STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


LA RIFORMA GREGORIANA

Papa Gregorio VII

I

Nei manuali di storia medievale, normalmente, la riforma gregoriana viene vista in maniera positiva, poiché con essa - si dice - Gregorio VII seppe "por fine" all'anarchia ecclesiastica dei due secoli precedenti. E, altrettanto naturalmente, si fa capire che questo era l'unico modo per risolvere il problema dell'anarchia.

Che un problema di anarchia effettivamente esistesse, nessuno può metterlo in dubbio. La chiesa romana era in balìa delle famiglie nobiliari più potenti della capitale.

Tuttavia, gli storici raramente si chiedono le motivazioni socio-culturali di tale anarchia. Ragionando in termini esclusivamente politici, essi ne addebitano le cause allo scarso prestigio, alla indebolita autorevolezza della chiesa istituzionale: di qui il giudizio positivo nei confronti della svolta autoritaria di Gregorio VII.

Lo storico, al massimo, giudica negativamente quegli aspetti dogmatici della riforma che oggi risultano, in virtù dell'avvenuta secolarizzazione dei costumi e dei valori, particolarmente sgraditi. Ma il valore della riforma in sé non viene messo in discussione.

Assai raramente uno storico riesce a supporre che l'anarchia ecclesiastica avrebbe potuto essere risolta con un maggiore senso democratico della vita sociale, civile e quindi nell'ambito della stessa chiesa.

Di regola lo storico dà per scontato che la chiesa non sia capace di vera democrazia, in quanto non è mai stata (se non nella primissima fase) un'istituzione democratica; per cui egli ritiene inevitabile il ricorso alla forza quando si tratta di risolvere problemi di organizzazione interna (specie se questi portano appunto all'anarchia).

Gli storici ritengono che la chiesa cattolica, a livello istituzionale (cioè a prescindere dai suoi singoli esponenti) si sia sempre posta nella storia solo in maniera politica. Rebus sic stantibus essi non possono che avere, nei confronti dell'anarchia, un giudizio analogo a quello della stessa chiesa.

Gli storici (solo italiani?) fanno molta fatica ad accettare le due seguenti idee: 1) che la religione debba restare separata dalla politica (questa, per loro, è stata un'acquisizione del secolarismo, che la chiesa romana ha dovuto accettare obtorto collo); 2) che nell'ambito della religione sia possibile vivere un'esperienza democratica, cioè non anarchica (come in effetti avviene nel protestantesimo) né autoritaria (come appunto nel cattolicesimo).

Ora, quali furono le cause dell'anarchia ecclesiastica italiana? Esse vanno cercate nel desiderio anticristiano, espresso quasi sin dalle origini, da parte della chiesa romana, di poter disporre di un certo potere patrimoniale da considerarsi come fondamento del proprio potere politico. Non a caso la chiesa romana s'è trasformata, con la svolta costantiniana, da chiesa perseguitata a chiesa privilegiata, sino a diventare, già con Teodosio, chiesa persecutrice.

Ufficialmente la chiesa romana come istituzione non s'è mai opposta a questo ruolo di potenza economico-politica: chi ha provato a farlo è stato emarginato o perseguitato o addirittura giustiziato.

Uno storico, se vuole essere obiettivo, non deve mai limitarsi a costatare i fatti, ovvero limitarsi a dimostrare la loro intrinseca necessità, l'impossibilità di seguire vie alternative. Occorre invece che si sforzi di chiarire i seguenti aspetti:

  1. ogni fatto, al momento di porsi, non è necessario, ma frutto della libertà;
  2. di fronte alla necessità di risolvere determinati problemi vi è sempre la possibilità di seguire più di una soluzione;
  3. una soluzione diventa più probabile di un'altra, perché vengono compiute delle scelte, più o meno consapevoli, più o meno autonome;
  4. quando si tratta di scegliere una determinata soluzione, le condizioni storiche ereditate dal passato esercitano inevitabilmente una loro influenza, la quale però non può essere considerata decisiva, in ultima istanza, ai fini della scelta da compiere;
  5. una soluzione ad un certo punto viene presa perché le contraddizioni risultano insopportabili;
  6. per trovare la soluzione migliore ci si può avvalere della "memoria storica" e/o del "desiderio di liberazione" (le due cose non sono in antitesi e possono non essere complementari: la "memoria" p.es. può venir meno, il "desiderio" no);
  7. la decisione di adottare una soluzione che poi si rivela sbagliata, non pregiudica mai di per sé e definitivamente la possibilità di riadottare una soluzione migliore;
  8. le migliori soluzioni (anche se sono sbagliate) sono quelle che vengono adottate col maggior consenso popolare, poiché esse educano le masse a credere nella democrazia.

Nel caso della riforma gregoriana gli storici addebitano le cause dell'anarchia ai seguenti fattori:

  1. vescovadi, pievi, abbazie... venivano concessi secondo le regole del clientelismo e del nepotismo;
  2. la gestione del patrimonio ecclesiastico non rispondeva alle esigenze dell'utilità sociale (è una conseguenza del punto precedente);
  3. le stesse cariche ecclesiastiche spesso venivano comprate (simonia e nicolaismo), erano oggetto di contesa tra le famiglie più in vista (assenza quasi totale di vere vocazioni);
  4. alcuni storici aggiungono, inspiegabilmente, che forte era la corruzione dei preti cosiddetti "concubinari", considerando "anormale" il matrimonio dei preti: come se di fronte ai divieti ancora informali della chiesa istituzionale al matrimonio non fosse inevitabile passare dal matrimonio legittimo al concubinato monogamico.

Gli storici apprezzano la riforma gregoriana anche per un'altra ragione: con essa si sarebbe favorita l'unificazione di un territorio, eliminando i particolarismi tipici delle situazioni sociali anarchiche.

In realtà l'unificazione (qualunque essa sia, anche nazionale) non può essere, di per sé, considerata migliore della frammentazione. Quel che bisogna guardare è il contenuto socio-politico delle cose: esistono unificazioni positive perché politicamente democratiche; altre negative perché realizzate in maniera autoritaria (senza considerare che ciò che appare politicamente "democratico" non è detto lo sia anche sul piano socio-economico).

Stesso discorso vale per la frammentazione: una divisione democratica del territorio è sempre da preferire a una unificazione imposta con la forza delle armi.

L'unificazione può essere accettata solo quando è il frutto di un processo popolare e quindi di una larga partecipazione democratica. Ma anche quando essa si realizza, è sempre a livello locale che si verifica quotidianamente l'uso del potere democratico.

In ogni caso la riforma gregoriana non favorì affatto l'unificazione nazionale, anzi fu l'elemento politico fondamentale che la ostacolò in maniera decisiva.

II

Che la riforma cluniacense sia stata, dal punto di vista etico, alla prova dei fatti, un incredibile raggiro, è dimostrato da una serie di fattori politici in controtendenza rispetto alle intenzioni moralizzatrici originarie.

Infatti, proprio in seguito a quella riforma la chiesa riuscì unicamente ad affermare una gestione autonoma del proprio potere politico. Intorno al Mille essa era già così devastata dalla propria corruzione che, per porvi rimedio, l'unica cosa che si riuscì a fare fu quella di mascherarla dietro una rivendicazione di totale autonomia rispetto al potere cesaropapista dell'imperatore.

In pratica i monaci di Cluny, ch'erano potenti feudatari, avendo sotto di loro un migliaio di monasteri, addossavano le principali responsabilità della corruzione del clero a chi lo nominava e lo gestiva, cioè ai sovrani germanici, contro i quali venne scatenata la cosiddetta "lotta per le investiture ecclesiastiche".

Sul piano etico la riforma fu cosa del tutto inconsistente, in quanto, pur di affermare le pretese teocratiche del papato, si commisero abusi a non finire, molti dei quali sussistono ancora, pur a distanza di un millennio.

  1. Si obbligò tutto il clero al celibato, benché sin dagli inizi del cristianesimo fosse stata data facoltà di sposarsi.
  2. Si usò la scomunica come arma politica, diretta contro l'imperatore, anche quando questi era fedele alla dottrina cristiana, inducendo tutti i feudatari a non rispettare il patto vassallatico.
  3. Si volle rompere con la chiesa bizantina, la quale non riconosceva il primato politico del pontefice, quello giurisdizionale della chiesa romana, l'introduzione del Filioque nel Credo e altre cose ancora, contrarie alla legislazione canonica dei primi sette Concili ecumenici.
  4. Si scatenarono le crociate per occupare l'impero cristiano d'oriente, sotto il pretesto di liberare i "luoghi santi" dagli islamici.
  5. Si ordinarono decine di persecuzioni (crociate interne) contro i movimenti pauperistici, che, questi sì, ponevano il problema etico-politico in maniera radicale all'interno della chiesa.
  6. Si istituì il ruolo ecclesiastico del cardinalato, diminuendo notevolmente l'importanza di quello di vescovi, arcivescovi e metropoliti, al punto che questi non avranno più voce in capitolo nella elezione del pontefice.

Insomma, proprio mentre negli ambienti ecclesiastici "regolari" si parlava di "riforma morale", in quelli ecclesiastici "secolari" tale riforma veniva recepita come la conquista di una propria indipendenza politica dal potere dell'imperatore, da far valere come affermazione di una propria monarchia teocratica (papocesarismo), integralistica sul piano ideologico e autoritaria su quello politico, in cui la stessa figura dell'imperatore doveva pensarsi come controfigura del pontefice. Si propagandava un ideale per realizzarne un altro di natura opposta.

La chiesa romana, che già aveva manifestato sintomi di corruzione favorendo la nascita di una classe sociale che di cristiano aveva solo il nome: la borghesia, pur di farsi valere come istituzione politica, fu addirittura disposta a togliere potere e credibilità a quell'unica istituzione feudale che avrebbe potuto opporre una certa resistenza allo sviluppo urbano della stessa borghesia: l'imperatore. Cioè invece di favorire lo sviluppo democratico degli ambienti rurali, si accontentò di ridimensionare il potere imperiale, senza rendersi conto che proprio in Italia si stava formando un ceto sociale che un giorno avrebbe svolto nei suoi confronti la funzione del becchino.

IL DICTATUS PAPAE DI GREGORIO VII

L'azione riformatrice in senso politico di papa Gregorio VII, o Ildebrando di Soana (1074-85), non può essere considerata un fulmine a ciel sereno. Sin da quando Costantino aveva trasferito la capitale dell'impero a Bisanzio, la sede episcopale romana aveva cominciato a impegnarsi assiduamente per rivendicare una piena indipendenza dal potere imperiale. Da papa Damaso (366-83) in poi i vescovi di Roma rivendicano l'unicità della loro sede in virtù del martirio di Pietro e Paolo: p.es. Leone I (440-61) sostiene la tesi secondo cui gli apostoli avrebbero ricevuto la loro autorità non direttamente da Cristo bensì tramite la persona di Pietro, la cui sede episcopale era quella di Roma.

Anche i papi immediatamente precedenti a Gregorio VII s'erano preoccupati di estromettere totalmente le autorità civili dalla gestione delle investiture ecclesiastiche, specie quella del pontefice: Stefano IX (1057-58) e Alessandro II (1061-73). Ma basta andarsi a riguardare l'ecclesiologia di papa Nicolò I (858-867) per accorgersi che la riforma di Gregorio VII non faceva che portare alle conseguenze più logiche un processo iniziato molti secoli prima.

Egli approfittò delle pretese germaniche imperiali al cesaropapismo per imporre l'autorità teocratica del pontefice su tutta la cristianità, d'oriente e d'occidente, dopodiché, una volta ottenuto il consenso necessario nell'ambito della chiesa, lo rivolge contro la stessa autorità imperiale. Prima di Gregorio VII nessuno aveva reclamato il diritto di deporre un re o di sottrarre i sudditi di un sovrano ai loro doveri di fedeltà.

I primi decreti imperiali, emanati nel 1074 contro la simonia e il matrimonio dei preti (che gli storici interpretano come "concubinato"), ebbero un'accoglienza ostile, proprio perché il matrimonio del clero veniva praticato almeno da un millennio, e sulla simonia il papato non era certo in grado di dare lezioni a nessuno: non a caso la riforma proveniva da ambienti monastici (benedettini). In sostanza Gregorio VII attribuisce a molti vescovi, abati e clero minore una pratica ecclesiastica immorale (ricevere cariche ecclesiastiche dai laici e praticare il concubinato) quando il papato stesso non era titolato a dire alcunché di morale su questi campi.

Durante il concilio romano del 1075 Gregorio VII aggiunse ai propri decreti un canone che vietava a vescovi e sacerdoti di ricevere la carica dalle mani di un laico. Poco dopo furono inserite nei registri pontificali 27 ordinanze autoritarie che miravano alla centralizzazione della chiesa.

Nei manuali scolastici la lotta per le investiture viene presentata come una forma di giusta rivendicazione all'indipendenza ecclesiastica da parte del papato, che poi però sfociò nella teocrazia politica. In realtà sin dall'inizio la chiesa di Roma si poneva il compito di subordinare a sé l'autorità imperiale, solo che per poterlo fare con legittimità aveva bisogno di dimostrare d'essere eticamente migliore, aveva cioè bisogno di crearsi un consenso, da poter poi gestire nell'eventualità di dover scomunicare gli imperatori riottosi a questa nuova forma di monarchia assoluta clericale.

Per dimostrare d'essere eticamente migliori, Gregorio VII pensò di accentuare tutto il potere politico nelle mani del papato, in modo che l'intera gerarchia ecclesiastica e tutta la cristianità laica dipendessero esclusivamente dalla sede romana. Cioè egli cercò di risolvere un problema etico, gestito politicamente con una certa anarchia, imponendo d'autorità il potere infallibile del pontefice.

La pretesa infallibilità dottrinale (sostenuta per la prima volta nel V sec., nella formula di papa Ormisda) è così forte che Gregorio VII arriva ad escludere categoricamente che una comunità possa dirsi "cristiana" senza una previa subordinazione gerarchica alla sede romana. Il messaggio contenuto nell'enunciato n. 26 era chiaramente indirizzato alla chiesa ortodossa e a quelle che ancora si riconoscevano nella pentarchia altomedievale.

Col Dictatus papae si raggiunge l'apice della tradizione romana circa il primato universale del vescovo di Roma su ogni altra autorità civile ed ecclesiastica. I principali fondamentali dell'ecclesiologia greco-bizantina vengono scardinati, al punto che di lì a poco ci si sentirà autorizzati a scatenare varie crociate contro l'impero bizantino:

  1. l'importanza politico-amministrativa di una qualunque città dell'impero romano-cristiano non dipende dal ruolo effettivo che per tradizione ha avuto o che col tempo ha acquisito, ma è subordinata al fatto che solo la sede romana è stata fondata da dio, avendo avuto l'onore di ospitare Pietro e Paolo, fondatori del cristianesimo (che la chiesa romana facesse dipendere il suo primato direttamente dalla successione dell'apostolo Pietro lo si nota già nel canone 3 del sinodo di Sardica del 343);
  2. l'unico in grado di possedere la giurisdizione universale dell'impero e dell'intero pianeta è il pontefice, vicario di Cristo e di dio in terra, superiore quindi allo stesso concilio ecumenico universale (Gregorio avoca a sé anche il diritto di risolvere tutte le cause giuridiche di maggiore importanza delle chiese locali);
  3. il papa è nettamente superiore all'imperatore, la cui legittimità è subordinata al consenso del pontefice (la diarchia viene sostituita con la monarchia assoluta).

Gregorio VII rifiuta tutti i concili e sinodi cui non abbiano partecipato i legati pontifici o che non siano stati recepiti da Roma o che siano stati convocati e diretti da un'autorità laica senza previo consenso pontificio. Gli unici concili ecumenici diventano soltanto quelli convocati e presieduti dal papa di Roma.

AGOSTINISMO E RIFORMA GREGORIANA

L'agostinismo, intorno al mille, era entrato profondamente in crisi: la riscoperta dell'aristotelismo, sul piano ideologico, e la riforma autoritaria di Gregorio VII, sul piano politico (cui seguiranno, sul piano militare e commerciale, le crociate), furono le due risposte che la chiesa cattolica diede alla crisi dell'agostinismo.

Sarebbe interessante, in tal senso, verificare concretamente il motivo per cui tale crisi abbia prodotto dei risultati così sconvolgenti per la religione (nei suoi aspetti etici e conciliari). L'agostinismo non è stato semplicemente "riformato" ma addirittura "soppresso", "dimenticato", come cosa irrimediabilmente superata. Al punto che la sua successiva riscoperta avverrà soltanto nell'ambito protestante, in maniera del tutto strumentale, al fine di giustificare la rottura col cattolicesimo. In ambito cattolico la riscoperta dell'agostinismo (si pensi al giansenismo) non è avvenuta senza influenze calviniste e senza un certo rifiuto per la dimensione politica della fede (il che di per sé non è negativo, se il credente s'impegna come cittadino nella società civile: era forse questo il caso dei giansenisti?).

La rottura operata dal papato nei confronti dell'Alto Medioevo agostiniano fu traumatica, ma ancora più lo fu quella nei confronti dell'ortodossia bizantina (nel 1054). E' difficile non pensare, in tal senso, che fra i motivi che sollecitarono il movimento delle crociate non vi fosse anche quello (ufficioso) coltivato dall'intellighenzia clericale e integrista, di dare una "lezione armata" alla confessione che non aveva voluto accettare il primato di Pietro e di Roma.

IL TESTO DEL DICTATUS PAPAE

1. Che la Chiesa Romana è stata fondata da Dio e da Dio solo.
2. Che il Pontefice Romano è l'unico che può essere giustamente chiamato universale.
3. Che lui solo può deporre o ripristinare i vescovi.
4. Che in qualunque concilio i suoi legati, anche se minori in grado, hanno autorità superiore a quella dei vescovi, e possono emanare sentenza di deposizione contro di loro.
5. Che il Papa può deporre gli assenti.
6. Che, fra le altre cose, non si possa rimanere nella stessa casa con coloro che egli ha scomunicato.
7. Che a lui solo è legittimo, secondo i bisogni del momento, fare nuove leggi, riunire nuove congregazioni, stabilire abbazie o canoniche; e, dall'altra parte, dividere le diocesi ricche e unire quelle povere.
8. Che solo lui può usare le insegne imperiali.
9. Che solo al Papa tutti i principi devono baciare i piedi.
10. Che solo il suo nome venga pronunciato nelle chiese.
11. Che questo sia il solo suo nome al mondo.
12. Che a lui è permesso di deporre gli imperatori.
13. Che a lui è permesso di trasferire i vescovi secondo necessità.
14. Che egli ha il potere di ordinare un sacerdote di qualunque chiesa voglia.
15. Che colui che egli ha ordinato può dirigere un'altra chiesa, ma non può mantenere posizioni inferiori; e che un tale non può ricevere gradi superiori da alcun altro vescovo.
16. Che nessun sinodo sia detto sinodo generale senza il suo ordine.
17. Che nessun capitolo e nessun libro sia considerato canonico senza la sua autorità.
18. Che una sentenza da lui emanata non possa essere ritirata da alcuno; e che soltanto lui, fra tutti, possa ritirarla.
19. Che egli non possa essere giudicato da alcuno.
20. Che nessuno osi condannare chi si appella alla Santa Sede.
21. Che a tale Sede vengano sottoposti i casi più importanti di ogni chiesa.
22. Che la Chiesa Romana non ha mai errato; né mai errerà per tutta l'eternità, secondo le Scritture.
23. Che il Pontefice Romano, se è stato eletto canonicamente, è senza dubbio alcuno fatto santo dai meriti di san Pietro; secondo quanto detto da san Ennodio, vescovo di Pavia, e da molti santi padri che lo hanno sostenuto. Secondo quanto contenuto nei decreti di san Simmaco papa.
24. Che, per suo comando e col suo consenso, sia legale per un subordinato di presentare accuse.
25. Che egli possa deporre o ripristinare vescovi senza convocare un sinodo.
26. Che colui il quale non è in pace con la Chiesa Romana non sia considerato cattolico.
27. Che egli possa liberare i sudditi dall'obbligo di obbedienza a uomini malvagi.

BIBLIOGRAFIA


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015