STORIA TRASVERSALE


LA CONCEZIONE DELL'EUROPA

Gli storici occidentali di tendenza borghese hanno sempre identificato l'Europa con l'Occidente, ovvero i valori della democrazia occidentale con quelli europei dei paesi più avanzati (capitalistici) e con quelli statunitensi, considerati, quest'ultimi, come una conseguenza (radicale) dei valori storico-politici dell'Europa.

In questa visione semplificata delle cose s'è fatto in modo di non porre differenze di principio tra paesi di religione protestante e paesi di religione cattolica. Considerando che sul piano economico è prevalso il capitalismo, s'è dato per scontato che i valori prevalenti dovessero essere quelli protestanti, cui i paesi cattolici si sono dovuti adeguare, seppure obtorto collo.

Eppure noi sappiamo che i paesi latini, di religione cattolica, tendono a rivendicare una certa diversità di principio dai valori borghesi di matrice protestante. Questo è ben visibile nelle posizioni terzoforziste (tra capitalismo e socialismo) che la chiesa romana si vanta di avere, sponsorizzate da vari partiti politici, soprattutto in Italia, ma anche in Polonia, in Spagna, in taluni ambienti conservatori della Germania, della Francia, del Belgio, dei Paesi Baltici ecc.

Quanto agli Stati Uniti, pur essendo essi una creazione dell'Europa protestante, va detto che i loro valori sono molto più individualistici di quelli dei paesi protestanti europei.

Gli Usa sono nati come paese protestante, ma ben presto, in seguito ai flussi migratori, sono diventati un paese pluriconfessionale, in cui la separazione di Chiesa e Stato s'è imposta quasi automaticamente. Cosa che invece nei paesi europei, soprattutto in quelli cattolici (se si esclude la Francia), ha sempre incontrato forti resistenze. Da noi la semplice accettazione di una religione diversa da quella cattolico-romana ha spesso comportato una serie interminabile di guerre molto sanguinose.

Dobbiamo quindi dire che al momento i valori dominanti a livello mondiale sono quelli del capitalismo statunitense, cui l'Europa occidentale è costretta ad adeguarsi (in maniera progressiva), non senza resistenze dovute alle diverse tradizioni storico-culturali.

Lo stesso si potrebbe dire dell'altra grande potenza occidentale: il Giappone, che ha accettato i valori occidentali del capitalismo americano, pur provenendo da tradizioni diversissime, influenzate dallo shintoismo di matrice feudale.

Gli storici europei borghesi, quando parlano di Europa, non fanno mai differenza tra paesi di religione cattolica o protestante e paesi di religione ortodossa. Essi danno per scontato che i valori dominanti in Europa siano quelli protestanti, cui cercano di contrapporsi, di tanto in tanto (vanamente, in verità), quelli di tradizione cattolica, di matrice feudale, che mentre sul piano politico sono legati all'affermazione monarchica del papato e gerarchica della chiesa, sul piano sociale sono legati al solidarismo della carità, al primato della famiglia sulla società ecc. Questi valori cattolici sono molto più forti in Europa che non negli Stati Uniti, e le gerarchie continuano a imporli alle popolazioni sudamericane e africane delle ex-colonie europee.

La storiografia europea non tiene mai in considerazione che nell'ambito dei valori cristiani esiste quella che può essere considerata la migliore tradizione cristiana, rimasta nel tempo la più immutata, appunto quella ortodossa. Perché questo misconoscimento? Semplicemente perché la tradizione ortodossa è stata definitivamente liquidata in Europa occidentale sin dal tempo delle crociate medievali (in campo artistico con la rivoluzione di Giotto) e sanzionata con la caduta di Costantinopoli nel 1453.

In Europa occidentale si fa coincidere cristianesimo con cattolicesimo-romano, anche se dopo la nascita del capitalismo si ritiene che la migliore religione cristiana sia quella protestantica, la più adatta allo spirito borghese.

Il protestantesimo, pur sviluppatosi come "religione", oggi viene vissuto dalla borghesia in maniera del tutto laicizzata, come filosofia di vita, essendo stato per così dire "interiorizzato", scomparendo tendenzialmente come religione specifica. Storicamente è stata la filosofia (soprattutto quella tedesca) a operare tale trasformazione culturale.

Il protestantesimo, diviso nelle sue tante sette, è rimasto come religione specifica per le persone che nell'ambito della società borghese appaiono come deboli, emarginate, oppure è rimasto come aspetto devozionale puramente formale o facoltativo (p.es. i presidenti degli Usa si affidano al loro dio protestante quando devono intraprendere delle guerre o quando devono giurare sulla Costituzione).

Viceversa l'ortodossia è stata vissuta dai paesi che la professano come religione "nazionale", almeno finché con l'avvento del socialismo di stato non si è imposta la netta separazione di Stato e Chiesa. L'ortodossia è rimasta come "religione" di una società che nelle sue istanze istituzionali era atea (questo in tutti i paesi dell'ex-Comecon, poiché il principio della separazione valeva anche là dove era il cattolicesimo ad essere la religione "nazionale", come p.es. in Polonia o in Ungheria).

Prima del crollo del "socialismo reale", gli storici borghesi, quando trattavano dell'Europa, tendevano a escludere sia i paesi di religione ortodossa, sia quelli di ideologia socialista. La Grecia ortodossa, p. es., pur non essendo mai stata socialista, è sempre stata considerata un'anomalia nel quadro dell'Europa cattolica e protestante, e questo nonostante sia partita da qui la cultura europea schiavista, la filosofia pagana, la democrazia politica, l'arte e l'architettura più evolute ecc. Questo per dire che la chiesa romana è in grado di influenzare con la propria ideologia la visione della realtà degli storici occidentali.

Dopo il crollo del muro di Berlino si è tornati a parlare di un'Europa dall'Atlantico agli Urali, ma solo nel senso che si vuole sia il superamento della tradizione ortodossa che l'accettazione incondizionata del capitalismo. Tacitamente l'ingresso in Europa ha la precondizione della rinuncia, da parte dell'est-europeo, delle proprie tradizioni opposte a quelle religiose ed economiche da noi dominanti.

Ovviamente le questioni religiose risultano di molto inferiori, come importanza strategica, a quelle economiche del libero mercato. Tuttavia è evidente che la chiesa romana (essendo un'istituzione politica per eccellenza) non può lasciar perdere l'occasione di sfruttare i processi integrativi europei per compiere opera di proselitismo là dove fino a ieri le era quasi interdetto dal socialismo di stato (come ancora oggi p. es. in Cina). Esattamente come ieri sfruttava i processi colonialistici per imporsi nel Terzo Mondo.

Alla luce di tutto questo qual è dunque l'Europa che dobbiamo costruire per realizzare una civiltà democratica?

  1. Anzitutto un'Europa in cui i processi di separazione laica tra Stato e Chiesa procedano più spediti, anche negli stessi paesi cattolici, oggi peraltro soggetti, come i paesi protestanti, a imponenti flussi migratori che impongono culture pluraliste.
    La separazione di Chiesa e Stato infatti non è più soltanto una rivendicazione della coscienza laica, ma anche una necessità istituzionale del pluriconfessionalismo della società. Chiese privilegiate, chiese di stato, concordati, intese esclusive: tutto ciò non ha più ragione di esistere.
  2. Nel processo di progressiva laicizzazione della società e di separazione istituzionale di Chiesa e Stato, l'Europa, dell'est e dell'ovest, non solo può trovarsi unita, ma non ha neppure alcuna difficoltà a considerare gli Usa un partner storico.
    Risultano infatti più ostici i rapporti culturali con quei paesi che fanno di determinate ideologie religiose un punto di riferimento istituzionale (molti paesi islamici), anche se certamente i rapporti economici con questi paesi possono essere più facili di quelli con gli Usa, abituati a dominare la scena mondiale sin dall'ultima guerra.
    Anche i rapporti con la Cina dovrebbero essere relativamente facili, visto che questo paese ha sempre affermato il regime di separazione tra Chiesa e Stato. Tuttavia il governo cinese deve permettere alle religioni di svilupparsi socialmente senza problemi, nel rispetto della democrazia.
  3. Un altro aspetto da considerare è che sul piano economico l'Europa occidentale, avendo subito due disastrose guerre mondiali, a causa del capitalismo senza regole, tende a privilegiare il Welfare State all'individualismo statunitense, caratterizzato da un marcato darwinismo sociale.
    Per noi europei qualunque tentativo di smantellare lo Stato sociale costituisce una sorta di passo indietro. Su questo non possiamo seguire gli Usa, anche perché non disponiamo delle stesse risorse strategiche, delle stesse risorse militari ed economiche con cui imporsi a livello mondiale. E sicuramente il Giappone, in questo, è più vicino all'Europa.
  4. L'Europa deve procedere verso forme sempre più spinte di socializzazione della produzione, che non ripetano gli errori del socialismo di stato dei paesi est-europei, ma che sappiano comunque sottrarre la gestione del territorio all'iniziativa di imprenditori privati, incapaci di garantire un futuro all'Europa (vedi i recenti processi di delocalizzazione, di smantellamento di quei settori che pur avendo un fatturato in attivo non erano in grado di garantire determinati livelli di plusvalore, ma vedi anche i grandi e sempre più diffusi fenomeni di corruzione imprenditoriale, che destabilizzano enormemente le capacità di risparmio e di investimento dei piccoli consumatori).
  5. Nella progressiva affermazione del socialismo democratico occorre che le funzioni di "welfare" dello Stato vengano sempre più gestite dagli enti locali territoriali, dotati di autonomia impositiva e destinati a sostituirsi alle istituzioni centralizzate dello Stato, oggi particolarmente inefficaci a gestire la crescente complessità del territorio.
  6. La consapevolezza di un mondo unico, indivisibile e interdipendente può trarre particolare giovamento da un uso della tecnologia conforme a leggi di natura. L'interconnessione dei paesi non va vista solo in chiave economico-produttiva, ma anche in senso ecologico, nella convinzione che un effetto nocivo in qualunque parte della Terra ai danni della natura, si ripercuote inevitabilmente su tutto il pianeta. Va ripensato in tal senso il modello di sviluppo che caratterizza in questo momento le civiltà basate sul profitto privato; in particolare va ripensato il bisogno di affidarsi al nucleare per ottenere energia.
  7. L'Europa deve superare il concetto di "Stato nazionale", deve abbattere le barriere, insieme politiche e culturali, oltre che geografiche, che non le permettono di costruire una "casa comune", che non permettono cioè al cittadino di sentirsi ovunque a casa propria.
    E' definitivamente tramontato il periodo in cui una nazione europea si sentiva in diritto-dovere di affermare la propria "identità" a scapito di altre nazioni. Ieri le nazioni hanno eliminato gli imperi, oggi il processo paneuropeo deve superare il concetto stesso di "nazione". E' assurdo pensare che un'Europa unita possa essere il frutto di un'intesa delle nazioni più forti. E' il concetto stesso di "forza" che va bandito dalla cultura europea.
    Le stesse forze armate dovrebbero essere ristrutturate secondo il principio della "ragione sufficiente", cioè in modo che rimanga una quantità di forze sufficienti alla difesa ma insufficienti per un attacco, anche perché si deve sviluppare il concetto della "sicurezza collettiva", universale, che non può basarsi su una superiorità militare né, tanto meno, su una deterrenza nuclerare.
  8. L'Europa può riscattarsi agli occhi del Terzo Mondo rinunciando a qualunque relazione internazionale basata sullo scambio economico ineguale. Vanno cioè rivisti tutti i rapporti basati sul colonialismo, sul neocolonialismo, sull'imperialismo economico che hanno caratterizzato i rapporti tra Europa occidentale e resto del mondo negli ultimi due secoli.
  9. Non è più possibile che in nome dello stereotipo dell'"eurocentrismo", l'Europa si consideri un modello politico, culturale, economico oggetto di esportazione. Non è più possibile che questo modello si basi su un primato della civiltà occidentale, borghese o capitalistica. Ne è possibile che l'Europa si debba sentire vincolata agli Stati Uniti nell'affermazione su scala mondiale di questo modello.
  10. L'Europa non può rimuovere astrattamente da se stessa le ideologie nate al suo interno, come se non fossero mai esistite. Deve piuttosto assumerle tutte democratizzandole progressivamente. Deve cioè trovare in ogni ideologia o cultura le cause storico-sociali che l'hanno generata, verificando se tali cause esistono ancora o sono state superate. Bisogna che non vi siano pregiudiziali di sorta nei dibattiti pubblici.
  11. Il processo di pace inaugurato ad Helsinki è incompatibile con la presenza sul territorio europeo di armi di sterminio di massa. In particolare, un continente che pretenda di concepirsi in maniera autonoma sul piano politico e istituzionale non può tollerare al proprio interno la presenza di basi militari (extraterritoriali) gestite dagli statunitensi.
  12. E' inimmaginabile pensare al concetto di Europa ignorando i paesi che nel passato hanno intessuto rapporti di collaborazione o di scambio o anche di confronto con noi, pur avendo essi abbracciato teorie socialiste, o solo perché, dopo avervi rinunciato, perché giudicate errate, non si sono convertiti in toto alle idee del capitalismo avanzato.
    In particolare è impensabile realizzare il concetto di Europa senza l'apporto della Russia. Le relazioni della Russia con l'occidente europeo risalgono a mille anni fa. Le aspirazioni a escludere la Russia dai confini europei o a inglobarla come una "provincia" da sfruttare, non hanno alcun senso.
  13. L'Europa deve favorire democraticamente lo sviluppo di valori umani universali, presenti in tutte le culture del mondo. Non ci possono essere imposizioni di sorta, forzature di alcun genere nella valorizzazione dell'unità nella diversità.
    In particolare l'Europa deve fare in modo che le istituzioni rappresentative dei valori e degli interessi internazionali vengano gestite in maniera democratica da tutte le nazioni del mondo. Non ha più senso, p.es., che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu sia diretto dalle cinque nazioni che hanno vinto la II guerra mondiale. Non può esserci rispetto per le norme di un diritto internazionale quando esistono cinque paesi che si sentono autorizzati a prendere decisioni per tutti gli altri.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 01/05/2015