LA RIFORMA PROTESTANTE

Dalla riforma della chiesa
alla nascita del capitalismo


QUESTIONI TEORETICHE

Rivolta contadina contro i feudatari (miniatura del XV sec.)

IL TEOREMA DI LUTERO

Praticamente il teorema di Lutero si riduce a poche affermazioni:

  • in forza del peccato d'origine l'uomo ha una colpa indelebile, che nessuna penitenza può cancellare;
  • per questa ragione, l'uomo deve vivere in una condizione di forte angoscia, sino alla fine dei suoi giorni, poiché non può sapere se Dio vorrà salvarlo nonostante il peccato.

Conseguenza di questo teorema:

  • vivere in uno stato di angoscia quotidiana è impossibile e
  • siccome tutto, in ultima istanza, dipende da Dio,
  • allora all'uomo è lecito comportarsi come meglio crede, affidandosi esclusivamente alla propria coscienza.

Lutero, che ha distrutto le istituzioni in nome della coscienza individuale, ha dovuto creare delle istituzioni ancora più forti, per impedire che il primato di tale coscienza rendesse impossibile qualunque convivenza sociale e civile.

La differenza fra Lutero e Kierkegaard sta proprio in questo, che mentre il primo non è riuscito a restare fedele ai suoi principi, il secondo, per restarvi fedele, ha dovuto scegliere la strada dell'irrazionalismo.

E così nei paesi protestanti l'individuo o si contrappone in maniera anarchica allo Stato o considera lo Stato come una sorta di demiurgo, cui prostrarsi senza discutere. Non c'è fra cittadino e Stato una vera società civile, che riduca le distanze, ma solo, a seconda dei casi, insofferenza o acquiescenza.

Lutero rifletteva il disagio di una società che di medievale ormai aveva soltanto il nome, in quanto, di fatto, si stava imponendo il criterio di vita borghese, basato sul profitto individuale.

Egli s'era reso conto che i valori medievali non riuscivano più a impedire lo sviluppo della prassi borghese. Ecco perché si convinse che l'uomo era irrimediabilmente peccatore. Egli aveva dato una risposta fatalistica (da intellettuale isolato) a un problema di carattere sociale, che andava affrontato in maniera sociale e politica.

Lutero, quando iniziò a fare politica, trasformò il proprio individualismo in un puntello della reazione feudale. Egli era così fatalista che, diversamente da altri leader protestanti, non si oppose neppure a tale reazione.

I LIMITI DI LUTERO

Perché la Germania di Lutero non abbracciò subito il capitalismo? Perché Lutero invitava alla sola emancipazione di coscienza, o quella intellettuale dall'oscurantismo della chiesa romana. Calvino invece pretese anche quella pratica, che fece appunto coincidere con l'attività economica borghese. Lutero era moderno nelle idee religiose, ma medievale nella considerazione della vita sociale. La sua liberazione dell'individuo doveva coincidere con quella della coscienza interiore (con il pensiero -dirà più tardi Hegel). Una volta costatata, contemplata l'oggettività delle cose, cioè la loro necessità, la loro inevitabilità storica (che Lutero faceva risalire direttamente a dio, e non ancora a un'astratta ragione, all'idea o allo spirito assoluto), l'uomo doveva sentirsi pago di sé.

Il luteranesimo porta inevitabilmente al fatalismo (e al culto dello Stato), poiché non ripone una particolare fiducia nel collettivo, cioè nelle masse popolari. Il contributo del luteranesimo è stato quello di aver liberato l'uomo dal peso di una tradizione culturale superata. Il limite nell'averlo liberato solo sul piano intellettuale e soggettivistico. Lutero ha avuto paura delle conseguenze delle sue stesse scoperte. Di qui il rifiuto di appoggiare Müntzer.

Zwingli, Serveto, Melantone e Calvino diedero maggior peso alla cultura umanistica, e meno a quella religiosa, perché erano più agnostici di Lutero. Essi sono decisamente rivolti al futuro (borghese) e restano legati alla religione o per un interesse di tipo politico (questo in Calvino è molto evidente), o per timore di forzare troppo i tempi. Nessuno di loro ha mai avuto l'idealismo di Lutero.

Zwingli, Serveto, Melantone e Calvino hanno cercato di attenuare l'idealismo religioso di Lutero, servendosi della cultura umanistica, cioè sostituendo il misticismo col razionalismo, ma nessuno di loro, sul piano laico, ha mai raggiunto le vette che Lutero raggiunse sul piano religioso. Anche questo era un segno di quei tempi. Solo nell'Italia umanistica e rinascimentale si poteva fare di meglio, ma gli intellettuali italiani non avevano rapporti con le masse, che consideravano troppo "cattoliche". Nessuno dei seguaci di Lutero è mai stato così radicale da abbandonare ogni riferimento di metodo alla religione, neppure dopo che la loro riforma conseguì i successi sperati.

Resta comunque significativo che la riforma del luteranesimo (pur condotta in modi diversi) abbia portato ad un'accentuazione del lato ateistico della cultura umanistica (a prescindere dalla volontà degli stessi riformatori). Lutero dunque, sul piano religioso, può essere considerato come l'iniziatore più importante di quel moderno processo di secolarizzazione che porta all'ateismo.

PROTESTANTESIMO E COSCIENZA DEL PECCATO

Una delle più grossolane ingenuità del luteranesimo è stata quella di aver accentuato la "coscienza del peccato" nella convinzione che in tal modo il credente protestante si sarebbe comportato meglio, sul piano morale e della condotta personale, rispetto al credente cattolico (la cui moralità dipende anzitutto -oggi come allora- dall'obbedienza alla gerarchia).

Il risultato della teoria della "coscienza del peccato" è stato opposto a quello voluto: il protestante cioè, convinto di non avere in sé la forza sufficiente per compiere il bene (in quanto irrimediabilmente impedito dal "peccato d'origine" che grava, come una condanna, sulla coscienza di ogni uomo, e quindi sulla stessa capacità di compiere il bene, e che si esprime, a livello fenomenico, nell'egoismo sociale della società divisa in classi), affida interamente alla "grazia di dio" il compito di salvarlo, riservando a se stesso quello di costruire una morale positiva sulla base della volontà soggettiva. Di qui l'inevitabile individualismo del protestante, unito a una sorta di fatalismo "etico" (che poi lo porterà a credere ciecamente nelle istituzioni).

Il protestantesimo, rispetto al cattolicesimo, è una forma d'ingenuità (la fede della libertà nell'interiorità, a prescindere dalle condizioni esterne), mentre il cattolicesimo, rispetto all'ortodossia, è una forma di malizia (la fede della libertà nell'esteriorità: potere politico, economico ecc., a prescindere dalle condizioni interne).

In tal modo Lutero, proprio mentre cercava di rendere migliore l'uomo, gli toglieva i mezzi per poterlo diventare, cioè quei mezzi sociali e politici (comunione dei beni, uguaglianza sociale ecc.) che aiutano a trasformare la realtà, e che la chiesa cattolica, da sempre, si ostina a indicare nella mera obbedienza alla gerarchia.

Il protestantesimo non ha fatto altro che legittimare sul piano etico-religioso (l'idealismo lo farà su quello filosofico-politico) una prassi, quella dello sfruttamento individuale (nobiliare o borghese che fosse), sottraendolo al peso di un giudizio (ecclesiale, pubblico) di condanna morale. Il calvinismo, in particolare, ha sottratto la prassi borghese a qualunque giudizio etico.

Al borghese il calvinismo concede qualunque cosa, riservandosi di riprenderlo moralmente quando l'abuso è già stato commesso e ha avuto una rilevanza sociale. Il calvinismo è la religione dell'ultima ora, quella che si può utilizzare nei momenti più drammatici (come la morte, una grave malattia, una condanna penale o una catastrofe naturale, sociale, militare...).

SUL CONCETTO DI PREDESTINAZIONE

Il protestantesimo, soprattutto nella sua forma calvinistica, perse molta della propria rigorosità e specificità etico-religiosa man mano che le sue fila s'infoltirono di elementi borghesi. La borghesia infatti era in grado di assicurare sul piano giuridico quell'uguaglianza formale che i teorici della Riforma pretendevano di garantire, in modo non meno formale, sul piano religioso, con il concetto appunto di "coscienza del peccato". (Il cattolicesimo invece garantiva l'uguaglianza nell'obbedienza alla gerarchia).

Lo sviluppo borghese del protestantesimo non è solo una diretta conseguenza delle teorie del "libero esame" e del "sacerdozio universale", ma è anche una indiretta conseguenza della teoria sulla "predestinazione", che apparentemente sembrava la più lontana dall'ottimismo borghese.

Il concetto luterano di predestinazione non ha nulla a che vedere con gli analoghi concetti che avevano le religioni precristiane. Ad es. presso gli aztechi esso era un concetto religioso che doveva infondere sentimenti di rassegnata fiducia nella bontà divina, e comportava una prassi abitudinaria, rigorosamente determinata dalla legge.

Viceversa, nel protestantesimo (soprattutto nel calvinismo) lo stesso concetto è caratterizzato da un certo ateismo, poiché la prassi ch'esso suscita è materialistica (capitalistica, se si considera il contesto storico). Il borghese protestante cioè si sente destinato o alla salvezza o alla condanna e, in virtù di tale consapevolezza, egli acquisisce il senso della relatività delle cose, dei valori. Il concetto di "valore di scambio" (come antitesi al "valore d'uso") poteva emergere solo in una cultura di tipo protestante.

Di qui la decisione del borghese calvinista di vivere la vita con assoluta libertà d'iniziativa. Il suo dio è del tutto soggetto a un ragionamento di tipo logico e individualistico. Il fatto è che se l'uomo è predestinato alla salvezza o alla condanna, diventa ad un certo punto irrilevante il suo comportamento sulla terra, anche se l'idea originaria di Lutero era proprio quella d'indurre nel soggetto, incerto sulla propria fine ultraterrena, un sentimento di angoscia esistenziale e di scrupolo religioso. Lutero non poteva immaginare una conseguenza del genere, ma essa è implicita nella sua teoria.

Inevitabilmente, il borghese, essendo legato a un'attività economica la cui riuscita è inversamente proporzionale al livello etico di responsabilità con cui la gestisce, diventa il tipo ideale di quella fede religiosa non più sicura di sé e che però vuole togliere a chiunque ogni sicurezza etica e religiosa. Se manca l'oggettività del giudizio, in quanto tutto è rimesso alla "volontà di dio", il borghese si sente autorizzato ad agire come meglio crede.

L'indifferenza ideologica della borghesia in materia di religione (nel senso che il borghese non crede nell'oggettività del giudizio), la si può riscontrare anche in questo singolare fatto, che i Paesi europei più calvinisti nella pratica (Francia, Inghilterra...), erano anche quelli che, ufficialmente, continuavano a professare il cattolicesimo.

PROTESTANTESIMO E LAVORO

Perché il protestantesimo ha dato così tanta importanza al lavoro? Perché quando si afferma l'individualismo e quindi la fine della comunità cristiana, l'unico modo che l'individuo ha di sopravvivere senza cadere nella miseria è quello di lavorare duramente, anche a costo di rinunciare alla propria dignità umana.

Il protestantesimo, sotto questo aspetto, ha saputo magnificamente legittimare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Col primato assegnato al lavoro, il credente veniva a trovare la propria identità nel guadagno accumulato, cioè nella possibilità di acquistare dei beni di consumo, o comunque nella sicurezza di non aver bisogno dell'altrui solidarietà.

Quando nel Genesi si dice, all'Adamo peccatore: "Lavorerai col sudore della tua fronte", s'intende proprio questo, che il lavoro, nell'ambito di un sistema antagonistico, diventa nello stesso tempo fonte di ricchezza e attività incredibilmente faticosa, appunto perché svolta secondo criteri individualistici.

UN'UNICA EUROPA PROTESTANTE

Uno storico dovrebbe considerare come altamente probabile l'ipotesi che se la Spagna non fosse diventata feudale in un momento in cui le altre nazioni stavano diventando capitalistiche, e se non avesse avuto la fortuna di scoprire e di poter saccheggiare impunemente un nuovo continente, fornendo così la base materiale e finanziaria alle idee retrive e neo-feudali di Carlo V e Filippo II, la Controriforma non ci sarebbe neppure stata, o non avrebbe avuto una chiusura integralistica così fanatica, una forza politica così aggressiva nella penisola iberica, in Italia, nell'impero austro-ungarico e in altri Stati ancora.

In luogo di un'Europa divisa in due religioni avremmo avuto un'unica Europa protestante, nel senso che il cattolicesimo avrebbe fatto la fine dell'ortodossia in occidente. Naturalmente le nazioni cattoliche sarebbe state colonizzate da quelle protestanti. Non bisogna infatti dimenticare che tutte le guerre di religione condotte sulle terre protestanti, sarebbero state facilmente vinte dai protestanti se i cattolici non avessero potuto beneficiare dell'oro americano. Una volta vinta la guerra di religione, le forze protestanti e capitalistiche avrebbero inevitabilmente occupato le terre cattoliche e feudali (come poi in effetti cercheranno di fare, prima degli Stati Uniti, la Francia e l'Inghilterra).

CATTOLICESIMO, PROTESTANTESIMO E CAPITALISMO

La Scolastica è una filosofia cristiana che pur avendo rotto completamente con la tradizione del pensiero patristico, non portò alla nascita del capitalismo. Questo perché sul piano politico essa è sempre stata una filosofia conservatrice.

La Scolastica ha rappresentato una laicizzazione del cristianesimo, sul piano culturale, ma senza riuscire a mettere in discussione l'autorità politica del papato. 

Perché invece il protestantesimo ebbe la forza politica di porsi in alternativa all'autorità politica del papato? Semplicemente perché la Scolastica aveva aperto, sul piano della riflessione filosofica, delle porte così importanti che non era più possibile tenerle chiuse con l'autoritarismo clericale.

E' dunque stato il cattolicesimo-romano che ha spianato, a livello culturale, la strada alla radicalizzazione protestantica, anche se i frutti di questo lavoro intellettuale gli si sono rivoltati contro sul terreno politico. Non dobbiamo infatti dimenticare che uno dei grandi "meriti" del cattolicesimo, ai fini della realizzazione del capitalismo ("meriti" quindi del tutto inintenzionali), è stato quello di aver rotto i ponti, seppur non in maniera radicale, con la tradizione comunitaria del mondo ortodosso.

Cos'è che fa diventare "borghese" una persona religiosa? E' la crisi della sua stessa religione. Ma perché questa persona diventi veramente "borghese", senza soluzione di continuità, cioè non aspiri soltanto a diventarlo o non lo diventi solo per un breve periodo di tempo, è necessario che mille, diecimila persone religiose diventino, più o meno contemporaneamente, "borghesi". E perché ciò accada occorre che la crisi della religione sia acuta, profonda, assolutamente irrisolvibile con mezzi e metodi tradizionali.

Ecco perché il capitalismo, prima di affermarsi con successo, a partire dal sec. XVI, su ogni altra formazione sociale, ha avuto bisogno di almeno mezzo millennio di gestazione. Come ne ebbe bisogno il cristianesimo, prima di diventare con Teodosio, la religione di stato. Il cattolicesimo-romano ha avuto il suo ruolo decisivo per tutto il basso Medioevo.

Le prime forme di capitalismo commerciale sono nate in Italia, nell'ambito comunale, ma l'incapacità di trasformare queste forme in un'occasione di battaglia politica radicale contro il papato, ha fatto sì che quest'ultimo riuscisse a frenare lo sviluppo capitalistico dell'Italia per molti secoli. Evidentemente il cattolicesimo italiano aveva già fatto abbastanza...: i suoi sforzi colossali di por fine all'esigenza comunitaria di liberazione (ribadita, per un certo tempo, dai movimenti ereticali) dovevano essere ereditati da quella parte di cattolicesimo che, per tradizione, era rimasto più legato all'individualismo del paganesimo.

Per realizzare un sistema capitalistico vero e proprio occorre che venga rivoluzionato il modo di produzione, non è sufficiente l'espansione dei commerci. Nel basso Medioevo l'Italia fu una grande potenza commerciale, ma questo non le fu sufficiente per trasformarsi in nazione capitalistica: il primato produttivo spettò sempre all'agricoltura. Il capitalismo commerciale fu tollerato dal potere costituito (clerico-nobiliare) appunto perché sul piano produttivo dominava l'agricoltura feudale.

Quando i commerci si furono sviluppati al punto da rendere quasi inevitabile una Riforma protestante, la chiesa passò al contrattacco, sferrando un colpo demolitore con la Controriforma, che fece ripiombare improvvisamente l'Italia nel buio del peggior integralismo politico-religioso.

In Italia ci fu la Controriforma prima ancora di qualunque Riforma. Ci furono, è vero, correnti ereticali, movimenti culturali laici, progressi tecnico-scientifici, filosofie più o meno agnostiche..., ma tutto ciò non riuscì a coagularsi attorno a un progetto politico rivoluzionario anti-feudale (almeno sino alla metà del XIX secolo). Ecco perché la chiesa romana poté avere la meglio sulla nazione più sviluppata d'Europa.

Gli intellettuali più progressisti non seppero organizzare una Riforma religiosa popolare semplicemente perché avevano sopravvalutato le forze del loro sviluppo culturale e sottovalutato le forze retrive della chiesa romana.

In virtù di questa sconfitta oggi sappiamo che per rivoluzionare il modo di produzione di una qualunque società occorre una rivoluzione culturale che rompa progressivamente i ponti col passato e una politica che ad un certo punto li rompa drasticamente, per superare le inevitabili resistenze di chi sta al potere. Di qui la grande importanza della Riforma protestante.

Il primato dunque spetta sempre alla politica, perché se è vero che l'innovazione teorico-culturale può precedere l'impegno politico, è anche vero che senza una battaglia politica radicale è impossibile trasformare qualitativamente la società. Non bastano neppure le progressive trasformazioni quantitative che avvengono sul terreno socio-economico. Tali trasformazioni, infatti, ad un certo punto si scontrano con dei poteri politici regressivi, che devono essere assolutamente sconfitti se si vuole che quelle trasformazioni abbiano maggior respiro.

Con ciò naturalmente non si vuole affatto sostenere che il capitalismo sia meglio del feudalesimo, o che alla crisi del feudalesimo dovesse necessariamente seguire uno sviluppo capitalistico della società. Si vuole semplicemente sostenere che quando si pongono in essere elementi di forte discontinuità culturale col passato, diventano poi inevitabili, in un modo o nell'altro, determinate conseguenze pratiche.

E' per questa ragione che nei confronti della memoria storica bisognerebbe avere un rispetto molto più grande di quello che normalmente caratterizza la cultura occidentale.

CATTOLICI E PROTESTANTI A CONFRONTO

Si dice che il protestantesimo abbia una concezione individualistica dell'essere umano: in realtà il cattolicesimo non gli è da meno.

La differenza sta in questo, che i cattolici racchiudono quella che per loro è l'impotenza umana a compiere il bene nella sfera nella subordinazione politica al papato, mentre i protestanti, rinunciando all'ideale di perfezione socio-religiosa che il cristianesimo ha sempre predicato (cioè la società tutta cristiana), si disperdono nella vita della società borghese, affrontando o con angoscia (se onesti) o con incredibile superficialità i loro problemi esistenziali. Un protestante, essendo un individualista, è sempre un anarchico con tendenze estremiste (quando non è acquiescente alla volontà dello Stato, che per lui in un certo senso sostituisce la chiesa).

I cattolici credono in un ideale assoluto e, pur sapendo di non poterlo realizzare (poiché, secondo loro, il "paradiso" è solo "nei cieli"), si affidano, come pecore, all'autorità del loro supremo pastore; i più fanatici attendono con impazienza i segni dell'apocalisse; la maggioranza, di fatto, vive come i protestanti, cioè in modo conforme all'ideologia borghese, benché sul piano sociale i cattolici siano meno individualisti o meno statalisti dei protestanti, i quali appaiono, di primo acchito, più organizzati e disciplinati dei cattolici semplicemente perché hanno sacrificato una parte del loro individualismo alle esigenze dello statalismo: essi non riescono a concepire l'adesione a una chiesa in funzione antistatalista, come invece accade nei cattolici, specie nelle frange integraliste.

Ormai l'unico simbolo rappresentativo della religione cattolica ufficiale è rimasto il papato. In lui si realizza, maxime, la concezione individualistica che i cattolici hanno dell'essere umano.

In effetti, è una peculiarità tipica dei cattolici quella di vivere socialmente la religione (si pensi alla vita parrocchiale, all'associazionismo giovanile, al volontariato, al movimento cooperativo, al folclore, alle feste paesane…) e di avere nello stesso tempo un culto individualistico ancora così forte per una persona che assomiglia a un monarca, autoritario e addirittura infallibile. Normalmente l'autoritarismo è figlio dell'individualismo e in effetti i cattolici sono individualisti sul piano politico, cioè credono nella superiorità della gerarchia, subordinano il concilio al papato, il vescovo domina nella diocesi ecc.

I cattolici sono medievali sul piano politico e non riescono a essere moderni (cioè individualisti) come i protestanti sul piano sociale, anche se oggi si può dire che i cattolici siano sempre più protestanti sul piano sociale e sempre meno cattolici su quello politico. Questo è frutto di una competizione impari tra capitalismo e cattolicesimo romano.

***

Una contraddizione insostenibile della chiesa cattolica, quella per cui, in ultima istanza, è nato il protestantesimo, è rappresentata dalla seguente domanda: se la natura umana è necessariamente incline al male, al causa del peccato d'origine, come potrebbe essa restare fedele a un ideale assoluto, oggettivo, teologicamente perfetto e immutabile?

"Non può" - questa la risposta dei protestanti, i quali hanno aggiunto che la salvezza dell'uomo, stando le cose in termini così drammatici, dipende solo da dio, mentre sul piano pratico ogni azione umana, nei limiti del buon senso (che è ovviamente elastico), è lecita.

I cattolici invece insistono nel sostenere che l'uomo, benché condizionato da quel peccato, può ugualmente essere perfetto: gli è sufficiente obbedire alla gerarchia ecclesiastica e, soprattutto, al papato, vero deus ex-machina. Essi cioè hanno risolto in maniera politico-autoritaria un problema che non sono riusciti a risolvere in maniera socio-democratica.

Come si può notare, i protestanti non sono un'alternativa convincente alla limitata soluzione cattolica, poiché, invece di affrontare il problema ponendo un nuovo criterio per vivere i rapporti sociali, si rifugiano nell'interiorità della loro coscienza, accettando la prassi sociale dominante, che è quella borghese, e, siccome questa crea più problemi di quanti ne risolva, si affidano ingenuamente all'autoritarismo statale (la fiducia in questo tipo di autoritarismo è tanto più forte quanto più forti sono gli antagonismi sociali).

La posizione protestantica, in ultima istanza, vanifica completamente il primato della coscienza interiore, che in origine si era voluto porre in contrasto al formalismo e all'autoritarismo della prassi cattolico-romana. I protestanti hanno puntato la loro attenzione sulla libertà individuale e sono diventati i più conformisti di tutti.

Tuttavia, se il protestantesimo ormai non ha più niente da dire al mondo moderno, il cattolicesimo occidentale si pone ancor più fuori della storia. Da un lato infatti si ostina a non concedere alcuna autonomia di pensiero al laicato cattolico; dall'altro invece è costretto a constatare che nell'ambito della società civile esso viene rifiutato per motivi non solo di ordine politico, ma anche di ordine etico, in quanto il cittadino chiede una separazione non solo istituzionale (fra Stato e chiesa), ma anche morale (fra dogmi religiosi e concezione laica della vita).

L'unica speranza di sopravvivenza del cattolicesimo sta nella Teologia della liberazione del Terzo Mondo. Ma questa teologia, portata alle sue logiche conseguenze, è destinata a trasformarsi in una forma di socialismo democratico.

PROTESTANTESIMO E CAPITALISMO

Il protestantesimo era l'ideale per il capitalismo del XVI secolo. Togliendo all'uomo il senso "oggettivo" del peccato, esso ha fatto del dio assoluto del mondo cattolico (coi suoi dogmi, tradizioni, concili, gerarchia, papato...) una proiezione soggettiva del singolo credente.

All'inizio il protestantesimo ha potuto affermare, a buon diritto, il valore della coscienza soggettiva del peccato, di fronte al formalismo di una religione (quella cattolica) che presumeva di togliere ogni peccato attraverso l'espiazione della colpa (pena e penitenza) o addirittura attraverso la compravendita delle indulgenze. Ma subito dopo questa intelligente protesta, la Riforma è caduta nell'arbitrio, non tanto per aver negato valore normativo a qualunque mediazione ecclesiale che non fosse l'esperienza settaria messa in piedi dallo spontaneismo più estremo, quanto per aver indotto i credenti ad accettare nel loro individualismo i criteri di vita della prassi borghese, al punto che per impedire proteste e rivoluzioni sociali in direzione del socialismo (anzitutto agrario) si è stati costretti ad usare fortissime repressioni.

La fede di questo credente post-feudale, dovrebbe restare, in teoria, "angosciata" fino al giorno della sua morte, poiché egli non può sapere con sicurezza se dio lo salverà. Anzi, di più: non solo le "opere" non potrebbero servire a giustificare la coscienza del credente protestante, ma, in definitiva, neppure la sua "fede", perché senza la "grazia divina" la fede è impotente (qui sta il passaggio dal luteranesimo al calvinismo, che è la vera religione del capitalismo). L'uomo dunque è predestinato o alla salvezza o alla condanna. Se non ha fede, di sicuro è condannato; se ce l'ha può solo sperare d'essere salvato.

Il protestantesimo prima ha privatizzato la fede, abolendo il valore giustificativo delle opere (esso infatti afferma che si possono compiere "opere buone" con una "coscienza cattiva", allo scopo appunto di dimostrare agli altri che si è apparentemente "buoni"); poi ha permesso l'agire individuale più anti-religioso, col pretesto che nessuno può sindacare le intenzioni della coscienza. Se infatti le "opere" non contano, poiché conta solo la fede nella grazia divina, allora opere e fede marciano separate, al punto che, nei limiti della fede, ogni opera è permessa.

Nei limiti di una fede individuale, necessariamente fragile, incoerente, debole, le opere non religiose che di fatto si compiono sono molte di più. La religione non è più un ostacolo alla prassi borghese di vita. In questo senso il protestantesimo rappresenta un progresso verso la laicizzazione dei costumi e verso l'ideologia ateo-scientifica, ma solo in questo senso, poiché nella scelta a favore dell'individualismo esso non può superare i limiti della religione.

Non si può dire però, con Weber, che il protestantesimo abbia determinato o condizionato o promosso, in prima istanza, l'agire borghese. Si deve piuttosto dire che se il sistema borghese aveva bisogno di una religione per affermarsi socialmente, questa non poteva essere che il protestantesimo e che questo, affermandosi, ha indubbiamente favorito il capitalismo. Cioè da un lato il protestantesimo è stata la religione che meglio si è adeguata all'agire borghese (Marx nel Capitale parla di "corrispondenza", "conformazione", salvaguardando il primato, in ultima istanza, dei rapporti sociali produttivi); dall'altro il protestantesimo, con la propria ideologia, ha permesso al capitalismo di svilupparsi in maniera molto più spedita, senza le riserve feudali della chiesa romana.

Come già detto, la soluzione dell'individualismo religioso era diventata, col tempo, così insostenibile (impraticabile) per il credente protestante, che ad un certo punto si avvertì la necessità di delegare ampi poteri allo Stato. Nelle società borghesi di religione protestante, la coscienza laica (quella che separa le opere dalla fede) ha permesso di affidare allo Stato poteri incomparabilmente maggiori rispetto a quelli della Chiesa cattolica. La nascita delle monarchie nazionali e dell'imperialismo di queste monarchie può essere letto come il tentativo di far sopravvivere il protestantesimo con l'appoggio dello Stato. Le uniche due eccezioni, in tal senso, sono rappresentate da Spagna e Portogallo che optarono per l'imperialismo soltanto per non soccombere all'avanzare dei paesi protestanti e che in questo tentativo, non avendo maturato una mentalità protestante (l'unica veramente adatta per il profitto capitalistico), fallirono miseramente. Come fallì l'Italia sotto il fascismo.

In Italia il protestantesimo non si è sviluppato come in Germania, Inghilterra, Svizzera, Paesi Scandinavi, Stati Uniti..., semplicemente perché la borghesia, essendo divisa in tanti principati e signorie, cercò subito (nel XVI secolo) un compromesso con la chiesa cattolica. Da noi la borghesia era ricca e divisa, e anche se sostanzialmente agnostica o deistica, in materia di religione, i suoi interessi erano meno radicali che nel resto d'Europa. Ecco perché la nostra borghesia è stata protestante nella prassi e cattolica nell'ideologia, seppur senza convinzione. Ecco perché allo Stato borghese si è sempre contrapposta in Italia una forte chiesa cattolica.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 05/10/2016