STORIA MODERNA
Dall'Umanesimo alla fine dell'Ottocento


IL RUOLO DEI CONTADINI NELLE RIVOLTE BORGHESI

Mietitura di contadini servi

Quando Adamo arava ed Eva filava dov'era il nobile?
John Ball

Generalmente nei manuali di storia moderna il ruolo dei contadini, nelle rivoluzioni borghesi dei secoli XVI-XVIII, viene considerato in maniera alquanto superficiale. E questo nonostante la loro massiccia presenza e spesso anche con intenzioni più radicali di quelle della stessa borghesia, p.es. sia nel corso della riforma protestante che nella guerra contadina vera e propria in Germania (1524-26), ma anche durante la lunga rivoluzione borghese nei Paesi Bassi (1566-1609), che si associò alla guerra di liberazione contro gli occupanti spagnoli.

Guerre contadine si ebbero anche in Austria nel 1626 e in Svizzera nel 1653, durante o subito dopo la guerra dei Trent'anni; in Russia iniziarono nel 1606-07 sotto la direzione di Bolotnikov, e proseguirono nel 1670-77 sotto la direzione di Razin, ampliandosi notevolmente con quella famosissima di Pugaciov, nel 1773-75. Grandi masse contadine parteciparono anche alla rivoluzione inglese del 1640-60 e francese del 1789-93.

E si badi che qui si parla di "guerre contadine" vere e proprie, poiché, se si contano le insurrezioni o le sollevazioni (dove i tempi sono molto più brevi e gli spazi più ristretti), è letteralmente impossibile avere un quadro d'insieme.

In tutti questi sommovimenti popolari gli eserciti erano prevalentemente composti di contadini e di plebe urbana che originariamente proveniva dalle campagne; ovviamente vi erano anche artigiani e operai salariati.

Il connubio tra gli interessi della borghesia e quelli dei contadini giunse a maturazione quando il servaggio rurale, a causa dello sviluppo dei rapporti mercantili-monetari, unitamente a una forte ripresa dell'urbanizzazione, era divenuto del tutto insopportabile. Questo spiega il motivo per cui a quelle insurrezioni parteciparono tutti gli strati sociali rurali, anche quelli più ricchi, ognuno coi propri interessi da far valere.

Si trattava di un vasto movimento sociale agrario, in cui le rivendicazioni sociali, economiche, politiche spesso venivano presentate sotto un rivestimento religioso: l'anti-feudalesimo poteva andare da richieste molto radicali (liberazione dalle forme di dipendenza personale e di sfruttamento servile, superamento dei latifondi con diritto di proprietà sulla terra) a richieste più moderate (abolizione della decima ecclesiastica, ripristino delle antiche servitù, più sopportabili delle nuove).

Tutti i contadini chiedevano di poter riutilizzare i prati per i pascoli, i boschi, le terre comuni, arate dalle comunità, i fiumi, i laghi, che i signori feudali avevano preso a recintare e usurpare, trasformandoli per usi privati, commerciali, imprenditoriali, o imponendo tributi d'ogni tipo per il loro utilizzo.

I nobili si erano risolti a queste drastiche e impopolari decisioni per far fronte alle nuove esigenze e condizioni di vita che la borghesia andava imponendo nelle città e, di conseguenza, sull'intera nazione. Volendo restare "nobili", mentre la borghesia erodeva progressivamente il loro grande potere economico dato dal possesso della terra, i nobili non avevano avuto scrupoli nel far pagare le conseguenze di questo loro irrigidimento di casta ai ceti più deboli, ch'erano appunto i contadini.

Le rivoluzioni borghesi ebbero maggiore successo là dove chiesero la collaborazione dei contadini, i quali però, combattendo contro il feudalesimo, generalmente pensavano di poter ottenere una terra in proprietà ove poter vivere sulla base dell'autoconsumo, senza alcuna forma di servaggio, vendendo al massimo le eccedenze, il cui ricavato avrebbero tenuto per intero e non diviso coi loro padroni.

Invece l'alleanza con la borghesia li costringerà a trasformare la proprietà in un'azienda capitalistica, esattamente come già avevano fatto i nobili liberali e la stessa borghesia rurale. Con le rivoluzioni borghesi, l'autoconsumo, ch'era sopravvissuto in mezzo a mille servitù feudali, scomparve del tutto e i contadini non in grado di trasformarsi in imprenditori di se stessi, divennero accattoni o delinquenti o migranti, nel migliore dei casi operai salariati, in fabbrica o nella stessa agricoltura (braccianti agricoli), oppure entrarono negli eserciti o andarono addirittura a occupare quelle terre di comunità autosussistenti che la borghesia coloniale cominciò a conquistare oltreoceano. Per la gran parte dei contadini tutte le rivoluzioni borghesi furono rivoluzioni tradite.

Di tutti i movimenti agrari di massa il più coerente e radicale restò quello che si sviluppò nel corso della guerra contadina in Germania, negli ambienti vicini a Thomas Muntzer. Qui le intenzioni egualitarie dei ceti inferiori si univano al sogno delle plebi urbane di un ordine ideale basato sull'eliminazione della proprietà terriera privata e l'instaurazione della comunanza dei beni. Un ideale che troverà un certo prosieguo negli egualitaristi rurali di Buckingamshire (1648-49), nei "veri livellatori" (digger) di Gerard Winstanly, durante la rivoluzione inglese del XVII sec., nonché nella legge agraria della rivoluzione francese.

L'idea di fondo era quella secondo cui nessuno poteva avere più terra di quella ch'era in grado di lavorare personalmente o con altri che gli fossero alla pari. Tuttavia non fu la guerra contadina tedesca ad avere la meglio; anzi, questa, fra le rivoluzioni dei secoli XVI-XVIII, fu l'unica a subire una sconfitta. Le rivoluzioni che ebbero maggiore successo furono quelle volte a trasformare le piccole aziende contadine in grandi aziende capitalistiche. Si affermò come valore la libertà d'iniziativa, di movimento, di ampliamento dei propri poderi. Totalmente sconfitti furono gli ideali della giustizia sociale, della fine della proprietà privata, della confisca dei latifondi da ripartire (gli unici a esserlo furono quelli ecclesiastici).

Le rivoluzioni contadine fallirono per una serie di ragioni:

  • frammentazione delle forze in campo;
  • spontaneismo e impreparazione del movimento di lotta;
  • mancanza di un piano, di un programma politico-rivoluzionario;
  • insufficiente armamento;
  • eccessiva fiducia nel potere dei sovrani, considerati a torto equidistanti;
  • mancanza di alleati sicuri nelle città.

Germania

La lotta dei contadini raggiunse la forza maggiore nella Germania del XVI sec., ma più come intensità (almeno 200.000 di loro parteciparono all'insurrezione) che come risultato finale. Infatti essa fu l'unica, delle moderne rivoluzioni borghesi, a uscirne sconfitta. Ciò probabilmente fu dovuto al fatto che l'elemento borghese non era così sviluppato come in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in Francia.

I contadini continuarono a restare molto religiosi e il programma ufficiale di tutto il loro movimento nazionale (i 12 articoli) risentiva di questo ingenuo idealismo. Molti di loro, è vero, distrussero castelli e monasteri (specie in Franconia e in Svevia), bruciando i documenti dei nobili e recuperando le terre comuni. Tuttavia essi non vollero mai dare alle loro iniziative una direzione centralizzata e, nel complesso, preferivano le trattative alle azioni decise. Inoltre non svolsero mai una funzione catalizzatrice nei confronti della borghesia urbana: questo perché erano convinti che contro i nobili avrebbero potuto farcela da soli.

Paesi Bassi

I Paesi Bassi furono uno dei principali focolai del primo capitalismo europeo. Qui infatti la rivoluzione fu prevalentemente urbana e i contadini vi si aggregarono.

Già nel 1566, nelle Fiandre e nel Brabante, ove la manifattura rurale era molto sviluppata, i contadini parteciparono all'insurrezione iconoclasta. Da allora, in un modo o nell'altro, (come fiancheggiatori, come reparti armati ecc.), essi si trovarono alleati con gli elementi radicali borghesi delle città e sempre con grande spirito patriottico, poiché l'obiettivo era anche quello di liberarsi il più presto possibile dell'ingombrante (in quanto meramente colonialistica) presenza spagnola. A volte si lasciavano guidare da nobili di religione calvinista contro i nobili di fede cattolica.

Dalla insurrezione del 1566 all'insurrezione della Frislandia occidentale e dell'Olanda settentrionale nel 1567, a quella dell'Olanda e della Zelanda nel 1572, a quella della Fiandra e del Brabante nel 1578-79 fu come un fiume in piena.

Tuttavia l'ampiezza del movimento patriottico contadino non fu particolarmente estesa, ma limitata alle province più sviluppate (Fiandre, Brabante, Olanda, Zelandia, Frislandia) e le richieste agrarie anti-feudali non confluirono mai in un programma contadino generale, a carattere chiaramente democratico.

La rivoluzione olandese fu soprattutto una guerra di liberazione nazionale sotto l'ideologia calvinista, in cui la borghesia urbana, se non avesse tradito i contadini, avrebbe potuto giocare la parte del leone. Alla resa dei conti infatti essa preferì accordarsi con la nobiltà calvinista, pur di togliere di mezzo gli spagnoli e ridurre il peso della nobiltà cattolica, chiaramente feudale, che tale infatti rimase nelle province vallone, dove i contadini si lasciarono condizionare dalle forze controrivoluzionarie.

Si può anzi dire che la rivoluzione olandese ebbe un chiaro successo solo nelle province del nord (Olanda, Zelandia, Frislandia). Questo mancato accordo tra borghesia calvinista e contadini portò a dei risultati agrari in senso democratico del tutto effimeri (se si esclude la confisca dei patrimoni ecclesiastici cattolici). E ciò determinerà la debolezza dell'Olanda nei confronti dell'Inghilterra, quando questa diventerà una rivale colonialistica.

Inghilterra

Quando la borghesia inglese decise di insorgere, nel 1648, l'unico prototipo a sua disposizione era l'insurrezione olandese anti-spagnola. Con un vantaggio decisivo però: l'Inghilterra aveva già raggiunto l'unità statale, sicché tutti gli sforzi rivoluzionari potevano concentrarsi sulla trasformazione borghese dei rapporti agrari.

Tuttavia una delle principali caratteristiche della rivoluzione inglese non fu affatto l'alleanza della borghesia coi contadini, ma, al contrario, l'alleanza della borghesia con la nuova nobiltà liberale in funzione anti-contadina. Si voleva cioè realizzare un monopolio politico-economico di tipo borghese-nobiliare sulla terra, soppiantando sia i contadini sottoposti a servitù, sia quelli che potevano fruire di una certa indipendenza personale, con una nuova tipologia di contadini: i fittavoli o appaltatori (farmers), il cui lavoro remunerato con salario per l'azienda capitalistica veniva rigorosamente controllato dagli stessi proprietari terrieri, i quali quindi pretendevano molto di più di una semplice rendita.

Così, su due piedi, i contadini si trovarono a dover lottare da soli contro le recinzioni delle terre comuni, l'espulsione dalle terre dove avevano lavorato come servi, la trasformazione di molti arativi in pascoli... Essendo la disoccupazione divenuta un fenomeno allarmante, essi crearono ben presto un ampio movimento di massa, decisamente più combattivo di quello agrario olandese.

Le zone più interessate alla protesta, che scoppiò nel 1641-42 e che proseguì sino agli inizi degli anni Sessanta, furono soprattutto quella orientale e sud-occidentale del paese.

Il programma agrario più radicale fu avanzato dagli "egualitari" (leveller) che chiedevano una ridistribuzione democratica delle terre. Tuttavia la notevole stratificazione dei contadini inglesi, la disomogeneità della loro composizione sociale impedì al movimento di raggiungere risultati davvero significativi. I piccoli proprietari terrieri tendevano infatti a comportarsi come i nobili liberali, recintando le loro terre e dando alle loro coltivazioni una più marcata direzione capitalistica.

Di sicuro la rivoluzione inglese fu disastrosa per le sorti dei contadini totalmente privi di proprietà privata (legalmente acquisita). Seppur molti, tra i tanti espulsi dalle terre, finirono per ingrossare le fila degli eserciti di Cromwell, la gran parte fu costretta a mendicare e delinquere nelle città o, nel migliore dei casi, a trasformarsi in salariati di basso livello.

Persino le terre confiscate alla chiesa e agli avversari del Parlamento finirono nelle mani della borghesia londinese e provinciale e della nobiltà imborghesita (gentlemen).

Francia

Quando in Inghilterra nasceva il sistema delle fabbriche, in Francia la produzione manifatturiera era alla vigilia della rivoluzione industriale.

A differenza della borghesia inglese però, quella francese volle realizzare subito un'alleanza strategica coi contadini, avente valore nazionale. Si può anzi dire che i contadini francesi rappresentarono la principale forza d'urto della rivoluzione, tant'è che già nel 1789 l'Assemblea Nazionale decretava di abolire immediatamente i diritti feudali, le esenzioni fiscali di cui fruivano i nobili e il clero, la giustizia signorile, le decime ecclesiastiche, senza compromessi di sorta.

A dir il vero nelle regioni più sviluppate della Francia settentrionale la borghesia cercò una soluzione analoga a quella inglese, ma questo tentativo fu vanificato da cinque grosse ondate di insurrezioni contadine che nel 1789-92 comportarono distruzioni di castelli e di monasteri, di documenti nobiliari, di trasformazioni della proprietà contadina sotto insegne feudali in libera proprietà, senza recinzioni, con diritto d'uso delle terre comuni da parte delle comunità locali.

Circa il 35% delle terre apparteneva già ai contadini, in base al diritto di possesso ereditario alienabile. Erano invece gli altri contadini, quelli soggetti alle angherie dei nobili, ad aver fame di terra.

Queste sommosse furono dette jacqueries, dal nome di Jacques Bonhomme, che fece la prima nel 1358, durante la guerra dei Cento anni. Ora invece le vittime degli espropri e della pauperizzazione erano guidati dai cosiddetti "curati rossi" (Doulivier, Croissy Petit-Jean), che chiedevano la fine della proprietà terriera privata in generale e la sua ridistribuzione in parti eque.

Vi furono anche insurrezioni tariffarie, mediante cui si chiedeva di fissare dei prezzi bassi sui generi alimentari di prima necessità, in primis il grano, su cui la speculazione si accaniva.

Le rivendicazioni che però alla fine ebbero maggiore successo furono quelle di allestire delle aziende rurali capitalistiche, ampliando quelle già esistenti attraverso il frazionamento e la vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici e dei grandi latifondi in generale (persino le terre comunitarie andarono divise).

Il contadino divenne, in molti casi in cui prima non lo era, un libero proprietario agricolo intenzionato a svolgere un ruolo produttivo borghese nella società. I contadini più poveri o quelli che prima era sottoposti a duro servaggio furono trasformati, al massimo, in operai salariati, oppure iniziarono ad arruolarsi definitivamente negli eserciti.

Fonti

La guerra contadina


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia Moderna
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Aggiornamento: 25/05/2013