imperatore, il boemo Carlo IV, perché impero e papa dovevano essere ricondotti a Roma. Perciò Cola, respinto dal papa, pensò di avvicinarsi all’imperatore, si recò in Germania e disse a Carlo IV d’essere contrario al potere temporale del papa: si offriva di governare Roma come vicario imperiale, mentre in precedenza aveva sostenuto l’indipendenza nazionale italiana. Per tutta risposta, l’imperatore lo fece imprigionare a Praga e poi ne diede notizia al papa.

Nel 1350 Cola scrisse dal carcere una lettera all’imperatore. Era divenuto folle, affermava che sarebbe sorto un altro Francesco che avrebbe tolto al clero le sue ricchezze e innalzato un tempio allo spirito santo. Poi papa, imperatore e il tribuno Cola avrebbero rappresentato la trinità a Roma.

Con questa lettera Cola accusava il papa dello strazio dell’Italia e della dissoluzione dell’impero, si diceva a favore della separazione dei poteri, affermava che le province amministrate dagli ecclesiastici erano quelle amministrate peggio, che il papa aveva ostacolato l’unità d’Italia, aveva favorito la frattura tra guelfi e ghibellini e consegnato le città ai tiranni.

Carlo IV lo tenne in prigione, pensando di usarlo contro il papa. Tetrarca scrisse al re boemo sollecitandolo a salvare l’Italia che andava in rovina, però nel 1352 lo stesso Carlo IV consegnò Cola di Rienzo a Clemente VI ad Avignone. Petrarca esortò i romani a chiedere il rilascio di Cola, però Clemente VI lo imprigionò; nel 1353, morto Clemente VI, gli successe il francese Innocenzo VI e ora Cola, per salvarsi, si diceva guelfo e contro i tiranni. Era già il trasformismo della politica.

In Italia arrivò il nuovo legato papale, il cardinale spagnolo Albornoz, che pensò di usare Cola contro il prefetto Baroncelli, del partito ghibellino, che comandava a Roma, perciò lo liberò dal carcere, lo fece cavaliere del Santo Sepolcro e senatore; però i romani erano stanchi di Cola, cacciarono dal Campidoglio Baroncelli e offrirono la signoria al cardinale Albornoz, che mise da parte Cola.

Il masnadiero Monreale fece un ingente prestito a Cola di Rienzo, che lo utilizzò per assoldare dei mercenari, perciò nel 1354 Cola di Rienzo arrivò a Roma, accompagnato da una scorta di cavalieri, si fece fare senatore, fu salutato dal popolo, nominò capitani e cavalieri e convocò i nobili in Campidoglio, ma la maggior parte di loro non si presentò.

Arrivato a Roma, Monreale pensò di proclamarsi signore della città con l’aiuto di Cola, ma questo lo fece arrestare, assieme ai suoi, come masnadieri. Monreale fu decapitato, poi Cola assoldò truppe e assediò Palestrina, la città dei Colonna: impose tasse, chiese riscatti, aveva una guardia del corpo; il popolo si ribellò alle sue tasse e lo chiamò traditore, lo prese e lo trucidò in Campidoglio. Il suo cadavere fu mutilato e appeso per i piedi, in segno d’infamia, preso a sassate dai monelli e poi bruciato (1354).

Qualcuno lo aveva accusato di pazzia, di tirannia e di megalomania, però fu anche il profeta del Rinascimento, con i suoi ideali d’indipendenza e d’unità d’Italia, di riforma della chiesa. Era un plebeo e un parvenu, però conosceva il pensiero di Dante e di Petrarca, amava l’arte e indicava una meta, voleva una confederazione italiana con capitale Roma, anche i guelfi la volevano, ma con a capo il pontefice.

Il tribuno del popolo Cola di Rienzo fu uno dei primi archeologi, decifrava le antiche iscrizioni dei monumenti di Roma, delle quali faceva raccolta, aveva un animo di riformatore politico e di scienziato. L’idea d’unità nazionale era stata concepita da Cola di Rienzo e si era sviluppata nel medioevo, fu coltivata anche da Federico II e da altri, anche i papi avrebbero accettato l’unità d’Italia, ma solo sotto di loro.

Quando fu eletto papa Innocenzo VII (1404-1406), i romani si sollevarono di nuovo e lo costrinsero a fuggire a Viterbo, il papa chiese aiuto a re Ladislao di Napoli, mentre suo nipote assassinò undici legati della repubblica romana, per compensarlo di quest’atto, il papa lo fece conte.

Quando fu eletto papa Eugenio IV (1431-1447), eremita agostiniano, i romani tornarono a reclamare la repubblica e perciò nel 1431 il papa, aiutato dal pirata Vitellio, fu costretto a fuggire da Roma, rimase in esilio nove anni, soprattutto a Firenze, mentre nello stato della chiesa esercitò per lui la repressione Giovanni Vitelleschi, un ex brigante, che nel 1437 fatto cardinale da Eugenio IV.

Vitelleschi ammazzò civili e prelati e riprese il controllo dello Stato, prese i castelli del prefetto Giovanni Vico, nemico del papa e alleato con i Colonna; Giovanni Vico fu decapitato ed Eugenio IV incamerò i suoi beni. Nel 1437 Vitelleschi distrusse Palestrina, la città dei Colonna, già ricca di un patrimonio artistico, poi Eugenio IV fece uccidere anche Vitelleschi e s’impossessò dei suoi beni. A Vitelleschi successe il cardinale Scarampo che, come lui, fece rapine ed omicidi.

Eugenio IV volle la riforma dei conventi, sosteneva i monaci francescani come Bernardino da Siena, che assicuravano la copertura a sinistra della chiesa; con la sua morte, a Roma si rivoltò Stefano Porcari, il quale voleva che i rapporti tra il comune di Roma ed il pontefice fossero garantiti da un trattato, invece Lorenzo Valla aveva chiesto la secolarizzazione dello stato della chiesa.

Quando divenne papa Niccolò V (1447-1455), fu confermato il concordato stipulato tra Eugenio IV e Federico III e svanì la riforma della chiesa. Niccolò V riordinò l’amministrazione e le imposte, si riconciliò con baroni e Valla, fece ricostruire Palestrina. Nel 1447 la città di Roma riconosceva la supremazia papale ma conservava ancora una certa autonomia.

Poiché Stefano Porcari voleva restaurare la repubblica, il papa lo esiliò a Bologna, i magistrati non erano più nominati dal comune, ma insidiati dal pontefice, allora Porcari progettò di prendere Castel Sant’Angelo e di uccidere il papa Niccolò V. L’insurrezione non riuscì, fu catturato e impiccato, la sua casa fu rasa al suolo. La rivolta repubblicana, guidata da Stefano Porcari, fu repressa, il papa aveva promesso ai congiurati la grazia in caso di resa, questi si arresero ma furono impiccati ugualmente.

Valla fu perdonato da Niccolò V, che lo nominò segretario apostolico, divenne professore d’eloquenza e filologo. Per difendere la sua nuova posizione si separò da Porcari, e Callisto III (1455-1458) nominò Valla suo segretario.

Valla e Porcari erano stati umanisti. Contro il potere temporale del papa e i membri dell’accademia pomponiana romana, creata da Pomponio, questi accademici si attirarono le persecuzioni del papa, i membri dell’accademia portavano nomi pagani, disprezzavano i dogmi e le istituzioni gerarchiche della chiesa; Paolo II (1464-1471) sospettava che volessero rovesciare il governo del papa.

La setta dei fraticelli, demagoghi, pagani, eretici e repubblicani sembravano avere il loro centro nell’accademia. Nel 1468 la polizia fece venti arresti tra gli accademici, che furono torturati, alcuni di loro si rifugiarono all’estero, lo stesso Pomponio fu incarcerato e poi rimesso in libertà.

Come già Analdo da Brescia, nel 1442 anche Lorenzo Valla dimostrò la falsità della donazione di Costantino, fabbricata nel 750 dalla cancelleria pontificia, la quale sosteneva che l’imperatore Costantino aveva ceduto a papa Silvestro I il potere su Roma e l’occidente; il documento fu utilizzato per affermare il potere temporale del papa in occidente, dopo che Costantino e i suoi eredi si erano trasferiti a Costantinopoli.

I sostenitori di questo documento vedevano nell’imperatore d’occidente un funzionario della Chiesa che poteva anche essere revocato dal papa, grazie a questa falsa donazione. Gregorio VII (1073-1085) e Innocenzo III (1198-1216) teorizzarono il primato della chiesa su re e imperatori.

Lorenzo Valla confutava la donazione di Costantino ed era sostenuto dal concilio di Basilea, perciò fu accusato davanti all’inquisizione e si salvò perché era protetto. Il re di Napoli incoraggiò Valla a pubblicare la sua confutazione della donazione, già negata nell’anno 1000 dall’imperatore Ottone III, poi dai repubblicani romani e da Dante; l’umanista si scagliò contro Eugenio IV, definiva il governo pontificio un governo di carnefici, diceva che, a causa della cupidigia e dei delitti dei papi, l’Italia si dibatteva in guerre senza fine, voleva la fine del potere temporale dei papi.

Nel 1443 il cardinale Piccolomini chiese all’imperatore Federico III un concilio per fare chiarezza su quella donazione, che non risultava nemmeno dal liber pontificalis, prima di lui, ne avevano contestato l’autenticità anche Reginaldo, vescovo di Chichester, ed il Cusano. Valla fu poi perdonato dai papi e valorizzato come umanista, però nel 1517 Ulrico von Hutten pubblicò il celebre scritto di Valla sulla falsa donazione di Costantino e propose la creazione di una chiesa nazionale tedesca.

Nunzio Miccoli

Fonti: Resistenza Laica e Alteredo

Bibliografia:


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015