METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


CONFRONTO TRA FEUDALESIMO E CAPITALISMO
TRA MEDIOEVO E MODERNITA’

G. Balla, L'italia del primo dopoguerra: un contadino M. Sironi, L'Italia del primo dopoguerra: periferia di una città industriale

MEDIOEVO

MODERNITA’

Rapporto con la società

Esistevano comunità di villaggio rurali (feudi), autonome, autosufficienti, indipendenti tra loro, con leggi, monete, usi, tradizioni, lingue, pesi, misure, dazi, dogane… diversi.

Esiste la nazione, con un unico mercato, un’unica moneta, una sola legge, una sola lingua, un unico esercito, una sola burocrazia, una scuola statale…

La terra appartiene ai feudatari e i contadini (servi della gleba) la lavorano.

Il borghese è padrone di capitali o di terre o di imprese commerciali o manifatturiere e vi fa lavorare gli operai salariati.

Tra contadino e feudatario c’è un rapporto personale. Non c’è licenziamento.

Tra borghese e operaio c’è un rapporto contrattuale. Ci può essere licenziamento.

Lo sfruttamento del contadino non va oltre le esigenze di consumo del feudatario.

Lo sfruttamento dell’operaio va oltre le esigenze di consumo del borghese.

Il feudatario riceve dal contadino prodotti in natura (agricoli).

Il borghese riceve dall’operaio prodotti industriali.

Il contadino non è giuridicamente libero.

L’operaio è giuridicamente libero.

Il feudatario impedisce al contadino di lasciare il feudo.

Il borghese vuole che il contadino lasci il feudo, per farlo diventare operaio nella sua azienda.

Il feudatario si trasforma col tempo in borghese (p.es. obbliga i contadini a produrre per il mercato).

Il borghese non si trasforma mai in feudatario, anche se può comprare dei titoli nobiliari. Tuttavia aspira a vivere di rendita.

Il contadino fa anche l’artigiano e il commerciante dei propri beni.

Contadino, artigiano, commerciante e operaio sono figure sociali separate.

Famiglia patriarcale (allargata)

Famiglia borghese (ristretta)

Rapporto con l’economia

Prevale la campagna sulla città e la terra sull’industria.

Prevale la città sulla campagna e l’industria sulla terra.

Prevale l’autoconsumo sullo scambio.

Prevale lo scambio sull’autoconsumo.

Prevale la rendita dei feudatari. Scarsi investimenti nelle attività produttive. Assenza di rischi.

Prevale il profitto dei borghesi. Capitali investiti in attività produttive. Presenza del rischio.

Autoconsumo: si consuma ciò che si produce.

Mercato: ciò che si consuma deve essere comprato.

Prevale il valore d’uso sul valore di scambio

Prevale il valore di scambio sul valore d’uso

Valore d’uso: una cosa ha valore se è necessaria

Valore di scambio: una cosa ha valore se può essere comprata e venduta

Prevale il baratto sulla moneta

Prevale la moneta sul baratto

Baratto: si scambiano gli oggetti.

Moneta: si acquista qualunque cosa (compravendita).

Mercati e fiere: si comprano poche cose che non si riescono a produrre (p.es. spezie, sale) e si vende l’eccedenza (surplus).

Mercati, negozi, ipermercati: si vende e si compra tutto, anche il superfluo.

Produzione per il consumo

Produzione per il mercato, per accumulare capitali.

Pubblicità: non esiste

Pubblicità: molta, serve per far acquistare i prodotti e per vincere la concorrenza (in mass-media, fiere, cartellonistica...).

Concorrenza tra produttori: non esiste

Concorrenza tra produttori: molta

Monopolio nella produzione: non esiste

Monopolio nella produzione: molto

Tecnologia: poco sviluppata

Tecnologia: molto sviluppata (acciaio, plastica, alluminio, biotecnologie ecc.).

Mezzi di lavoro: aiutano il contadino a lavorare.

Mezzi di lavoro: servono al borghese per sfruttare l’operaio.

Le esigenze della natura prevalgono su quelle della società.

Le esigenze della società prevalgono su quelle della natura.

Materie prime prevalenti: legno, argilla, rame, ferro…

Materie prime prevalenti: carbone, petrolio, gas, nucleare

Fonti energetiche: acqua, vento, legno, sole…

Fonti energetiche: carbone, derivati del petrolio, energia solare, eolica, nucleare, vulcanica…

Inquinamento della natura: quasi inesistente

Inquinamento della natura: accentuato.

Locomozione: cavallo, asino, mulo, nave a vela

Locomozione: bici, macchina, treno, aereo, nave

Rapporto con la politica

Il contadino lotta contro il servaggio, per avere la terra che appartiene al latifondista (feudatario laico o ecclesiastico).

Il borghese, già proprietario di capitali o di terre o di imprese, lotta contro i feudatari e il clero per avere più potere politico.

Il contadino che rifiuta il servaggio può diventare operaio, oppure se ha fortuna o pochi scrupoli può diventare borghese.

L’operaio lotta contro il borghese, proprietario dei mezzi produttivi.

Le figure politiche principali sono il papa e l’imperatore e i loro vassalli. Centralismo governativo sostenuto dai ceti agrari (latifondisti laici ed ecclesiastici).

Le figure politiche principali sono i re nazionali, ma soprattutto i parlamenti e le costituzioni, che devono esprimere gli interessi anche della borghesia.

La successione al trono imperiale e alle cariche politiche è ereditaria.

Nei parlamenti si vota (prima sulla base di un certo censo, poi a suffragio universale).

L’imperatore e il papa sono al di sopra delle leggi. Monarchia assoluta.

I sovrani hanno un potere limitato dalla Costituzione e dal parlamento. Monarchie costituzionali o Repubbliche parlamentari.

Politica estera: si fanno crociate per sfruttare e dominare. Pretesto: diffusione del cristianesimo.

Politica estera: si pratica il colonialismo per sfruttare risorse umane e naturali. Pretesto: diffusione della democrazia.

Rapporto con la religione

Il contadino è una persona credente e praticante, di religione cattolica. Cristiano tutti i giorni. Dio prevale sull'uomo.

Il borghese è una persona poco credente e ancor meno praticante, di religione protestante. Cristiano la domenica. L'uomo prevale su dio.

Prevale l’interpretazione del clero nella lettura della Bibbia.

Prevale l’interpretazione personale della Bibbia (libero esame).

Prevale la gerarchia ecclesiastica. Clero più importante dei laici.

Prevale il sacerdozio universale dei fedeli. Tra laici e clero non vi è alcuna differenza.

Sacramenti: sette.

Sacramenti (area protestante): due (battesimo e comunione).

Prevale teologia dogmatica, anche se la chiesa romana ha modificato alcuni dogmi della chiesa ortodossa o aggiunto in proprio nuovi dogmi. Il libero esame della Bibbia mette in discussione i dogmi della chiesa. Prevale il dubbio e l'analisi critica.

Prevale la tradizione della chiesa (sinodi e concili).

Prevale la comunità religiosa e il singolo credente.

Prevalgono le opere sulla fede e la fede sulla ragione.

Prevale la fede sulle opere e la ragione sulla fede.

Pessimismo sulla possibilità di libertà e giustizia sulla terra. Speranza nell'aldilà. Fiducia nel progresso della scienza e della tecnica e nel benessere terreno.
Crociate: conquistare per convertire. Il potere secolare e i mercanti sono usati per dominare. Colonialismo: conquistare per dominare. La chiesa è usata per convertire.

Lo Stato, per i cattolici, è subordinato alla chiesa nelle questioni morali. Stato confessionale.

Lo Stato, per i protestanti, è separato dalla chiesa e quindi autonomo nelle questioni morali. Stato laico.

Rapporto con la cultura

Prevale la cultura orale (che è di molti) su quella scritta (che è di pochissimi). Il latino non è più parlato ma solo scritto.

Prevale la cultura scritta su quella orale (le leggi, i contratti commerciali e di lavoro, la contabilità).

Nello scritto prevale il latino sul volgare (o lingua romanza). In Italia la svolta si ha con Dante, Petrarca e Boccaccio.

Prevalgono sia nello scritto che nel parlato le lingue nazionali (italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese…).

Valori: fiducia reciproca, parola data o parola d’onore…

Valori: la parola non vale niente, contano solo i contratti, firmati e vidimati.

Di fronte alle contraddizioni sociali si usa la carità, l'elemosina, l'assistenza... La povertà è considerata come inevitabile. La povertà è considerata come una condanna che va assolutamente evitata accettando qualunque tipo di lavoro.

Analfabetismo: diffuso tra i ceti più bassi o rurali.

Analfabetismo: tende a scomparire, soprattutto nelle città.

Cultura: monopolio del clero.

Cultura: diffusa tra la borghesia.

Cultura dominante: teologia, religione, filosofia religiosa, iconografia, diritto canonico

Cultura dominante: diritto, filosofia, letteratura, scienza... Si riscopre la cultura pre-medievale (greco-romana).

Libri: scritti a mano.

Libri: stampati.

La scuola è privata, gestita dal clero. Prevalgono le università teologiche.

La scuola è pubblica, gestita dallo Stato. Prevalgono le accademie laiche.

GLI STORICI E LA CATEGORIA DELLA NECESSITA'

Non si può rimproverare agli intellettuali italiani del basso Medioevo di non aver saputo concretizzare le loro anticipatrici idee di modernità laico-borghese (1), in direzione di un'esplicita svolta politica e istituzionale anticlericale, contro lo Stato della chiesa, favorendo l'unificazione nazionale e quindi la nascita di uno Stato che stesse alla pari con quelli europei, senza aggiungere, nel contempo, che l'alternativa "borghese" alla degenerazione della teocrazia medievale era "una" non "l'unica" alternativa possibile.

Purtroppo oggi, vedendo il crollo del cosiddetto "socialismo reale", molti intellettuali sostengono che persino l'idea di Lenin di superare la fase del capitalismo passando direttamente dal feudalesimo al socialismo, era stata un'idea sbagliata. La storia ha dato ragione alla categoria della "necessità storica", secondo cui al feudalesimo non poteva seguire che il capitalismo.

Certo, si può obiettare che se il socialismo fosse rimasto in piedi, qualcuno avrebbe ancora sostenuto l'idea di una "transizione a salti", ma la storia non si fa con i "se" e i fatti parlano da soli: sostenere il contrario è impossibile.

Ma davvero i fatti "parlano da soli"? Sono mai esistiti dei fatti la cui interpretazione sia stata incontrovertibile? Davvero tutte le rivolte contadine scoppiate nel Medioevo e in epoca moderna, possono essere definite come un processo favorevole allo sviluppo del capitalismo?

Si plaude tanto alle doti unificatrici della borghesia, unica classe in grado di creare uno Stato nazionale; eppure nel basso Medioevo l'Italia centro-nord fu caratterizzata da Comuni Signorie Principati sempre in perenne rivalità tra loro, capaci di unità strategica soltanto quando si trattò di costituire una "lega" in funzione anti-imperiale, ma incapaci di fare la stessa cosa in funzione anti-ecclesiastica: lo Stato della chiesa rimase intonso sino alla fine del XIX secolo.

Paradossalmente furono più esperti in materia di "unificazione" i Normanni nell'Italia meridionale, pur coi loro metodi autoritari. Semmai dovremmo dire che è stato un errore incalcolabile il non aver saputo, da parte dei Normanni, trovare un'intesa con la borghesia del nord d'Italia contro le mire espansionistiche del papato. D'altro canto i Normanni erano sempre stati "feudali" e si limitarono a cercare una soluzione "feudale" al tentativo della chiesa d'impadronirsi del Mezzogiorno, trovandola semplicemente in un matrimonio d'interesse, con cui in sostanza consegnarono il loro regno nelle mani degli imperatori tedeschi, non meno anti-borghesi di loro.

Quando gli storici apprezzano le abilità statuali, cioè di organizzazione burocratica e amministrativa, dei Normanni e successivamente di Federico II di Svevia, lo fanno pensando non che queste abilità potevano costituire un'alternativa allo sviluppo della società borghese, ma, al contrario, pensando che esse costituirono un'anticipazione "feudale" di quella che poi sarebbe stata una caratteristica naturale dello Stato "borghese".

Rebus sic stantibus, è fatica sprecata ipotizzare di poter trovare uno storico che arrivi addirittura a sostenere che la gestione normanna o federiciana dello Stato feudale non era affatto una gestione convincente, apprezzabile, e proprio perché essa veniva a porsi come involontaria anticipazione dell'amministrazione statuale borghese, sicché essa in realtà costituiva soltanto una possibile alternativa (sicuramente di tipo autoritario, ancorché quella federiciana per molti aspetti "illuminata") a quella che invece avrebbe potuto essere una gestione democratica del territorio, in cui il possesso della terra arativa ed edificabile fosse stato equamente distribuito tra i lavoratori.

Ritenere che il passaggio dalla proprietà feudale della terra a quella borghese dell'industria sia stato assolutamente una forma di transizione necessaria allo sviluppo dell'economia nazionale (e in fondo europea), significa fare un favore a una concezione della storia e quindi della politica dominata unicamente dai rapporti di forza, in cui qualunque tipo di ideale di libertà, giustizia, uguaglianza, acquista un valore molto relativo, cioè un significato che, in ultima istanza, dipende dall'interpretazione che ne danno i poteri dominanti.

E' evidente che nell'ambito di una concezione del genere diverrà naturale, per uno storico, sottovalutare, minimizzare tutti quei tentativi di ribellione alla dittatura feudale (caratterizzata dal servaggio e dalla rendita), che non preludano a un'esplicita alternativa di tipo "borghese". Ragionando col senno del poi e dovendo fare delle scelte di campo, in ambito di ricerca storiografica, lo storico si troverà a svolgere la stessa funzione che a quei tempi, nei confronti dei fenomeni eversivi del mondo contadino, svolgevano i poteri forti.

Questo per dire che se non si valorizzano le istanze del mondo rurale, si finisce coll'attribuire alla sola chiesa romana (che indubbiamente nei suoi livelli istituzionali era una forza reazionaria), la responsabilità di aver ritardato enormemente il compito di realizzare (o di far realizzare ad altri) l'unificazione nazionale.

Si finisce anche per considerare lo Stato della chiesa (che pur durò un millennio) più forte di quello che effettivamente era. Non dimentichiamo infatti che il momento più debole del papato, quello della "cattività avignonese" (1305-77), fu anche quello più favorevole alla borghesia, essendo contrassegnato dall'evoluzione delle Signorie in Principati.

L'incapacità di realizzare l'unificazione nazionale dipese proprio dalla volontà della borghesia di non concedere nulla al mondo contadino. La crescente urbanizzazione aveva come unico scopo quella di togliere al mondo rurale ogni forma di autonomia, sostituendo all'autoconsumo il mercato, al valore d'uso quello di scambio.

Questo spiega il motivo per cui in Italia il mondo contadino, dovendo scegliere tra gli interessi feudali della chiesa e quelli capitalistici della borghesia, preferì sempre i primi. La conversione del mondo rurale alla gestione borghese della terra è avvenuta in maniera definitiva, senza soluzione di continuità, soltanto dopo la seconda guerra mondiale, a prezzo di un'enorme emigrazione verso il nord Europa e le due Americhe, a prezzo anche di un marcato radicamento al sud della criminalità organizzata, che veniva ingenuamente vista dai meridionali come alternativa allo "Stato sabaudo".

Una storiografia più dialettica dovrebbe invece considerare che né l'illuminismo medievale di Federico II, né il proto-capitalismo della borghesia del centro-nord erano in grado di costituire un'alternativa convincente, in senso democratico, allo strapotere della chiesa. Anzi, verrebbe quasi da chiedersi se questi tentativi riformistici non abbiano mai incontrato il consenso dei ceti rurali, proprio per il loro carattere sostanzialmente non favorevole a un'emancipazione del mondo contadino.

Le città del nord Italia si accontentarono di assicurarsi piena autonomia dagli imperatori tedeschi, ma per il resto continuarono a svolgere una funzione economico-corporativa, incapace di darsi degli obiettivi politici nazionali. La nostra borghesia non riuscì neppure a creare un'opposizione culturalmente e soprattutto coerentemente "laica" alla chiesa.

Infatti le correnti umanistiche e rinascimentali presentavano aspetti laici (razionalisti, naturalisti, materialisti) complessivamente condivisi dalla chiesa romana, che in fondo, nei suoi livelli istituzionali, di autenticamente religioso aveva assai poco. Quando queste correnti abbozzarono un collegamento organico a quella riforma protestante che nel nord Europa andava sviluppandosi grazie al concorso esplicito dei contadini, esse non seppero minimamente reagire alla volontà della curia romana di mettere in atto una propria controriforma cattolica che, con l'aiuto degli spagnoli, riportasse l'Italia alle condizioni socioeconomiche dell'alto Medioevo.

In fondo, a ben guardare, in Italia l'unificazione nazionale è stata possibile soltanto quando la borghesia fece esplicitamente la promessa (non mantenuta) che, realizzato lo Stato centralista, i grandi latifondisti sarebbero stati espropriati. La stessa promessa venne fatta quando si dovettero convincere i contadini (rimasti senza terra) ad andare a combattere contro gli austriaci nella I guerra mondiale. Analoghe promesse vennero fatte dal fascismo per giustificare il proprio colonialismo.

Gli storici non si rendono ben conto che se tutti i processi di unificazione nazionale sono stati gestiti, a livello di leadership, dalla borghesia, materialmente essi sono stati condotti dal mondo contadino, che sino agli anni '50 del XX secolo costituiva la classe maggioritaria nel nostro paese, esattamente come in Russia.

Solo che mentre in Russia la rivoluzione bolscevica, poi tradita dallo stalinismo, seppe mantenere le proprie promesse, offrendo la terra in proprietà ai contadini e alle comuni agricole, da noi invece le tradì subito. In Italia tutti i movimenti rivoluzionari guidati dalla borghesia sono stati traditi, e chi di questo tradimento ha pagato le maggiori conseguenze sono stati indubbiamente i contadini.

Tutte le occasioni per realizzare la democrazia sociale sono andate perdute, non perché non si è dato sufficiente spazio alla borghesia, ma, al contrario, perché ne ha ricevuto troppo, e ci si è illusi che alla mancata democrazia sociale si sarebbe potuto ovviare per mezzo della sola democrazia politica.

Bibliografia

Nota

(1) Si possono qui citare Marsilio da Padova, Cino da Pistoia, i Glossatori, Arnaldo da Brescia, Bartolo da Sassoferrato, Pier delle Vigne, Roffredo di Benevento, Andrea di Isernia, Marino da Caramanico, Luca di Penne, Sigieri di Bramante e altri, le cui teorie verranno riprese da Guicciardini, Machiavelli, Telesio, Bruno, Campanella, Pomponazzi...


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Aggiornamento: 01/05/2015