METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


QUALI COMPETENZE STORICHE?

Maximilien de Robespierre

Nonostante da più di 20 anni la storia come disciplina sia oggetto d'interesse da parte dei Ministeri della Pubblica Istruzione, che han cercato di superare la ripetizione ciclica dei contenuti, a favore di una visione organica del curricolo tra scuole elementari e medie, il modello gentiliano domina ancora incontrastato.

La didattica di tale disciplina, la più complessa di tutte, viene ancora concepita come trasmissione di conoscenze consolidate, frutto delle ricerche degli storici, imposte dagli editori attraverso l'obbligatorietà dell'adozione del libro di testo, che il Ministero non ha mai messo in discussione.

Tale trasmissione avviene per lo più attraverso la lezione frontale e lo studio, in gran parte semplificato, del manuale, che consiste nella memorizzazione, da parte dello studente, di fatti o eventi disposti in un ordine lineare-diacronico, sulla base del presupposto dell'unicità del tempo storico, coincidente col tempo cronologico degli eventi che appartengono prevalentemente all'Europa occidentale, un'area geo-storica a fronte della quale il resto del mondo o non esiste in maniera autonoma, oppure è visto come mero prolungamento dell'impatto euroccidentale sul pianeta: "nella gran parte dei manuali l'auspicato abbandono dell'eurocentrismo si riduce ancora ad una pura dichiarazione d'intenti", così scrive R. Dondarini, in Per entrare nella storia, ed. Clueb, Bologna 1999.

Tutta la storia è concepita come un continuo narrativo di fatti eminentemente politico-istituzionali, che trovano il loro terminus ad quem nel presente della civiltà occidentale, il cui inizio storico specifico viene fatto risalire al XVI secolo, fatte salve le anticipazioni di Italia e Fiandre, mentre l'inizio storico sensu lato parte addirittura dalle prime civiltà mediterranee e da quelle assiro-babilonesi, tutte caratterizzate dalla scrittura e dagli scambi commerciali, esclusa la parentesi "buia" del cosiddetto "Medioevo", definito appunto con questo termine bizzarro proprio in quanto troppo condizionato dal baratto e dal valore d'uso, almeno in quel periodo "alto" che va sino al Mille.

Ma l'attributo più significativo con cui si cerca di distinguere la nostra civiltà dalle altre, che pur come noi conoscevano la scrittura e i commerci, è la rivoluzione tecnico-scientifica, che ha permesso l'industrializzazione del business e il totale assoggettamento della natura.

Quando in terza media si arriva a parlare del Novecento, alle superiori non resta che ricominciare da capo. Peraltro il "presente" di cui si può parlare in terza media non è neppure tanto "contemporaneo", non solo perché si è tornati a fare in 60 ore disponibili l'Ottocento e il Novecento, ma anche perché del mondo contemporaneo non si fanno quelle cose che possono servire alla gioventù per affrontare meglio il loro tempo, e che si ritrovavano invece in un qualunque manuale di educazione civica.

Rebus sic stantibus, non è neppure il caso di parlare di "specificità" del soggetto in via di formazione (che non è certo un "vaso da riempire"), di "diversificazione degli stili cognitivi" (che inevitabilmente vanno messi in rapporto all'età degli alunni, al loro background socio-culturale di provenienza, alla loro capacità intellettuale di rielaborare personalmente i contenuti).

Non è neppure il caso di parlare di "nuclei fondanti della disciplina" (cosa che implica inevitabilmente una riduzione quantitativa dei contenuti a vantaggio di una focalizzazione degli avvenimenti storici più rilevanti o comunque di una sintetica riformulazione concettuale di interi periodi storici, che prescinda in toto dalla descrizione dei singoli avvenimenti), e tanto meno è il caso di parlare delle specifiche metodiche riguardanti la psicologia cognitiva, la didattica disciplinare, la pedagogia dell'apprendimento: tutte cose che un docente non apprende certo all'Università ma solo dopo un lungo tirocinio svolto in aula, in maniera del tutto autonoma, col criterio molto empirico detto "prove ed errori", senza cioè il supporto di una documentazione ad hoc, di aggiornamenti seminariali, di presenze tutoriali in grado di valutare un percorso didattico, di gruppi di lavoro periodici in cui confrontare il proprio vissuto scolastico.

Da anni il Ministero della P.I. ha stipulato col proprio corpo docente un patto non scritto, che rispecchia, se vogliamo, una sfiducia di fondo nelle capacità formative della scuola statale nazionale: "lo stipendio è basso ma non vi chiedo nulla". La scuola da tempo resta inghiottita in quel girone infernale chiamato "assistenzialismo", in cui il 90% del bilancio ministeriale è riservato agli stipendi del personale docente e impiegatizio, in cui inoltre si cerca di ritardare il più possibile l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, in cui infine si offre loro una preparazione così approssimativa che la vera formazione, quella spendibile sul mercato, viene praticamente impartita, a pagamento, solo dopo essere usciti dalla scuola.

Qui si può aprire una breve parentesi relativa all'adozione obbligatoria dei libri di testo. L'impostazione dei manuali di storia, che sostanzialmente è di tipo enciclopedico, in cui ogni argomento è già compiutamente svolto, nelle sue linee essenziali, risulta quanto mai sfavorevole all'idea di poter fare in classe un qualunque lavoro di "ricerca storica" (sotto questo aspetto si trovano meglio i maestri delle scuole elementari).

I manuali di storia non propongono temi su cui riflettere, ovvero una serie di domande aperte che attendono di trovare, grazie a un lavoro di ricerca, una qualche risposta; non ci sono piste di lavoro su cui fare indagini, strumenti da analizzare (p.es. le fonti originali di un'epoca) per esercitarsi nell'interpretazione storiografica (salvo acquistare ulteriori e più specifici "quaderni di laboratorio").

Generalmente detti manuali offrono soltanto svolgimenti in sé conclusi, incatenati da una ferrea logica di cause ed effetti, la cui interpretazione è sempre univoca, senza se e senza ma. Il manuale non appare come uno strumento tra altri, ma come una sorta di "bibbia", le cui tesi hanno dovuto subire un iter processuale non molto diverso da quelle che appaiono, con tanto di imprimatur esplicito, nei manuali di religione cattolica. L'autore è come una sorta di "Mosé" che deve traghettare lo studente dall'ignoranza alla conoscenza e, in questo compito, il ruolo del docente non va oltre quello del luogotenente.

All'interno di tale impostazione didattica non c'è tempo per mettere a confronto strumenti diversi, non c'è modo per costruirsi, in itinere, un proprio "manuale", meno che mai partendo da situazioni storiche locali; è inoltre da escludere a priori l'idea che, dopo aver pagato a caro prezzo un determinato manuale, gli alunni possano non considerarlo come il loro principale strumento di apprendimento della storia.

Il che, se ci pensiamo (ma preferiamo non farlo), è davvero assurdo, in quanto tutti i ragazzi oggi sono in grado di disporre di cd enciclopedici e di navigare in rete, per cercare tutte le informazioni che vogliono. Il libro di testo è ormai diventato uno strumento non solo del tutto inutile, ma anche terribilmente controproducente, sommamente anti-pedagogico.

Nessuno storico infatti parte mai dal vissuto dei ragazzi; questo è un lavoro che deve sempre fare il docente, il quale però deve anche fare la fatica di trovare le giuste mediazioni di un manuale che non ha prodotto lui. La fatica è doppia.

A questo punto sarebbe quasi meglio non adottare alcun libro di testo, ma limitarsi a partire dal vissuto dei ragazzi e sulla base di questo costruire vari percorsi storici, che devono necessariamente partire dal contesto locale, dal territorio comunale o provinciale in cui la classe vive.

Bisogna partire non solo dal basso ma anche dal concreto, recuperando un vissuto e la sua memoria, procedendo insomma dal presente al passato, dal vicino al lontano. L'approccio testuale che offre il manuale è inevitabilmente astratto e intellettualistico, non solo perché non ha alcun riferimento alla realtà degli studenti, ma anche perché offre un sapere precostituito, che va semplicemente memorizzato e ripetuto, previa semplificazione da parte del docente.

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Bisognerebbe cercare di capire il motivo per cui nell'ambito delle civiltà ogni azione compiuta per un fine di bene, che prevalentemente è quello di superare i limiti dell'antagonismo sociale, finisce spesso coll'ottenere l'effetto contrario a quello voluto, creando nuove forme d'antagonismo.

Bisognerebbe cioè cercare di capire se nel momento in cui si decide di porre in atto tali azioni non vi sia un elemento imprescindibile di cui bisogna tener conto sul piano metodologico, onde evitare spiacevoli conseguenze.

Infatti, considerando ch'esiste uno sviluppo storico del genere umano e che quindi, inevitabilmente, le varie azioni positive sono sempre caratterizzate da contenuti culturali assai diversi, sarebbe importante poter trovare un qualche elemento connettivo ad esse trasversale, in grado di tenerle unite almeno negli aspetti essenziali. Questo elemento non può essere trovato che sul terreno del metodo.

Si tratta di stabilire, sul piano storiografico, un criterio metodologico sufficientemente scientifico, in grado d'interpretare le azioni positive compiute dagli uomini, individuando, di esse, il fondamentale punto debole, in forza del quale ad un certo punto s'è determinata una tale situazione contraddittoria da rendere inevitabile nuove istanze di mutamento. Si tratta in particolare di capire quanto queste contraddizioni facevano parte del naturale processo evolutivo del genere umano o quanto invece costituivano un freno a tale processo, rendendo necessarie soluzioni inedite se non addirittura rivoluzionarie. Gli uomini davvero ebbero bisogno della ribellione prometeica per ottenere il fuoco, oppure ci sarebbero arrivati lo stesso?

Sul piano del metodo operativo il punctum dolens è sempre un'eccessiva concessione fatta agli interessi individualistici dell'antagonismo, che ovviamente vengono difesi dai detentori del potere politico o economico o da coloro che vogliono acquisirlo, senza tener conto del bene comune.

Lo studio della storia, in tal senso, non dovrebbe essere basato su fatti già interpretati (come generalmente avviene nei manuali scolastici), cioè sulle decisioni prese dagli uomini e sulle conseguenze ch'esse hanno determinato, ma dovrebbe essere basato sui problemi in gioco, sugli interessi che hanno stimolato, sulle diverse istanze e proposte risolutive. Uno storico, nel momento della disamina dei fatti (o delle fonti che li illustrano), dovrebbe sempre porsi il seguente interrogativo: "prendendo questa decisione in questa maniera sono stati prodotti determinati risultati, ma se la stessa decisione fosse stata presa in altra maniera o se si fosse addirittura presa un'altra decisione, si sarebbero comunque ottenuti gli stessi risultati oppure avremmo avuto risultati opposti o comunque diversi?".

Lo storico deve abituare il lettore (o, se insegnante, l'allievo) non tanto a sentirsi un intellettuale curioso che legge le vicende storiche come fossero un romanzo, quanto piuttosto a sentirsi un cittadino attivo, che, guardando il passato, si sente in dovere di prendere delle decisioni per il presente. Lo storico deve abituare il lettore ad acquisire un metodo non solo per interpretare il passato, ma anche per intervenire sul presente.

Ecco perché più che di "nozioni" storiche è preferibile parlare di "competenze" storiche. Le competenze sono quel complesso di formule o di regole ermeneutiche che permettono d'interpretare i fatti nella loro complessità riconducendoli a una fondamentale essenzialità. Non è importante "sapere molto", è importante sapere bene le cose importanti. Sembra una tautologia, ma decifrare esattamente i termini di questa tautologia richiede una notevole competenza.

Qui infatti non si tratta semplicemente d'individuare i "momenti forti" di un determinato percorso storico (di carattere locale, nazionale o mondiale), quanto piuttosto di stabilire un criterio obiettivo con cui poter interpretare qualunque evento, anche quello meno significativo. E la difficoltà principale sta proprio nel fatto che, avendo lo storico a che fare con gli esseri umani, il criterio non può essere "scientifico" in maniera astratta. La storia non è la matematica, anche perché persino la matematica ha una propria "storia", i cui processi evolutivi non sono stati affatto così univoci. Nella storia anzi vi sono state molte "matematiche", dove assai differenti erano i modi per fare operazioni di calcolo.

Dobbiamo, è vero, trovare delle formule rigorose per interpretare la storia, ma nella consapevolezza che l'oggetto da trattare è quanto mai sfuggente e ambiguo. Sarebbe assurdo pensare di poter interpretare i processi storici usando soltanto la categoria della necessità, anche se non per averlo fatto dobbiamo squalificare in toto sistemi filosofici come l'idealismo hegeliano e il materialismo storico-dialettico.

La storiografia (di destra o di sinistra non fa differenza) tende ad opporsi ai "se" e ai "ma", preferendo di regola un approccio deterministico, in cui ad ogni azione corrisponde una sorta di reazione uguale e contraria, o in cui comunque va individuata, per ogni causa, una precisa conseguenza.

Tuttavia tale approccio, se può dare sicurezze sul piano psicologico e intellettuale, non è di alcuna utilità su quello pedagogico e propriamente cognitivo. Chi studia storia deve essere messo in grado di capire come le cose sarebbero potute andare se si fossero rispettati determinati requisiti. Cioè chi studia storia deve poter essere allenato a capire che le cose sarebbero potute andare diversamente se si fosse agito diversamente. Tale allenamento va considerato come una sorta di incentivo pedagogico (e a scuola dovrebbe far parte della didattica di qualunque disciplina) utile per il presente, cioè per capire che le cose non debbono essere prese con fatalismo e rassegnazione.

Dunque oltre la categoria della necessità, bisogna acquisire quella della possibilità, che è poi quella che ci permette di capire quali potevano essere le opzioni da scegliere. La necessità subentra dopo che si son prese delle decisioni, ma il momento della discussione preliminare, della trattativa, del confronto delle idee e degli interessi risulta per certi versi più importante delle decisioni stesse, poiché è lì che si può misurare il tasso di democrazia di una società, di una civiltà: lì infatti si è cercato un compromesso, una mediazione reciprocamente vantaggiosa, oppure si è cercato di far prevalere con la forza un'opzione sulle altre.

Chiarito questo, si può passare ad affrontare il secondo problema, la cui complessità è così grande da disarmare facilmente molti storici, i quali, pur con tutti i loro faticosi lavori di ricerca, spesso non sortiscono gli effetti sperati. Il motivo di questo sta nel fatto che le fonti a nostra disposizione sono in genere piuttosto tendenziose, in quanto elaborate da quei ceti sociali espressione degli interessi prevalenti, delle decisioni dominanti. Tutta la storia scritta rischia di apparire come una gigantesca storia di documenti parziali se non addirittura inaffidabili ai fini della verità storica, proprio perché i ceti dominanti non hanno dato possibilità alle minoranze di esprimersi adeguatamente in piena libertà.

Gli stessi storici, influenzati dalla loro cultura o ideologia, anche quando hanno a che fare con una serie di fonti dai contenuti opposti, spesso tendono a privilegiare le une sulle altre. Cioè anche quando hanno la fortuna di sentire due o più campane, preferiscono ascoltarne soltanto una, determinando una reazione a catena nella loro categoria di professionisti, al punto che i manuali scolastici di storia altro non sono che una riedizione a mo' di Bignami dei grandi manuali classici in uso nel mondo universitario.

Questo poi senza considerare che la stragrande maggioranza degli uomini, pur avendo precise istanze da far valere, non è mai stata in grado di produrre alcuna fonte.

Vedi anche Competenze disciplinari per l'asse storico-sociale


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015