METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


I BUCHI NERI DELL'ITALIA
Riflessioni sulla storia del nostro paese e sul ruolo della storiografia

Giuseppe Verdi

Siamo sempre più convinti che se il socialismo burocratico ha avuto al proprio interno le forze sufficienti per ripensarsi globalmente, per rimettersi completamente in discussione, il capitalismo invece è ancora ben lontano da questa prospettiva; anzi, piuttosto che ripensarsi, è incline a scatenare guerre di conquista, crociate contro nemici esterni (gli ultimi sono i terroristi islamici, come se l'aggettivo "islamico" fosse ormai sinonimo di "terrorista"), ovviamente propagandando l'esigenza di esportare in tutto il mondo la cosiddetta "democrazia occidentale", come al tempo dei romani si esportava il corpus del diritto.

La propaganda borghese è riuscita a farci odiare non solo le aberrazioni del socialismo (com'era giusto che fosse), ma anche qualunque idea di socialismo, persino quelle più umanistiche e democratiche, al punto che oggi non riusciamo a intravedere altra soluzione alle classiche contraddizioni del capitale (lo sfruttamento dell'uomo e della natura in nome del profitto) che non sia la mera rassegnazione, quella che poi si dirama in tanti rivoli destinati solo a peggiorare la situazione, come la frode, la corruzione, l'immoralità, gli eccessi dell'individualismo... Si pensa di poter sopravvivere generalizzando i metodi che un tempo appartenevano solo a una certa categoria di persone.

Da questo punto di vista si può dire che l'Italia sia un paese privo di un'identità precisa. Ci trasciniamo da troppo tempo problematiche irrisolte, come il rapporto neocoloniale tra nord e sud all'interno del nostro stesso paese, esito di una rivoluzione tradita, i cui obiettivi: unificazione nazionale, mercato unico, Stato centralista, hanno portato beneficio solo alle classi proprietarie, non certo a quella agricola o a quella operaia.

Se l'Europa di oggi, che è giovane rispetto alle nazioni che continuano ad opporle i privilegi acquisiti in secoli di dura lotta per l'egemonia, è destinata a ripercorrere, su scala più grande, il medesimo cammino delle nazioni, la prospettiva è solo quella di vedere acuirsi le contraddizioni a livelli sempre più elevati e quindi quella di veder spostarsi verso un futuro molto incerto il compito delle loro soluzioni.

In Italia i nodi rimasti irrisolti sono ancora molti e, non essendo mai stata spezzata la linea di continuità tra liberalismo - fascismo - democrazia cristiana - polo delle libertà, si è di fatto impedito di far luce sui tanti misteri che circondano le azioni delittuose degli apparati dello Stato, partendo anzitutto dai suoi servizi segreti.

La stessa presenza anomala di uno Stato nello Stato, quello del Vaticano, sancita dalla Costituzione e ribadita dall'ultima revisione concordataria, ci tiene costantemente legati ai retaggi del fascismo.

Continua a prevalere nettamente nel nostro paese l'idea che sia meglio uno Stato centralista di uno federalista; parole come decentramento, autonomia regionale, autogoverno degli enti locali territoriali o vengono usate in maniera retorica, per dimostrare che sotto il capitalismo si può essere più democratici e più efficienti, o si temono perché si preferisce continuare a dirigere dall'alto e ad assistere chi sta in basso, oppure vengono usate come uno strumento per permettere al capitale d'essere più aggressivo e dispotico. Nessuno associa federalismo a socialismo.

Gli storici italiani non sono mai stati capaci di produrre un senso o una mentalità comune sull'interpretazione da dare all'Italia repubblicana. La sudditanza ai valori occidentali dell'americanismo (consumismo ad oltranza, anticomunismo viscerale ecc.) ha impedito di delineare una visione critica del dopoguerra.

Noi oggi non siamo neppure capaci di fare dei discorsi ecologisti o ambientalisti correlati a quelli economici per una transizione verso il socialismo democratico. Pretendere di migliorare i rapporti uomo-natura in un contesto in cui i rapporti interumani sono caratterizzati dallo sfruttamento più vergognoso, è semplicemente utopistico.

Con la svolta della perestrojka gorbacioviana si era per un momento creduto possibile realizzare il socialismo dal volto umano sulle rovine di quello statale, ma oggi la disillusione è grande. Abituati per 70 anni a obbedire, i popoli est-europei hanno atteso dall'alto, ancora una volta, la realizzazione della nuova sociètà, e invece è arrivato lo smantellamento di qualunque idea di socialismo, a tutto vantaggio del sistema economico oggi prevalente nel mondo.

Sicuramente è aumentata la secolarizzazione e la laicizzazione nella società civile e anche nelle istituzioni, ma laicizzazione di per sé non vuol dire umanizzazione. Se la laicizzazione s'identifica col materialismo volgare della società borghese, basata su profitto e consumismo, è facile ch'essa degeneri in disumanizzazione, e non a caso è su queste incoerenze che la religione trova linfa vitale per tornare alla ribalta.

L'esplosione di Internet degli anni Novanta, che ha fatto seguito a quella informatica degli anni Ottanta, ha catapultato nel protagonismo anarchico, spontaneistico moltissime persone non legate a partiti, sindacati, movimenti della vita reale, e ha aiutato queste stesse realtà ad ampliare i consensi e le iniziative.

Ma Internet è una realtà relativamente fragile, che sta peraltro diventando sempre più costosa, la cui evoluta tecnologia può essere bersagliata da attacchi virulenti di molestatori che possono inibire o scoraggiare l'uso costante o progressivo della rete, anche perché, per potersi difendere dai loro attacchi, occorrono non poche competenze, che l'utente finale, spesso unico vero difensore di se stesso, non sempre è in grado di avere.

Sicuramente oggi si può affermare che il sociale sia, nella sensibilità delle gente, considerato più importante del politico; i movimenti, l'associazionismo, il no profit vengono considerati più coinvolgenti dei partiti e persino dei sindacati. Ma nonostante questo il loro peso istituzionale è alquanto risicato. Essi non hanno alcuna rappresentanza parlamentare che non sia mediata dagli stessi partiti, i quali, inevitabilmente, tendono a strumentalizzare ogni cosa per esigenze di puro potere. E questo significa che l'associazionismo deve materialmente contare solo sulle proprie forze.

La caduta delle ideologie può aver indotto una certa disillusione riguardo all'impegno politico. Oggi abbiamo una generazione molto informatizzata o tecnologizzata, ma praticamente analfabeta sul piano politico e con scarse cognizioni culturali. Tuttavia è un bene che oggi il concetto di "alternativa al sistema", quando viene propagandato, si caratterizzi anche sul piano etico e non solo su quello politico. Non basta la piattaforma programmatica per dimostrare la propria diversità, occorre anche mostrare, da subito, che si è capaci di "umanità", cioè di mettere in pratica i "valori umani" (quei valori p.es. che nessun partito politico ebbe in occasione del delitto Moro).

L'Italia non ha mai fatto i conti col suo passato. Siamo ancora troppo pieni di buchi neri. Non vogliamo affrontare i tradimenti degli ideali borghesi di democrazia e di libertà d'iniziativa per tutti semplicemente perché ciò c'indurrebbe a riprendere temi scomodi, quali appunto il socialismo, la cooperazione, il decentramento ecc. Il capitalismo non può sopportare le alternative che lo negano. E così oggi l'Italia si trova ad affrontare non un dibattito approfondito su quale tipologia di socialismo occorra adottare, ma una vexata quaestio circa la presunta superiorità del capitalismo su ogni altro sistema produttivo.

Discutiamo ancora di cose che Marx considerava superate 150 anni fa. Il capitalismo non ha futuro e non è il crollo del comunismo da caserma che può mettere in discussione questa realtà, già abbondantemente dimostrata dai classici del marxismo. Se partissimo dall'esigenza di trovare un'alternativa praticabile, smetteremmo di dire che non abbiamo un'identità nazionale, che gli storici peraltro, succubi come sono dell'anticomunismo imperante, non sono mai stati capaci di promuovere.

Noi ci sentiamo troppo debitori nei confronti degli Usa, non riusciamo a scrollarci di dosso miti come l'aiuto bellico contro i nazisti (risoltosi in un'occupazione dell'Italia per mezzo delle basi Nato), il generoso piano Marshall (che ci legò le mani economiche a quella che era diventata la potenza più forte del mondo), la superiorità tecnologica degli Stati Uniti (utilizzata prevalentemente per fini bellici) ecc. Tutti miti che andrebbero storicamente smontati.

Una storiografia planetaria

Oggi la storiografia è destinata a diventare planetaria, a interessarsi delle vicende di popolazioni mondiali. La stessa storia italiana ha molto più senso in una prospettiva che vede il nostro paese come parte dell'occidente, componente del capitalismo avanzato, membro dell'Unione Europea. Una storia dell'Italia fine a se stessa ha davvero poco senso. Tanto più che il nostro paese è da qualche tempo oggetto di forte immigrazione. Interessa poco agli stranieri che frequentano corsi di alfabetizzazione o di licenza media, le diatribe tra Cavour, Garibaldi e Mazzini, solo per fare un esempio.

Si è costretti a parlare di macro-problemi, come in geografia si è costretti a parlare di macro-aree. Mai come in questo momento è tornata di attualità la ripartizione che i classici del marxismo facevano tra le varie formazioni socio-economiche apparse nella storia dell'umanità, e cioè comunismo primitivo, schiavismo, servaggio, capitalismo e socialismo. Sulla base di queste categorie generali si può affrontare qualunque argomento di storia. Tutto il periodo delle civiltà antiche, mediterranee e non, può rientrare facilmente nella categoria economica dello schiavismo, per quanto vi sia stata una sua riproposizione in Africa e nelle Americhe dal XVI al XIX sec., a motivo del fatto che il razzismo culturale (in questo caso di religione cristiana), tipico dei paesi euro-occidentali, può esprimersi anche nelle forme sociali più vergognose se non incontra resistenze di un certo spessore.

Anche questo comunque ci aiuta a capire che tutto va visto in maniera trasversale. Non più un ordine cronologico degli avvenimenti, ma in ordine tematico, in cui varie epoche e civiltà vengono messe costantemente a confronto, come gli esegeti fanno coi vangeli sinottici.

Lo stesso concetto di "nazione" diventa quanto mai obsoleto. I fenomeni migratori hanno spezzato i confini geografici stabiliti dalla borghesia già al suo esordio. Il mondo è un villaggio globale, reso tale non solo virtualmente da Internet, ma anche fisicamente dai flussi migratori, i quali, a loro volta, sono frutto della globalizzazione degli scambi commerciali dell'imperialismo mondiale, quegli scambi che portano progressiva ricchezza ai paesi del capitalismo avanzato e progressiva miseria, salvo eccezioni, ai paesi del Terzo Mondo.

Stiamo assistendo, su scala planetaria, a un fenomeno analogo a quello accaduto nel corso dello sviluppo dell'impero romano, allorché il concetto di "cittadinanza romana" doveva necessariamente estendersi a popolazioni che di "romano" o di "latino" non avevano nulla, ma che non per questo avrebbero potuto essere meno utili agli interessi di dominio e, a un certo punto, di mera sopravvivenza dell'impero.

La stessa rivoluzione tecnico-scientifica andrebbe studiata trasversalmente alla storia socio-economica e non come un capitolo a parte, poiché in tutte le civiltà antagonistiche la scienza e la tecnica sono al servizio dei potentati economici (il profitto) e politico-militari (la guerra), e solo secondariamente riguardano il mondo del lavoro (il bisogno).

Nei manuali scolastici di storia non s'incontrano quasi mai rilievi critici sullo sviluppo della tecnologia (l'arretratezza tecnologica di un paese rispetto a un altro viene sempre vista negativamente). Si possono trovare delle critiche sull'uso che i potentati economici o politico-militari fanno di una determinata tecnologia, ma è rarissimo trovare una critica dei criteri o delle motivazioni sulla base delle quali è nata e si è sviluppata la moderna tecnologia. Questa viene considerata alla stregua di un totem da adorare. Non si mette mai in discussione il rapporto di dominio tra uomo e natura mediato dallo strumento tecnologico.

Eppure abbiamo avuto e tuttora continuiamo ad avere esempi pericolosi per tutto il pianeta, disastri che si verificano lontano da noi ma che ad un certo punto ci coinvolgono come fossero successi sotto casa nostra: si pensi ai fatti di Cernobyl del 1986, ma anche agli sversamenti di petrolio nel mare, alla progressiva desertificazione dei terreni coltivati chimicamente o soggetti a deforestazione, alle piogge acide, ai devastanti test o incidenti nucleari.

Nonostante ciò tutti noi siamo convinti che la scienza e la tecnica siano in grado di risolvere i problemi che loro stesse contribuiscono a creare. Oggi non abbiamo dubbi nel credere che in occasione dei conflitti bellici si possono tranquillamente bombardare intere città nella convinzione che la ricostruzione possa essere fatta molto velocemente. Non si mette mai in discussione l'enorme spreco di risorse (tipico p.es. di tutti i film americani d'azione o d'avventura). Anzi, si sostiene che tale spreco sia un incentivo al consumismo.

Storia ed educazione civica

Nelle nostre scuole si tiene ancora separata la storia dall'educazione civica, quando quest'ultima è -come tutti sanno- relativamente poco comprensibile senza un riferimento storico. I temi dell'educazione civica possono far discutere sul piano etico o esistenziale, ma alla fine, quando si tratta di tirare le fila del discorso, è necessario fare riferimenti alla storia, proprio per capire l'origine e lo sviluppo dei fenomeni, evitando le astrattezze e le genericità delle analisi non contestualizzate.

Un argomento di educazione civica può essere l'occasione da cui partire (p.es. la Costituzione italiana o il lavoro o la famiglia), per poi poter fare un discorso che deve avere degli agganci precisi con la storia.

L'educazione civica non può sopperire all'uso di strumenti legati all'attualità, come p.es. i quotidiani, che coi loro dossier relativi ai grandi temi di attualità, possono offrire un certo contributo all'affronto della disciplina in questione. Per l'analisi del presente l'educazione civica può essere anche più importante della storia, che, inevitabilmente, si configura come una riflessione sul passato, anche quando ci si riferisce all'oggi.

La contemporaneità è attualmente garantita solo dai mass-media (tv, radio, quotidiani, web). Tuttavia, quando si affronta la contemporaneità senza una base storica (come appunto fanno i media) si cade inevitabilmente nella superficialità delle tesi da sostenere, si finisce nel vicolo cieco delle opinioni fini a se stesse, senza capire l'origine storica dei problemi.

Si può dunque partire dall'educazione civica, che è poi un discorso sull'attualità, ma si deve poi arrivare a una precisazione, sufficientemente chiara, dei termini storici entro cui un determinato problema va affrontato, per poi eventualmente risolverlo politicamente o socialmente, se ancora presente.

Se oggi p.es. la famiglia nucleare non ha più senso, si deve comunque sapere ch'essa è uscita dalla famiglia patriarcale e questa è stata distrutta nella transizione dal feudalesimo al capitalismo. Un ritorno alla famiglia patriarcale, in un contesto borghese, non ha senso. Un'evoluzione della famiglia borghese verso una famiglia più collettiva, sempre all'interno di un contesto borghese, che si vuole salvaguardare giudicandolo imprescindibile, può avere un senso ancora minore. L'alternativa ultraborghese alla famiglia borghese classica, che punti sulla convivenza senza figli, sul primato del single, sul rifiuto di recidere il cordone ombelicale che lega i figli ai genitori, ha ancora meno meno senso.

Storia e geografia

Gli stessi rapporti schizofrenici tra storia e geografia, tipici della scuola italiana, vanno profondamente rivisti. La geografia deve diventare la premessa della storia, di ogni fenomeno storico. Senza coordinate geografiche (confini e caratteristiche di un territorio, delle sue risorse naturali, del suo clima, senza i dati statistici che aiutano a leggere un territorio) nessuna storia ha senso.

Infatti la storia è, soprattutto nelle fasi delle civiltà, una continua ricerca di risorse da sfruttare. D'altra parte la stessa geografia deve sempre di più legarsi alle scienze sociali ed economiche, perché deve aiutare lo storico a leggere le interconnessioni tra uomo e ambiente.

Si pensi solo a una materia di discussione come l'ecologia: qui davvero occorrono forti sintesi tra geografia, storia, attualità, economia, statistica...

Si pensi solo a cosa può significare un affronto delle mappe di Peters senza una loro presentazione storica.

La storia del Novecento

L'inserimento esclusivo del Novecento nell'ultimo anno delle scuole italiane (fatti salvi i riferimenti alla seconda rivoluzione industriale) doveva avere lo scopo di rendere il presente più vicino alle nuove generazioni, invece si è subito rivelata un'operazione del tutto formale, in quanto si è continuato a ribadire l'affronto meramente cronologico e italo-eurocentrico degli avvenimenti, senza entrare nella sostanza della svolta imperialistica del capitalismo.

La storia moderna e contemporanea può essere definita come la continuazione della storia del capitalismo (iniziata nel XVI secolo) con l'aggiunta di un fattore che fino a Marx non esisteva: il socialismo scientifico (sul piano dell'analisi socio-economica) e rivoluzionario (sul piano dell'analisi politica). Prima di Marx il socialismo era utopistico e riformista. E le prime avvisaglie di teorie socialiste si hanno solo con Babeuf, cioè alla fine della rivoluzione francese (le primissime avvisaglie si trovano nell'Utopia di Tommaso Moro, che non a caso reagì alla nascita del capitalismo inglese).

Questo significa che la storia moderna dovrebbe essere studiata, in maniera approfondita, a partire dal XVI secolo, al fine di capire le origini del nostro presente. Bisogna concentrarsi non sugli ultimi 50 anni di storia ma sugli ultimi 500, facendo però capire i nodi fondamentali della transizione dal feudalesimo al capitalismo, nonché i tentativi di passare dal feudalesimo al socialismo, saltando la fase intermedia.

Fatto questo, altre cose ancora andrebbero spiegate:

  1. esistono varie tipologie di socialismo (si può partire da quelle delineate già nel Manifesto);
  2. un socialismo davvero democratico non può non recuperare il significato del comunismo primitivo (quindi occorre dare alla cosiddetta "preistoria" un ruolo privilegiato, mettendola in relazione non solo con la nascita dello schiavismo e quindi delle cosiddette "civiltà", ma anche in relazione alla possibilità, sotto il socialismo democratico, di recuperare lo spirito del comunismo primitivo, ovviamente in forme e modi diversi, certamente sulla base di una diversa consapevolezza dello sviluppo storico);
  3. il capitalismo non trova solo le sue radici storiche nel XVI secolo, ma si situa in una linea di continuità che risale alle prime civiltà schiavistiche, le quali, in forza del concetto di proprietà privata, tolsero al comunismo primitivo le fondamenta su cui s'era sviluppato per migliaia di anni, praticamente in tutto il pianeta;
  4. la rottura del XVI secolo è strettamente correlata alle vicende culturali che hanno caratterizzato l'area occidentale dell'Europa, la quale, nell'Alto Medioevo, col cattolicesimo-romano, si staccò dall'ortodossia greco-bizantina, e nel Basso Medioevo, col protestantesimo, si staccò dallo stesso cattolicesimo-romano, per dare origine alla formazione capitalistica, salvo le eccezioni controriformistiche, poi riassorbite nel corso dei secoli;
  5. il capitalismo va studiato di concerto con la riforma evangelica, oltre che con lo sviluppo delle idee umanistiche e rinascimentali. L'unica cronologia che abbia un senso è quella che pone un inizio alle cose e che delinea, per sommi capi, il loro svolgimento lineare (le guerre fanno parte di questo sviluppo), che è anzitutto di tipo socio-economico, quindi strettamente connesso alle rivoluzioni industriali e alle politiche di sfruttamento delle risorse umane e materiali; la cronologia ridiventa utile quando si pongono rotture (le rivoluzioni comuniste) nei confronti di questo processo lineare.

Come si può notare, occorrono ben altri impianti metodologici per affrontare la storia contemporanea. Una volta non si poteva fare il Novecento perché il sistema socialista mondiale, scaturito soprattutto dal secondo dopoguerra, appariva come un'anomalia insopportabile. Poi, con la caduta del muro di Berlino si è proposto lo studio di questo "secolo corto", visto come conferma di una superiorità ritenuta indiscutibile, quella appunto del capitalismo.

Da questo Novecento ora restano esclusi i paesi del Terzo Mondo, che non possono avere "storia propria" e che continuano a rappresentare i limiti dell'occidente, e che "per fortuna" non costituiscono, almeno per il momento, un'alternativa praticabile che l'occidente sia costretto a temere.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015