STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


Il travestimento medievale nella Pianura Russa

© 2013 di Aldo Marturano - Mondi Medievali

Che differenza c'è fra vestirsi e travestirsi? Immaginiamo già l'importanza del vestirsi quale mezzo di comunicazione con l'esterno sulla nostra posizione nella società, ma travestirsi pur usando dell'abbigliamento ha un significato molto più impegnativo e più profondo.

Nel travestimento l'uomo va al di là del reale, diventa un altro essere sub- o sovrumano. Perde la sua natura e passa in un altro mondo a volte misterioso come quello dove abitano gli dèi. In questo metaspazio la volontà del travestito non c'è più e costui, privato della libertà di decidere, deve abbandonarsi ai voleri delle forze divine e subire i loro poteri con il grandissimo rischio di tornare fra i vivi, seppur fuor di senno, o di restare ucciso.

Travestirsi può essere anche scegliere con i mezzi magici appropriati di passare semplicemente nel mondo non umano, ma rimanendo sulla terra, ossia trasformarsi in un animale o in una pianta o in altro oggetto reale e comune per scopi rituali o personali.

Riflettendo però nel travestimento il significato è alla fine potersi finalmente reimpadronire del proprio corpo liberandosi dalle pastoie degli limitazioni sociali tradizionali senza timore di condanne o reprimende. In altre parole ci si potrà esprimere come si vuole da travestiti senza conseguenze punitive. Si potrà prendere in giro i potenti o dir la loro agli odiati parenti o persino far la corte alle ragazze considerate meno accessibili oppure divertirsi sfrenatamente proprio perché si indossa una maschera e ci si libera dalle pastoie degli obblighi tradizionali. Ed ecco in molti casi dove è la riscoperta e la riappropriazione della libertà originaria cambiando d'abito.

Sono modi di vedere riconoscibili con certezza nel passato medievale giacché erano oggetto di condanna ripetuta da parte della Chiesa Russa che affermava attraverso i suoi preti (essi stessi dei travestiti) che travestirsi/mascherarsi significava diventare maghi e fattucchieri e perciò vendere la propria anima al diavolo e diventare agenti di Satana da scansare e da evitare. Da un certo punto di vista si può dire che tutto ciò fosse una “battaglia contro la concorrenza pagana”.

In conclusione l'argomento “travestirsi” risulta talmente ampio nell'interpretazione folcloristica che noi in maniera arbitraria, ma per semplicità d'esposizione, lo abbiamo suddiviso in tre categorie:

1. Travestimento magico-religioso, intendendo in questo ambito esaminare come lasciare un abito per prenderne un altro speciale e come ciò potesse servire a far da tramite con le forze naturali/soprannaturali 2. Travestimento teatrale, includendo gli abiti e le maschere e gli altri espedienti da teatro per aprire le porte al mondo del ludico e dell'illusorio allo scopo di divertire il pubblico attento o di animare e ravvivare le celebrazioni e gli eventi e infine 3. Travestimento militare, in cui sono coinvolti soldati, generali e simili con le loro uniformi e le loro funzioni.

Partendo così dal primo tipo di travestimento e per chiudere con l'abbigliamento ecclesiastico cristiano che sappiamo importato da Costantinopoli dalle gerarchie della chiesa ortodossa, qui ricorderemo soltanto un paio di capi.

Il più notevole era quella specie di mantella del vescovo o dell'arcivescovo infilata per il collo o poggiata sulle spalle detta riza (in italiano pianeta) che si usava quando si officiava trasfigurandosi nella divinità e il famoso sakkos, unica camicia a contatto col corpo dei prelati. Il nome, riza, tuttavia era usato per indicare pure il mantello del principe che con tale indumento diventava anche lui una santa persona officiante in contatto diretto con la divinità.

Comunque sia, qualcosa di nuovo fu introdotto proprio nella realtà dell'arredo ecclesiastico cristiano della Pianura Russa quando nel XV sec. ci fu il consolidamento della sede metropolitana di Mosca. Di lì partì un movimento di riforma del monachesimo russo per opera di san Sergio di Radonež. Lo scopo del grande fondatore del Sergeev Posad a pochi km da Mosca (oggi sede del Patriarcato di tutta la Russia) fu di fornire più forza ai monaci nel numero e nella preparazione propagandistica onde evangelizzare l'estremo nord allo stesso tempo criticando l'abbandono dei preti della vecchia via per assimilarsi alle abitudini dei villaggi in cui vivevano. Siccome poi nell'Ortodossia non erano ammessi ordini monastici, il tirocinio dei volontari che a lui si aggregarono fu molto duro e si basò sul suo rigoroso esempio di povertà e di abnegazione, ma senza una regola vera e propria.

prete di Mosca nel XVI sec.

 la vlasianìza di san Nilo di Sora

riza

Fu un movimento di vera e propria colonizzazione del territorio della Pianura Russa non ancora toccato da Mosca e in questa avventura nel Nord appare un travestimento che non possiamo trascurare sebbene attribuito ai banditi/grassatori di strada.

Nel folclore russo i crocicchi dei sentieri fra gli alberi sono frequentati spesso da esseri strani non sempre umani. Non sono uomini o donne reali, ma corpi umani penetrati e animati da forze impure malvagie che stanno perciò a metà fra animali e mostri. Dalla foresta tuttavia a volte arriva un viandante sconosciuto e estraneo, ma da qualsiasi parte giunga è considerata persona sacra nella società contadina e che costui possa aver assalito o assalga qualcuno a scopo di rapina è quasi inimmaginabile: Basta chiedere nel bisogno a qualsiasi casa del villaggio! D'altronde nei villaggi tutti conoscono tutti... Insomma, a parte l'ospitalità, un bandito non può essere che una persona maledetta di quelle che abbiamo appena descritto più sopra e che si può perciò respingere attraverso i riti appropriati. Se questa è la situazione, allora da dove vengono questi banditi che assaltano e uccidono i pacifici monaci che vorrebbero vivere in pace nel pezzo di foresta vergine occupato! Insomma qual è allora il problema?

In realtà i gruppi di monaci in cammino alla ricerca di un luogo dove fondare il convento e di là far partire la propaganda religiosa, per costruire celle e chiese abbattevano indiscriminatamente alberi. Così facendo sconvolgevano non solo l'economia locale basata sull'attività di caccia e di raccolta, ma profanavano i santuari-recinti di alberi sacri pagani. Da ciò la reazione quasi naturale dei locali sotto forma di agguati che i monaci denunciavano come assalti inconsulti di rapinatori di strada e di assassini, ma che erano in realtà un indennizzo estorto con la forza.

I racconti su questi avvenimenti sono troppo laconici per fermarsi sulla descrizione di questi detti banditi onde riconoscerli etnicamente. Eppure nelle illustrazioni di una specie di rapporto alle autorità ecclesiastiche superiori moscovite la rappresentazione dei rapinatori (razboiniki) c'è e sono giovani armati di coltello, ma... senza pantaloni! Lo si vede nell'illustrazione qui sopra dell'intera pagina del “rapporto” (a destra) e del particolare ritagliato (a sinistra).

A nostro avviso l'indicazione trasmessa è la minore età di questi scapestrati locali e che per questa ragione sono più da educare che da condannare (con cristiana diplomazia!).

Lasciamo ora i luoghi difficili e impervi e spostiamoci nella zona moscovita dove i conventi sono più organizzati. Per quanto riguarda l'abbigliamento, nel convento Volokolàmskii la dotazione del monaco era di 2 mantelli, uno per per l'uso quotidiano e uno per le festività, 2 cappuccioni, anche questi come i mantelli, e così anche per i 2 sai e le 2 paia di sapogì, e ancora 1 paio di guanti, 2 šuby, una per la bella e una per la cattiva stagione. Ogni capo di vestiario era semplice al massimo senza alcun ornamento o fibbia o borchia e la tela era ordinaria e non colorata. Le šuby – avvertiva l'economo – non dovevano essere di “tela tedesca” imbottita (di lana e troppo cara), ma semplice di pelle di pecora e magari ruvida e senza pelo! I monaci più zelanti inoltre indossavano la vlasianìza fatta di tela e crini di cavallo indicibilmente disagevole da portare addosso e buona soltanto a tormentare il corpo a mo' di cilicio.

Lasciamo i cristiani e l'islam – quest'ultima religione aveva abolito ogni gerarchia ecclesiastica e quindi le vesti distintive apposite – e passiamo ai tanto perseguitati pagani del Grande Nord.

Sfortunatamente il paganesimo non è una religione unica o unitaria né esiste una mitologia sistematizzata come quella cristiana o quella greco-romana poiché non è stata registrata bene dagli unici che avrebbero potuto farlo e cioè dai cristiani. Dove una fede pagana si è conservata fino ai nostri giorni, essa non ha lasciato neppure documenti scritti affidabili e la nostra conoscenza è pertanto frammentaria. Per quanto riguarda gli esseri divini pagani allora, nelle poche descrizioni che abbiamo, essi risultano raffigurati completamente nudi (o nude, se si mostrano in sembianze femminili) come d'altronde tutte le divinità originarie, ma con una cute di vari colori, mentre dei loro sacerdoti conosciamo soltanto due figure: il volhv e lo sciamano.

Del primo sappiamo che fosse un anziano mantenuto dal villaggio nella funzione sacerdotale e che si vestisse con una lunga tonaca bianca in segno di purezza e assolutamente priva o con pochissimi ornamenti e che avesse i capelli e la barba lunghi, come si addice all'uomo saggio. Alle sacerdotesse s'imponeva invece la verginità e invecchiando erano destinate a ritirarsi a morire nella foresta lasciando, chissà, il loro ricordo nelle favole della strega Baba-iagà.

 volhv (uomo a destra nel centro senza la croce) dal Codice Radziwill

costume sciamanico da Perm

La tonaca bianca era tessuta insieme dalle donne del villaggio che raccoglievano il filo necessario per il telo da ogni casa. Dopo l'ostracismo cristiano i sacerdoti pagani furono ridotti a nascondersi e a mendicare per vivere e probabilmente questa situazione è ricordata nel proverbio russo: Al villaggio filo per filo, al povero l'abito intero!

Lo sciamano (o anche sciamana) comunque è il più importante degli officianti pagani dal punto di vista etnico giacché accomuna gli Ugro-finni cisuralici con i transuralici allorché si nota che le pratiche sono dello stesso tipo e tenore di qui e di là dei monti. Il costume dello sciamano che qui offriamo in figura proviene infatti da Perm a nordest di Mosca ed è assolutamente uguale alle altre uniformi sciamaniche di scuola siberiana (Samoiedi, Nganasani etc.).

Che tracce sono restate nell'abbigliamento religioso del Grande Nord Europeo? Non è facile dirlo, sebbene sia probabile che per partecipare ai riti pagani collettivi occorresse al credente presentarsi o con un abito apposito o portare qualche segno di riconoscimento.

In russo i rituali fatti in un certo modo e per certi scopi sono chiamati ancora oggi igry (più o meno qualcosa come giochi che è il significato odierno della parola). In essi sono compresi gli scongiuri, le danze, le gestualità stereotipe etc. che si sono conservati nel folclore odierno, malgrado il mascheramento della fede cristiana. Purtroppo dobbiamo avvertire che le descrizioni documentate che noi abbiamo di queste cerimonie collettive pagane risalgono… al XVII sec. d.C. e qualcuna addirittura al secolo scorso! Si riferisce di sacrifici cruenti di animali e, pensate, persino di uomini, ma non c'è alcunché sul vestito prescritto. Oggi quei riti e sacrifici si possono riconoscere, sebbene in parte edulcorati dai nuovi costumi, nei famosi cori femminili e maschili detti horovòdy o girotondi in cui compaiono i costumi tradizionali senza speranza di ricondurli ad abiti antichi specialmente destinati a riti pagani.

Del tutto simili al volhv nell'aspetto fisico, nel trattamento e nella veste erano i sacerdoti pagani slavi (russo žrec, se maschio, e žrica, se femmina) di cui invece abbiamo qualche descrizione in più nell'area degli Slavi Vendi della Germania Orientale. Anzi, il cronachista russo, essendo l'argomento sacrilego in particolare, non faceva né aveva interesse a far distinzioni religiose fra Slavi e altre etnie e si atteneva a citazioni sommarie dalle quali è difficile trarre elementi storici utili.

Quali feste popolari odierne corrispondono ai riti di cui parliamo? Anche qui non c'è una risposta sicura e, se ci sforziamo di conoscere meglio gli eventi, i documenti “moscoviti” più tardi non ci aiutano e non danno dei nomi particolari alle cerimonie per la fine dell'inverno. Per saperne qualcosa di più rifacciamoci allora alle due feste più famose e più diffuse nella Pianura Russa e nel mondo slavo-rumeno-balcanico durante la bella stagione: Màslenica e Kupàla.

Nei documenti della Chiesa però non è neppure ricordata una festa col nome di Màslenica. Ciò non toglie che proprio quest’ultima quasi certamente dovesse essere una delle più solenni del paganesimo nordico in cui si poteva prendere in giro con offese pesanti le forze divine e i potenti che con queste ultime avevano una comunicazione privilegiata. Era il momento in cui ci si travestiva da potenti e da dèi e si comandava per uno o due giorni il mondo! Qualcosa di simile al nostro odierno Carnevale... Era un modo di riconoscere la potenza delle forze cosmiche e forse questo era il motivo per non menzionare Màsleniza da parte della Chiesa Russa incaricata di rifiutare ogni celebrazione carnevalesca che mettesse in ridicolo la divinità o il sovrano.

Màslenica significherebbe l'Untrice o festa dell'Unzione poiché in quell'occasione si ungevano gli idoli di legno e si chiedeva abbondanza alla terra prima di mettersi a lavorarla invitando i vari esseri divini della foresta a partecipare al tripudio della bella stagione che stava per arrivare. Si procedeva ai riti sacrificali, noti in tutta l'area slava e germanica nordica e di cui si trova traccia in alcune aree archeologiche della Pianura Russa e in Polonia dove numerose ossa raccolte alla rinfusa sono attribuibili presumibilmente a questi conviti sacri. Non solo! Le ossa sono prevalentemente di animali a partire dal cavallo, dal toro, dalla capra etc., ma ci sono pure ossa umane bruciate!

L'Incontro con l’Onorevolissima Màslenica (vstreča) comincia il Lunedì, secondo il calendario cristiano. Continua il Martedì, chiamato degli Ammiccamenti (zaigryši), il Mercoledì è la Ghiottona (làkomka) e il Giovedì è il Giorno Pazzo (razgùl). Ancora il Venerdì c'è la Sera con la Suocera (Tiòščiny), il Sabato la Visita alla Nuora (zalòvkiny posidèlki) e finalmente si chiude con la Domenica o Giorno dell’Addio (proščònyi den’) quando tutte le famiglie ritornano alle loro case.

A parte la ripartizione temporale è quasi sicuro che nell’antichità medievale la festa durasse più di una settimana visto che la Chiesa Ortodossa si vantava di averla ridimensionata per decreto patriarcale… perché troppo sacrilega! E infatti già il sabato anteriore era la prima giornata di allegria dedicata ai ragazzi che con la neve residua costruivano le montagne lungo le quali poi scivolare, le cosiddette e notissime Montagne Russe! E non solo! Si erano preparati dei carri allegorici dove (sul più grande di questi) sedeva una contadina travestita da grassa boiara che era condotta per le strade del villaggio e tutti le facevano omaggio con grandi inchini e tanti doni lanciati sul carro. I ragazzi chiamavano a gran voce: Màslenica! E le dicevano: Tanti auguri col formaggio, col burro e con i kalacì (panini speciali) e con le uova bollite! montando, i più arditi, sui tetti delle case per essere più vicini al cielo e per vederla meglio.

In piazza intanto è stata piantata la statua di paglia di Zimà-Marèna (la dea dell'inverno) che resterà lì in attesa di essere bruciata all’ultimo giorno e anche qui, in questo rogo, risalendo ad un sacrificio umano che nel lontano passato era l'omicidio sacro della Brutta Stagione.

Le visite famigliari, come abbiamo accennato, ci sono già a partire dai primi giorni, dal lunedì. Ad esempio, alla fresca sposa viene concesso di far visita ai suoi accompagnata dal suo uomo proprio adesso. E’ anche il tempo in questi giorni delle visite dei mediatori (svat e svaha) che vengono e intorno ad un tino pieno di birra di pane (kvas) si discuterà del prossimo matrimonio.

In questo scenario di certo pittoresco a metà strada fra il bello e il cattivo tempo, fra il freddo che ancora regna sul paesaggio e il sole che scalderà nei prossimi mesi sono state montate le altalene e le grandi giostre girevoli, ma soprattutto, sono arrivati gli Skomorohi, i famosi artisti di strada con i loro vari spettacoli di destrezza e animali ammaestrati. Nel loro abbigliamento non sono loro stessi che parlano, ma qualche essere non umano che si è impadronito del loro corpo proprio nel momento di vestirsi e perciò possono satireggiare chiunque, deboli e potenti, come si nota dalla ragazza che porta le lunghe maniche delle donne nobili. Possono lanciare improperi e frasi volgari di tenore sessuale agli astanti senza timore di conseguenze negative…

Gli Skomorohi da quanto sappiamo vivevano di solito in tribù chiuse nel Poles’e dei dintorni di Kiev dove catturavano gli orsi che poi portavano in giro per lo spettacolo sacro della Battaglia del dio nero contro il dio bianco. L'Orso impersonava un caro defunto di cui portava anche il nome e, con le zanne e gli artigli ben limati in modo da non essere troppo pericoloso, il conduttore (vožàk nella figura in mezzo) lo portava di villaggio in villaggio.

Come mai l'Orso? E' difficile dopo tanti secoli cogliere il significato antico di questi spettacoli tanto amati dal paganesimo nordico, ma nella farsa dell'Orso e della Capra forse si può intravvedere il ricordo degli incontri interetnici fra l'Estremo Nord, l'Orso, animale totem ritenuto addirittura un antenato dell'uomo nordico se non proprio un eponimo travestito, e i popoli del Sud, allevatori di animali domestici come le capre...

L'Orso dunque si risvegliava dal suo letargo e ciò voleva dire senz'ombra di dubbio che l'inverno era finito e occorreva festeggiare.

L’orso al guinzaglio con un anello infilato nelle narici e una catena da schiavo vinto in battaglia, era però rispettato e trattato con gentilezza. Nello spettacolo il suo avversario era la Capra, la dèa che ricordava il Karačùn o Uomo Nero nemico del nuovo sole primaverile. La Capra sembrava burlare l’orso e il vožàk con qualche colpo di tamburo (strumento che portava legato in vita e che riproduceva il tuono) sollecitava l’animale a rizzarsi in tutta la sua altezza mentre la musica sembrava ritmare i suoi movimenti. “Ecco, l’orso ora danza!” diceva il vožàk e la gente applaudiva e offriva da mangiare e da bere a uomini e a animali. A volte la Capra, soprattutto per non offendere la venerazione per questo Signore della Foresta piuttosto che preoccuparsi della stupidità attribuita alle capre, era rappresentata da giovanetti o giovanette che indossavano maschere di legno o di cuoio nero con corna, lingua penzolante e zoccoli al posto delle mani.

Quanto a Kupàla risultò invece impossibile cancellarla come festa popolare visto il collegamento col solstizio d'estate più vistoso nel Nord Europa e la Chiesa la pose sotto la protezione di san Giovanni Battista (come aveva già fatto in quasi tutta l'Europa cristianizzata) e così la celebrazione del ringraziamento alle forze naturali per aver concesso messi abbondanti fu trasformata nella festa cristiana di Jan (san Giovanni in ucraino) Kupàla.

L'aspetto che ci interessa in quest'ultima festa è che in essa regnava la nudità e il fuoco, figlio del dio Svarog. Infatti riuniti tutti intorno ad un grande falò nella radura sacra scelta nella foresta o su un'elevazione senza alberi (Monte Calvo una collina presso Kiev) mentre la luce del sole illuminava lo scenario, uomini e donne, giovani e vecchi, si purificavano i genitali saltando nudi sulle fiamme purificatrici. Veniva poi eletta la giovane più bella la quale avvolta solo di frasche e di rami era accompagnata nella foresta dove si sarebbe accoppiata col più bello dei giovani maschi. Era insomma un'antichissima festa dell'amore e incontri sessuali in quei giorni-notte ce n'erano per tutti e non aveva importanza se sfociassero in un legame duraturo oppure no.

E entriamo adesso nell'argomento abbigliamento militare.

Avvertiamo che non ci è sembrato utile toccare i costumi fantasiosi dei Cosacchi della Seč ucraina, benché sia provata la loro origine dai popoli del Caucaso e la loro influenza sui costumi in questa area (v. figure precedenti dei costumi dei popoli delle steppe), perché fuori dal nostro ambito cronologico. Ci siamo invece volti alla compagnia di armigeri, detta družìna, che serviva il principe nelle prime città-stato tenute dall'élite slavo-russa e le cui origini scandinave (svedesi) risalgono alle bande armate di tipo mafioso che scorrazzavano nel Baltico già dal VII sec. d.C.

La banda s'insediava al completo nel territorio scelto (udel) con a capo il kniaz e costituiva in pratica la nobiltà armata della zona. Aveva come attività preminente la guerra e come compenso il bottino che riusciva a ricavare. Si capisce che tenerla buona per il kniaz fosse fondamentale, seppur difficile e costoso, giacché, se non la si compensava in modo congruo, si rischiava persino di vederla “cambiare aria” e passare al servizio di un altro kniaz rivale!

Nelle figure qui sopra abbiamo messo a confronto Sviatoslav (971 d.C.) mentre siede nella sua barca come è descritto da Paolo Diacono nell'incontro con l'Imperatore Giovanni Zimisce, a sinistra, con la tenuta classica di un armigero (muž) in parata della družìna del XIV sec. d.C. (che è già tutt'altra cosa) nel mezzo mentre più a destra c'è un altro armigero a piedi insieme col suo kniaz a cavallo e siamo ora nel XVI sec.

Sviatoslav indossa una “divisa da steppa” col halàt bianco e porta il taglio dei capelli dei nomadi peceneghi da lui ammirati e imitati mentre al centro (si noti la bassa statura del cavallo che è solo da parata) c'è già una prima evoluzione delle uniformi slavo-russe rispetto ai modelli orientaleggianti delle steppe, sebbene nel muž rappresentato qui e in quello in armi da guerra di metallo, nella terza illustrazione accanto, sia chiarissima l'influenza cazaro-bulgara!

Intanto sin dal XII sec. sulle coste baltiche sono apparsi dei nuovi venuti in armi: gli opprimenti Cavalieri Livonici/Portaspada, monaci cattolici romani. Costoro applicano un travestimento militare che nell'insieme incute spavento soltanto a guardarli. Montando cavalli scelti fra quelli di più alta statura addobbati con orribili decorazioni metalliche, con le loro personali armature fatte di celate e elmi dalle forme strane e mostruose, piumaggi enormi con colori vivissimi etc., sfruttano al massimo l'impressione raggelante di armati divini contro i quali negli scontri nulla può vincerli. Sperimentano questi effetti contro i Vodi ugro-finni della costa baltica e hanno successo quando si vedono questi ultimi che fuggivano alla loro vista...

Anche i russi si adeguarono a queste mode? Forse sì, ma non troppo benché un addobbo simile fu adottato dalla družìna del famoso kniaz Alessandro Nevskii quando dové confrontarsi in un paio di battaglie rimaste famose nelle Cronache Russe proprio con i detti Cavalieri nel XIII sec.

Quanto si è trovato sui campi di battaglia in elmi e corazze nella Pianura Russa prova comunque che nell'ambito del travestimento militare gli slavo-russi restarono a lungo ligi all'armamento che avevano importato dalla Scandinavia attraverso i leggendari Riurikidi. Di certo successivamente conobbero e imitarono gli espedienti degli armigeri della Guardia Imperiale del kaghan cazaro con i pettorali lucidati a specchio e l'elmo chiamato mizùrka che aveva intorno appese delle catene in modo da fare un gran baccano scuotendo soltanto il capo.

Così nella Pianura Russa la moda delle uniformi sgargianti si affermò e, benché mitigata parzialmente, dura... tuttora (come ovunque nel mondo nei palazzi del potere)! D'altronde non dimentichiamo che è stato un metodo talvolta molto efficace visto che fino al 1600 gli europei lo hanno usato come deterrente nella colonizzazione delle Americhe e dell'Africa.

Per curiosità diamo qui alcune “consegne” dell'armigero (muž) durante il suo tirocinio.

  1. Nei primi anni serve a piedi e vive in caserma (presso il kniaz)

  2. Successivamente gli viene concesso di avere una coppia di cavalli

  3. Riceve un cinturone che indica la sua posizione nella gerarchia

  4. Finalmente riceve la serie delle armi che gli competono: pugnale, spada etc.

  5. Al sesto anno riceve un costume da parata con šuba e cappello

  6. Al settimo anno può essere incaricato di comandare una “tenda” di armati e indossare un altro cappello di pelliccia pregiata.

In conclusione è però nell'abbigliamento del principe che si vede il trionfo del travestimento e della sua trasfigurazione in dio in terra (quando vince!) e conseguentemente col passar del tempo ci sarà un impiego sempre maggiore di metalli sfavillanti sia sulla sua armatura sia su quella dei suoi uomini più fidati e, con l'impressionante miscela di colori oltremodo sgargianti, questi travestiti renderanno il potere militare russo più spaventoso e orribile oltre che affascinante.

Vediamo qualche caso abbastanza indicativo di quanto detto appena qui.

Nel 1380 la družìna russa si trasforma da semplice armata personale del kniaz in un'Armata del Signore (družìna gospòdnia) allorché è ingaggiata in una specie di crociata con a capo Demetrio di Mosca nella Piana delle Beccacce (Kulikovo Pole) e batte gli infedeli Tatari da poco musulmani.

La guerra, credenza diffusissima e antichissima, era un rito sacro e si credeva che a fianco del comandante e dei suoi soldati ci fossero gli dèi pagani o l'unico dio cristiano a guidare le armi per conseguire una giusta vittoria.

Con questo medesimo spirito ossia di rappresentare dio in Terra nel 1557 Giovanni IV di Mosca (Ivan il Terribile) fonda con sede nel piccolo villaggio di Aleksàndrova Slòboda nelle periferie di Mosca l'Ordine della Croce Celeste. Cura lui stesso le loro vesti. I suoi monaci-cavalieri porteranno come segno distintivo una croce ed una rosa, ma pure una testa di cane e una scopa ricamati sul petto dell’abito monacale di color nero. Indosseranno inoltre degli indumenti intimi in lino intessuto con fili d’oro affinché, essendo stati scelti fra i galeotti delle carceri imperiali, riconoscano di essere dei privilegiati. A questi ex-grassatori e assassini assegna il compito di difendere la sua persona da qualsiasi pericolo esterno come avvelenamento o attentato armato e simili.

Concede loro pieni poteri sulla vita e sul corpo del reo colto in flagrante o soltanto sospetto, autorizzandoli alla tortura e all’esecuzione mortale senza alcun processo. Dona loro dei cavalli pure neri sui quali imperverseranno per anni in tutto l’Impero Russo tanto da essere conosciuti meglio come l'Ordine degli Infernali o Oprìčnina.

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015