STORIA DELL'ORO


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RIFLESSIONI

Oro, mercato e antagonismo

La necessità di un equivalente generale per gli scambi commerciali è antica quanto l'uomo e solo in tempi relativamente recenti si è deciso che avrebbe dovuto essere l'oro o, se si vuole, l'argento e, ad un certo punto, il denaro.

L'oro-denaro non è mai stato solo un "simbolo" ma anche una vera e propria "merce", e questo fatto, senza ombra di dubbio, sta sempre ad indicare la presenza di una civiltà avanzata sul piano dei rapporti sociali antagonistici. Infatti, l'oro, l'argento, il denaro non sono beni fondamentali per la riproduzione di una comunità. Metalli molto meno "nobili", come p.es. il ferro o il rame, hanno svolto nella storia delle civiltà una funzione molto più importante.

Quando l'uomo primitivo (*) trovava l'oro sotto forma di pietre lucenti nascoste nella sabbia o sul fondo dei fiumi, lo usava, a scopi ornamentali, semplicemente perché poteva impiegare strumenti semplicissimi, senza dover far ricorso al fuoco o alla fusione.

Un qualunque altro utilizzo dell'oro implicava necessariamente la presenza di un processo di sfruttamento dell'uomo da parte del proprio simile. Il denaro infatti è un'astrazione mentale che deve giustificare dei rapporti innaturali. Quanto più questi sono innaturali, tanto più sofisticata dev'essere l'astrazione che li legittima. Non a caso oggi si arriva a dire, assurdamente, che la trasformazione elettronica del denaro rende impossibile un qualunque desiderio di accumulare oro, avvicinando così il capitalismo al socialismo.

Quando esisteva il baratto, le comunità primitive sapevano bene che il valore di un oggetto era dato dal tempo socialmente necessario per produrlo o per conservarlo il più possibile inalterato. Questo a prescindere dal valore soggettivo (affettivo ecc.) che uno poteva dare a questo o quel bene.

Una comunità non poteva aver bisogno di un bene che fosse del tutto assente al proprio interno, poiché, in tal caso, non ne avrebbe sentita alcuna esigenza. La comunità poteva aver bisogno di qualcosa che scarseggiava e di cui conosceva bene tutte le caratteristiche (qualità, tipologia, valore d'uso ecc.). Questo bene non poteva essere qualcosa di assolutamente indispensabile alla propria riproduzione, ma sempre qualcosa la cui importanza era relativa.

Quando avvenivano gli scambi, di regola avvenivano tra comunità il cui stile di vita era nel complesso equivalente, cioè non vi erano forti dislivelli, p.es. nel progresso della tecnologia, tali da pregiudicare i vantaggi reciproci negli scambi.

Questa equivalenza spontanea era data dal fatto che ogni comunità si sentiva parte della natura: era infatti questa a determinare i bisogni della comunità e il modo come soddisfarli. Quindi assai raramente poteva capitare che una comunità si trovasse deficitaria, in maniera irreparabile, di un bene essenziale relativo alla sua propria riproduzione, come p.es. il cibo o il vestiario o l'abitazione.

Gli scambi erano sempre relativi al surplus alimentare, oppure si riferivano a beni di natura artigianale, nella creazione dei quali ogni comunità si caratterizzava in maniera diversa, a seconda della propria specificità (le attitudini sono spesso basate sulle risorse locali).

Per molti millenni non è esistito un equivalente generale come l'oro, l'argento o il denaro, semplicemente perché ogni comunità era, nella sostanza, autarchica, fortemente basata sull'autoconsumo, sull'autogestione delle proprie risorse e non riponeva sullo scambio le speranze della propria riproduzione.

Quindi un equivalente generale poteva essere una qualunque cosa di uso comune: p.es. una zanna d'avorio, una pelle d'animale o un pezzo di cuoio, delle conchiglie, il cacao, il sale, l'ambra, la seta o il tabacco, ma nessuno di questi equivalenti poteva essere determinante per la riproduzione di una comunità, poiché in tal caso gli uomini avrebbero continuamente concentrato i loro sforzi a cercare il migliore equivalente possibile, finché prima o poi l'avrebbero trovato nell'oro, nell'argento e finalmente nel denaro. Il che stava a significare che ogni comunità avrebbe avuto bisogno dello scambio per sopravvivere. Non a caso tutte le civiltà antagonistiche hanno fatto sempre in modo che le comunità non fossero in grado di autogestirsi sul piano economico, ma dipendessero da un mercato.

Quando s'impone una certa dipendenza strutturale, organica, da un mercato, è perché da qualche parte una comunità ha già abbandonato da tempo la strada dell'autarchia e ha cominciato a imporre la sua scelta, il suo nuovo stile di vita, alle comunità limitrofe.

A quel punto ogni equivalente può svolgere la funzione del denaro o può, presto o tardi, portare ad esso: le comunità devono soltanto capire cosa favorisce di più i traffici. Quando ancora il denaro non esisteva, persino gli schiavi potevano svolgere la funzione di equivalente generale negli scambi (p.es. nel Sudan occidentale, dove addirittura si preferiva lo schiavo all'argento, utilizzato invece nei monili).

Finché una comunità è costretta a produrre per un mercato, per poter sopravvivere come tale, è evidente che il suo destino non avrà mai alcuna forma di sicurezza. Non dimentichiamo che, nelle civiltà antagonistiche, gli sconvolgimenti dei mercati, delle borse ecc. spesso hanno cause del tutto ignote alle comunità che dipendono dagli scambi di quei mercati. I crac avvengono per speculazioni sbagliate di qualche potentato economico, o per dissesti finanziari di varia natura, indipendenti dalla produttività vera e propria. Normalmente anzi gli scambi di borsa avvengono in maniera inversa al livello di produttività.

Quando un bene fondamentale (p.es. il merluzzo nell'antica Islanda) svolgeva la funzione del denaro, al punto che tutte le altre merci potevano essere vendute o acquistate contro questo pesce, l'interpretazione che se ne può dare è relativamente semplice: o i pescatori erano una categoria di lavoratori che dominavano nettamente tutte le altre (agricoltori, allevatori, artigiani), e allora, prima o poi, al pesce sarebbe stato sostituito il denaro; oppure il pesce era un bene così abbondante che quando le comunità islandesi commerciavano con altre comunità, potevano facilmente ritenerlo un metro di misura, ma in tal caso nessun processo spontaneo avrebbe potuto portare alla nascita del denaro.

Qui infatti bisogna intendersi: non esiste alcun processo indipendente dalla volontà degli uomini che possa portare ad adottare un equivalente generale per gli scambi che obblighi la comunità a dipendere dal mercato. Una comunità che adotta un equivalente del genere, non può non sapere che sta progressivamente perdendo la propria autonomia.

Anche nei poemi omerici le merci spesso sono stimate in "buoi" (d'altra parte la stessa parola latina "pecunia" viene da "pecus", bestiame), ma non c'è bisogno di aspettarsi la sostituzione dei buoi col denaro per capire che in quei poemi la comunità d'origine, il cosiddetto "comunismo primitivo", è già stata da tempo sostituita da quella antagonistica, in cui p.es. non solo il commercio, ma anche la guerra gioca un ruolo fondamentale.

L'esigenza di avere un equivalente che sia omogeneo e di eguale qualità, nel senso che non ci debbano essere differenze di sostanza, che sia solido e facilmente conservabile, che dia luogo a una divisibilità economica, che sia compatto, stabile nel suo valore, che abbia un alto valore nell'unità di peso o di calcolo - tutto ciò fa già parte di una comunità che in qualche modo è abituata da tempo a dare più importanza al mercato che non all'autoconsumo.

Sotto questo aspetto è evidente che un denaro di stagno o di piombo o di rame è inevitabilmente destinato a essere superato da qualche metallo più nobile, come appunto argento e oro, come d'altronde quest'ultimi lo sono stati da parte di quelli più pratici e funzionali: le banconote, e queste ora, ogni giorno di più, lo sono da parte dei bancomat e delle carte di credito.

Paradossalmente si potrebbe avere un "perfetto capitalismo" in totale assenza di denaro metallico e cartaceo circolante, e in totale dispregio del significato delle riserve auree. Ma questo sarebbe possibile solo se il capitale finanziario dominasse completamente quello produttivo, cioè solo se le aree metropolitane occidentali potessero delegare completamente la produzione del plusvalore industriale alle realtà, totalmente sottomesse, del Terzo Mondo. A questo punto però vien da chiedersi se un processo del genere non incontrerebbe ostacoli di sorta sul piano politico. (Un'altra ipotesi, tecnologica, può essere letta nell'articolo successivo).

In ogni caso è fuor di dubbio che la ricerca di un'autonomia produttiva, l'esigenza di operare in direzione dell'autoconsumo incontreranno sempre, in presenza del capitalismo, una strenua opposizione. Persino in presenza del socialismo di stato l'autarchia sarebbe impensabile.


E' possibile un nuovo equivalente universale?

Come noto, i sostenitori del "gold standard" erano convinti che questo sistema fosse l'unica soluzione per evitare l'inflazione o il caos valutario. Il presidente Reagan, p.es., credeva molto nella funzione dell'oro, anche se i suoi consiglieri economici erano di tutt'altro parere.

Spesso vediamo in borsa che quando la domanda di oro cresce, come mezzo di investimento del capitale monetario (e anche beninteso come forma di evasione fiscale), significa che l'inflazione sta diventando troppo preoccupante, oppure perché si temono le crisi internazionali, l'instabilità politica ecc.

E' fuor di dubbio tuttavia che oggi il potere d'acquisto e la stabilità del denaro cartaceo-creditizio si basa non tanto sulle riserve auree (che possono comunque essere utilizzate dagli Stati per risolvere i deficit delle bilance dei pagamenti), quanto sulla massa di merci prodotte e immesse nella circolazione.

Le riserve auree di uno Stato svolgono un certo ruolo nel mantenere la stabilità del denaro cartaceo-creditizio, ma uno Stato che avesse ingenti quantità d'oro nei propri forzieri e uno scarso PIL sarebbe sicuramente meno ricco di uno caratterizzato all'opposto. L'oro può essere considerato una garanzia, ma di per sé non è fonte di ricchezza, altrimenti le prime potenze al mondo, agli albori del capitalismo, non sarebbero state Inghilterra e Francia, ma Spagna e Portogallo.

Non a caso l'importanza dell'oro sta progressivamente scemando. Gran Bretagna, Svizzera, lo stesso FMI hanno in programma di vendere buona parte delle loro riserve, col rischio di mettere sul lastrico migliaia di lavoratori e imprese.

Lo stesso denaro cartaceo sta sempre più lasciando il passo a quello digitale o elettronico, proprio perché gli scambi planetari esigono operazioni molto più veloci, alla portata di tutti, senza tanti preamboli di natura amministrativa.

Sappiamo da tempo che il denaro cartaceo e oggi quello elettronico, pur non avendo un valore intrinseco, sono in grado di simboleggiare una maggiore fiducia reciproca tra i contraenti, di cui gli istituti finanziari si fanno garanti. E per quanto riguarda le falsificazioni, non possiamo certo dire che non ne esistessero prima dell'introduzione di queste forme astratte di denaro.

Non è quindi più possibile sostenere che il denaro cartaceo possiede un potere d'acquisto solo in quanto rappresenta l'oro. Finché l'economia "tira" questa rappresentazione è del tutto irrilevante; solo quando si è in presenza di forti crisi economiche, allora vi è l'esigenza, più che altro la tentazione di far valere il primato dell'oro. Ma oggi non potrebbe certo essere la tentazione di un paese capitalista avanzato.

D'altra parte un discorso analogo oggi potrebbe essere fatto per il petrolio (l'oro nero), come ieri avrebbe potuto essere fatto per il cotone (l'oro bianco), e come domani forse si potrà fare per l'acqua (l'oro blu).

Se il greggio, da cui il capitalismo mondiale dipende in maniera esorbitante, arrivasse a costare 50 o 100 dollari al barile, quanti Stati sarebbero in grado di comprarlo? Se lo acquistassero a debito, gli Stati produttori (**) potrebbero anche esigere di ricevere cauzioni direttamente in oro. Facilmente scoppierebbero dei conflitti bellici. L'occidente non può permettere a nessun paese al mondo di usare il petrolio, che è una risorsa strategica per la propria sopravvivenza, come lo stesso occidente usava nei secoli passati l'oro, cioè come arma di ricatto.

Se il capitalismo, di fronte a questi problemi, decidesse di trovare una fonte energetica alternativa, quale potrebbe scegliere?

Si noti anzitutto come, nonostante il petrolio sia oggi infinitamente più importante dell'oro, non è mai diventato un equivalente degli scambi. E questo proprio per la sua natura, per sue caratteristiche fisico-chimiche ecc.

Indubbiamente però la questione energetica è oggi, per l'occidente, infinitamente più importante di quella valutaria: i consumi aumentano progressivamente e stanno aumentando anche in quelle nazioni che fino a ieri venivano considerate da Terzo Mondo, come p.es. la Cina, l'India, il Brasile... La crescita di questi paesi, le cui popolazioni sono sterminate, a fronte di un quantitativo costante di risorse energetiche, renderà quest'ultime sempre più precarie e inevitabilmente sempre più costose. A che servirà il denaro (per non parlare dell'oro) se non ci saranno fonti energetiche da acquistare o se quelle che ci saranno avranno dei prezzi astronomici?

Le ultime due guerre, contro l'Afghanistan e contro l'Irak, sono servite e servono agli Usa per controllare in maniera sicura le risorse petrolifere e, indirettamente, i rivali commerciali, come Europa occidentale, Giappone e ora soprattutto la Cina. Ma se ogni paese industrializzato continua a basare sul petrolio le fondamenta del proprio esistere, un'altra guerra mondiale sarà inevitabile.

Un'alternativa possibile, dal punto di vista del capitalismo (perché dal punto di vista dell'ambientalismo sarebbe la soluzione peggiore), potrebbe essere offerta dall'uranio e dal plutonio. Attualmente le nazioni che dispongono di materiali del genere da poter costruire centrali energetiche sono le stesse che li hanno usati per scopi militari: Usa, ex-Urss, Cina, Francia, Gran Bretagna, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord.

Perché l'uranio non può diventare un metro di misura per il valore delle merci di una nazione?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo porcene un'altra: qual è la cosa che maggiormente usiamo nella nostra vita quotidiana, senza neanche volerlo? E' l'elettricità. Se ognuno di noi potesse disporre di "pile atomiche", la cui durata fosse quella di una vita umana, utilizzabili per ogni elettrodomestico, ogni mezzo di trasporto, ogni strumento di comunicazione, non sarebbe forse disposto a considerarlo come un equivalente universale?

Il valore di un oggetto dotato di propulsione, quindi capace di mettere in movimento una qualunque cosa (le pile che abbiamo oggi svolgono in minima parte questa funzione), potrebbe essere messo in relazione con l'uranio, le cui caratteristiche sono senz'altro più durevoli di quelle del petrolio (nel bene e nel male, ovvio: Cernobyl docet).

Si noti come l'importanza dell'oro sia venuta calando nella misura in cui si andavano moltiplicando i mezzi di comunicazione e di trasporto. L'oro diventò molto importante anche perché poteva essere trasportato di mano in mano, ma oggi, con i mezzi di locomozione che usiamo, possiamo facilmente trasportare altri metalli, anche più pesanti o ingombranti, ma infinitamente più utili.

E' stato in fondo il petrolio a sostituire l'oro e l'argento, e non ovviamente nei forzieri, quanto piuttosto sulle strade, nella circolazione dei mezzi e poi, insieme alla chimica, nella produzione stessa dei beni di uso comune. Il carbone non riuscì ad avere questo enorme potere.

Questo significa che se ci sarà, nell'ambito del capitalismo o di una successiva civiltà antagonistica, un nuovo equivalente universale, questo dovrà essere caratterizzato da un minerale di uso altrettanto universale quanto il petrolio.

Questo minerale non avrà più bisogno d'essere toccato con mano per accreditarsi nella società civile, come ai tempi dell'oro. Non avrà più bisogno d'essere trasformato in moneta o in lingotti da depositare in un caveau bancario. E non dovrà essere continuamente estratto per poter essere utilizzato.

Oggi si vive in un mondo economico smaterializzato, demonetizzato, dove gli scambi commerciali sono del tutto virtuali, realizzati con strumenti elettronici.

Questi strumenti, se fossero dotati di autonomia, sarebbero sicuramente più efficienti. Ecco perché il capitalismo (o una futura civiltà che voglia rimanere antagonista) dovrà necessariamente investire i suoi capitali, le sue risorse, in un minerale che permetta d'ottenere energia autonoma per un lasso di tempo molto grande.

Se questo minerale sarà l'uranio o il plutonio, si tratterà soltanto di creare le forme tecnologiche e di sicurezza più adeguate. Il che però sarà davvero possibile?


[*] L'aggettivo "primitivo" bisognerebbe sostituirlo con un altro meno soggetto ai pregiudizi culturali delle civiltà antagonistiche, che lo usano come sinonimo di "rozzo", "incivile", "barbaro", "troglodita", mentre nella realtà fu esattamente il contrario. Pertanto, se si vuole prescindere da discussioni che potrebbero apparire opinabili, che almeno si scelgano aggettivi più neutri, che si riferiscano unicamente a valutazioni di tipo cronologico, come p.es. "primigenio", "primordiale", "ancestrale" (da evitare anche l'aggettivo "preistorico", perché lascia supporre che l'uomo privo delle caratteristiche fondamentali che hanno nascere le civiltà, non appartenesse alla storia più generale del genere umano). (torna su)

[**] Oggi l’Opec conta 11 paesi membri: Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar e Venezuela, che gestiscono in totale circa il 40% della produzione petrolifera mondiale, e possiedono oltre il 75% delle risorse petrolifere disponibili al mondo.
Ecco nel dettaglio la classifica dei paesi membri per produzione giornaliera di barili di greggio (X 1000):

Arabia Saudita: 7,888.99
Venezuela: 2,791.90
Iraq: 2,593.00
Iran: 2,446.00
Emirati Arabi Uniti: 2,114.20
Nigeria: 2,017.60
Kuwait: 1,947.00
Libia: 1,323.50
Indonesia: 1,214.20
Algeria: 776.60
Quatar: 632.90

Questa, invece, la graduatoria dei paesi membri in base alle riserve di greggio possedute in barili (X 1.000.000):

PAESE MEMBRO RISERVE DI PETROLIO Arabia Saudita: 262,697
Iraq: 112,500
Emirati Arabi Uniti: 97,800
Kuwait: 96,500
Venezuela: 77,685
Libia: 36,000
Nigeria: 31,506
Iran: 26,600
Quatar: 15,204
Algeria: 11,314
Indonesia: 5,123

Non tutti i paesi produttori di petrolio aderiscono all’Opec: la Norvegia, p.es., che è il secondo paese esportatore di petrolio sul mercato mondiale, dopo l’Arabia Saudita. Lo stesso vale per il Messico e l’Angola. Anche gli Usa producono grandi quantità di petrolio e si contendono con la Norvegia la posizione di secondo paese al mondo produttore di greggio. Tuttavia, a differenza della Norvegia che produce ed esporta il proprio petrolio, gli Usa consumano totalmente la loro produzione petrolifera e devono ricorrere all'importazione di ingenti quantità di greggio per soddisfare la domanda interna. (torna su)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia dell'oro
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Aggiornamento: 12/11/2013