UMANESIMO E RINASCIMENTO

NASCITA E SVILUPPO DELLA MODERNA CULTURA BORGHESE


LA FISIONOMIA DEL NUOVO INTELLETTUALE ITALIANO NEL RINASCIMENTO
CORTE E ACCADEMIE COME ASTENSIONE, CARATTERE ESEMPLARE DEL CORTEGIANO

Pico della Mirandola, in un ritratto di anonimo, Firenze, Uffizi, Raccolta Gioviana)

Nell'Umanesimo lo sviluppo di una cultura diversificata ed eterogenea aveva portato alla formazione di un intellettuale dinamico e fervido; soprattutto in Italia, i gruppi di intellettuali cercavano per sé luoghi di incontro, dove ritrovarsi, discutere, comporre. Nel corso del Quattrocento gli artisti, oltre che riunirsi nei luoghi preesistenti (università, scuole e cancellerie), fecero sorgere delle strutture che permettevano loro di essere più liberi e indipendenti: accademie, corti, circoli, biblioteche. Ognuno di questi era un luogo di fervida vita intellettuale, e gli artisti vi si ritrovavano non solo per comporre le loro opere, ma soprattutto per confrontare le proprie idee sulla vita sociale e politica del tempo. 

Sebbene esistessero per concessione del potere politico, tuttavia le accademie umanistiche non necessariamente comprendevano membri di una stessa ideologia. Anzi, più spesso accadeva l'esatto contrario: nei circoli entravano in dialettica fazioni politiche opposte, e la produzione letteraria che nasceva non sosteneva sempre chi era al potere, ma lo contrastava. Nessun intellettuale quattrocentesco era perciò limitato nell'esprimere le proprie idee, neppure se faceva parte di un circolo ristretto. Nel Rinascimento invece tutti i luoghi di ritrovo degli intellettuali furono gerarchizzati e istituzionalizzati, cioè resi dipendenti direttamente dal potere governativo. 

Questo fenomeno è facilmente spiegabile: il Quattrocento aveva visto il fiorire della Signoria, nella quale le varie famiglie al potere avevano fatto di tutto per incentivare la produzione artistica, filosofica e letteraria. Per esempio Lorenzo il Magnifico, Signore di Firenze dal 1469 al 1492, riunì la Brigata Laurenziana, circolo di, florida attività letteraria, e fu egli stesso un abile scrittore, allo scopo di creare una alta cultura nei Fiorentini, non solo per avere al suo seguito gli intellettuali del tempo. 

Durante il Cinquecento in Italia, e in generale in Europa, nacque il fenomeno del Principato: la Signoria, non essendo più in grado di reggersi da sola, chiedeva aiuto o al Papato o all'Impero, perché il potere del principe venisse legittimato da una di queste due grandi forze. Il Principato assunse caratteristiche più assolutistiche rispetto alla Signoria: esso si fondava infatti sulla burocrazia d'accentramento, che fa ripensare alle strutture feudali tipiche dei Normanni, il cui governo si basava sul potere verticistico del re, cui lo Scacchiere (una sorta di Primo Ministro che controllava i funzionari regi) doveva rendere conto di ogni azione. 

Anche il Principato si strutturava in una maniera molto simile: il potere dei principi veniva legittimato dall'Imperatore, che concedeva loro i titoli onorifici di Duca o Marchese, ma che di fatto pretendeva per sé molti poteri, tra cui il "monopolio della violenza pubblica", il diritto di far guerra, l'amministrazione della giustizia e la riscossione delle tasse, che avveniva attraverso delegati imperiali il cui compito era anche il controllo del territorio. Il Principato fu dunque un'involuzione, che riportava a una situazione simile a quella feudale, e un ritorno al passato anche dal punto di vista della figura dell'intellettuale: essendo il Principato prettamente verticistico e assolutistico, chi deteneva il potere non poteva permettere che chi aveva in mano la cultura gli si opponesse. 

Fin dall'antichità infatti chi voleva mantenere un potere assoluto doveva ingraziarsi artisti e letterati: anche nella Roma imperiale Augusto aveva fondato il Circolo di Mecenate, favorendo i poeti che lo lodavano e lo facevano apparire il salvatore di Roma. Persino nel secolo attuale c'è un esempio di cultura al servizio del potere assoluto e dittatoriale: la campagna propagandistica del Fascismo in Italia era attuata da intellettuali quali Pirandello, Volpe e Gentili, e un letterato privo della tessera del Partito perdeva immediatamente il posto di lavoro. 

Anche nelle corti rinascimentali non potevano che esserci intellettuali che sostenevano il potere politico, o che perlomeno non lo criticavano. Una tale situazione non poteva dare spazio a un panorama culturale simile a quello delle Accademie quattrocentesche: in quelle la vita intellettuale era vivida e rigogliosa, mentre nelle rinascimentali gli artisti, non sentendosi liberi di esprimere la propria ideologia, erano come limitati e per questo erano nervosi e spesso in contrasto fra loro.

Il perfetto intellettuale di Corte doveva astenersi dal dare giudizi sulla situazione politica e doveva al contrario essere accondiscendente con il Principe, che lo manteneva e gli permetteva di continuare la sua attività. La figura dell'uomo di corte ideale fu teorizzata da Baldassar Castiglione nella sua opera più famosa, il "Cortegiano". L'opera si presenta come un vero e proprio manuale per la formazione dell'uomo di corte, ossia del massimo modello di uomo perfetto rinascimentale. 

Essa è strutturata come un dialogo diviso in quattro serate (che corrispondono ai quattro libri di cui è composta), al quale partecipano vari personaggi: uomini di corte, nobili, dame. In particolare nei primi due libri viene delineata la figura del cortigiano ideale: nel primo le doti fisiche e morali, nel secondo le circostanze in cui gli è concesso parlare. Ne emerge un uomo nobile, elegante, forte e colto, che sappia essere abile e piacevole nel parlare. Insomma, l'intellettuale di corte doveva essere abile con le parole, per non offendere o contraddire mai chi gli stava davanti. 

Le qualità del cortigiano dovevano emergere secondo Castiglione con "discrezione ed avvertenza", cioè con naturalezza, senza uno sforzo apparente: in caso contrario, il nobile Signore si sarebbe potuto sentire offeso dall'avere a Corte un uomo che pareva così perfetto da essere superiore a tutti. Il letterato di corte doveva invece dimostrare di avere grandi doti e qualità, ma senza cercare la gloria e la lode personale: il suo compito era mettersi al servizio del nobile per aumentare il suo prestigio e la sua potenza; in cambio egli trovava un alloggio sicuro e stabile. Il letterato quindi era ben disposto ad astenersi dall'opposizione politica, purché gli fossero garantite una vita tranquilla e la possibilità di portare avanti la propria produzione artistica. 

Moltissimi intellettuali rinascimentale posero la propria abilità letteraria (che poteva spaziare in tutti i campi, dalla poesia al teatro) al servizio del potere politico: l'uomo descritto nel "Cortegiano" non era un'utopia, ma era la figura di riferimento di ogni intellettuale di corte del Cinquecento.

Scarpellini Mario <skifox@uninetcom.it>


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 14/09/2014