STUDI SULL'ATEISMO SCIENTIFICO


DONINI E L'ATEISMO SCIENTIFICO

Chiunque in Italia voglia iniziare uno studio del fenomeno religioso, visto in chiave marxista, non può assolutamente prescindere dal grande contributo di Ambrogio Donini, soprattutto delle sue due opere più significative: Storia del cristianesimo (ed. Teti) e Lineamenti di storia delle religioni (Ed. Riuniti e, successivamente, ed. Newton, col titolo Breve storia delle religioni). Anche questo, se vogliamo, è un modo per ricordare la sua scomparsa.

In effetti, forse non ci rendiamo sufficientemente conto che nell'ambito della sinistra nessuno, ancora oggi, può vantare una cultura così vasta in materia di "religioni" come quella di Donini, e nessuno, al di fuori dell'area marxista, può vantare una competenza altrettanto scientifica, poiché l'interpretazione cattolica del fenomeno religioso o dipende da quella franco-tedesca meno progressista o è terribilmente apologetica (sulla scia dell'integralismo di Wojtyla e di C.L., che vorrebbero addirittura realizzare una dipendenza dalla teologia polacca), mentre la tradizione protestante (si pensi alle opere della editrice Claudiana di Torino) non ha ancora la forza sufficiente per imporsi a livello nazionale, dimostrando cioè che, oltre a quella cattolica, esiste anche un'altra interpretazione del fenomeno religioso (meno che mai questa forza ce l'ha l'area cristiano-ortodossa, che senza dubbio è molto più sviluppata in Francia).

Donini non ha soltanto avuto il merito di far conoscere al pubblico italiano le tesi più significative della scuola mitologica sovietica (si pensi a Vipper, Jaroslavskij, Kryvelev, Tokarev, Kovaliov..., autori a lui molto cari), ma ha avuto anche il merito di ridimensionare l'acceso anticlericalismo dell'area anarchica, impostato, sul piano ateistico, in maniera positivistica, così come si può oggi rilevare dalle opere curate dall'editrice La Fiaccola di Ragusa. 

Il terzo grande merito di Donini è stato quello di aver superato il suo maestro Buonaiuti e con lui i limiti del modernismo, che pur è stato l'ultima grande esperienza progressista del cattolicesimo italiano, in parte poi riassorbita dalla chiesa, in parte confluita nel marxismo (come appunto nel caso di Donini), in parte proseguita, con scarsa fortuna, nell'esperienza dei cristiani per il socialismo e dei cattolici-comunisti (le cose sono andate meglio in Sudamerica con le comunità di base e la Teologia della liberazione).

Il discepolo più significativo di Donini, in Italia, è stato Marcello Craveri, che ha approfondito la lettura ateistica del cristianesimo primitivo, concentrandosi soprattutto sulla figura del Cristo (la sua ultima fatica però è sulla storia delle eresie).

Detto questo non ci resta ora che evidenziare i limiti dell'opera di Donini, aiutando il lettore a capire in quali direzioni essa meriterebbe un felice prosieguo. Sul piano fenomenologico i limiti si possono desumere da due fatti sintomatici:

  1. la scarsa comprensione dell'ateismo-scientifico di Donini nell'ambito della sinistra italiana,
  2. lo scarso dialogo di questo ateismo con le posizioni cattoliche e protestanti.

Le cause del primo aspetto vanno addebitate in parte al Pc e in parte allo stesso Donini. Mentre questi, infatti, nell'esame del fenomeno religioso, ha sempre preferito accentuare l'uso degli strumenti ideologici rispetto a quelli politici, l'altro invece ha fatto esattamente il contrario. In altre parole, mentre Donini ha cercato soprattutto di sottolineare la valenza "alienante" della religione, il Pc (a partire da Togliatti) ha cercato soprattutto di valorizzare l'elemento di "protesta".

Da un lato quindi si puntava, seguendo le orme di Engels, a evidenziare le falsificazioni prodotte dal cristianesimo primitivo, dall'altro si ribadiva (soprattutto con Berlinguer) la laicità del partito, relegando il fenomeno religioso a questioni di mera coscienza privata (di qui l'agnosticismo indifferente di molti comunisti).

Un concetto come quello di "laicità", pur giustamente affermato in sede politica, non può significare che, sul piano ideologico, è sempre meglio non esprimersi per non rischiare di offendere la suscettibilità altrui. Ognuno deve essere lasciato libero di condividere o meno certe tesi (specie in materia di religione), ma le tesi vanno comunque formulate, altrimenti la libertà sarà soltanto quella di adeguarsi alle posizioni dominanti della cultura cristiano-borghese.

Ma dove stanno, in tutto ciò, i limiti di Donini? Stanno appunto nel fatto che, accentuando gli aspetti "alienanti" della religione (e qui veniamo al secondo punto), il rapporto col mondo cattolico è sempre stato per lui molto problematico. In questo senso il Pc non ebbe tutti i torti nel cercare di smorzare l'impatto politico che potevano avere le sue ricerche storiche sul rapporto tra il partito e i cattolici.

Condizionato da fattori storico-politici, Donini, nell'esame del fenomeno religioso, ha preferito, come d'altra parte quasi tutta la storiografia sovietica sino alla fine degli anni '70, allinearsi alle posizioni dell'indirizzo mitologico, tralasciando di approfondire le tesi delineate da Kautsky, la cui opera, Origini del cristianesimo, aveva incontrato anche il favore di Lenin, che nel '19 la fece immediatamente tradurre in russo. Tesi, quelle di Kautsky, in un certo senso "classiche", poiché, vedendo nel Cristo un soggetto politico-rivoluzionario, risalivano a H. Reimarus e alla Sinistra hegeliana, ma anche "moderne", poiché contestualizzavano sul piano socio-economico quell'esperienza rivoluzionaria.

"Allo stato attuale delle fonti -ha scritto Donini nei Lineamenti- qualunque tentativo di leggere i libri del Nuovo Testamento in chiave puramente politica può solo costituire una manifestazione di buone intenzioni e di coraggioso impegno sociale, sul terreno della lotta per la libertà e per il progresso. Sia i quattro vangeli che gli altri scritti neotestamentari, infatti, sono preoccupati in primo luogo di spoliticizzare al massimo la biografia di Gesù e di inquadrarla in un mito religioso di salvezza ultraterrena".

Con questo suo sintetico pensiero, Donini in pratica affermava due cose:

  1. una lettura politica del movimento messianico di Gesù sarà possibile solo quando avremo altre fonti a disposizione, in quanto quelle attuali mirano a legittimare un'interpretazione opposta, di tipo cioè "religioso";
  2. uno storico deve limitarsi a considerare che le attuali fonti per lo studio del cristianesimo, essendo viziate dalla preoccupazione apologetica di dimostrare la compatibilità della nuova religione universale col sistema dominante romano, non offrono quella sufficiente credibilità perché si possa esprimere su questo movimento un giudizio obiettivo.

Col che, pur restando nei limiti di una corretta valutazione di metodo, l'analisi marxista, invece di sentirsi stimolata a studiare le falsificazioni "cristiane", s'è bloccata sul nascere, soprattutto in Italia, lasciando che il compito fosse svolto dalla migliore teologia protestante e dal positivismo anticlericale.

Paradossalmente, proprio questa intransigente posizione, che avrebbe dovuto dare al Pc solide fondamenta ideologiche per vincere il confronto coi cattolici, è stata utilizzata dal partito per tenere nettamente separate l'ideologia dalla politica, negando alla prima una vera importanza e rischiando continuamente di fare della seconda un mero strumento per l'acquisizione del consenso.

In sostanza, la sinistra, socialista e comunista, parlamentare ed extraparlamentare, non ha prodotto alcunché di veramente significativo sul piano dell'analisi dei contenuti neotestamentari: molto di più è stato fatto, grazie soprattutto al Candeloro, sul piano della storia della chiesa e del movimento cattolico.

L'unica rivista di ateismo esistente in Italia, nell'ambito della sinistra, è stata "La ragione", dell'Associazione "Libero pensiero" (Giordano Bruno), ma dopo la scomparsa di G. Conforto, la redazione ha subìto un'involuzione neoplatonica così grave che una parte della redazione s'è vista costretta a partorire una "Nuova ragione". (Discorso a parte andrebbe fatto per le opere dell'etnologo A. Di Nola).

La corrente che in Italia ha cercato di sviluppare la tesi metodologica di Donini, cominciando ad entrare nel merito dei contenuti, è stata il razionalismo positivista (vedasi ad es. le opere di E. Bossi, A. Palomba, R. Souvarine e altri, curate dalle ed. La Fiaccola). Questa corrente si è rifatta agli enciclopedisti francesi (soprattutto a D'Holbach), alla Sinistra hegeliana (soprattutto a Strauss), alla Formgeschichte (la quale ad es. afferma che i cosiddetti "miracoli" di Cristo non sono che miti) e, infine, alla scuola antistorica (nata verso la metà del XIX sec.) che nega una qualunque storicità al Cristo (vedi ad es. A. Kalthoff e A. Drews in Germania, J. Robertson in Inghilterra, B. Smith negli USA, Ch. Guignebert e B. Couchond in Francia).

Partendo da premesse marcatamente positiviste, questa forma di razionalismo (che in sede politica si ricollega da noi al movimento anarchico), è subito sconfinata nell'anticlericalismo, pur avendo senza dubbio avuto il merito di dimostrare la grande influenza delle religioni orientali sul cristianesimo, i grandi parallelismi fra Vecchio e Nuovo Testamento, grazie ai quali si sono potuti smontare, ad es., tutti i racconti della nascita di Gesù.

Sul piano scientifico il suo limite maggiore sta nell'aver confuso le esigenze oggettive del processo storico (che ad un certo punto hanno portato, nell'ambito del cristianesimo, a deformare la realtà delle cose) con la cattiva fede di qualche impostore, ovvero il fatto di non aver saputo distinguere i concetti di "falsificazione" e di "invenzione": chi "falsifica" infatti ha un limite oltre al quale non può andare, proprio perché ha la pretesa d'essere credibile, diversamente da come si comporta chi "inventa" tutto di sana pianta. A livello filosofico il pensatore più significativo resta G. Rensi.

Di recente, forse per uscire dall'impasse, si è andato affermando un genere letterario le cui origini si fanno risalire a Renan: il "romanzo psico-politico", che consiste nel saper utilizzare ad libitum alcuni aspetti dei vangeli, ricamandoci sopra una descrizione psicologica dei vari personaggi, nonché una trama politica che spesso ricalca, più o meno fedelmente, la versione ufficiale della apoliticità del Cristo.

Di qui le varie opere su Giuda di Zullino, Pazzi, Del Rio, quella su Pilato di Gurgo, di Angeli sul Figlio dell'uomo e altre ancora. Questi scrittori, le cui opere, non a caso, spesso vengono pubblicate da editrici cattoliche, si sono serviti, con circospezione, senza cioè trarre le dovute conseguenze sul piano politico, dei lavori esegetici fatti a partire dagli anni '20 di questo secolo (in Germania, Francia e Inghilterra) sul Nuovo Testamento, in particolare sui vangeli di Giovanni e soprattutto di Marco, che rappresenta, quest'ultimo, la vera scoperta dell'esegesi contemporanea, a motivo della sua concretezza, vivacità, ricchezza di particolari..., ma anche perché risulta essere la fonte principale di Matteo e Luca, nonché il punto di riferimento privilegiato per Giovanni.

Tornando a Donini, ci pare che i condizionamenti storici da lui subìti (e di questo occorre tener conto, se si vogliono veramente apprezzare i suoi meriti), si sono alla fine risolti in un pregiudizio (anche se una certa inversione di tendenza, seppur minima, può essere riscontrata nelle ultime edizioni dei Lineamenti): il pregiudizio secondo cui l'ammissione del carattere politico-rivoluzionario del vangelo di Cristo (non certo dei vangeli canonici, che di quello costituiscono un tradimento più o meno evidente), avrebbe fatto, in ultima istanza, gli interessi della religione. Donini, in un certo senso, applicò alla lettera il monito di Lenin indirizzato a Lunaciarskij: "Qualsiasi giustificazione dell'idea di dio, anche la più onesta, fa sempre il gioco dei clericali". E siccome la figura del Cristo risultava per tradizione legata a una certa immagine di dio, Donini ne trasse la conseguenza che il modo migliore per evitare le strumentalizzazioni clericali fosse quella di mettere in discussione l'attendibilità delle fonti cristiane, fino a negare l'esistenza stessa del Cristo.

Questa presa di posizione ha portato (non solo Donini ma tutta la storiografia sovietica) a due "fatali" conseguenze:

  1. incomprensione del carattere progressista di certe esperienze religiose (come ad es. quella della Teologia della rivoluzione) - e questo a prescindere dal fatto che per un marxista la positività di tali esperienze stia più nel lato "umano" che non in quello "religioso";
  2. mancato approfondimento delle caratteristiche rivoluzionarie e, se vogliamo, ateistiche del movimento nazareno, così come appare, nonostante le censure e le falsificazioni, nelle fonti cristiane a nostra disposizione (in questo senso Donini s'è sempre rifiutato di proseguire le ricerche di Belo e soprattutto di Brandon, che pur certo marxisti non erano e che assai difficilmente avrebbero accettato l'idea di un Cristo su posizioni ateistiche, anche se non rifiutavano l'idea di un Cristo politicamente rivoluzionario. Il dialogo con questi e altri autori -ad es. Eisler- avrebbe comunque potuto essere più fruttuoso).

Chiediamoci ora quali sviluppi creativi si possono ipotizzare alle laboriose ricerche di Donini, senza limitarsi -come ha rischiato di fare Craveri, sebbene un lieve progresso dal suo primo libro sul Cristo (ed. Feltrinelli) al secondo (ed. Giordano) vi sia stato- a ribadire le tesi classiche della scuola mitologica, e senza assumere quell'atteggiamento diplomatico -come fino ad oggi ha fatto il Pc e come tuttora fa il Pds- di chi, pur riconoscendo la statura politica di una figura come Donini, o il valore letterario delle sue opere, si è sempre rifiutato di confrontarsi sul contenuto del suo ateismo-scientifico, lasciandone il compito alla critica cattolica.

Una prima direzione di studi potrebbe essere, come già detto, la riscoperta del volume di Kautsky sull'Origine del cristianesimo (reperibile solo in una vecchia edizione del '70 presso la Samonà e Savelli), approfondendo il lato rivoluzionario del cristianesimo (ed anche, come mai fino ad oggi è stato fatto, il lato ateistico: non tanto nel senso che predicando un dio che non si vede i cristiani erano accusati di "ateismo" dai pagani politeisti, quanto nel senso che nella predicazione del Cristo si possono rintracciare elementi di "umanesimo integrale" che la tradizione cristiana ha volutamente manomesso).

Il lato rivoluzionario del cristianesimo primitivo è quello che lo avvicina di più al socialismo scientifico e che lo allontana da tutto il cristianesimo di questi duemila anni di storia. Si badi, non tanto o non solo il lato rivoluzionario riconosciutogli da Engels e che consisteva nell'aver ereditato la migliore apocalittica tardo-giudaica, quanto piuttosto il lato rivoluzionario che avrebbe potuto portare all'edificazione di una società comunistica.

Naturalmente, oltre all'opera di Kautsky, i marxisti dovrebbero avvalersi anche dell'interpretazione social-rivoluzionaria della figura di Gesù, così com'è stata elaborata dal socialismo utopistico (Cabet, Weitling...) e dal socialismo cristiano o modernismo (Lamennais, Loisy, Buonaiuti, Tyrrel, Murri...), senza dimenticare -come già detto- la teologia più avanzata in campo protestante, cattolico, anglicano (Brandon, Belo, Girardet, Eisler...).

Non è più sufficiente affermare che nelle fonti cristiane esistono delle falsificazioni, bisogna anche cercare di capire le loro ragioni. Non basta dimostrare che tali fonti non sono attendibili perché lacunose, tendenziose, contraddittorie. Bisogna anche cercare di capire il motivo di queste forzature, di queste scelte di campo. Non dobbiamo aver timore di ammettere che prima del socialismo sia esistita un'esperienza rivoluzionaria legata al nome di Cristo: se riusciremo a dimostrare che tutte le falsificazioni sono state operate ai danni della concezione di comunismo primitivo e di umanesimo integrale che il Cristo voleva realizzare, noi non avremo fatto un favore alla religione né, tanto meno, al clericalismo, ma un favore al socialismo o comunque alla verità storica, all'uomo storico.

Una seconda direzione è quella di approfondire in maniera costruttiva le tesi della scuola storico-razionalista sovietica, nata verso gli inizi degli anni '80, la quale (riprendendo le tesi di N. Nikol'skij, morto nel 1959) è più disposta ad ammettere l'esistenza storica di Gesù, la possibilità delle sue guarigioni, un carattere rivoluzionario (poi tradito) del suo movimento... Ci riferiamo ad autori come la I. Svencickaja e la K. Gabova. L. Mitrochin, ad es., s'è reso conto che grazie alla scuola storica il dialogo coi credenti è diventato più produttivo. Naturalmente questo indirizzo è presente anche fuori dell'Urss, p.es. in Polonia (si pensi allo storico Z. Kosidovskij).

Una terza direzione può essere quella aperta da Feuerbach con la celebre tesi secondo cui l'idealismo tedesco (e quindi tutta la filosofia borghese) non è che una laicizzazione della religione cristiana (cattolica e protestante). Una tesi aperta da Feuerbach e subito "chiusa" dal marxismo, il quale, ereditandola, invece di approfondirla, sul piano scientifico, l'ha subordinata ad un'altra, non meno importante tesi, quella secondo cui la filosofia non può inverare se stessa se non trasformandosi in prassi rivoluzionaria (cosa che con l'antropologismo naturalistico e soggettivistico di Feuerbach mai si sarebbe potuto fare).

Tesi giustissima, sul piano politico, ma che non implicava affatto la fine degli studi sull'influenza del cristianesimo nell'ideologia borghese (quegli studi che il geniale B. Groethuysen, ad es., aveva iniziato e che la precoce scomparsa gli impedì di proseguire). Ciò è accaduto probabilmente perché ancora oggi la storiografia marxista tende a sottovalutare l'influenza delle sovrastrutture ideologiche (concezioni morali, filosofiche, religiose...) sul mutamento della struttura economica, sociale e materiale.

Bisogna qui tuttavia, prima di concludere, chiarire un aspetto che potrebbe rischiare di ingenerare degli equivoci. Occorre cioè sfatare un mito che sin dall'800 ha coinvolto molte coscienze progressiste, quello di credere nella possibilità di conciliare socialismo e cristianesimo. Questo connubio, teorizzato in Italia nell'ultimo ventennio del secolo scorso e portato avanti sino alla nascita del fascismo, che prevedeva una confluenza dei motivi anticlericali della Rivoluzione francese e di certo socialismo massimalista verso una sorta di religiosità laica risorgimentale; questo connubio (già aspramente criticato dal Labriola) che si è poi riproposto, in forme e contenuti diversi, subito dopo la guerra, con l'esperienza della "sinistra cristiana", sino a quella del "catto-comunismo" e del "cristianesimo per il socialismo", oggi non ha più alcuna ragione d'esistere, semplicemente perché, nonostante le gravi deformazioni storiche di certi ideali socialisti, si è sempre più consapevoli che il socialismo democratico è in grado di ereditare e di inverare le migliori conquiste non solo del cristianesimo, ma anche di qualunque altra religione.

Fonti


Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani (sezione Natura/Fiori)

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria - Ateismo
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Aggiornamento: 10/09/2014