STORIA MODERNA
Dall'Umanesimo alla fine dell'Ottocento


I MARTIRI DI OTRANTO

Un'operazione storiografica strumentale

Stefano Agricoli (detto Pendinelli)Maometto II

I

Nel n. 6/2014 de "L'Ateo" vi è un lungo articolo di Marco Ottanelli (che si può leggere anche qui), intitolato "I martiri di Otranto e le radici cristiane", in cui si mette in luce l'ottica strumentale della storiografia cattolica nell'interpretare determinati eventi storici.

La tragica vicenda avvenne nel 1480, allorché il sultano turco Maometto II, dopo essere dilagato coi suoi eserciti nell'ex-impero bizantino, in Grecia, Macedonia e Albania, aveva autorizzato il generale Gedik Ahmet Pascià (governatore di una parte della provincia di Valona) a tentare uno sbarco in Italia, partendo dalla Puglia, al fine di controllare l'Adriatico sulle due sponde, eliminando definitivamente la concorrenza veneziana. In un decennio infatti gli eserciti ottomani avevano fatto incursioni persino nei pressi del Piave, sfruttando il fatto che Venezia non otteneva aiuti da nessuno, anche perché in quegli anni gli Aragonesi di Napoli e lo Stato pontificio erano impegnati in una guerra contro la Firenze di Lorenzo dei Medici, cercando alleanze in ogni dove.

L'obiettivo iniziale dello sbarco doveva essere Brindisi, ma, a causa dei venti, la flotta si ritrovò a Otranto, appartenente agli Aragonesi. L'obiettivo più generale era quello di occupare tutti i territori ch'erano stati sotto Bisanzio e possibilmente anche quelli sotto la chiesa di Roma. Il generale Gedik sembrava, in quanto molto capace, il più adatto a realizzare l'impresa.

Quando i Turchi sbarcarono a Otranto, l'esercito napoletano rinunciò a insediare i Della Rovere a Firenze e prese a muoversi, insieme a quello pontificio, verso sud: il nemico era diventato improvvisamente un altro, ben più pericoloso, che Venezia aveva lasciato passare indisturbato, in virtù di una pace conclusa nel 1479. Peraltro la Serenissima era ostile a Ferdinando di Napoli (1458-94), cui voleva togliere le città pugliesi.

Intanto però a Otranto il comandante della città, Francesco Zurlo, invece di arrendersi di fronte alla forza soverchiante dei turchi (18.000 erano i soldati contro i 6.000 cittadini), prese a impiccare alcuni loro emissari, a impalare alcuni loro prigionieri e addirittura a sparare un colpo di bombarda contro lo stesso Gedik, che si era avvicinato con un natante nel porto per parlamentare.

La rappresaglia fu particolarmente cruenta: 813 persone vennero decapitate dopo 15 giorni di resistenza: il comandante Zurlo cadde sugli spalti delle mura durante l'ultimo assalto del nemico, mentre l'anziano vescovo morì d'infarto.

A Firenze, in onore della vittoria di Gedik, i Medici incisero in una medaglia un elogio a Maometto II. D'altra parte la città aveva iniziato ad avere ottimi rapporti commerciali con gli Ottomani.

Il bottino raccolto dai Turchi fu di 60.000 ducati, di cui ben 18.000 trovati nei forzieri del vescovo Stefano Pendinelli. Otranto venne altresì utilizzata dai Turchi come base per scorrazzare indisturbati in tutto il Salento, seminando terrore e morte fino al Gargano, ove distrussero Vieste.

Papa Sisto IV, dopo aver ritirato l'anatema contro Firenze, cominciò a chiedere a tutti i sovrani d'Europa di organizzare una spedizione punitiva in Albania e una vera e propria crociata. Ma la risposta fu molto debole. Nessuno, neanche in Italia, aveva voglia di impegnarsi in una guerra sicuramente molto costosa e dall'esito incerto. L'unico che veramente prese a cuore la situazione fu il duca di Calabria, che con un proprio esercito e una flottiglia pontificia riuscì a liberare Otranto dopo 14 mesi di accanita resistenza turca.

Gedik Pascià era intanto già tornato a Costantinopoli, dopo aver lasciato a Otranto una guarnigione di 800 fanti e 500 cavalieri, per partecipare alla lotta in favore di Bayezid, un figlio del sultano Maometto II. Quest'ultimo infatti, essendo morto, aveva lasciato aperta la questione della successione. Sta di fatto però che Bayezid II, appena salito al trono, fece uccidere nel 1482 lo stesso Gedik, perché di lui non si fidava.

A Otranto i Turchi che si arresero, il 10 settembre 1481, al duca Alfonso di Calabria furono arruolati dal re Ferrante di Napoli nel suo esercito. La città era ridotta a un cumulo di macerie, in cui erano sopravvissuti solo 300 abitanti.

Nel 1539 si cercò di beatificare quei poveri disgraziati, già ritenuti dei "martiri", in quanto - si diceva - avevano combattuto contro "l'infedele", un nemico irriducibile, ma la diplomazia bloccò tutto, poiché, nel frattempo, gli Ottomani s'erano alleati con la Francia per attaccare Reggio Calabria e l'isola d'Elba e per sottrarre Nizza a Genova.

Impero ottomano

II

La strumentalizzazione storiografica dell'episodio di Otranto avvenne tre secoli dopo, durante il pontificato di Clemente XIV. Più precisamente la "beatificazione degli ottocento martiri della fede" avvenne nel 1771. Si inventò cioè, per quella strage, una motivazione squisitamente religiosa, avvalendosi di documenti falsi o apocrifi e di firme contraffatte. Si arrivò addirittura a sostenere che il comandante Zurlo era stato fatto a pezzi e che il vescovo era stato segato in due. Questo perché il papato voleva avere una propria diretta egemonia su Benevento.

La mistificazione venne ribadita dal neonato governo borghese dell'Italia unita, quando, nel 1880, si approfittò del Congresso di Berlino, con cui si era decisa la spartizione dell'Africa, per giustificare l'occupazione italiana di alcuni territori di questo continente, da tempo appartenenti all'impero ottomano.

Nel 1980 papa Wojtyla fece il primo viaggio pastorale proprio a Otranto, in ossequio alla sua concezione della vita religiosa basata anzitutto sulla coraggiosa testimonianza della fede, fino al supremo sacrificio di sé, se necessario. La sua richiesta, rivolta ai giovani, fu appunto quella d'essere disposti a imitare quegli ottocento martiri decapitati per combattere l'ateismo pratico e teorico. In quel momento ovviamente il riferimento andava ai paesi est-europei, caratterizzati dal "socialismo statale", quell'"impero del male" che per Wojtyla assomigliava all'impero ottomano.

Per dimostrare poi che gli ottocento otrantini andavano considerati dei santi, si fece fare a una monaca, Francesca Levote, malata di cancro, la parte della miracolata, per aver pregato sulle reliquie di quelli, che le consorelle le avevano appoggiato sul letto. Fu tutto una falsificazione, in quanto la monaca era stata in cura a Genova dal 1979 al 1982 e solo nel 2004 aveva dichiarato che le sue consorelle le avevano messo nel letto una reliquia di quei martiri. Tuttavia il processo di canonizzazione era già iniziato nel 1991, finché nel 2007 papa Ratzinger (notoriamente antiturco) riconobbe come miracolosa la guarigione della suora, annunciando la santificazione degli 800, che si andarono così ad aggiungere agli altri 9.900 ufficialmente riconosciuti dalla chiesa romana. Sarà poi papa Bergoglio che nel 2013 li proclamerà "santi".

III

Ora vediamo cosa dice Wikipedia.

  1. Gedik Ahmet Pascià inviò un primo messaggero, di nome Turcman o Turciman, a trattare con gli otrantini: propose loro che se avessero abiurato pubblicamente la fede in Cristo a nessuno sarebbe stato torto un capello e avrebbero potuto tranquillamente andarsene. Il popolo insorse contro il mediatore, che però scampò al linciaggio e comunicò al Pascià il rifiuto di Otranto alla conversione. Un secondo messaggero, forse latore di un ultimatum, non riuscì nemmeno ad avvicinarsi a Otranto, perché fu trafitto da una freccia alle porte della città.
  2. A difendere Otranto c'erano solo 400 uomini guidati dai capitani Francesco Zurlo e Giovanni Antonio Delli Falconi; la città sguarnita e mal difesa, non avrebbe potuto contenere a lungo l'impeto formidabile dell'artiglieria turca, ma volle resistere comunque. Zurlo sdegnosamente respinse la proposta di Ahmet - la vita in cambio della resa - e in risposta le artiglierie turche martellarono immediatamente con il loro fuoco la città.
  3. Otranto, avendo solo 6.000 abitanti, per lo più disarmati, non poté opporsi a lungo ai bombardamenti. Infatti il 29 luglio 1480 (il giorno dopo lo sbarco della flotta) la guarnigione e tutti gli abitanti abbandonarono il borgo nelle mani dei Turchi, ritirandosi nella cittadella, mentre questi ultimi cominciavano le loro razzie anche nei casali vicini. Quando Gedik Ahmet Pascià chiese la resa ai difensori, questi si rifiutarono e in risposta le artiglierie turche ripresero il bombardamento. L'11 agosto, dopo 15 giorni d'assedio, Gedik Ahmet Pascià ordinò l'attacco finale durante il quale riuscì a sfondare le difese e a espugnare anche il castello.
  4. Nel massacro che ne seguì, tutti i maschi di oltre quindici anni furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù. Secondo alcune ricostruzioni storiche, i morti furono in totale 12.000 e 5.000 gli schiavizzati [e qui si cita Paolo Ricciardi, Gli eroi della patria e i martiri della fede: Otranto 1480-1481, Vol. 1, Editrice Salentina, 2009]. Rimane però il dubbio che la città potesse contare così tanti abitanti (vanno probabilmente conteggiate anche le numerose vittime delle continue scorrerie nei paesi dell'entroterra).
  5. I superstiti e il clero si erano rifugiati nella cattedrale a pregare con l'arcivescovo Stefano Agricoli (detto Pendinelli). Gedik Ahmet Pascià ordinò loro di rinnegare la fede cristiana, ma ricevendone un netto rifiuto, irruppe coi suoi uomini nella cattedrale e li catturò. Furono quindi tutti uccisi, mentre la chiesa, in segno di spregio, fu ridotta a stalla per i cavalli.
  6. Particolarmente barbara fu l'uccisione dell'anziano arcivescovo, il quale incitò i superstiti a rivolgersi a Dio in punto di morte. Fu infatti sciabolato e fatto a pezzi con le scimitarre, mentre il suo capo mozzato fu infilzato su una picca e portato per le vie della città.
  7. Il comandante della guarnigione Francesco Largo venne invece segato vivo.
  8. Il 14 agosto Gedik Ahmet Pascià fece legare i superstiti e, trascinati sul vicino colle della Minerva, ne fece decapitare almeno 800, costringendo i parenti ad assistere alle esecuzioni. Il primo a essere decapitato fu Antonio Primaldo. La tradizione tramanda che il suo corpo, dopo la decapitazione, restò ritto in piedi, a dispetto degli sforzi dei carnefici per abbatterlo, sin quando l'ultimo degli otrantini non fu martirizzato. Gli 813 otrantini furono uccisi per aver rifiutato la conversione all'Islam.
  9. Tra gli 800 martiri si ricorda in particolare la figura di Macario Nachira, colto monaco basiliano, di nobile famiglia, eroicamente morto per la fede.
  10. Durante quel massacro le cronache raccontano che un turco, tale Bersabei, si convertì nel vedere il modo in cui gli otrantini morivano per la loro fede e subì anche lui il martirio, impalato dai suoi stessi compagni d'arme.
  11. In seguito alla battaglia e all'invasione degli Ottomani, andò distrutto il monastero di San Nicola di Casole, che ospitava allora una delle biblioteche più ricche d'Europa.
  12. La maggior parte delle loro ossa si trova in sette grandi armadi di legno collocati nella Cappella dei Martiri, ricavata nell'abside destro della cattedrale di Otranto; sul Colle della Minerva fu costruita la chiesetta a loro dedicata, Santa Maria dei Martiri.
  13. Anche se la cifra riportata dai cronisti appare esagerata, Otranto fu comunque colpita a morte da quelle terribili stragi e se pure riuscì ancora a riprendersi, perse notevolmente importanza rispetto alla città di Lecce.

Bibliografia riportata in Wikipedia:

  • Salvatore Panareo, In Terra d'Otranto dopo l'invasione turchesca del 1480, "Rivista storica salentina", VIII 1913, pp. 36-60
  • Grazio Gianfreda, I beati 800 martiri di Otranto, del Grifo, 2007 (Grazio Gianfreda ha scritto molti libri su Otranto)
  • Saverio La Sorsa, La condotta di Venezia nei riguardi dell'assedio di Otranto, in "Rivista di critica e di letteratura e storia", pp. 33-45
  • Alessandro Laporta, Otranto 1480, Cavallino 1980
  • Paolo Ricciardi, Gli eroi della patria e i martiri della fede: Otranto 1480-1481, Vol. 1, Editrice Salentina, 2009
  • Antonio Saracino, Otranto baluardo dell'Occidente cristiano, Roma 1981
  • Francesco Tateo, Gli umanisti e la guerra otrantina - Testi dei secoli XV e XVI, a cura di Rosa Lucia Gualdo, Isabella Nuovo e Domenico de Filippis, Edizioni Dedalo, gennaio 1982
  • Otranto 1480: Atti del convegno internazionale di studio promosso in occasione del 5° centenario della caduta di Otranto ad opera dei Turchi (Otranto, 19-23 maggio 1980), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, 2 voll. Galatina 1986
  • Hydruntum: fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480, a cura di Donato Moro, Gino Pisanò, Istituto di culture mediterranee della provincia di Lecce, Galatina 2002 (vol. 1 e vol. 2)
  • Alfredo Mantovano, Altro che leonessa d'Italia. Così Otranto salvò Roma, Il Foglio, 14 luglio 2007.
  • Giovanni Albino Lucano, De bello Hydruntino, in Otranto 1480
  • Donato Moro, Galatina saccheggiata dai turchi e morte di Giulio Antonio Acquaviva, in Hydruntum, vol. II
  • La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito, a cura di Hubert Houben, vol. 1, vol. 2, Galatina (Congedo) 2008.

A questi testi si possono aggiungere:

IV

Come si può notare le versioni dei fatti sono molto discordanti. La stessa Wikipedia, che pur non conosce la tesi di Ottanelli, è costretta ad affermare, alla voce La battaglia di Otranto, che "La neutralità di questa voce è stata messa in dubbio" (eppure essa non dice cose molto diverse da quelle della voce Martiri di Otranto); e anche "Questa voce non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti" (eppure di testi ne vengono citati molti).

Dunque a chi dare ragione? Ottanelli non riporta alcun testo degno di nota, né cita le sue fonti. Questo non vuol dire che non vi siano testi critici a supporto delle sue tesi. Qui si può fare soltanto una considerazione di metodo storiografico molto generale, ed è la seguente:

  • quando le versioni interpretative di alcuni fatti storici sono nettamente discordanti, e in questa differenza è in gioco la credibilità della fede religiosa, è opportuno, da parte di chi contesta l'interpretazione ufficiale, che generalmente è a favore della chiesa romana, esibire prove concrete che dimostrino la consistenza delle proprie tesi;
  • quando queste prove non esistono o non appaiono sufficienti, è meglio limitarsi a porre dei dubbi, evitando i toni sprezzanti di chi è convinto di sapere esattamente come sono andate le cose;
  • questo perché quando è in gioco l'immaginario popolare, ovvero le credenze che si sono trasmesse nei secoli, per intere generazioni, e che hanno finito per costituire un punto costante di riferimento per l'identità collettiva locale (o addirittura nazionale), non serve a nulla cercare di smontare un'interpretazione forzata attraverso il ricorso allo strumento della critica laico-razionalista; spesso anzi si rischia di ottenere l'effetto contrario a quello desiderato;
  • quindi o si hanno prove sufficientemente credibili di ciò che si afferma, oppure è meglio tacere, limitandosi, al massimo, a formulare dubbi e perplessità su singoli dati o fatti specifici, senza aver la pretesa di smontare l'insieme o, peggio ancora, di ridicolizzarlo.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia Moderna
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Aggiornamento: 14/12/2014