TEORIA
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LA GRAVITA' E L'ABISSALE La gravità, per la quale andiamo diritti su questa terra, è anche quella che genera nelle nostre percezioni più immediate e istintive le nozioni di equilibrio e di squilibrio; nonché quelle di simmetria e asimmetria. Vero è che queste nozioni possono essere riconoscibili anche in ambiti non gravitazionali; ma la gravità sembra costituirne il più forte e originario condizionamento, che ci induce al riconoscimento di quei valori, che poi di fatto sono anche estetici e morali. Se così la gravità ci apparirà in una luce diversa, non meramente fisica, ma più intimamente legata al nostro modo di essere e di pensare, ci potrà nascere il sospetto che un bel po’ di valori non abbiano poi una valenza così generale, ma siano in fondo tipici di questa nostra situazione terrestre e gravitazionale. Si dirà che questo è infine il mondo in cui viviamo e siamo vissuti. D’accordo, ma occorre anche prendere atto di nuovi scenari che potrebbero prospettarsi all’umanità, per esempio in ordine alla possibilità di vita in ambiti extraterrestri, o per le "conquiste" che già rappresentano, parzialmente, vere sconfitte della gravità. (Solo un cenno ai materiali da costruzione che, dimenticata pietra e mattone, consentono di realizzare strutture in cui la coesione ha la meglio sul peso.) La simmetria, che è di per sé un dato puramente geometrico, in un campo di forze assume valenza dinamica, divenendo condizione di equilibrio strutturale. Si genera da tale assunto tutta una gerarchia di valori, che vanno dall’equilibrato allo squilibrato, dallo stabile all’instabile, dall’ordinato al disordinato. In assenza di campo invece, o quando gli effetti del campo vengono annullati, tutte le situazioni sono di equilibrio, i movimenti non hanno direzioni preferenziali, le forze che si generano non devono fare i conti che con se stesse. E’ la "libertà" di chi si muove sott’acqua, oppure all’interno di una navicella spaziale. In condizioni così diverse non possono non ipotizzarsi altrettanto profonde mutazioni anche nel modo di pensare e di agire degli esseri umani. La "vecchia gravità " si presenta così come l’immagine del "vecchio mondo", con le sue scale di valori, i suoi drammi, i suoi principi e le sue regole; con la sua arte e la sua morale. Se unisco due segmenti nel loro punto mediano ottengo una figura che presenta almeno due assi di simmetria. Il maggior contenuto in simmetria si ha quando gli angoli sono di 90°. Questo semplice incrocio di linee in presenza del campo gravitazionale diviene la croce. Se configgo la croce nel terreno un elemento risulterà verticale, l’altro orizzontale. La fortuna straordinaria del simbolo cristiano non è certo estranea a questa sua intrinseca valenza gravitazionale. L’elemento verticale individua un linea di forza del campo gravitazionale terrestre; quello orizzontale una linea equipotenziale dello stesso campo. La prima linea va dal centro della terra all’infinito, o viceversa; la seconda si estende in orizzontale, richiudendosi infine su se stessa. Se faccio coincidere il braccio orizzontale con la terra, l’elemento sovrastante evoca tutto ciò che si alza su di essa: i monti, le vette, i campanili, ecc. La parte sottostante invece ciò che sprofonda nel sottosuolo: i pozzi , le cavità, le tombe, gli inferi. Nell’orizzontalità, che poi è la pianura, si riconosce la quiete dello spirito, l’operosità quotidiana, la normalità delle consuetudini; e anche, se vogliamo, la buona salute. Ma intimamente saldato a questa condizione, anche se spesso insospettato, sta il braccio verticale. Si può aprire con esso il baratro dei turbamenti, dell’instabilità, della malattia: quando tutto cambia, diviene precario, e la dimensione esistenziale può assumere l’aspetto della caduta, o della salita. La ricerca spirituale tradizionale postula l’altitudine, paradigma dell’ascesi (eremi), in stretto rapporto dialettico con la sottostante pianura, termine di paragone, confronto, scambio. Una configurazione simboleggiata appunto dal braccio verticale della croce, laddove la pianura corrisponde a quello orizzontale, al livello cioè sul quale si svolge normalmente la vita sulla terra. La visione cristiana tende a distaccarsi dal piano ove opera l’uomo, per postulare livelli superiori, ai quali l’uomo può aspirare pienamente solo dopo la morte. Anche a una visione pagana la considerazione dell’uomo e delle sue opere terrene offre innumerevoli spunti critici; ma essa, a differenza di quella cristiana, non osa postulare livelli superiori di esistenza, ai quali posporre e sacrificare aspetti della vita reale. La vita post mortem viene in ogni caso considerata una diminutio, una perdita di consistenza, un abbandono. Essa si colloca ben al di sotto del piano di calpestio, nelle profondità remote e desolate degli inferi; mentre la dimensione reale e quotidiana dell’essere continua ad occupare stabilmente il vertice della scala di valori. Gli uomini, dopo la morte, tutti, non solo i reprobi, scendono e si allontanano tristemente nelle viscere della terra, attraverso i varchi delle necropoli scoscese, che assumono in quest’ottica la configurazione invertita degli eremi ascetici. Particolarmente evocative in tal senso risultano proprio le necropoli etrusche, del tutto invisibili a chi abita la pianura operosa e alla luce del sole, ma improvvise e sconvolgenti nel presentare baratri insuperabili al proseguimento di un cammino. La dimensione orizzontale è il regno del tempo. La dimensione verticale segna la fine del tempo; la salita, o la discesa, sono improvvise, senza spessore temporale. La più antica meditazione cinese (preletteraria) sembra concentrare in un singolo segno grafico la rappresentazione di questo concetto. Nel libro noto come “I Ching”, o delle mutazioni, fra gli altri “trigrammi”, vale a dire segni composti da tre segmenti orizzontali sovrapposti, dai quali è composto il libro, se ne trova uno nel quale il segmento mediano è un tratto unito, mentre gli altri due sono interrotti a metà. Questo segno porta il nome di “Khan” ( l’Abissale). Osservandolo, si può anche qui intuire la presenza della croce, il cui braccio orizzontale è palesemente rappresentato dal segmento mediano, unito, stabile, tranquillizzante; mentre il braccio verticale si individua sullo sfondo in corrispondenza dei vuoti relativi alle interruzioni dei segmenti superiore e inferiore. Esso emerge incerto e inquietante, con una sorta di presenza–assenza, espressione della fuga dal tempo verso l’ignoto, l’abisso. Rimane tuttavia saldamente ancorato al tratto mediano, al presente, alla realtà; senza cui ogni fuga appare priva di senso. La fuga ha significato solo in riferimento alla stabilità; essa prende valore solo dalla percezione del contrasto. Il concetto di abisso si configura quindi esclusivamente in rapporto alla normalità: solo la normalità è abissale. Fonti
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