L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


LA GUERRA DI CRIMEA (1854-55)

I bersaglieri alla battaglia della Cernaia in Crimea (Museo del Risorgimento di Roma)

Verso la metà del XIX sec. Francia e Inghilterra avevano quasi completamente soppiantato la Russia sui mercati del Vicino Oriente.

Lo zar Nicola I cercava ripetutamente di proporre alle due potenze europee dei piani di spartizione dell'impero ottomano, gravemente in crisi, ma non incontrava mai dei consensi espliciti, poiché si temeva un ingresso dei russi nel Mediterraneo e nei Balcani.

Il pretesto che fece scoppiare la guerra fu trovato in una disputa che divideva il clero cattolico da quello ortodosso nell'amministrazione dei cosiddetti "luoghi santi" di Gerusalemme, a quel tempo sotto il controllo politico turco.

Luigi Napoleone, divenuto nel 1851 imperatore di Francia col nome di Napoleone III, ardeva dal desiderio di rafforzare il proprio trono con una piccola guerra vittoriosa in oriente, e per questa ragione concluse un patto militare con gli inglesi.

Riguardo alla suddetta controversia egli intervenne per primo, andando a rispolverare la Capitolazione del 1740, che poneva sotto tutela francese gli interessi dei cattolici in Palestina.

La Russia, che dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, si sentiva legittima erede della civiltà bizantina, chiese al sultano di poter fare altrettanto coi cristiani di religione ortodossa dell'impero turco, ponendoli sotto la propria protezione.

Questa richiesta, interpretata dai turchi come un tentativo d'ingerenza nei loro affari interni, venne rifiutata, sicché i russi, per tutta risposta, occuparono la Moldavia e la Valacchia, sotto la sovranità ottomana, ma di religione ortodossa.

Lo zar Nicola I era convinto che i turchi non avrebbero scatenato una guerra per due regioni non islamiche, di scarsa importanza e col rischio, peraltro, di perdere ulteriori e più significativi territori. Era altresì convinto che non sarebbero intervenuti i sovrani d'Austria e di Prussia, suoi stretti alleati nel blocco reazionario (l'Austria di Francesco Giuseppe, peraltro, era stata aiutata in maniera decisiva proprio dalla Russia nel 1849, durante la rivolta d'Ungheria). Inoltre pensava che il primo ministro inglese Aberdeen, convinto assertore dei buoni rapporti con la Russia, avrebbe lasciato correre. Infine era convinto, per quanto riguarda i francesi, che con la fine della repubblica il nuovo imperatore Luigi Bonaparte (Napoleone III) non avrebbe ostacolato un impero conservatore come il suo.

Insomma lo zar sognava una grande alleanza europea contro i turchi, ai quali si potevano lasciare al massimo alcune terre asiatiche e africane. Gli inglesi si potevano prendere l'Egitto, Cipro o Rodi, i francesi Creta, i greci le isole dell'Egeo, i due stretti del Bosforo e dei Dardanelli sarebbero stati gestiti da Austria e Russia e Costantinopoli sarebbe divenuta una città libera.

Non aveva tuttavia considerato che verso l'inizio degli anni '50 Francia e Inghilterra tendevano a coalizzarsi contro l'espansionismo russo e volevano anch'esse egemonizzare i traffici commerciali con l'oriente. Il regime francese non era dinastico-aristocratico come quello russo, ma borghese, e non aveva alcun interesse a difendere lo status quo del Congresso di Vienna. Quanto agli inglesi, la loro volontà di penetrare nel Vicino Oriente temeva d'incontrare ostacoli insormontabili da parte dei russi. E l'Austria molto difficilmente avrebbe accettato un'egemonia russa nei Balcani. La diplomazia negli anni 1852-53 non sortì alcun effetto concreto.

Sicché l'esercito zarista nel luglio 1853 occupò i principati danubiani di Moldavia e Valacchia, intenzionata a entrare anche nella parte settentrionale della Bulgaria. Lo zar chiese agli austriaci di occupare l'Erzegovina e la Serbia ma non lo fecero.

Appena scoppiò il conflitto russo-turco e i russi cominciarono ad avere la meglio (dal 3 luglio al 30 novembre 1853), la flotta anglo-francese entrò nel mar di Marmara (gennaio 1854), pronta a dar man forte ai turchi. Nello stesso tempo venivano intraprese trattative fra i governi inglese, francese, austriaco, prussiano e svedese per realizzare una coalizione antirussa, con l'obiettivo non tanto di por fine allo zarismo, ch'era un solido bastione contro la democrazia, quanto piuttosto di limitarne l'influenza nei commerci con l'oriente e più in generale sui mari.

Le pressioni austriache infatti sortirono l'effetto di indurre i russi a lasciare i Balcani e a concentrare le operazioni belliche nella sola Crimea. La Moldavia e la Valacchia furono occupate dagli stessi austriaci col consenso turco, i quali intervennero soltanto dopo che inglesi e francesi avevano loro assicurato che durante la guerra gli italiani non ne avrebbero approfittato per cacciarli dal Lombardo-Veneto.

L'atteggiamento dei francesi mise in difficoltà il governo sabaudo, perché contava proprio su loro per liberarsi degli austriaci nella penisola. Cavour si trovava a dover dare ragione ai mazziniani, che non nutrivano alcuna fiducia in Napoleone III.

I primi contingenti del corpo di spedizione alleato (circa 50.000 effettivi) sbarcarono tra aprile e maggio sulle coste della Crimea, dove c'era un deposito di materiale bellico di una certa importanza (da lì erano poi convinti di poter distruggere la flotta russa), ma il 30% di loro fu subito colpito da un'epidemia di colera. Le truppe anglo-francesi alla fine del conflitto arriveranno a circa 405.000 effettivi.

Durante l'estate la flotta anglo-francese attaccò alcune città costiere russe del Baltico, del mar Bianco e dell'oceano Pacifico: erano forme diversive per impedire allo zar di concentrare il grosso delle proprie truppe in Crimea.

L'esercito russo infatti, che disponeva di circa 700.000 uomini, era frantumato su più fronti: Polonia, Austria, Mar Nero, Mar di Azov e Caucaso. In Crimea, nel settembre 1865, i soldati dello zar erano circa 51.000, contro i 60.000 delle forze europee.

I russi non erano in grado di fronteggiare le forze anglo-francesi, per una serie di ragioni tecniche:

  1. i vascelli che usavano erano ancora a vela, mentre il nemico li aveva a vapore, per di più protetti da piastre di ferro prodotte dalla nuova siderurgia;
  2. non avevano cannoni a canna rigata ma liscia, con una gittata tre volte inferiore;
  3. i fucili non avevano l'efficienza (cioè la precisione e la gittata) di quelli del "sistema Minié", con capsula, cartuccia e pallottola;
  4. non usavano la ferrovia per il trasporto delle truppe, dei viveri, delle armi...;
  5. non usavano il telegrafo per le comunicazioni;
  6. non disponevano di riserve addestrate per il completamento dell'esercito operante;
  7. di rilievo, sul piano tecnico, fu soltanto, da parte russa, l'uso delle prime mine marittime.

La ritirata dell'esercito russo convinse le forze alleate ad attaccare Sebastopoli, una base navale militare molto importante.

La città, con un esercito di circa 10.000 uomini al massimo, resistette 349 giorni ai 60.000 che l'avevano posta inizialmente sotto assedio e che arriveranno a raggiungere le 170.000 unità (anche in forza del nuovo alleato: il regno di Sardegna, le cui truppe giunsero a Balaclava nel maggio 1855). La difesa della città, da parte di semplici soldati e marinai, che suscitò ammirazione in tutta la Russia, fu immortalata dai Racconti di Sebastopoli di Tolstoj.

L'incapacità dell'esercito russo di passare alla controffensiva portò lo zar Nicola I alla disperazione e probabilmente al suicidio: le trattative dell'armistizio furono prese dal figlio Alessandro II, il quale comunque era riuscito a bloccare le forze alleate sul Caucaso.

A dir il vero lo zar avrebbe voluto continuare la guerra, ma ne fu dissuaso dalle rivolte dei contadini che mal sopportavano il servaggio ancora imperante e che rifiutavano decisamente la coscrizione obbligatoria. Se l'avesse continuata probabilmente avrebbe avuto la meglio, in quanto l'amministrazione bellica anglo-francese lasciava molto a desiderare: il colera, le infezioni, il freddo, gli stenti fecero molte più vittime delle stesse battaglie (quasi dieci volte di più), e l'organizzazione relativa alla logistica e ai rifornimenti era totalmente inadeguata.

Praticamente i piemontesi intervennero su richiesta degli inglesi, i quali volevano impedire ai francesi di sostenere quasi da soli tutto il peso della guerra (in Inghilterra non esisteva la coscrizione obbligatoria e non era facile trovare truppe fresche da mandare in Crimea). E le truppe austriache non arriveranno mai in Crimea.

Cavour aveva deciso di entrare in guerra solo ad alcune condizioni anti-austriache, ma gli anglo-francesi erano disposti al massimo a prestare ai Savoia un certo importo per coprire le spese della spedizione militare. Di fronte alle sue perplessità reagì con vigore il re Vittorio Emanuele II, che voleva assolutamente la guerra, anche a costo di far dimettere Cavour, il quale peraltro proprio nel 1853 aveva rischiato di essere ucciso a causa della sua politica di abbassamento dei dazi che, in quel periodo di carestia, aveva soltanto favorito la concorrenza straniera. Fu così che Cavour, per non essere estromesso dal governo, si decise a entrare in guerra senza condizioni.

I partiti liberal-democratici disapprovarono nettamente questa decisione, proprio perché in questa maniera l'Italia si trovava alleata col suo peggior nemico: l'Austria. Tutti erano convinti che l'Italia non avesse alcunché da guadagnarci in oriente, essendo quello un territorio su cui volevano esercitare mire imperialistiche delle nazioni e degli imperi ben più potenti di una penisola che non era neppure unificata. Cavour quindi si giocava il suo futuro e la possibilità, in caso di vittoria, di poter ottenere qualcosa, sul tavolo delle trattative, a favore dell'Italia.

Il contingente italiano era di 18.000 uomini, poco meno di quello inglese, mentre i turchi non superavano le 60.000 unità: la somma di questi contingenti non superava comunque quello francese, che arrivava a 150.000 militari.

Nel febbraio 1856 fu concluso l'armistizio, nonostante che inglesi e piemontesi volessero continuare la guerra (quest'ultimi erano stati impegnati solo nella battaglia della Cernaia). I delegati di Russia, Austria, Francia, Inghilterra, Turchia, Sardegna si riunirono a Parigi per elaborare il trattato di pace.

L'Inghilterra chiedeva il distacco della Russia dal Caucaso e il divieto di tenere una flotta sia sul mar Nero che sul Baltico. L'Austria invece pretendeva la Moldavia, la Valacchia e la Bessarabia meridionale.

Alla fine prevalsero le proposte della Francia: la Russia garantiva l'indipendenza e l'integrità dell'impero ottomano; su Moldavia e Valacchia, tornate al sultano, si stabiliva un protettorato delle grandi potenze europee; la navigazione delle navi mercantili sul Danubio fu dichiarata libera e a tale scopo si pretese il distacco della Bessarabia meridionale dalla Russia; il mar Nero veniva dichiarato "neutrale", nel senso che alla Russia e alla Turchia si vietava di tenervi una flotta da guerra e basi navali, e in tempo di pace solo le navi da guerra turche potevano attraversare gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo; furono restituiti i restanti territori tolti, durante la guerra, alla Russia; quest'ultima ovviamente doveva rinunciare a qualunque pretesa sui cristiani ortodossi dell'impero turco.

L'Italia ottenne soltanto una vittoria morale, in quanto poté dimostrare che la situazione catastrofica in cui essa si trovava era dovuta essenzialmente alla presenza ingombrante dell'impero austriaco.

In sintesi si può dire che l'influenza internazionale dello zarismo, quale baluardo della reazione europea, fu notevolmente scossa dalla sconfitta in Crimea. Ormai i nuovi gendarmi internazionali della reazione erano diventati Francia, Inghilterra e Austria.

In Russia la sconfitta dello zarismo aggravò la crisi del servaggio e accelerò la maturazione di una situazione favorevole allo sviluppo del capitalismo.

Nei Balcani la guerra aveva suscitato una nuova ondata di lotte per l'indipendenza dal giogo turco. Negli anni 1856-61, proprio con l'appoggio della Russia, avvenne l'unificazione dei principati danubiani di Moldavia e Valacchia nello Stato unitario rumeno, che solo nominalmente riconosceva la sovranità turca.

Vent'anni dopo, nel corso della guerra franco-prussiana del 1870-71, la Russia riuscì a riottenere il diritto di avere una flotta da guerra nel Mar Nero, con cui si preparava ad appoggiare i popoli balcanici intenzionati a liberarsi del giogo turco. Nel 1875-76 scoppiarono infatti delle insurrezioni in Bosnia, Erzegovina, Serbia, Montenegro e Bulgaria.

La nuova guerra russo-turca iniziò nell'aprile 1877, svolgendosi contemporaneamente su due fronti: balcanico e caucasico. Alleato della Russia fu lo Stato rumeno. In meno di un anno l'esercito russo, dopo aver occupato Plevna, Kars, Sofia, Filippopoli e Adrianopoli, giunse alle porte di Costantinopoli e qui, invece di proseguire, accettò di firmare il trattato di pace di Santo Stefano (1878), con cui si assicurava piena indipendenza a Romania, Serbia e Montenegro, mentre la Bulgaria restava un principato autonomo, formalmente dipendente dall'impero Ottomano. A Bosnia ed Erzegovina veniva concessa l'autonomia amministrativa. La Russia riottenne parte della Bessarabia e si prese Kars, Batum e altre città.

Un bottino assai magro, visto e considerato che contro i turchi aveva agito praticamente da sola. Infatti ne approfittarono subito l'Inghilterra e l'impero austro-ungarico che, appoggiati dalla Germania, costrinsero il governo zarista ad accettare, sempre nel 1878, col nuovo trattato di Berlino, che la Bulgaria venisse suddivisa in tre parti, di cui due restavano sotto la piena sovranità turca, mentre Bosnia ed Erzegovina furono affidate all'amministrazione austro-ungarica.

CAVOUR E LA POLITICA ESTERA: L'INTERVENTO IN CRIMEA

Cavour realizzò il suo programma di portare il Piemonte al rango di Stato-guida nel processo di unificazione nazionale con una politica estera abile e diplomatica. L'occasione per fare assumere al Piemonte un ruolo nei giochi d'equilibrio che le grandi potenze compivano in Europa fu data dalla guerra di Crimea (1853-1856). Si trattò di un episodio che rimise in moto la competizione e la conflittualità tra gli Stati che ambivano al predominio nell'Europa. La guerra rappresentò un momento della cosiddetta “questione d'oriente”: la disgregazione, ormai in atto, dell'Impero ottomano poneva agli Stati europei il problema di una spartizione dei territori ad esso soggetti, primo fra tutti il territorio balcanico.

Ad iniziare le ostilità fu lo zar di Russia Nicola I che occupò i principati danubiani di Moldavia e Valacchia (l'odierna Romania) appartenenti all'Impero ottomano. Scoppiata così la guerra, Francia e Inghilterra scesero subito in campo contro la Russia assolutista e semifeudale, pronte ad impedire un suo allargamento territoriale nell'area balcanica. Direttamente interessata alle sorti dei Balcani, ma timorosa di mettersi a fianco delle tradizionali nemiche (Francia e Inghilterra), l'Austria ostentò una neutralità che tuttavia le consentì di occupare, col consenso del sultano turco, i due principati danubiani abbandonati dalle truppe d'occupazione russe.

Fu a questo punto che si inserì la diplomazia piemontese: Cavour, che non aveva previsto la neutralità austriaca, si era adoperato per stringere accordi con Francia e Inghilterra in vista di una comune azione contro Austria e Russia; e si trovò costretto a prendere parte al conflitto sollecitato dagli alleati che avevano anche l'interesse di garantire all'Austria che, se fosse intervenuta al loro fianco, nulla sarebbe accaduto alle sue spalle, cioè in Italia. Tuttavia Cavour ritenne che l'intervento piemontese, pur nella mutata situazione, fosse opportuno, ed i fatti successivi gli diedero ragione.

Così un corpo di spedizione di 18.000 uomini al comando del generale Alfonso La Marmora partì, verso la metà del 1855, per la Crimea (dove appunto si svolgeva il conflitto e prese parte alla battaglia della Cernaia ed all'assedio di Sebastopoli, la potente piazzaforte russa che resistette circa un anno all'assedio delle truppe anglo-franco-piemontesi).

L'obiettivo che Cavour si prefiggeva era la partecipazione del Piemonte alle trattative di pace e la conseguente possibilità di porre le condizioni dell'Italia sul tappeto degli interessi generali delle potenze europee. Ciò avvenne al Congresso di Parigi dove, caduta Sebastopoli, i rappresentanti delle potenze europee si riunirono per le trattative di pace (1856).

Il gioco di Cavour era perfettamente riuscito: come rappresentante del piccolo Stato piemontese egli sedeva, a parità di rango, accanto a quelli di Francia, Inghilterra, Austria, Russia, e poteva illustrare, in una seduta suppletiva chiesta ed ottenuta, nonostante le proteste austriache, le penose condizioni di soggezione e vassallaggio in cui le popolazioni del Lombardo-Veneto e dell'Italia meridionale erano tenute dagli Asburgo e dai Borboni. La questione italiana era posta come qualcosa di cui l'Europa progressista doveva in qualche modo occuparsi. Oltre a ciò, con la partecipazione al Congresso di Parigi, il Piemonte si guadagnò definitivamente, agli occhi del movimento liberale italiano, il ruolo di protagonista della lotta contro l'Austria.

La guerra di Crimea aveva peraltro reso Napoleone III arbitro della politica europea. L'isolamento dell'Austria, la sconfitta dell'iniziativa russa, l'alleanza con l'Inghilterra, davano all'imperatore dei Francesi la possibilità di portare a compimento l'influenza francese sull'Europa appoggiandosi ai movimenti nazionali.

In questo quadro Francia e Piemonte firmarono a Plombières, nel luglio 1858, un trattato segreto di alleanza antiaustriaca. L'alleanza fu resa possibile dal fatto che la politica di Cavour aveva dato ampie garanzie alla Francia di muoversi su un piano antidemocratico (vedi le dure polemiche del Cavour contro Mazzini e i suoi metodi insurrezionali).

Gli accordi segreti di Plombières riguardavano l'assetto da dare al territorio italiano dopo una eventuale vittoria sull'Austria, contro la quale l'imperatore si impegnava a scendere in campo accanto al Piemonte soltanto se quella avesse dichiarato per prima la guerra. Si prevedeva una confederazione di Stati italiani comprendente il regno dell'Italia settentrionale (Piemonte, Lombardo-Veneto, Romagna, Emilia) su cui avrebbe regnato la dinastia sabauda, un regno dell'Italia centrale, da assegnare ad un principe francese ma che al proprio interno avrebbe consentito il mantenimento dell'autorità pontificia sulla città di Roma, ed il regno dell'Italia meridionale dove, ai Borboni spodestati, sarebbe succeduto un discendente di Gioacchino Murat.

Nizza e la Savoia, due province del Regno di Sardegna confinanti con la Francia, costituirono il compenso chiesto al Piemonte dall'imperatore in cambio del suo intervento.

Queste condizioni, dettate da Napoleone III, vennero accettate da Cavour, convinto che il processo di unificazione nazionale avrebbe avuto tempi più lunghi di quanto pensassero i democratici e tutto il movimento unitario, e che al Piemonte fosse possibile assumere un ruolo dominante nella confederazione italiana. Da parte francese vi era tutta l'intenzione di porre sotto la propria egemonia gli Stati italiani confederati. Ma questa intenzione si scontrerà molto presto con l'iniziativa garibaldina.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 11/03/2015