METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


CONTRO LA STORIA SCRITTA

Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, part.

Una qualunque descrizione scritta delle vicende storiche è sempre una banale esemplificazione. La storia non può essere compresa adeguatamente leggendola ma soltanto vivendola.

L’unica cosa su cui si può discutere è se sia possibile porre le condizioni perché il passato possa essere rivissuto.

Infatti se può essere “rivissuto” allora forse può essere “ricompreso”: di sicuro non può essere adeguatamente compreso se ci si limita a leggere le fonti scritte o i commenti a queste fonti. Le fonti sono sempre di parte e nelle civiltà antagonistiche sono per lo più opera dei circoli dirigenti, delle élites al potere. In tali civiltà i mezzi di comunicazione sono “di massa” nel senso che i proprietari e i gestori privati li utilizzano per ingannare le masse e queste cercano di appropriarsene per potersi difendere.

Oppure gli storici ci dicano in che modo l’impossibilità di tornare alle condizioni del passato può permetterci di “ricomprenderlo” ugualmente. Cioè ci dicano in che modo il presente conserva dentro di sé tracce significative del passato.

Infatti se è possibile individuare queste tracce, allora forse non è necessario rivivere il passato per poterlo ricomprendere o comprenderlo come i protagonisti l’avevano vissuto, cioè è sufficiente vivere consapevolmente il proprio presente: quanto più uno è immerso nel proprio presente, nelle modalità che lo determinano, tanto più, indirettamente, è in grado di comprendere un lontano passato.

Dette modalità sono appunto quelle relative allo scontro di opposte forme di esperienza di libertà: forme individualistiche o collettivistiche.
Uno storico non può non essere un politico. Uno storico che non fa politica è un cattedratico astratto, un intellettuale che non vede i processi della libertà come ambigui ma secondo una logica meccanicistica di causa ed effetto.

L’ambiguità, l’indeterminatezza, le possibilità di scelta… tutto ciò dai cattedratici non viene visto positivamente, ma come un limite da superare, come una mancanza di chiarezza. Per i pedanti la storia va dimostrata come un teorema.

E’ impossibile immedesimarsi nelle dinamiche della libertà di un lontano passato, se non si è in grado di affrontare analoghe dinamiche di una libertà nel presente, del proprio presente.

Ma vivere il presente significa porsi in maniera umana e politica di fronte alle sue contraddizioni, cioè smettere di considerare il passato più importante del presente, smettere di leggere libri e cominciare a esaminare i bisogni.

Non c’è miglior modo di immedesimarsi con le dinamiche del passato che quello di vivere il proprio presente sino in fondo.

Ci si deve quindi porre contro la storia scritta, poiché la scrittura, in sé, non è uno strumento adeguato per comprendere le dinamiche della libertà. La libertà può essere compresa solo vivendola e viverla significa affrontare i bisogni e le contraddizioni ch’essi generano.

Quanto più si è in grado di dare risposte convincenti ai bisogni del proprio presente, tanto più, indirettamente, si è in grado di capire la storia del passato. C’è un filo invisibile che tiene unite le sensibilità di tutte le generazioni che si sono succedute nella storia.

In tal senso nessuno dovrebbe mai sognarsi di dire che il presente è in grado di leggere il passato più di quanto il passato sia stato in grado di leggere se stesso.

Se nel presente l’affronto dei bisogni è inadeguato, il passato che invece vi sarà riuscito avrà il diritto di giudicare il presente.

Certo il passato può essere fatto tacere dal presente, ma una coercizione del genere finisce col compromettere il nostro futuro. Non c’è futuro per chi non riconosce il meglio del proprio passato.

La storia non è la coda di una stella cometa, in cui la parte più lontana dal centro è quella meno luminosa. La storia è come il nucleo del sole, dove la temperatura è incandescente per tutto il disco.

Sotto questo aspetto non ha senso sostenere che non si può capire il presente se non si studia il passato. Il presente ha in sé tutti gli elementi per essere capito.

Si può studiare il passato come forma appunto esemplificativa di modalità di affronto delle contraddizioni, ma non si può pretendere di trovare nel passato le risposte ai bisogni del proprio presente, proprio perché i bisogni sono infiniti e infinite le contraddizioni che generano.

Le condizioni in cui i bisogni si presentano mutano continuamente. La maggior parte del tempo bisogna spenderla nel cercare di capire le condizioni in cui la libertà può muoversi.

UNA NUOVA PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA

Una delle più grandi disgrazie dell'umanità è stata la scoperta dell'uso dei metalli, la metallurgia, che gli storici invece definiscono come la più importante innovazione tecnologica del mondo antico, insieme alla ruota e all'aratro.

Con la metallurgia l'uomo smette definitivamente d'essere "naturale", soprattutto quando arriva al "bronzo", che in natura non esiste. Comincia in sostanza a sovrapporsi a ciò che l'ambiente naturale gli mette a disposizione. Fino a quel momento infatti - cioè per milioni di anni - aveva usato la pietra, l'osso, il legno, l'avorio... tutto quello che la natura gli offriva e che si poteva facilmente trovare, sostituire, riciclare e riconvertire in altro.

Era l'abbondanza stessa della natura che rendeva inutile l'esigenza di utilizzare i metalli. Quindi si può presumere che tale esigenza sia maturata anzitutto in un territorio molto ostile, impervio, difficile da vivere (p.es. le paludi o le aree acquitrinose e melmose dei fiumi che esondano periodicamente); territori prodottisi a causa di imprevisti o improvvisi mutamenti climatici o di errati comportamenti umani. Non è infatti da escludere che le cosiddette "civiltà" siano nate presso popolazioni disadattate o emarginate o addirittura escluse dal consesso di altre popolazioni, a causa di certi loro atteggiamenti.

Non dimentichiamo che sono state proprio queste popolazioni sui generis che, per giustificare taluni atteggiamenti arbitrari, hanno inventato la religione, la quale non ha solo la funzione di reprimere chi non si adegua al regime dominante, ma anche di legittimare la disuguaglianza sociale (tra uomo e uomo e tra uomo e donna), che poi si traduce in oppressione dell'uomo nei confronti della natura. Dio sostituisce la natura quando un particolare ceto sociale vuol far valere i propri interessi su una collettività e si serve appunto della religione per far credere che i propri interessi appartengano all'intera collettività.

In origine ciò che fu insensato fu il passaggio dall'agricoltura allo sviluppo urbano. Già il passaggio dal nomadismo alla stanzialità (che gli indiani nordamericani sino alla metà dell'Ottocento non avevano mai conosciuto) era foriero di rischi imprevedibili. Quando poi, nella stanzialità, si passò all'urbanizzazione, l'uso sistematico dei metalli divenne inevitabile: rame, stagno, bronzo, ferro, oro, argento... E coi metalli non si facevano solo oggetti d'uso domestico, ma anche armi, e non tanto per cacciare quanto piuttosto per fare guerre di conquista e di sterminio.

E siccome le cave, le miniere, le fonti di rifornimento erano poche e facilmente esauribili (non essendo rinnovabili), il bisogno di ampliare i mercati o d'impadronirsi di territori altrui divenne sempre più forte. S'era imboccata una via irreversibile, che rendeva tutto innaturale.

La storia è diventata col tempo un gigantesco mattatoio tra popolazioni dedite alla cosiddetta "civilizzazione", sia che questa fosse espressamente voluta, sia che fosse passivamente ereditata: in entrambi i casi infatti s'è dovuta imporla con tutta la forza e l'astuzia possibile a quelle popolazioni ancora caratterizzate dall'ingenuo collettivismo dell'innocenza primordiale.

A volte queste aggressive popolazioni sono state sconfitte militarmente da altre che, dal punto di vista della "civilizzazione", erano più indietro (perché p.es. ancora nomadiche, prive di città ecc.), ma col tempo queste popolazioni tecnologicamente più arretrate sono state assorbite, hanno "modernizzato" il loro stile di vita, si sono lasciate corrompere, diventando come le popolazioni che avevano sconfitto (vedi p.es. i "barbari" nell'alto Medioevo europeo).

Il virus dell'antagonismo sociale si è lentamente ma progressivamente diffuso in tutto il pianeta. Le catastrofi epocali che questo stile di vita ha prodotto non sono mai state sufficienti per ripensare i criteri che determinano il concetto di "civiltà". Tutto quanto è anteriore a un certo periodo noi continuiamo a chiamarlo col termine di "preistoria".

Ecco perché dobbiamo ripensare i criteri di periodizzazione con cui siamo soliti distinguere i periodi storici. La civiltà è una sola, quella umana. Semmai sono le forme a essere diverse. Da una storia fondata sul collettivismo democratico siamo passati a una storia basata sull'antagonismo sociale, gestito, a seconda dei casi, da gruppi privati (monopolistici) o da istituzioni statali (burocratiche). I gruppi privati sono tipici dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti (dove lo Stato è alle loro dipendenze); le istituzioni statali sono invece tipiche di molti paesi asiatici (anzitutto la Cina, ma il collettivismo forzato ha caratterizzato anche tutto il cosiddetto "socialismo reale").


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015