METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


LA QUESTIONE DEL NOVECENTO

Maria Montessori, pedagogista

Considerando che per uno studente, in genere, la storia coincide con la sua propria storia, in forza di uno schiacciamento quasi assoluto sul presente, è finita col diventare patetica l'introduzione berlingueriana del Novecento nell'ultimo anno delle scuole medie e superiori (decreto n. 682 del 1996). Non era in questo modo che si poteva invogliare lo studente ad affrontare con maggiore interesse e convinzione lo studio della storia in generale. La persistenza di un'impostazione storiografica di tipo lineare-cronologico ha vanificato ogni serio tentativo di riforma.

Se si vuole partire dal presente, occorre farlo non dall'astrazione delle date bensì dalla concretezza dei suoi problemi. E quelli fondamentali della nostra epoca sono causati da un sistema di vita sociale fortemente antagonistico, basato sui conflitti sociali.

Questo sistema ha avuto una genesi storica che oggi quasi tutti gli storici fanno risalire al XVI secolo, fatte salve le anticipazioni commerciali e finanziarie delle Fiandre e soprattutto dell'Italia, che istituì i primi Comuni borghesi agli albori del Mille.

I famosi "saggi" della commissione istituita da Berlinguer dovevano sapere che non si può sapere in che "epoca" si vive semplicemente focalizzando per un anno intero l'attenzione sul cosiddetto "secolo corto", quello che pur nella propria brevità ha prodotto gli sconvolgimenti epocali più tragici di tutta la storia del genere umano.

A tale proposito Antonio Brusa osserva, con l'acume che solitamente lo caratterizza, che mentre noi adulti, avendo una visione unitaria del Novecento, sentiamo come "contemporanei" i temi delle guerre mondiali, della Costituzione, della nascita della Repubblica ecc.; viceversa, uno studente di scuola media e persino di scuola superiore "registra nella sua mente i suddetti temi allo stesso titolo del paleolitico superiore" (cfr Il nuovo curricolo di storia, in riferimento al Decreto Berlinguer).

Sotto questo aspetto, se si vuole affrontare il Novecento con gli stessi criteri con cui si affronta un qualunque altro periodo storico, si rischierà di fare un'operazione didattica e culturale del tutto inutile. Sarebbe quasi meglio abolire la storia come disciplina, sostituendola con una che tratti estesamente l'attualità, che sicuramente coinvolgerebbe di più gli studenti, nei cui confronti i media radiotelevisivi e cartacei non hanno certo preoccupazioni didattiche, cioè di mediazione dei contenuti di attualità al livello di problematizzazione che può avere una fascia d'età che va dai 12 ai 19 anni. La scuola supplisce poco al fatto che l'informazione extrascolastica sui grandi temi dell'attualità non è tarata per un target non adulto. P.es. la lettura di un qualunque quotidiano nazionale è proibitiva, per tutta una serie di ragioni tecniche e formali, anche per uno studente liceale. Peraltro un affronto sistematico dell'attualità tornerebbe comodo a quanti non hanno intenzione di proseguire gli studi.

Tutti noi ci ricordiamo quegli splendidi volumi di Educazione civica che non si riuscivano neppure ad aprire per la cronica mancanza di tempo. Forse abbiamo abolito la disciplina sbagliata, soprattutto nella scuola media di I grado. Infatti, se diamo per assodato che ciò che maggiormente può interessare un giovane sono i problemi del suo tempo, declinati nelle linee essenziali, come solo un docente è in grado di fare, quale volume migliore di quello di Educazione civica poteva soddisfare queste esigenze? Non a caso molti manuali di religione cattolica delle Superiori rispecchiano in gran parte la medesima impostazione didattica di quei testi, diversificandosi ovviamente nell'interpretazione.

Ma allora - ci si può chiedere - davvero la storia non serve a nulla? In realtà è proprio dai testi di Educazione civica che emerge il bisogno di fare "memoria" delle cose, di predisporsi a un'indagine di approfondimento. Ogni problema contemporaneo ha una propria radice storica, che nel nostro caso risale per l'appunto alla nascita di fenomeni ben determinati, come l'Umanesimo, il Rinascimento, la Riforma protestante, il sistema capitalistico, il colonialismo, la rivoluzione tecnico-scientifica, la rivoluzione francese, la nascita degli Stati e delle Nazioni, lo sviluppo della rappresentanza parlamentare, la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, la nascita della giurisprudenza civile, commerciale, penale e via dicendo.

La storia serve non solo a capire l'origine remota dei fenomeni del presente, ma anche a individuare le possibili soluzioni ai loro problemi.

Dunque forse può avere un senso una storia cronologica non tanto quando, seguendo una sequenza lineare del tempo, si è convinti che il nostro presente, appunto perché a noi contemporaneo, sia capace di includere nel proprio scibile il meglio di tutte le epoche precedenti, soltanto perché ha il privilegio di poterle guardare dall'alto; quando piuttosto i problemi del presente interpellano il passato, al fine di individuare i momenti salienti in cui sono avvenute delle svolte storiche, delle transizioni decisive verso soluzioni inedite.

Studiare il passato ha senso quando serve per capire il presente; se questo non è vero, è meglio studiare solo il presente, come generalmente fa la politica priva di cultura. Lo studio della storia è lo studio delle origini culturali del nostro tempo presente: le coordinate della politica, dell'economia, dell'organizzazione sociale, amministrativa, di un paese sono sempre di tipo culturale, e riguardano decisioni esistenziali, scelte valoriali, in cui indubbiamente gli aspetti religiosi hanno giocato e a volte giocano ancora un ruolo rilevante.

SI PUO' ABOLIRE LA STORIA?

La nostra storia resta prevalentemente eurocentrica e occidentocentrica perché in fondo ce ne vergogniamo: sappiamo benissimo che è una storia molto violenta, corrotta, falsa e bugiarda. E' impossibile apprezzare in maniera obiettiva chi non è come noi: la storiografia americana vi riesce ancor meno di quella europea. E chi è troppo uguale a noi, ci fa paura, lo vediamo come un pericoloso concorrente, non solo come un nemico da ridurre facilmente al silenzio, in forza della nostra superiorità tecnologica.

In tal senso, piuttosto che presentare quanto di positivo avevano le civiltà pre-borghesi, in rapporto alla nostra, senza mai specificare che tali positività erano in realtà la conseguenza di uno sfruttamento selvaggio del lavoro schiavile e servile, sarebbe meglio dimenticarsi completamente del passato.

Piuttosto che presentare il passato in maniera deformata, sarebbe meglio censurarlo del tutto, tanto noi non avremo alcuna possibilità di realizzare un approccio obiettivo ai fenomeni storici sino a quando non avremo detto con chiarezza che la nostra civiltà è di tipo antagonistico, che la nostra democrazia si regge sulla dittatura del capitale, che la nostra ricchezza si basa sullo sfruttamento del lavoro e delle risorse altrui. Quando avremo preso consapevolezza che la nostra civiltà, essendo basata sul primato della forza, è destinata a scomparire, al pari di quelle schiavistiche e feudali, allora forse saremo in grado di valutare obiettivamente il passato della storia, cioè di recuperare la memoria perduta.

Quello che ci manca è una definizione sufficientemente rigorosa dei limiti epistemologici, strutturali, della nostra civiltà, che ne fanno prevedere, sin da adesso, la necessità del superamento. Marx li ha cercati sul terreno dell'economia, ma non basta.

Se lavorassimo in questa direzione, noi affronteremmo il problema del socialismo con maggiore distacco e con minor superficialità. Infatti, come la nascita delle civiltà antagonistiche è dipesa dalla distruzione del comunismo primitivo, così la nascita del socialismo futuro dipenderà dalla distruzione di tali civiltà, di cui la nostra, detta "borghese", forse non è neppure l'ultima (in Cina infatti il capitalismo della società civile convive col comunismo del partito al governo, e lo stesso stalinismo est-europeo fu senza dubbio una forma di antagonismo sociale assai diversa da quelle tradizionalmente "borghesi").

In ogni caso collocarsi al di sopra dei processi storici che hanno portato alla scomparsa del comunismo primitivo e che porteranno alla scomparsa delle civiltà antagonistiche, significa illudersi di poter interpretare la storia secondo i nostri desideri. Sarebbe assai meglio che noi guardassimo in faccia i fallimenti del capitalismo e del socialismo amministrato dall'alto, cercassimo di capirli, di rielaborarli e di proporre nuove soluzioni all'inevitabile declino che ci attende.

Dovremmo far questo per impedire il più possibile che la transizione avvenga indipendentemente dalla nostra volontà, poiché in caso contrario lo svolgimento dei processi sarà molto più doloroso.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015