METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


SUL CONCETTO DI STORIA

Morte di Seneca (C. Savolini)

Se vogliamo universalizzare il concetto di storia, cioè se vogliamo che nelle scuole e nella società s'impari a capire qual è (qual è stata) la storia del genere umano, occorre eliminare i riferimenti privilegiati alle persone, in quanto i cosiddetti "protagonisti" della storia altro non sono che esponenti di un movimento di idee, culture o tradizioni.

La singola persona è parte di un tutto. Anche un leader politico non può essere considerato più importante della corrente di pensiero cui egli appartiene, anzi la sua importanza è direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento personale in una causa per il bene comune.

La storia va appresa per concetti, per categorie di pensiero (politico, economico, sociale, culturale...). Quanto più s'impone la globalizzazione, tanto più occorre riscrivere la storia.

Sarà molto interessante vedere come gli ideali di un qualunque soggetto rivoluzionario erano in realtà appartenuti a correnti di pensiero, movimenti di opinione di altre epoche e latitudini del tutto sconosciute a quel soggetto.

Bisogna abituarsi all'idea di considerare l'essere umano un ente universale, con bisogni e caratteristiche universali. Se un individuo si sente parte di un cosmo, di una realtà universale, è più disposto a rinunciare al proprio personalismo.

La storia dunque va studiata in maniera trasversale. P.es, un determinato concetto: la democrazia sociale, obiettivo di ogni vera politica, come si è sviluppata in questo o quel paese?

Tempo e spazio diventano relativi, poiché vanno ricondotti all'essere umano. Bisognerebbe stabilire sul piano concettuale una sorta di percorso evolutivo dell'essere umano, che è passato, p.es., per determinate fasi comuni a molte civiltà: comunismo primitivo, schiavismo, servaggio, lavoro salariato, socialismo amministrato..., e cercare di vedere in che modo queste fasi sono state vissute da questo o quel paese, di questo o quel periodo.

Lo stesso concetto di "nazione", che oggi consideriamo come "naturale", diventerebbe molto relativo: meglio sarebbe parlare di "civiltà", la cui cultura dominante è sufficientemente omogenea ma i cui confini geografici sono inevitabilmente meno definiti.

La storia non può essere studiata in maniera cronologica, né secondo la prevalenza concessa a questa o quella zona geografica o a questa o quella civiltà.

E' la storia del genere umano, della specie umana, che va studiata, secondo delle linee evolutive in qualche modo verificabili e dimostrabili, appunto perché costanti, ricorrenti.

L'IMPOSTAZIONE LINEARE-CRONOLOGICA

Generalmente l'impostazione lineare-cronologica è supportata da tre motivazioni di fondo:

  1. suscita l'illusione di favorire meglio la comprensione dei nessi di causa-effetto;
  2. evita l'imbarazzante decisione, che potrebbe essere facilmente contestata, di dover scegliere i momenti salienti dell'evoluzione storica;
  3. induce a credere nell'esistenza di una immaginaria linea progressiva che vede nel nostro tempo presente la risultante ottimale di vari percorsi iniziati nel passato.

E' molto difficile, anzi impossibile, rinvenire in tale impostazione l'ipotesi che il nostro tempo presente sia in realtà il frutto di una scelta tra opzioni differenti, se non opposte, e che quella che ad un certo punto si è presa non necessariamente vada considerata come la migliore.

L'impostazione lineare-cronologica privilegia la categoria della necessità storica, la quale, in un certo senso, non privo di risvolti magici, offre agli occhi dello storico l'impressione che per mezzo di essa si sia favorito al meglio lo sviluppo della libertà umana, nel senso che al cospetto delle infinite e astratte possibilità ad un certo punto è stato giusto sceglierne una, che poi, guardando le cose dappresso, è parso del tutto legittimo farla rientrare nella categoria della necessità, negando un qualunque significativo valore a tutte le altre. Basta vedere con quanta supponenza e apriorismo, nei nostri manuali di storia, si nega all'ipotesi federalista, nell'imminenza dell'unificazione nazionale, una qualunque possibilità di successo.

Non a caso non esiste alcun manuale di storia che metta in discussione il fatto che gli uomini contemporanei siano più liberi dei loro predecessori. Anche perché spesso e volentieri i manuali esaltano, come tratto distintivo della nostra epoca, la rivoluzione tecnico-scientifica, che storicamente non può trovare paragoni nel passato, sicché è giocoforza far credere che in virtù di essa sia andata naturalmente affermandosi una maggiore libertà.

In realtà se c'è una cosa che dovremmo fare è quella di rovesciare la linea del tempo, partendo decisamente dal presente e andando a ricercare nel passato tutte quelle motivazioni che lo giustificano. Noi viviamo in un'epoca che, ci piaccia o no, si chiama "capitalismo", in cui il rapporto tra uomo e lavoro è mediato dalla macchina, e in cui il rapporto tra lavoratore e merce è mediato dalla proprietà privata dei mezzi produttivi, nel senso che l'operaio, essendo un salariato, non è padrone di ciò che produce.

Esiste un antagonismo di fondo tra capitale e lavoro, che passa attraverso il riconoscimento, da parte dell'imprenditore, di una formale libertà giuridica appartenente all'operaio. Il lavoratore è tanto formalmente libero quanto sostanzialmente costretto a lasciarsi sfruttare, non essendo altro che un nullatenente. Il salario infatti non corrisponde mai all'effettiva produttività del lavoro, ma è soltanto il pretesto che permette all'imprenditore di sfruttare il lavoratore ben oltre quanto pattuito.

Ebbene questa dinamica lavorativa ha avuto un'origine storica ben determinata in Europa occidentale, ed è il XVI secolo, fatte salve alcune anticipazioni in Italia e nelle Fiandre. Non riuscire a capire questo significa, sic et simpliciter, precludersi di poter comprendere adeguatamente il proprio tempo, significa viverlo passivamente, senza avere gli strumenti per progettare qualcosa di diverso.

Questo silenzio omertoso dei manuali di storia sulle dinamiche sociali ed economiche che legittimano il nostro presente induce inevitabilmente a pensare che la scuola non sia un luogo di "produzione del sapere", ma soltanto di "riproduzione" di un sapere deciso altrove.

LA CONCEZIONE DELLA STORIA

Probabilmente gli uomini non potranno mai sapere con sicurezza se il rispetto sostanziale di tutti i requisiti della loro umanità impedisce o no la realizzazione più vera dei loro ideali di umanità.

La storia non è stata altro che il tentativo di affermare i principi di umanità, negandoli subito dopo. E' come se essa si fosse incaricata di dimostrare che dopo la fine del comunismo primitivo non è più possibile un'altra esperienza di liberazione.

Gli uomini fanno dei tentativi per recuperare l'eden originario, che però falliscono tutti miseramente. Questo forse vuol dire che si è perso qualcosa di fondamentale e difficilmente recuperabile.

Dunque questi tentativi hanno ancora senso o bisogna rassegnarsi? Una domanda del genere facilmente viene considerata retorica da parte di chi si trova in situazioni tali per cui è sempre meglio rischiare.

La storia dimostra che i tentativi rivoluzionari sono stati fatti dopo decenni di rassegnazione da parte delle masse popolari. E' quando non si ha più niente da perdere che scatta il meccanismo della rivoluzione.

Occorre però che unitamente alle condizioni materiali particolarmente precarie vi sia la volontà politica di mutarle, e questo non è scontato, poiché l'abitudine alla rassegnazione, cioè a sopportare pazientemente la frustrazione di una vita precaria può alla fine uccidere qualunque istanza di liberazione.

STORIA E COLPA

E' possibile che nella storia esistano delle colpe la cui gravità può trasmettersi per intere generazioni?

Le responsabilità nei confronti dell'ambiente hanno questa caratteristica?

Come è possibile che l'uomo non si renda conto, da subito, che certe azioni sono così gravi che andrebbero evitate immediatamente?

Il fatto è che nel presente, quando tali azioni vengono compiute, non si ha piena consapevolezza di tutte le loro possibili conseguenze.

Si ha consapevolezza di qualcosa ma non di tutto. Quel "qualcosa" dovrebbe essere sufficiente per evitare certe azioni, ma di regola non basta mai. E non basterebbe neppure se quel "quid" fosse più che sufficiente, poiché fa parte della gestione della libertà non volersi rendere conto dell'evidenza.

Gli uomini non sanno quello che fanno. Anche perché se conoscessero a priori tutte le possibili conseguenze delle loro azioni, forse non farebbero nulla.

IL CONCETTO DI PARADIGMA UMANO

A volte certe persone concentrano su di sé lo svolgimento di interi periodi storici, come se in un piccolo microcosmo umano fosse racchiusa l'essenza dello sviluppo di un macrocosmo storico.

La storia non ha conosciuto tante persone di questo genere, ma quelle che ha conosciuto hanno lasciato un segno indelebile, tant'è che, passato un certo periodo di tempo, in cui quelle persone erano state come dimenticate, improvvisamente si ritorna alle loro idee, dando ad esse nuove interpretazioni, che riprendono quelle precedenti aggiungendo particolari inediti e innescando così nuovi sviluppi.

Si pensi solo alla riscoperta medievale dell'aristotelismo.

Questo probabilmente avviene perché l'essenza dell'uomo, in ultima istanza, è univoca: cambiano solo le forme, le circostanze, l'ambiente in cui essa deve muoversi. Dal confronto con modalità diverse nasce l'esigenza di riformulare le idee di un tempo.

CIVILTA' PRIMORDIALI

La comparsa dell'uomo sulla terra avviene in un momento in cui il pianeta era in grado di dare all'uomo tutto ciò di cui aveva bisogno.

Gli utensili da lavoro erano in pietra, osso, legno... Non c'erano minerali diversi da quelli che si potevano vedere a occhio nudo. Questo perché l'uomo si sentiva parte della natura e non avrebbe potuto permettersi che l'uso di determinati strumenti fosse incompatibile con le esigenze riproduttive della natura, in quanto era consapevole che questa facoltà di riprodursi permetteva a lui stesso di farlo.

L'uso di strumenti ricavati dalla lavorazione dei metalli segna il distacco dalla comunità primitiva di una formazione sociale di tipo antagonistico. Quanto più l'uomo si stacca dal collettivo tanto più ha bisogno di darsi degli strumenti complessi per riuscire a sopravvivere. La produzione di questi strumenti non è di per sé indice di "progresso", se non di quello meramente tecnologico. Sul piano socioculturale è infatti indice di "regresso", non solo a motivo del crescente individualismo (rapporti umani basati sul concetto di forza), ma anche perché si perdono conoscenze fondamentali relative al rapporto uomo-natura.

Oggi un qualunque utilizzo di tecnologie sofisticate, al fine di ripristinare un rapporto equilibrato con la natura (p.es. lo sfruttamento dell'energia solare, eolica, geotermica ecc.), è viziato in partenza dal rapporto di dominio che l'uomo vuole avere nei confronti della natura. E lo dimostra il fatto che tutte queste forme di tecnologia non sono esportabili, non sono riproducibili per il mondo intero (perché troppo costose, difficili da gestire ecc.). Lo dimostra anche il fatto che queste tecnologie, di per sé, a causa dei materiali con cui vengono costruite, costituiscono una inevitabile forma d'inquinamento.

L'unica cosa che non inquina la natura è ciò che essa stessa produce, e l'uomo, essendo un suo prodotto, se vuole restare umano, deve limitarsi a produrre ciò che è naturale, ciò che può essere facilmente riciclato dalla natura stessa. Può sì produrre oggetti artificiali, ma sempre nel rispetto dell'ambiente; cioè i contenuti con cui fabbricare gli oggetti artificiali devono essere naturali, quindi appunto pietra, osso, legno, fango ecc., sostanze animali e vegetali.

Fondere metalli significa violare la riproducibilità della natura. L'uomo deve sapere con relativa sicurezza quanto tempo impiegherà la natura a riciclare i suoi prodotti artificiali. E in ogni caso una generazione non può far pesare alla successiva il problema di come smaltire le scorie ch'essa ha prodotto.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015