LA RIFORMA PROTESTANTE

Dalla riforma della chiesa
alla nascita del capitalismo


LA RIFORMA IN ROMAGNA

Papa Paolo III coi nipoti Farnese, ritratti da Tiziano Vecellio, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

Luterani a Bagnacavallo

LA PENETRAZIONE DELLA RIFORMA

All’inizio del XVI secolo era questo il clima religioso nella Romagna da qualche decennio assoggettata al papa e che fino a pochi anni prima era stata percorsa da eserciti stranieri o della S. Chiesa. Nel momento di caduta delle tensioni ideali del Rinascimento causata dal Sacco di Roma, nelle nostre terre nasce un movimento spontaneo di fedeli per il rinnovamento della chiesa e tale movimento si conforma alle idee della Riforma, esposte qualche anno prima in Germania da Martin Lutero.

Tra i primi aderenti in Italia al protestantesimo troviamo alcuni religiosi attratti dal ritorno alla purezza evangelica predicata dai riformatori. Ricordiamo il cappuccino fra Bernardino Ochino, che predicò a Faenza nel 1538 ed in anni successivi. La città nel corso di un ventennio divenne un punto d’irradiazione delle dottrine evangeliche, poiché molti avevano aderito segretamente alle idee protestanti.

Negli anni successivi avvennero molti processi e diverse esecuzioni a carico di faentini, tanto che papa Pio V - già Grande Inquisitore - pensò di deportare tutti gli abitanti di Faenza e ripopolare la città con nuovi coloni.

Un secondo punto d’irradiazione fu l’Università di Bologna, dove circolavano i libri luterani portati dagli studenti “ultramontani”; un terzo fu la Villa di Consandolo, residenza estiva dalla duchessa di Ferrara, Renata di Francia, la quale segretamente aveva aderito al calvinismo. Dalla villa provenivano libri che divulgavano la nuova dottrina e lì i predicatori itineranti calvinisti ed i “luterani” ricercati trovavano un sicuro rifugio.

Bagnacavallo, come ben sappiamo, faceva parte sia del Ducato di Ferrara che della diocesi di Faenza. Il paese aveva una popolazione di oltre 5.000 abitanti entro la cerchia delle mura, come scriveva un Commissario Ducale di Lugo al suo signore ai primi del XVI secolo, ed era sede di diverse istituzione religiose.

Oltre alla Pieve di S. Pietro in Sylvis ed alla parrocchiale di S. Michele, vi erano i Francescani, con un convento esistente fin dall’epoca di S. Francesco, i Camaldolesi a S. Giovanni, i Padri di S. Girolamo e le monache di S. Chiara, in un monastero che si trovava nei pressi della Porta della Pieve. Inoltre sappiamo dell’esistenza di sei Compagnie o Confraternite, le quali, tramontati gli scopi penitenziali di origine medievale, avevano per fini l’ospitalità dei pellegrini e dei malati, la beneficenza e la catechesi.

Vi era pure il Monte di Pietà, creato per aiutare coloro che avevano necessità di ricorrere al credito su pegno, volendo evitare che costoro cadessero nelle mani dei banchieri ebrei, che pure erano presenti nella cittadina. Posto in una pianura ubertosa, il paese era meta di mercanti veneziani che acquistavano grani e biade e diffondevano tra la popolazione locale le nuove idee religiose, che avevano trovato nella città lagunare un fruttifero terreno di coltura. D’altra parte queste nuove dottrine si diffondevano anche oralmente nei mercati, nei luoghi di incontro, nelle case e trovavano una popolazione – artigiani e popolani, oltre a religiosi e persone di cultura - pronta ad accoglierle perché stanca degli scandali prodotti dai vizi del clero.

Sull’argomento dell’adesione alle idee protestanti vi sono pochissime pubblicazioni e i documenti esistenti sono rari. Gli storici bagnacavallesi non hanno trattato l’argomento, poco hanno scritto gli storici delle città vicine, quasi si trattasse di cosa vergognosa e scabrosa, da dimenticare. Le testimonianze dell’epoca sono scarse, pertanto gli storici moderni hanno poco materiale a disposizione.

La Chiesa cattolica reagì alla diffusione delle idee ereticali dapprima con un tentativo di riforma lasciato all’iniziativa dei presuli locali, ed uno dei primi ad agire fu il vescovo di Faenza, Card. Rodolfo Pio da Carpi, in seguito con la Controriforma voluta dal Concilio di Trento, il quale nelle ultime tornate si riunì a Bologna, e con la costituzione della Romana Inquisizione, dotata di ampi poteri, nel 1542.

DON PIETRO

Il 17 ottobre 1551 don Pietro Manelfi, prete marchigiano, confessò spontaneamente all’inquisitore di Bologna di essere divenuto luterano dieci anni prima. Egli raccontò poi di aver tentato di convincere alla fede riformata parenti ed amici, ma per questa attività era stato costretto alla fuga in quanto inquisito dal legato pontificio di Ancona.

Dopo aver passato tre anni a Vicenza, Pietro si era recato a Padova, dove era stato nominato ministro della parola col compito di visitare ed istruire i luterani delle varie comunità dell’Italia centro settentrionale: Veneto, Istria, Ferrarese, Romagna e Toscana. Tra gli altri luoghi aveva soggiornato a Ferrara, Consandolo, Ravenna, Bagnacavallo ed Imola, svolgendo la sua funzione per due anni. A Firenze aveva incontrato un certo Tiziano - accompagnato da Lorenzo Nicoluzzo da Modiana, - che gli aveva parlato della dottrina anabattista. Questo Tiziano diffondeva l’anabattismo in varie parti d’Italia, muovendosi tra Padova e Ferrara. Da Ferrara si irradiavano le idee religiose riformate, anche grazia alla duchessa Renata di Francia, che aveva aderito al calvinismo.

L’anabattismo derivava dai movimenti spiritualistici eretici del medio evo e si contrapponeva al luteranesimo, pur avendo punti in comune. Punto fondamentale della fede anabattista era il rifiuto del battesimo dei bambini: tale atto era un’iniziazione per coloro che erano giudicati degni di far parte della setta per le esperienze spirituali già avute. Pietro per alcuni mesi non accettò l’anabattismo, ma in seguito a Ferrara fu convinto e pertanto si fece ribattezzare da Tiziano insieme a quattro altri compagni, tra i quali fra Francesco da Lugo, carmelitano.

Nel settembre 1550 il Manelfi partecipò al concilio anabattista di Venezia che lo elesse predicatore incaricato di portare la dottrina alle chiese d’Italia, cosa che il nostro fece per un anno. Nell’ inverno 1550 – ’51 fu inviato a visitare la Romagna, il Ferrarese e la Toscana con Lorenzo Nicoluzzo, che il Manelfi indica come vescovo anabattista.

All’inquisitore don Pietro dichiarò che, giunto a Ravenna, aveva compreso il proprio errore e si era recato a Bologna per ottenere il perdono della chiesa cattolica e l’assoluzione dalla scomunica. Il papa del momento, Giulio III, aveva infatti offerto l’impunità a chi avesse rivelato all’inquisizione stessa tutto ciò che sapeva sui luterani. Le deposizioni del prete marchigiano, che conosceva luterani e anabattisti di varie parti d’Italia, furono un’arma formidabile per il Santo Uffizio per sconfiggere la dissidenza religiosa.

E’ interessante il racconto del Manelfi riguardo al suo soggiorno a Bagnacavallo, che a quel tempo faceva parte del ducato di Ferrara. Parlando del ducato estense agli inquisitori, egli raccomanda loro di essere molto cauti ad arrestare un eretico, in quanto non appena si pensava di agire contro qualcuno, costui era subito avvisato e pertanto poteva fuggire. Egli racconta che trovandosi a Bagnacavallo giunse l’ordine del duca Ercole II di catturarlo, ma egli fu prontamente avvisato e poté fuggire. Infatti qualcuno si era recato a casa di Alessandro Bianco, luterano, che lo ospitava e quest’ultimo andò ad avvisarlo in una spezieria dove si trovava.

Poco dopo giunsero gli inviati del duca per arrestarlo, don Pietro li vide mentre si allontanava da Bagnacavallo. Costoro lo cercarono in diverse case la sera et la mattina, come gli fu riferito, mentre il prete luterano era già al sicuro a Ravenna a casa del medico Matteo Fabri, che poi lo mandò a Venezia, fuori dai domini papali, dove l’inquisizione aveva minore potere.

FANINO

Il racconto di don Pietro può essere integrato, per quanto riguarda il suo soggiorno a Bagnacavallo, con altra fonte nota da tempo. Nel 1548 il cardinale Cervini, uno dei quattro preposti all’Inquisizione Generale, mandò il padre Giovanni Antonio Delfino a compiere un giro d’ispezione nei paesi della Romagna. La terra tra il Senio e il Lamone era tra quelle dove vi erano molti romori di pravità lutherana.

In quel periodo appunto predicava a Bagnacavallo e nel resto della Romagna Fanino Fanini, che qui sarà arrestato nel febbraio dell’anno seguente. Il francescano scrisse al cardinale che a Bagnacavallo erano molti i contaminati dall’eresia luterana: egli aveva i nomi di alcuni eretici ed intendeva recarsi nella cittadina e fare qualche bono ufficio: evidentemente, come normale procedura dell’inquisizione, intendeva emettere un editto di grazia invitante coloro che si erano avvicinati all’eresia luterana a rientrare tra le braccia della chiesa senza alcuna pena. L’opera dell’inquisitore diede buoni frutti, tanto è vero che il padre fece sapere al cardinale che il paese era in quiete e che quelli che erano luterani, dopo essersi confessati e comunicati, frequentavano la messa e le altre funzioni.

La lettera continua informando che era stato nominato cappellano un prete forestiero grazie alla sue capacità, ma non passarono otto giorni che si scoperse talmente heretico che Luthero non disse mai et non scrisse tante heresie quante ne spargeva questo prete per Bagnacavallo. L’inquisitore, subito avvisato, insieme al capitano della terra si era recato a casa del prete per arrestarlo, ma costui era fuggito attraverso una finestra e non fu più ritrovato. L’accaduto, continua la lettera, però aveva prodotto buoni frutti perché tutto il popolo aveva confermato l’adesione al cattolicesimo: l’azione di polizia religiosa doveva aver fatto capire che la chiesa, ed anche lo stato, su quest’argomento non scherzava.

Il nome del prete, come riportato dall’inquisitore, era don Pietro Marchiano di Iesi: considerato che marchiano significa marchigiano o della Marca, si deve ritenere si tratta dello stesso personaggio. Il Delfino soggiunge che in prete aveva sparso il suo cattivo seme l’anno precedente ad Imola e poi era fuggito, pensando di essere al sicuro a Bagnacavallo. In ogni caso anche don Pietro seguiva la buona regola prudenziale del nicodemismo, cioè nascondere il proprio credo religioso, girando l’Italia come prete cattolico.

LUTERANI

Secondo la deposizione del Manelfi vari sono i romagnoli che seguono la religione riformata. Bagnacavallo vede denunciati come luterani Maestro Neboletto spetiale, Alessandro Bianco con la moglie e cognato, Bernaldo, Gioan Battista spetiale, Pietro ciabattino con molti altri di cui non fa il nome, inoltre Don Filippo francese maestro di schola, forse un prete transfuga d’oltralpe per motivi religioni lì collocato dalla duchessa di Ferrara, Don Gironimo, che era tornato alla Chiesa cattolica, e Don Giovanni, entrami preti.

I primi due dell’elenco sono anche annoverati tra i protestanti che, insieme a Fanino Fanini, avevano indotto alcune suore clarisse del convento di Santa Chiara ad abbracciare la religione riformata. Infatti l’inquisizione per bocca delle altre monache venne a sapere che a convincere le suore erano stati, oltre a Fanino, Barbone Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli, di antica famiglia bagnacavallese, Nicola Passerino, Alessandro Bianchi e Nicoletto (che dovrebbe, appunto, essere il Neboletto ricordato nei costituti di don Pietro).

Come ha acutamente osservato Salvatore Caponetto, si può dedurre che le suore bagnacavallesi, e pertanto anche Fanino, avevano aderito alla dottrina calvinista. Benché si parli genericamente di luterani, si può ritenere che nelle nostre terre vi sia stata un’adesione al calvinismo. La dottrina di Calvino era certo più estremista della luterana, ma era anche più universale, mentre il luteranesimo tendeva a divenire un fenomeno nazionale tedesco. Inoltre si guardava a Ginevra come alla città dove si era realizzato il Vangelo in terra, la città rifugio nella quale si potava essere accolti.

Il Manelfi ricorda un altro bagnacavallese, conosciuto per luterano per averci parlato, il prete Astolpho da Bagnacavallo, che stava a Venezia, anch’egli maestro di scuola.

Secondo don Pietro la comunità luterana di Bagnacavallo aveva contatti con il resto degli evangelici italiani, tanto da sapere che un certo Lodovico da Verona, sfratate capucino, si trovava in Puglia. Questo ex frate si era vantato col prete deponente di ottenere molte conversioni in Puglia e Calabria con le sue predicazioni.

Altri eretici bagnacavallesi risultano da un elenco del 1554 fatto compilare dal duca di Ferrara Ercole II. Lorenzo Nicoluzzo da Modiana (forse Modigliana), che il Manelfi definisce vescovo della setta anabattista, è maestro di scuola a Bagnacavallo. Costui raccomanda alla duchessa Matteo Fabri, il medico che ospitò a Ravenna il Manelfi, fuggito di prigione ed un certo Gio. Gasparo incarcerato.

Vi sono poi Ieronimo da Bagnacavallo, tornitore, e Ioanne Battista Minadois (o Minardis?), che potrebbe essere il Gioan Battista spetiale denunciato dal Manelfi. Quest’ultimo aveva parimenti raccomandato alla duchessa Matteo Fabri e Giovanni Gasparo. A questo punto sorge spontanea la domanda: Matteo era forse imprigionato a Bagnacavallo? Sappiamo che il medico era il capo dei luterani di Ravenna.

Sono infine ricordati due personaggi che in quel momento si trovavano a Bagnacavallo: Lodovico Pallavicino e Giovanni Battista Rangone. Ci si chiede che incarico avessero questi personaggi, che dal cognome dovrebbero essere di nobile origine. Forse erano al servizio del duca come commissari o capitani. Le domande sono tante, i luterani sono stati ignorati dagli storici locali, come vergogna per la comunità. Solo la ricerca storica può fornire una risposta.

Gianni Veggi

La riforma protestante


Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 14/09/2014