STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


IL SIGNIFICATO DEL FEUDALESIMO

Monaci della basilica di San Saba, Roma, sec-VII

Col crollo dell'impero romano d'occidente si realizza in quest'area geografica una transizione sociale dallo schiavismo al servaggio che nell'area orientale dello stesso impero si poté realizzare senza il contributo diretto dei barbari, ma col contributo diretto del cristianesimo ortodosso. Ecco perché nella storiografia filo-bizantina viene detto che i veri prosecutori delle tradizioni romane, che da pagane divennero cristiane e da schiavili divennero servili, furono i bizantini, che si autodefinivano "romei", cioè "romani di lingua greca", e la loro capitale, Costantinopoli (ex Bisanzio romana), veniva definita "nuova (o seconda) Roma".

Il termine "bizantini" è stato introdotto solo a partire dal XVIII secolo dagli Illuministi, per distinguere gli abitanti dell'impero d'oriente da quelli d'occidente. Il papato non riconobbe mai ai Romei il diritto di essere considerati i continuatori dell'impero romano (titolo che invece riservò a se stesso) e, per questo, preferiva chiamarli, in senso dispregiativo, "greci" (anche il termine "bizantino" in occidente è sempre stato usato negativamente, tant'è che i suoi sinonimi sono "cavilloso", "pedante", "ambiguo", "malizioso"...).

Nell'area occidentale, che poi venne definita "latina" (solo perché ad un certo punto s'impose il latino nello scritto, in forza dell'intesa tra papato e Franchi, senza mediazione con le lingue di ceppo germanico), la rottura con le tradizioni romane fu più traumatica, essendo qui prevalente l'elemento barbarico (ma sarebbe meglio dire, una volta per tutte, "germanico", per quanto alcune popolazioni barbariche provenissero dall'Asia).

La rottura fu più traumatica proprio perché in occidente le basi dello schiavismo (e quindi del privilegio, dello sfruttamento) erano più forti, e anche perché la chiesa romana iniziava a contrapporsi al basileus e alle altre sedi episcopali (in primis Costantinopoli, ma anche Alessandria e Antiochia). Senza l'apporto decisivo delle popolazioni non-romane, probabilmente lo schiavismo in occidente non sarebbe stato superato, benché la necessità avesse costretto gli schiavisti a trasformarlo parzialmente in colonato e solo in regioni provinciali (oggi diremmo "coloniali") dell'impero.

E tuttavia il modo di agire della chiesa romana, che condizionò in maniera decisiva i barbari, ripropose, in tempi molto brevi, i criteri autoritari e amorali del passato potere politico degli imperatori. Pertanto se si può parlare di una transizione sociale positiva dallo schiavismo al servaggio, grazie all'arrivo dei barbari, non si può parlare affatto di una transizione politica e ideologica positiva, in quanto il papato fece di tutto per assumere le funzioni di un vero e proprio imperatore. Non a caso questa pretesa fu sempre mal digerita dalle popolazioni barbariche di religione ariana, essendo l'arianesimo per sua natura anticlericale.

Altre due cose vanno sottolineate. La prima di carattere sociale. Il servaggio - si è detto - non nasce con l'arrivo dei barbari, in quanto già i latifondisti romani avevano trasformato gli schiavi in coloni o servi, a causa della loro scarsità numerica sui mercati quando l'impero iniziò a porsi sulla difensiva.

Tuttavia il servaggio praticato dai barbari non aveva quel carattere umiliante che acquisì in Europa occidentale quando, coi Franchi e la chiesa romana, si istituì il feudalesimo. I barbari che già nel III secolo cominciarono a penetrare nell'impero non praticavano (anche se lo conoscevano) lo schiavismo e istituirono il servaggio solo dopo le grandi migrazioni di massa del secolo successivo.

I servi, tra i barbari, erano soltanto gli sconfitti negli scontri armati, che finivano con lo svolgere lavori domestici e che in ogni caso non facevano lavori produttivi che i loro padroni non volessero fare. Non c'era lo schiavismo come istituto sociale proprio perché la guerra era di rapina (razzia, saccheggio), non di conquista territoriale. Viceversa, il disprezzo del lavoro, nel mondo romano, era un modo per distinguersi socialmente e per affermare un rapporto di dominio.

I barbari vivevano in comunità di villaggio indipendenti, in cui il lavoro di tutti era fondamentale per la sopravvivenza della comunità, basata sempre sull'autoconsumo. E quando si riconosceva un'autorità superiore a tutti i villaggi era in via temporanea (p.es. in caso di guerra).

Il feudalesimo invece è tutt'altra cosa. E' una sorta di distribuzione gerarchica dei poteri territoriali sulla base di un rapporto politico di fiducia personale, sicché non esiste alcun luogo in cui non vi sia un "signore" che comandi, alla stregua di un sovrano, su interi villaggi e che lui stesso non obbedisca a un proprio superiore. Non a caso i vassalli maggiori cercarono già prima del Mille (Capitolare di Kiersy, 877) di liberarsi della dipendenza dal sovrano, mentre quelli minori, subito dopo il Mille (Constitutio de feudis, 1037), si liberarono di quella nei confronti dei vassalli maggiori.

Il feudalesimo è una società irreggimentata e autoritaria (che i Longobardi e i Visigoti p.es. non conoscevano e neppure gli Ostrogoti) e che servirà ai Franchi per espandersi verso est, cattolicizzando con la forza intere popolazioni germaniche e slave. Le crociate antipagane, praticate nell'Europa centro-settentrionale, furono il frutto di una decisione comune tra papato e Franchi. A quest'ultimi non riuscì soltanto il tentativo di sottrarre la Spagna ai saraceni.

La cosa singolare tuttavia fu che alla morte di Carlo Magno, nonostante le enormi conquiste territoriali, l'impero si sfasciò immediatamente, dimostrando tutta la propria artificiosità.

Il feudalesimo è stato un'invenzione politica della chiesa romana, che trasferì sul terreno laico la stessa struttura gerarchica di dipendenza personale che stava sperimentando sul terreno ecclesiastico, in opposizione alla struttura sinodale-conciliare conosciuta dalla chiesa bizantina e applicata nei suoi rapporti diarchici con lo Stato imperiale. In Russia il servaggio feudale s'imporrà in maniera definitiva solo nella seconda metà del XVII sec. e non senza le influenze della cattolica Polonia.

Feudalesimo vuol dire che il potere politico non è dato da una struttura al di sopra delle volontà particolari, ma è dato da un rapporto personale in cui il subordinato è tenuto a riconoscere la sovranità di chi lo investe di un titolo o di una funzione: in cambio di un favore personale (ottenuto da parte di un sovrano che ha esigenza di controllare un territorio divenuto molto grande grazie all'uso della forza militare) il subordinato presta obbedienza a chi può esercitare il potere assoluto e che può in qualunque momento revocargli il favore concesso. E' una forma istituzionale della politica che dà a questa un forte connotato individualistico. Il territorio non viene anzitutto governato sulla base di un ideale comune di vita, ma sulla base del riconoscimento di una forza superiore (militare). Il rapporto personale è sempre di tipo autoritario, proprio perché la proprietà terriera viene considerata come un bene privato.

C'è differenza tra rapporto personale e rapporto istituzionale. In area bizantina tutti dovevano riconoscere la superiorità del concilio su qualunque realtà individuale e territoriale. Lo stesso imperatore, che si sentiva rappresentante di un impero legittimato dal fatto che tra popolo e istituzioni l'ideologia era comune, doveva sottostare alle decisioni conciliari.

Il cesaropapismo fu una realtà che ebbe sempre poco successo a Bisanzio. In genere gli imperatori, per fronteggiare il nemico, preferivano servirsi della collaborazione spontanea della chiesa. Ogniqualvolta cercavano di opporsi alla chiesa o di strumentalizzarla per fini di puro potere, subivano cocenti sconfitte.

In area occidentale invece i rapporti politici erano personali, cioè individualistici, in perenne conflitto, proprio perché ognuna delle parti in causa tendeva ad allargare le proprie prerogative.

Alcuni storici sostengono che il rapporto personale è migliore di quello giuridico, perché retto dalla fiducia reciproca. Ma questa fiducia funziona quando il rapporto è basato su un ideale di vita credibile e quando il soggetto con più poteri dimostra maggiore coerenza nel viverlo: cosa che non si poteva certo dire coi Franchi, abituati a imporsi col metodo dei colpi di stato, e tanto meno con la chiesa romana, sempre intenzionata a sostituirsi all'autorità civile nel proprio territorio.

Il basileus sembrava esprimere esigenze di tipo più statale che personale, anche se indubbiamente la figura stessa dell'imperatore non poteva sottrarsi a un certo culto della personalità. Si serviva di funzionari statali, che svolgevano più che altro funzioni amministrative (soprattutto fiscali), e riconosceva l'autonomia gestionale alle comunità di villaggio. Non le assegnava a un proprio subordinato di fiducia.

Le comunità erano semplicemente tenute al pagamento di tributi statali, fruivano di ampie libertà, anche perché erano titolate alla difesa militare del loro territorio, nel senso che il sovrano doveva fidarsi che non approfittassero della forza militare per staccarsi dall'impero. Ciò che univa quelle comunità al sovrano era l'ideale cristiano della medesima chiesa. Le comunità periferiche tendevano a staccarsi dal centro quando i tributi, a causa della guerra, diventavano eccessivi. Spesso le comunità s'illudevano di poter conservare la propria indipendenza anche nei confronti di tutte quelle realtà politico-religiose ostili a Bisanzio (islam, cattolicesimo ecc.).

Resta il fatto che l'impero bizantino, nonostante fosse meno esteso di quello carolingio (e anche di quello successivo dei Sassoni) e fosse sempre sulla difensiva rispetto alle popolazioni limitrofe, riuscì a resistere per un millennio: cosa che non poté fare nessun impero di area occidentale.

Il feudalesimo occidentale non riuscì a funzionare esattamente com'era stato creato, proprio perché, mentre in ambito ecclesiastico i vescovi ad un certo punto riconobbero nel papato un punto di riferimento imprescindibile, che permetteva loro di diventare dei piccoli sovrani politico-militari in ambito diocesano (e quella volta i confini delle diocesi erano enormi), i feudatari invece, a motivo del fatto ch'erano tutti sposati e con prole, cercavano periodicamente di ridurre i poteri dell'imperatore, garantendosi una loro discendenza.

I vescovi sapevano bene che i loro poteri potevano tanto più aumentare quanto più avrebbero riconosciuto il papato come istituto politico da contrapporre non solo al basileus, ma anche a qualunque sovrano d'occidente. I vescovi accettarono l'obbligo del celibato proprio perché sapevano che in cambio avrebbero ottenuto un grande potere politico. Non dimentichiamo che senza l'apporto decisivo dei vescovi sarebbe stato molto difficile ritrasformare le antiche città romane in centri di potere economico alternativi a quelli dei feudi rurali.

L'istituzione sassone dei vescovi-conti fu proprio una conseguenza di questo processo ecclesiastico altamente corrotto, che peraltro minava, con lo sviluppo della borghesia, i privilegi dei signori feudali.

I sassoni cercarono di porre un freno sia allo sviluppo comunale italiano che alla pretesa teocratica che il papato aveva già manifestato ancor prima della riforma gregoriana. Entrambi i tentativi fallirono in quanto i loro metodi apparivano come il rovescio del papocesarismo di Roma. La strategia non aveva nulla di democratico, se non una certa idea di autonomia politica dell'imperatore. L'errore più grande che fecero gli Svevi e gli Ottoni fu quello di non voler riconoscere alla chiesa romana nemmeno l'autonomia in campo ecclesiastico. Nominare i vescovi in proprio per porre un argine alla corruzione del papato, alla fine non servì che a rafforzare ulteriormente il potere clericale, rendendolo ancora più corrotto.

Il secondo aspetto da sottolineare è la sostituzione del latino col greco. La nascita dell'impero bizantino determinò il recupero di una lingua ritenuta di gran lunga superiore al latino e che non a caso gli intellettuali romani consideravano meritevole d'essere appresa come una seconda lingua.

Tuttavia, mentre in oriente si conservò lo studio delle lingue, per cui il latino non fu mai abbandonato; in occidente invece si volle conservare il latino come unica lingua scritta, costringendo i barbari ad adeguarvisi anche nella loro parlata (ovviamente il latino medievale fu una sorta di imbarbarimento del latino romano imperiale).

Fatto sta che ad un certo punto (con lo sviluppo della borghesia, tollerato dalla chiesa) emersero delle lingue (cosiddette "romanze") che mal sopportavano l'egemonia del latino ecclesiastico.

In oriente, siccome la politica linguistica non fu mai autoritaria (tant'è che i greci inventarono per gli slavi un nuovo alfabeto, detto cirillico, che tenesse conto del loro modo di parlare), i paesi grecofoni continuano ancora oggi a parlare il greco, dopo averne ridotta la complessità, quando necessario, e naturalmente apportando ulteriori contributi (e così è stato per i paesi slavofoni nei confronti dei cirillico).

Le lingue romanze, checché se ne dica, sono molto diverse dal latino, tant'è che possono essere apprese perfettamente a prescindere da qualunque riferimento alla lingua latina. E il loro apprendimento, di per sé, non agevola nello studio del latino, che va considerato come una lingua a parte. Basti pensare che alcune sue regole (abolizione dell'articolo, uso delle desinenze, del neutro, il sistema dei casi, la sintassi della frase ecc.) hanno più riscontri nelle lingue anglosassoni che in quelle romanze.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015