LE MONARCHIE NAZIONALI


PERCHÉ IL DISPOTISMO ILLUMINATO EUROPEO FALLÌ NELLA SUA POLITICA ANTIRELIGIOSA?

Giuseppe II

Per "dispotismo illuminato" s'intende la politica di taluni sovrani assolutistici europei del Settecento, i quali promossero alcune importanti riforme socio-economiche, giuridiche e culturali a favore dei ceti borghesi, in opposizione a quelli clerico-feudali.

Quando si parla di Settecento s'intende soprattutto la seconda metà del secolo, prima del terremoto rivoluzionario francese e della conseguente avventura napoleonica, cosa che indurrà tutti gli Stati europei, anche quelli più riformisti, a fare marcia indietro, ribadendo, nel congresso di Vienna del 1815, la legittimità dei sovrani assolutistici.

Stiamo parlando di Maria Teresa d'Austria e di suo figlio Giuseppe II, del sovrano prussiano Federico II, della zarina Caterina II di Russia (che si convertì da protestante a ortodossa per poter regnare in quell'immenso impero feudale), del granduca di Toscana Pietro Leopoldo, di Carlo III di Borbone, re spagnolo, di Filippo di Borbone nel Ducato di Parma e Piacenza. Costoro si avvalsero del contributo teorico di intellettuali progressisti, come p.es. Pietro Verri e Cesare Beccaria. A questi sovrani, in quel periodo, non possono essere aggiunti né quelli sabaudi, né i Borbone del Mezzogiorno, né i pontefici, tutti particolarmente conservatori.

Tra le riforme messe in atto si possono qui ricordare quelle relative alla politica ecclesiastica. Anzitutto si cercò di attenuare o addirittura d'impedire la continua ingerenza della chiesa nella sfera della sovranità laica, sostenendo p.es. che l'ingresso dei vescovi nelle diocesi, la pubblicazione e l'esecuzione degli atti ecclesiastici dovevano essere subordinati al consenso statale.

Alla chiesa si cercò di negare, senza molto successo in verità, l'esclusiva competenza in materia matrimoniale. Nell'impero austro-ungarico Giuseppe II riconobbe il matrimonio civile fra cattolici e a-cattolici e ammise per quest'ultimi il divorzio e distinse, per i cattolici, il matrimonio civile da quello religioso.

Risale proprio a lui termine "giuseppinismo", con cui gli storici sono soliti indicare significative riforme in campo ecclesiastico. Non a caso fu lui il primo sovrano ad affrancare gli ebrei dall'obbligo di portare segni di riconoscimento sugli abiti; li autorizzò anche ad aprire imprese industriali. Luterani, calvinisti e ortodossi potevano praticare liberamente i loro culti. D'altra parte il suo impero era culturalmente, etnicamente, linguisticamente molto composito ed eterogeneo: non si sarebbe potuto fare diversamente.

Giuseppe II arrivò a ridurre allo stato laicale ben 65.000 frati e monache e istituì dei seminari statali per preparare il clero cattolico, che giudicava molto ignorante e superstizioso, inadatto a insegnare nelle scuole. La riforma si rivolse anche ad alcuni aspetti liturgici, attuando l'abolizione di manifestazioni devozionali (movimenti confraternali, processioni, pellegrinaggi): la devozione barocca e contro-riformistica proprio non la sopportava.

In varie parti d'Europa si cercò di eliminare, ma con scarsi risultati, il diritto del clero ad essere giudicato dai tribunali ecclesiastici. Maggiore successo si ebbe con l'abolizione del diritto d'asilo, che obbligava il potere statale a chiedere l'autorizzazione del vescovo per arrestare il criminale rifugiatosi in un luogo sacro.

Ovunque invece si affiancò all'istruzione elementare gestita dal clero quella di pertinenza statale, e si volle impedire alla chiesa di esercitare la censura anche sulle opere di carattere non teologico.

Di rilievo fu il fatto che i sovrani vollero porre un argine alla enorme proprietà degli enti ecclesiastici, la cui amministrazione era giudicata alquanto improduttiva. Peraltro le terre donate alla chiesa (la cosiddetta "manomorta") non potevano essere tassate, e siccome venivano poste dalla chiesa sotto il principio della inalienabilità, non potevano essere vendute a chi avrebbe saputo farle fruttare.

Anche l'introduzione del catasto servì per sottoporre al fisco le proprietà ecclesiastiche. Nello Stato della chiesa il catasto, deciso nel 1778 e completato vent'anni dopo, fu invece vanificato dal gran numero di esenzioni favorevoli alla proprietà nobiliare e chiericale. Questo Stato era fortemente indebitato e affidava la gestione delle finanze agli stranieri.

Nel Napoletano il catasto era addirittura basato non su perizie tecniche ma su semplici dichiarazioni dei proprietari degli immobili. Quando il sovrano Carlo III di Borbone dovette lasciare Napoli perché aveva ereditato il regno di Spagna, il suo successore Ferdinando IV si affidò a un governatore anticlericale, un certo Tanucci, che poté agire solo per pochissimo tempo. Infatti, dopo aver espulso i gesuiti, ridotto il numero dei monasteri e indebolito il monopolio ecclesiastico dell'istruzione (fondando scuole pubbliche), fu licenziato nel 1777. Anche soltanto per abolire nel proprio territorio il tribunale medievale dell'Inquisizione il regno di Napoli dovrà aspettare il 1782.

Lo stesso Carlo III di Spagna non riuscì ad essere così radicale come avrebbe voluto. È vero che nel 1767 espulse 2500 gesuiti dal suo paese, ma non riuscì a ridurre lo strabordante numero di membri del clero regolare e secolare che detenevano amplissime proprietà immobiliari. Persino il catasto, pur realizzato con grande precisione tecnica, non trovò alcuna applicazione.

Quasi ovunque fu soppresso l'ordine dei gesuiti, che a quel tempo, pur contando solo 23.000 frati, era potentissimo, poiché controllava i più prestigiosi istituti di istruzione superiore e gestiva la politica culturale del papato. Il primo sovrano a chiudere l'ordine fu quello portoghese nel 1759, ma prima che la decisione degli Stati diventasse corale (in Francia lo decise addirittura il parlamento contro la volontà di Luigi XV), fu lo stesso pontefice che nel 1773 sciolse la Compagnia. Stessa sorte la subirono altri ordini regolari, i cui appartenenti (che in genere arrivavano fino al 4% della popolazione nazionale) disponevano di terre vastissime, il cui rendimento era molto scarso.

Verso il 1740-50 si andò affermando il principio della tolleranza religiosa, quello secondo cui lo Stato doveva concepirsi in maniera tendenzialmente laica, evitando una preferenza esplicita verso questa o quella confessione. La Francia, p. es., dopo aver combattuto i calvinisti (ugonotti) in maniera vergognosa, si era risolta nel 1787 a riconoscere la libertà di culto, ripristinando l'editto di Nantes (1598), che Luigi XIV aveva abolito.

In compenso continuarono a essere perseguitati i protestanti nel regno sabaudo. Addirittura Carlo Emanuele III, per compiacere la chiesa che aveva scomunicato lo storico e il giurista pugliese Pietro Giannone, lo fece arrestare nel 1736 e lo lasciò in carcere fino alla morte nel 1748.

Con le riforme del diritto penale si superarono i grandi limiti della prassi inquisitoriale (p.es. la presunzione di colpevolezza, la tortura preventiva, la pena di morte...). Il famoso libro di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764), scritto insieme a Pietro Verri, venne messo all'Indice due anni dopo.

Nel Ducato di Parma-Piacenza fu molto forte lo scontro col papato. Il governo del premier francese Guillaume du Tillot non voleva saperne della vetusta bolla In coena Domini di Pio V (1568), con cui si colpiva di scomunica chi negava la superiorità della chiesa sui poteri civili. Egli si rifiutò di leggerla pubblicamente.

Il papa ovviamente lo scomunicò, ma lui, invece di preoccuparsi, espulse dal Ducato tutti i gesuiti, abolì il tribunale dell'Inquisizione e soppresse un gran numero di conventi. Nel 1770 il papa dovette rinunciare definitivamente alla bolla, ma con la nuova reggenza di Ferdinando di Borbone e l'arrivo di Maria Amalia d'Asburgo-Lorena, Guillaume du Tillot fu messo agli arresti domiciliari, andando poi a morire in Francia nel 1774.

Tuttavia il vero problema di queste riforme calate dall'alto, tentate e in parte riuscite, era che si limitavano soltanto alla sfera giuridica. Quando infatti prendevano in esame l'economia (p.es. nel caso di procedere alla requisizione dei beni degli enti ecclesiastici soppressi), si procedeva coi piedi di piombo, al punto che i beneficiari erano gli stessi nobili o, tutt'al più, la classe borghese, che acquisiva quei beni attraverso le aste pubbliche, anche se coi proventi ricavati da queste aste lo Stato provvedeva a compiere interventi sul piano assistenziale, sanitario, scolastico ecc. La situazione dei contadini restava drammatica, e anche quella degli operai, nelle poche manifatture esistenti, non era certamente migliore.

I sovrani illuminati volevano sì delle riforme, ma non troppo radicali. Ambivano a ridurre il potere politico della chiesa, ma senza riuscire a creare un consenso politico e sociale sufficientemente ampio. Le politiche anticlericali di questi sovrani solo molto parzialmente riuscirono ad assicurare una maggiore democrazia nei loro paesi. Per compiere un decisivo passo in avanti ci vorrà la rivoluzione francese.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 10/11/2015