L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


IL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NAZIONALE E RIVOLUZIONARIO ITALIANO

I - II

Lo sviluppo economico dell’Italia nella prima metà del XIX secolo procedeva lentamente, frenato com’era dalla divisione politica del paese, dal giogo austriaco e dagli ordinamenti assolutistico-feudali. Solo la liberazione del paese dal dominio straniero, le trasformazioni democratiche e l’unificazione dell’Italia potevano aprire la strada al rapido sviluppo delle sue forze produttive.

IL RISORGIMENTO. LA "GIOVINE ITALIA"

Dopo il 1830 il movimento di liberazione nazionale entrò in Italia in una fase di sviluppo. Nel febbraio 1831 nei ducati di Parma e di Modena e nelle legazioni pontificie della Romagna scoppiarono delle rivolte e furono formati governi provvisori. A Bologna fu convocato un congresso di delegati di queste tre regioni.

Ma già nel marzo del 1831 le truppe austriache soffocarono il movimento rivoluzionario in queste regioni e restaurarono, nuovamente, i vecchi ordinamenti reazionari. La rapida eliminazione di queste manifestazioni rivoluzionarie si spiega in buona parte col fatto che le forze che le dirigevano, i liberali borghesi, non erano riusciti ad attirare nella lotta rivoluzionaria le masse contadine e avevano eluso la soluzione della questione agraria.

Nel 1831 un gruppo di emigrati politici italiani fondò a Marsiglia un’organizzazione che successivamente svolse un ruolo importante nella lotta per l’indipendenza nazionale e la unificazione politica dell’Italia. Fu l’associazione della "Giovine Italia", fondata dal democratico rivoluzionario borghese Giuseppe Mazzini (1805-1872). Figlio di un medico, ancora studente Mazzini entrò nella loggia dei Carbonari a Genova fu arrestato nel 1830 e quindi espulso dall’Italia. Mazzini, ardente patriota, dedicò tutta la sua vita alla lotta rivoluzionaria per la libertà e l’indipendenza dell’Italia, per la sua rinascita attraverso la rivoluzione.

La "Giovine Italia" si pose come suo compito l’unificazione dell’Italia in una repubblica indipendente democratico-borghese da formare con l’insurrezione rivoluzionaria contro il dominio austriaco. Mazzini fu appoggiato dalle forze progressiste della piccola e media borghesia e anche dagli intellettuali d’avanguardia.

Il programma della "Giovine Italia" rappresentava un passo avanti rispetto al programma dei Carbonari, la maggior parte dei quali non andava oltre la richiesta della monarchia costituzionale. Ma, incitando alla guerra di liberazione contro il giogo austriaco, Mazzini non avanzò un programma di profonde riforme sociali, la cui attuazione avrebbe potuto migliorare le condizioni dei contadini e attirarli nel movimento di liberazione nazionale. Mazzini era contrario alla confisca di tutte le grandi proprietà terriere per assegnarle ai contadini. Ed era errata anche la sua tattica di complotti e di moti ristretti, diretti dall’estero senza uno stretto legame con le masse, senza considerare se esistesse una situazione rivoluzionaria.

Fra i sostenitori iniziali di Mazzini si distinse Giuseppe Garibaldi (1807-82), figlio di un marinaio ed egli stesso marinaio, uomo di grande coraggio, devoto alla causa della liberazione del paese. Nel 1834 Garibaldi, condannato a morte per aver partecipato a un complotto rivoluzionario, emigrò in America, dove visse fino al 1848 combattendo per l’indipendenza delle repubbliche sudamericane.

L'ALA LIBERAL-MODERATA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE

Oltre all’ala democratico-rivoluzionaria si formò negli anni '40 l’ala liberal-moderata del movimento italiano di liberazione nazionale, che esprimeva le aspirazioni della grossa borghesia e dei circoli liberali della nobiltà.

Questi gruppi sociali avevano i loro piani di unificazione del paese, che si differenziavano nella sostanza dai piani avanzati dalla "Giovine Italia": i liberali borghesi o “moderati” speravano di risolvere il problema dell’unificazione italiana dall’alto; molti di essi vedevano la strada verso la liberazione del paese attraverso un accordo fra i governanti dei singoli Stati italiani.

Fra gli ideologi dell’ala moderata del movimento italiano di liberazione nazionale raggiunsero la massima notorietà l’abate Gioberti, autore del libro Del primato morale e civile degli italiani, e il conte Balbo, che pubblicò il libro Le speranze d’Italia. Gioberti propose un progetto di federazione degli Stati italiani sotto la direzione del papa e con la partecipazione dell’imperatore austriaco quale re del regno Lombardo-Veneto. Balbo sosteneva l’idea della federazione, ma riteneva che la Lombardia e le Venezie dovessero essere liberate dal dominio austriaco. Egli affermava che gli italiani con le proprie forze non sarebbero riusciti a liberare queste due regioni e riteneva necessario l’intervento delle "grandi potenze", in modo particolare dell’Inghilterra e della Francia. Tale posizione rispecchiava la sfiducia del partito dei liberali borghesi nelle forze del popolo.

Un altro pubblicista e dirigente politico italiano, il marchese Massimo d’Azeglio, era propenso alla creazione di un regno italiano unito con a capo la dinastia dei Savoia, che regnavano nel regno di Sardegna.

LO SVILUPPO DEL MOVIMENTO SOCIALE NEGLI ANNI 1844-47

L’insuccesso dei moti degli anni '30 non scoraggiò i rivoluzionari italiani. Alla metà degli anni '40 si delineò una nuova fase della lotta per l’unificazione e l’indipendenza italiana.

Anche se lento, tuttavia il notevole sviluppo economico, il rafforzamento del commercio interno, favorito tra l’altro dalla costruzione delle ferrovie, posero di nuovo il problema dell’avvicinamento politico e quindi della coesione degli Stati italiani. La lotta contro il giogo straniero era legata alla lotta contro la reazione interna, che ritardava la liberazione e l’unificazione del paese.

Nel 1844 due giovani ufficiali veneti della marina austriaca, i fratelli Bandiera, tentarono di organizzare una rivolta contro il regime di estrema reazione del regno di Napoli. Il governo inglese, venuto a conoscenza del complotto a Londra attraverso la scoperta di lettere indirizzate a Mazzini, avvisò le autorità napoletane, che si affrettarono a prendere le misure del caso. I fratelli Bandiera, sbarcati in Calabria, furono catturati e fucilati.

L’anno successivo avvenne una rivolta nella città di Rimini, che faceva parte dei possedimenti papali. Gli insorti rivendicavano alcune riforme liberali-borghesi: la formazione di consigli municipali o regionali elettivi, la designazione di sole persone laiche in tutti gli incarichi amministrativi, la limitazione della censura preventiva e il licenziamento dei corpi svizzeri. Ma la rivolta fu soffocata.

Il papa Pio IX, eletto nel 1846, uomo politico scaltro e ambizioso, che sognava di estendere la sua influenza su tutta l’Italia, cominciò ad effettuare riforme parziali, sperando in tal modo di conquistare popolarità nei circoli della borghesia liberale e nello stesso tempo di scongiurare l’ondata rivoluzionaria. A Roma fu così organizzata una consulta di stato, fu attenuata la censura, fu permessa la costruzione di ferrovie e furono amnistiati i detenuti politici. Queste riforme moderate incontrarono l’approvazione dei circoli liberali.

Il 1847 in Italia, come in molti altri paesi europei, segnò lo sviluppo del movimento rivoluzionario fra le masse lavoratrici, rafforzatosi a causa degli scarsi raccolti e della crisi industriale e commerciale. A Roma si svolsero ampie dimostrazioni popolari. Il movimento democratico era diretto dal piccolo commerciante Angelo Brunetti (noto col soprannome di Ciceruacchio), un patriota molto popolare fra il popolo.

Pio IX permise alla borghesia di organizzare la Guardia civica. Violente dimostrazioni di artigiani, piccoli bottegai, apprendisti disoccupati che chiedevano pane e armi avvennero a Firenze, Livorno e in altre città della Toscana.

Per indebolire il crescente movimento, il granduca di Toscana Leopoldo II incluse nell’autunno del 1847 alcuni liberali moderati nel governo e permise la creazione di una Guardia nazionale. Ma appena fu reso noto che nella Guardia non erano ammessi gli operai e gli artigiani, le rivolte ripresero.

Nel febbraio 1847 avvennero in alcune zone della Lombardia dei moti contadini, provocati dagli scarsi raccolti, dal rincaro del prezzi del pane e dall’aumento dell’esportazione. I contadini manifestarono anche contro i grossi proprietari terrieri, gli incettatori di frumento e le autorità austriache.

Un’aspra lotta contro gli occupanti austriaci divampò all’inizio del 1848 a Milano. Nelle strade della città avvennero scontri cruenti fra la popolazione e le truppe. Gli abitanti di Milano si rifiutarono a titolo dimostrativo di acquistare e fumare il tabacco, il cui commercio era monopolio statale dell’Austria.

Da Milano il movimento si estese a Venezia. Uno dei focolai del movimento rivoluzionario fu l’università di Pavia, che venne chiusa dalle autorità austriache. A Modena e a Parma, su richiesta dei governanti di questi ducati, giunsero truppe austriache per lottare contro il movimento popolare. Il sovrano del piccolo ducato di Lucca, spaventato dai moti rivoluzionari, abbandonò il potere, vendendo nel 1847 il suo Stato al governo della Toscana. Anche nel regno di Sardegna la situazione era tesa.

A Genova i dimostranti chiedevano l'abolizione della tassa sul sale e la consegna delle armi ai volontari per la lotta contro l’Austria. Re Carlo Alberto, per cercare di scongiurare la rivoluzione, concesse delle riforme, alternandole però a violente repressioni poliziesche.

A Napoli, re Ferdinando II concluse col governo austriaco un accordo segreto per avere aiuti militari per la lotta contro il movimento rivoluzionario, rafforzò la censura e vietò qualsiasi manifestazione. Il comitato clandestino dei rivoluzionari napoletani stabilì per il 1° settembre 1847 la data dell’insurrezione in tutto il regno, ma il complotto fu scoperto dalla polizia.

A Reggio gli insorti occuparono la fortezza cittadina e formarono addirittura un governo provvisorio. Ritirandosi verso le montagne della Calabria, sotto la pressione delle truppe un gruppo di rivoluzionari continuò la lotta; a questo gruppo si unirono molti contadini ma alla fine la rivolta fu soffocata con estrema crudeltà.

All’inizio del 1848 esisteva quindi in Italia una situazione rivoluzionaria che sarebbe esplosa di lì a poco.

L’INIZIO DELLA RIVOLUZIONE

In Italia i moti rivoluzionari del 1848 ebbero inizio con un movimento popolare in Sicilia. Le contraddizioni di classe erano in Sicilia particolarmente acute: i contadini senza terra e gli operai delle solfatare erano crudelmente sfruttati dai grandi proprietari e dai capitalisti. Negli anni '40, a causa delle carestie, la situazione delle masse lavoratrici era divenuta assolutamente insopportabile. Inoltre crebbe nei borghesi e nei nobili la aspirazione a una maggiore autonomia dell’isola e persino a una sua separazione dal regno di Napoli.

I1 12 gennaio 1848 scoppiò un'insurrezione popolare a Palermo. In aiuto ai cittadini insorti arrivarono i contadini, e la città si riempi di barricate. Le truppe napoletane furono sconfitte e il 26 gennaio abbandonarono Palermo. Il giorno seguente ebbe luogo a Napoli una dimostrazione di massa che chiedeva la concessione della Costituzione. Il re licenziò i ministri reazionari e affidò il potere ai rappresentanti della borghesia liberale moderata, e presto venne proclamata a Napoli la Costituzione.

In Sicilia si costituì un governo provvisorio formato dai rappresentanti della borghesia e della nobiltà liberali. Tutta l’isola, esclusa la fortezza di Messina (dove erano trincerate le truppe napoletane), riconobbe l’autorità del governo provvisorio.

Gli avvenimenti di Napoli e della Sicilia influirono sulla lotta politica che si svolgeva nelle altre parti d’Italia. Sotto la pressione del popolo nel regno di Sardegna e in Toscana nel marzo del 1848 venne concessa la Costituzione. Anche Pio IX fu costretto a concederla. Per la prima volta nella storia dello Stato Pontificio fu formato un consiglio di ministri del quale facevano parte persone non appartenenti al clero. La Costituzione dello Stato Pontificio, come anche quella di Napoli, del Piemonte e della Toscana, avevano però un carattere molto moderato.

Il 17 marzo, appena arrivata la notizia della rivoluzione a Vienna, ebbe inizio la lotta contro gli austriaci a Venezia. Il 22 marzo insorsero gli operai e i marinai dell’arsenale veneziano. Nello stesso giorno fu proclamata la ricostituzione della Repubblica indipendente di Venezia. Presidente della repubblica fu nominato Daniele Manin, avvocato e pubblicista.

Il 18 marzo a Milano scoppiò un’insurrezione armata che assunse immediatamente vaste proporzioni. Gli operai, i piccoli artigiani, i piccoli commercianti e anche i contadini delle campagne vicine ebbero un ruolo decisivo in questa insurrezione. Per 5 giorni vi furono nella città accaniti combattimenti tra il popolo insorto e le truppe austriache. Il 22 marzo queste ultime, guidate dal feldmaresciallo Radetzky, si ritirarono da Milano. Una popolazione di 170.000 anime, quasi disarmata, aveva battuto un esercito di 20-30.000 uomini. Il potere passò nelle mani di un governo provvisorio, composto da liberali moderati. La vittoriosa insurrezione di Milano servì come segnale per le insurrezioni in tutte le città e i centri abitati della Lombardia.

LA GUERRA DI LIBERAZIONE NAZIONALE CONTRO IL DOMINIO AUSTRIACO

La rivoluzione del 1848 in Italia era diretta non solo contro gli ordinamenti assolutistici, ma anche contro il dominio austriaco. Sotto la pressione delle masse popolari e degli strati progressisti della borghesia e della nobiltà il re del Piemonte (regno di Sardegna), Carlo Alberto, dichiarò guerra all’Austria il 23 marzo 1848. Quasi contemporaneamente furono costretti a dichiararsi pronti a entrare in guerra contro l’Austria i governi degli altri Stati italiani.

I battaglioni della Guardia nazionale e contingenti di volontari si recarono in Lombardia. Fra questi reparti dimostrò particolare coraggio quello dei volontari di Garibaldi, il quale, alla notizia dello scoppio della rivoluzione, era accorso in patria dall’esilio in Sudamerica.

Ma il blocco antiaustriaco che si era formato in Italia alla fine di marzo era molto fragile: esso era minato dalle gravi contraddizioni esistenti tra i governi dei vari Stati italiani. Conseguenze particolarmente funeste ebbe il comportamento del governo sardo, che indugiò a prestar aiuto armato alla Lombardia e non volle aiutare Venezia repubblicana.

IL PASSAGGIO ALL’OFFENSIVA DELLA CONTRORIVOLUZIONE. LA RIVOLUZIONE A NAPOLI

Il primo colpo al movimento nazionale di liberazione fu inferto dal papa Pio IX. Poiché il clero cattolico austriaco minacciava una scissione, il papa evitò in ogni modo di rompere con la monarchia degli Asburgo. Il 29 aprile Pio IX pubblicò una “Allocuzione” nella quale dichiarava che non era intenzionato a entrare in guerra contro l’Austria. Questa dichiarazione provocò a Roma un grande malcontento, e i circoli democratici chiesero che fosse formato un governo provvisorio e che fosse tolto il potere temporale al papa. Alla fine il papa fu costretto a formare un nuovo governo favorevole alla guerra, costituito da liberali moderati. Il governo dichiarò che truppe romane sarebbero state inviate in aiuto delle truppe di altri Stati italiani, ma si rifiutò di dichiarare ufficialmente guerra all’Austria.

A Napoli gli avvenimenti assunsero un carattere violento. Il 15 maggio, giorno della apertura del Parlamento napoletano, scoppiò un conflitto tra il re che chiedeva al Parlamento di giurare fedeltà alla Costituzione liberale moderata, e i deputati radicali che ne volevano un’ulteriore democratizzazione. Su ordine delle autorità entrarono nella città le truppe e in risposta a ciò il popolo cominciò a erigere le barricate. Le truppe passarono all’attacco e verso sera soffocarono l’insurrezione. Ebbe inizio un sanguinoso periodo di terrore: folle di “lazzaroni” anti-liberali (circa 20.000) facevano irruzione nelle case, saccheggiavano e uccidevano gli abitanti e compivano ogni sorta di violenze. La Camera dei Deputati fu sciolta, e il corpo napoletano inviato in Lombardia ricevette l’ordine di tornare immediatamente.

LE OPERAZIONI MILITARI NELL’ITALIA SETTENTRIONALE NELL’ESTATE DEL 1848

In Lombardia scoppiarono ampie agitazioni popolari che miravano alla liberazione dal giogo austriaco. Anzi, la Lombardia annunciò la sua unione con il Piemonte, e in seguito riconobbero il potere del re di Sardegna Parma e Modena e anche alcune province veneziane.

Intanto, il 28 maggio, vicino a Mantova, gli austriaci sconfissero le truppe piemontesi. Il 30 maggio, però, un corpo di 20.000 piemontesi respinse un attacco degli austriaci. La fortezza di Peschiera si arrese ai piemontesi.

Ma l'11 giugno gli austriaci presero Vicenza, senza incontrare quasi nessuna resistenza, e tre giorni dopo Padova. Nella battaglia decisiva di Custoza (23-25 luglio) le truppe piemontesi furono sconfitte e batterono in ritirata.

I milanesi, sotto la guida di un comitato formato da repubblicani, si prepararono alla difesa e costruirono barricate, ma il Piemonte non diede alcun aiuto ai milanesi. Il 6 agosto l’esercito austriaco guidato da Radetzky entrò in Milano, abbandonata a tradimento dalle truppe di Carlo Alberto (e aveva già tradito, in precedenza, i Carbonari, cui si era unito solo per ambizione, cioè per dimostrare che poteva essere lui a liberare la patria). Carlo Alberto era un sovrano particolarmente infido. Engels scriveva nella “Neue Rheinische Zeitung” (La lotta di liberazione in Italia e la causa del suo attuale insuccesso, 12/8/1848) che "Alla testa dell’esercito pose dei generali di cui non doveva temere la superiorità intellettuale o le opinioni politiche, ma che non godevano la fiducia dei soldati e non possedevano il talento necessario a condurre felicemente a termine la guerra. L’esercito piemontese fu tenuto fermo da lui mentre aveva ancora una netta superiorità numerica su quello austriaco, per timore delle tendenze repubblicane in Lombardia, nel Veneto, a Parma e Modena".

La prima fase della guerra di liberazione nazionale in Italia si concluse con la sconfitta degli italiani. Fra l’Austria e la Sardegna fu concluso un armistizio. Alla fine dell’agosto 1848 un numeroso esercito napoletano fu inviato in Sicilia: Messina fu violentemente bombardata per 5 giorni (da allora il re napoletano Ferdinando II fu chiamato “re bomba”).

LA NUOVA ASCESA DELLA RIVOLUZIONE. LA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA

Nell’autunno del 1848 si ebbe in alcune parti d’Italia una nova ascesa del movimento rivoluzionario. Il 15 novembre scoppiò un’insurrezione popolare a Roma; il conte P. Rossi, ministro degli interni, fu ucciso, e alcuni giorni dopo il papa fuggì nella fortezza napoletana di Gaeta. Nel gennaio del 1849 furono indette le elezioni dell’Assemblea costituente; la maggioranza dei seggi fu ottenuta dai liberali moderati, ma un notevole numero di seggi ebbero i democratici radicali.

L’Assemblea costituente, che inizio i lavori il 5 febbraio 1849, decise di porre fine al potere temporale del papa e il 9 febbraio proclamò la Repubblica Romana. In marzo fu posto a capo del governo della repubblica un triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi.

Il governo della Repubblica Romana fece una serie di riforme progressiste, di carattere democratico-borghese, tra cui la nazionalizzazione e la vendita di tutti i beni mobili e immobili degli ordini monastici, le cui proprietà costituivano la base economica del potere papale. Al posto dei tribunali ecclesiastici vennero creati tribunali civili e nell’interesse dei commercianti e degli industriali furono diminuiti i dazi doganali. Il governo eliminò alcune sopravvivenze feudali, come il sistema del maggiorascato, e abolì l’imposta sul macinato.

Ma le aspettative dei contadini che la nuova autorità avrebbe data loro in proprietà le terre dei feudatari furono deluse, perché essi non erano in grado di comperare le terre ecclesiastiche nazionalizzate. A causa della sua politica indecisa sulla questione agraria, il governo di Mazzini non seppe assicurare al regime repubblicano l’attivo appoggio di ampie masse di contadini; in alcune regioni i contadini, ingannati dalla propaganda controrivoluzionaria dei ricchi affittuari e degli agenti del papa, si opposero alla repubblica. Il governo della Repubblica Romana non prese alcuna misura decisiva contro la grande borghesia, che si rifiutava di pagare e sabotava le misure economiche del governo. Esso non trovò la forza di spezzare l’azione disgregatrice dei controrivoluzionari.

LA LOTTA RIVOLUZIONARIA IN TOSCANA

All’inizio del 1849 si ebbe in Toscana un nuovo slancio della lotta rivoluzionaria. Il 31 gennaio il granduca Leopoldo II, spaventato dalle grandi manifestazioni popolari di Firenze, abbandonò la capitale della Toscana. L’8 febbraio, nel corso di una affollata assemblea popolare, fu proclamata a Firenze la destituzione del granduca.

Nel governo provvisorio creato nello stesso giorno entrarono lo scrittore F. D. Guerrazzi e G. Montanelli. I circoli democratici toscani accolsero con calore la proposta dei repubblicani di Roma di unire i due Stati italiani, di creare un'unica Assemblea costituente di tutta l’Italia centrale e convocare una Costituente di tutta l'Italia. Ma i liberali moderati si opposero all’unione con Roma. L’Assemblea costituente toscana rimandò anche la proclamazione della repubblica e l’unione della Toscana con Roma.

LA RIPRESA DELLA GUERRA TRA IL REGNO DI SARDEGNA E L'AUSTRIA NEL 1849

Il 12 marzo 1849 il governo sardo, sotto la spinta dei circoli democratici, denunciò l’armistizio con l'Austria e riprese la guerra. Ma il governo di Carlo Alberto non voleva dare alla guerra un carattere nazionale; non chiese perciò aiuto ai repubblicani della Toscana, di Venezia e di Roma, e non fece alcun tentativo per sollevare una ribellione in Lombardia contro gli austriaci.

Il 20 marzo un esercito austriaco di 75 mila uomini passò all’offensiva. Il tradimento di un generale piemontese permise alle truppe austriache di attraversare il Ticino senza incontrare quasi alcuna resistenza; dopodiché le truppe piemontesi, che erano già entrate in Lombardia, ricevettero l’ordine di ritirarsi.

Il 22 marzo, nella battaglia di Novara, gli austriaci sconfissero le truppe di Carlo Alberto, che abdicò subito in favore del figlio e si ritirò in Portogallo. Il 26 marzo il nuovo re, Vittorio Emanuele II, concluse un armistizio con il comando austriaco. In alcuni centri della Lombardia le masse popolari opposero una coraggiosa resistenza al nemico.

Il 1° aprile, dopo un’accanita lotta durata dieci giorni, gli austriaci occuparono Brescia, reprimendo con estrema durezza l'insurrezione. A Genova, alla notizia della capitolazione dell’esercito piemontese, scoppiò un’insurrezione popolare, e fu creato un governo provvisorio che si preparò a riprendere la guerra contro l’Austria. Ma gli intrighi degli elementi controrivoluzionari facilitarono alle truppe regie la vittoria sui genovesi insorti. Il 6 agosto 1849 il regno di Sardegna firmò un trattato di pace con l’Austria, impegnandosi a pagarle una contributo.

LA SCONFITTA DELLA RIVOLUZIONE NELLE ALTRE PARTI D’ITALIA

La vittoria delle truppe austriache in Lombardia ebbe conseguenze anche sulle altre regioni d’Italia e prima di tutto sulla Toscana, dove i monarchici conducevano un'attiva propaganda nelle campagne. L’11 aprile vi fu a Firenze un moto controrivoluzionario appoggiato dai contadini armati che invasero la città. Pochi giorni dopo le truppe austriache invasero la Toscana, e insieme a esse tornò il granduca Leopoldo.

L’insuccesso della seconda fase della guerra di liberazione nazionale in Italia si rifletté anche sulla situazione della Sicilia. Il 29 marzo 1849 ebbero nuovamente inizio nell’isola le operazioni militari. Le truppe napoletane erano numericamente più del doppio di quelle siciliane. Il governo e il Parlamento, nei quali dominavano i borghesi liberali moderati e i liberali nobili, decisero di por fine alla lotta.

Le autorità abbandonarono Palermo, ma le masse popolari, guidate da gruppi di democratici rivoluzionati, difesero per alcuni giorni coraggiosamente la città. Le forze erano però impari, e l’11 maggio 1849 le truppe regie s'impadronirono di Palermo.

L’intervento di quattro Stati cattolici (Francia, Austria, Spagna e Napoli) portò alla repressione della rivoluzione nello Stato Pontificio e alla restaurazione del potere temporale del papa.

Alla fine dell’aprile 1849 un corpo di truppe francesi, guidate dal generale Oudinot, sbarcò a Civitavecchia e si diresse verso le porte di Roma, ma fu respinto e subì gravi perdite. Questo successo diede nuovo coraggio ai difensori di Roma, tra i quali si distinse il corpo dei garibaldini, che occupava le posizioni più importanti e pericolose. Al principio di maggio i garibaldini attaccarono le truppe napoletane che si avvicinavano a Roma, le sconfisse e le costrinse a retrocedere in fretta.

Altrove tuttavia le cose andavano ben diversamente. Le truppe austriache spezzarono la resistenza degli abitanti di Bologna; poco dopo cadde la fortezza di Ancona che aveva opposto eroica resistenza alle truppe austriache per 27 giorni.

Alla metà di maggio arrivò a Roma il diplomatico francese Ferdinand de Lesseps ed ebbero inizio le trattative per una pace tra la Francia e la repubblica. Ma queste trattative erano condotte da Luigi Bonaparte solo per ingannare l’opinione pubblica e guadagnare tempo. Coprendosi dietro le trattative, il corpo militare di Oudinot ricevette nuovi rinforzi dalla Francia, con cui le truppe francesi iniziarono una aperta offensiva su tutto il fronte.

I repubblicani romani opposero all’assalto nemico una resistenza straordinariamente tenace, ma alla fine le truppe francesi sfondarono la linea della difesa e il 1° luglio 1849 entrarono in Roma. La Repubblica Romana cessò così di esistere.

Dopo la caduta della Repubblica Romana restò solo un baluardo della lotta per la libertà e l’indipendenza in Italia, Venezia. L’impari lotta di questa città contro le truppe austriache, che l’avevano bloccata dal mare e dalla terra, durò 11 mesi. Gli attacchi violenti degli austriaci all’inizio del giugno 1849 furono respinti, e cominciò allora un furioso bombardamento della città, cui si unì la fame provocata dall’insufficienza delle riserve alimentari. Nella città scoppiarono epidemie di tifo e di colera che provocarono un gran numero di vittime. Tuttavia Venezia, pur non ricevendo alcun aiuto, continuò a combattere fino all’ultimo, e capitolò solo il 22 agosto 1849. L’ultimo focolaio della rivoluzione del 1848-49 fu così soffocato.

Il popolo italiano non riuscì a liberarsi dal giogo straniero, né ad eliminare gli ordinamenti monarchici e le sopravvivenze feudali, né a creare un unico Stato nazionale. Soltanto nel regno di Sardegna fu conservato un regime costituzionale che assicurava alla grande borghesia alcuni diritti politici.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 15/03/2015