STUDI SULL'ATEISMO SCIENTIFICO


SOCIALISMO E ATEISMO NEL GIOVANE MARX

I

Se c'è una cosa che Marx intuì sin dai Manoscritti parigini del 1844 fu il nesso inscindibile di ateismo e socialismo. Egli infatti aveva capito che nell'economia capitalistica (come d'altra parte in ogni società basata sul conflitto di classe) si verifica un processo analogo a quanto avviene in campo religioso: "quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene"(Manoscritti economico-filosofici del 1844, ed. Einaudi, 1970, p. 72).

Cioè quanto più aumenta l'alienazione tra ciò che si produce e la proprietà di quel che si è prodotto, tanto più ci si illude di poter recuperare il proprio prodotto attraverso l'illusione religiosa, cui oggi potremmo aggiungere (essendo passato un secondo e mezzo da quei Manoscritti) tante altre illusioni di tipo materiale e simbolico, tipiche delle società consumistiche, quali si sono venute affermando a partire dal secondo dopoguerra: tutta una serie di oggettistica che ha per così dire volgarizzato l'istanza religiosa, a dimostrazione di una progressiva laicizzazione degli interessi e dei costumi.

D'altra parte il socialismo, già al tempo di Marx, aveva capito che "non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l'uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell'uomo"(p. 81). Se questa consapevolezza fosse stata svolta in maniera conseguente, oggi, in Europa occidentale, avremmo il socialismo democratico e non un capitalismo decadente.

Invece, per evitare che si compisse questo, i circoli dirigenti borghesi han fatto in modo, nella seconda metà dell'Ottocento, di scaricare sulle colonie tutto il peso delle contraddizioni del loro sistema, assicurando alle madrepatrie un relativo e diffuso benessere e corrompendo il socialismo, che da teoricamente rivoluzionario divenne praticamente riformista, sino a scomparire quasi del tutto. Oggi, anche il miglior partito democratico non mette mai in discussione le fondamenta del capitalismo e al massimo si preoccupa di razionalizzarne le antinomie, facendo in modo che nel rapporto Stato/Mercato il piatto della bilancia non pesi eccessivamente a favore del mercato.

Le due guerre mondiali sono state fatte per ripartirsi le colonie tra i paesi occidentali più avanzati; la seconda, oltre a questo motivo, venne fatta anche per affossare l'esperimento del cosiddetto "socialismo reale", quell'insopportabile anomalia dell'Europa orientale, di estrazione contadina e di religione ortodossa, che pur aveva già subìto un'involuzione dal leninismo allo stalinismo. Tale socialismo però non solo riuscì a resistere agli attacchi del capitale, ma finì anche coll'espandersi notevolmente, acquisendo, tra i vari paesi, una vasta e potente nazione come la Cina (nel 1949).

Poi, vent'anni fa, nella ex-Urss si comprese che un socialismo di stato era una contraddizione in termini, il cui mancato superamento aveva favorito processi del tutto antidemocratici, come l'autoritarismo politico e ideologico, l'abnorme militarismo, la distruzione dell'ambiente naturale ecc. Nei paesi est-europei il socialismo amministrato dall'alto è per così dire "imploso" e, tutto sommato, in maniera relativamente pacifica; solo che, invece di cercare strade alternative, democratiche, nell'ambito del socialismo, s'è preferito ricominciare su basi del tutto borghesi, aprendosi alle influenze dell'occidente e cercando di recuperare in fretta il tempo perduto.

La differenza principale tra la Cina e l'Europa orientale sta semplicemente nel fatto che la prima ha permesso solo alla società civile di diventare "borghese", mentre lo Stato e la politica hanno continuato a restare autoritari. Anche in Russia esiste l'autoritarismo politico, ma qui si è rinunciato, già con la presidenza di Eltsin, a qualunque caratterizzazione ideologica di tipo comunista.

Tuttavia il problema che Marx pose nel 1844 è rimasto immutato: come risolvere concretamente, senza le illusioni religiose, consumistiche o di altra natura, l'estraneazione che caratterizza il lavoratore delle società antagonistiche, in cui vige la separazione tra il prodotto del suo lavoro (di cui si appropria il capitalista) e la proprietà di questo prodotto.

A tutt'oggi le migliori risposte che il capitalismo ha potuto darsi (grazie anche alle pressioni delle rivendicazioni operaie) sono state soltanto due: lo Stato sociale, che garantisce la fruizione di determinati servizi per i bisogni primari (salute, scuola, previdenza, assistenza ecc.) a prezzi relativamente contenuti, in quanto i loro costi vengono ripartiti a livello nazionale; la contrattazione salariale, in cui s'è permesso ai sindacati di giocare un ruolo di primo piano.

Oggi però entrambe le risposte sembrano non essere più sufficienti a ridurre il senso di estraneazione che caratterizza il lavoratore privo di mezzi produttivi. Le cause sono molteplici: 1) la gestione dello Stato sociale, essendo centralistica e continuamente condizionata da una mentalità affaristica, non ha saputo impedire sprechi e corruzione, abusi di ogni genere, al punto che oggi il debito pubblico ha raggiunto i livelli del prodotto interno lordo, impedendo quindi non solo il risparmio e gli investimenti ma anche il pagamento degli stessi debiti; 2) stipendi e salari non sono più adeguati alla continua corsa verso il rialzo dei beni di prima necessità, e i sindacati non paiono avere forze sufficienti per invertire la rotta; 3) a livello internazionale vengono emergendo nuovi paesi capitalisti che, coi prezzi molto bassi delle loro merci, risultano ampiamente competitivi rispetto ai paesi avanzati dell'Occidente; 4) il prezzo di vari generi di prima necessità sta salendo alle stelle in tempi molto ridotti proprio perché la domanda di questi paesi neo-capitalisti risulta di gran lunga superiore all'offerta attualmente disponibile; 5) vari paesi del Terzo mondo, strangolati dal debito internazionale e da uno scambio ineguale con l'Occidente, non sembrano più disposti a continuare a svolgere un ruolo da comprimari e rivendicano un'indipendenza non solo politica ma anche economica; 6) colossali scandali finanziari e di imprese produttive scuotono in maniera sempre più pericolosa i trend delle borse.

La risposta che Marx diede al suo problema e che Lenin cercò anche di mettere in pratica, fu molto netta: la proprietà privata dei principali mezzi produttivi va socializzata, cioè va tolta ai singoli capitalisti e proprietari terrieri. "Questo comunismo s'identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l'umanismo e, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo"(p. 111).

Che ruolo ha l'ateismo in questo processo? Risponde Marx: "il comunismo comincia subito con l'ateismo (Owen), ma l'ateismo è ancora in principio ben lungi dall'essere comunismo: quell'ateismo è ancora più che altro un'astrazione"(p. 112). Cioè l'ateismo può aiutare a rinunciare all'illusione religiosa, ma non è lo strumento fondamentale per realizzare il comunismo. Anche perché quando questo sarà realizzato, "l'autocoscienza positiva dell'uomo non sarà più mediata dalla soppressione della religione"(p. 125).

"Infatti l'ateismo è, sì, una negazione di Dio e pone attraverso questa negazione l'esistenza dell'uomo, ma il socialismo in quanto tale non ha bisogno di questa mediazione"(ib.).

Con ciò Marx poneva forse fine alla critica della religione? No, semplicemente subordinava questo compito a quello, ben più importante, di eliminare la proprietà privata. Il superamento dell'identificazione di socialismo e ateismo sarebbe avvenuto solo a socialismo "realizzato", cioè allorquando gli uomini saranno indotti a rinunciare all'ateismo in quanto le ragioni dell'umanismo e del naturalismo appariranno loro scontate. Fino ad allora la battaglia dovrà essere condotta sia sul piano politico che su quello culturale.

Dopo il fallimento del cosiddetto "Biennio rosso", Gramsci s'era illuso di poter privilegiare il momento della critica della sovrastruttura per portare, progressivamente, le contraddizioni a esplodere, rendendo così inevitabile la ricerca di una soluzione al problema della proprietà privata. Purtroppo anche il gramscismo non ha dato i risultati sperati. Infatti, in assenza di una battaglia politica organizzata attraverso un partito rivoluzionario, la battaglia culturale tende a scemare, fin quasi a scomparire del tutto.

Su questo Lenin aveva ragione: egli era ben consapevole che senza rivoluzione politica, il potere dominante, avendo strumenti molto più efficaci dei rivoluzionari, tende col tempo a fagocitare con successo la semplice battaglia culturale. Non bastano le armi della critica, ci vuole anche la critica delle armi.

Quello che è mancato all'Europa occidentale è stato proprio l'aspetto dell'organizzazione politica della rivoluzione, anche perché ogniqualvolta ci si è avventurati in questo percorso, si è finiti con l'assumere posizioni settarie, a causa delle quali il consenso delle masse popolari è rimasto sempre molto risicato.

La sinistra rivoluzionaria non è mai riuscita a superare la malattia infantile dell'estremismo. Lo dimostra il fatto che ancora oggi non si riesce a coniugare in maniera organica la critica della contraddizione tra lavoro e capitale con quella della contraddizione tra industrializzazione e ambientalismo. Cioè ancora oggi la sinistra non è in grado di capire che non basta risolvere il conflitto tra capitale e lavoro, ma bisogna anche chiedersi come superare una civiltà che sta devastando in maniera irreparabile la natura.

D'altra parte gli stessi ambientalisti non riescono a far propria l'idea che l'unico modo per tutelare la natura è quello di fuoriuscire da qualunque civiltà basata sull'antagonismo sociale.

La destra vuol farci credere che l'alternativa allo Stato centralista è il federalismo, il quale, naturalmente, viene richiesto anche per potenziare al massimo il capitalismo delle aree più industrializzate del nostro paese. E se noi invece dicessimo che per uscire dal capitalismo e quindi dallo Stato centralista occorre ritornare all'idea di autoconsumo?

II

Con Marx abbiamo capito che c'è una certa differenza fra "democrazia politica" e "democrazia sociale", fra "emancipazione politica" ed "emancipazione umana". Il regime di separazione fra Stato e chiesa fa parte della democrazia politica, ma non è ancora il riflesso di un'adeguata emancipazione sociale ed umana.

Sino a quando infatti si parla di "separazione", si parla anche di una sopravvivenza del passato. Noi non sappiamo quando avverrà una generale emancipazione umana, però sappiamo ch'essa avverrà in una forma non molto diversa da quella del comunismo primitivo, che è stata l'unica, fino ad oggi, in grado di rispettare le esigenze riproduttive della natura.

La separazione "reale" fra Stato e chiesa (e non "formale", come nelle democrazie borghesi) è stata una conquista della rivoluzione socialista, pur tradita dalla dittatura ideologica e politica del partito stalinista al governo, il partito della paura del dissenso.

Tuttavia, anche quella separazione, insieme allo Stato e alle chiese, è destinata a estinguersi. Non solo la chiesa è una sopravvivenza del passato, ma anche lo Stato, solo che mentre lo Stato può porsi al servizio, nella fase iniziale della rivoluzione, di quei partiti che si orientano verso l'auto-amministrazione della società socialista, nessuna chiesa può mai fare questo, proprio perché essa vede l'autogestione come una minaccia per la propria sopravvivenza, basata sulla sfiducia nelle capacità umane di liberazione.

Un credente può anche essere un ottimo cittadino e un onesto lavoratore, può avere anche le migliori idee politiche di questo mondo, e tuttavia le sue concezioni filosofiche e religiose resteranno sempre - da un punto di vista "socialista" - non proiettate verso il futuro, non sufficientemente determinate a resistere contro chi vuol portare la storia indietro, contro chi vuol conservare gli antagonismi sociali, le differenze di ceti, classi o caste.

Il credente è per sua stessa natura un pessimista, a prescindere dal credo che professa. Se nella storia non fosse prevalsa la percezione dell'impossibilità di far tornare l'uomo all'epoca del comunismo primitivo, non sarebbero nate le religioni, che campano su questa percezione, cercando di oggettivarla il più possibile e impedendo in tutti i modi il formarsi di una percezione opposta.

La civiltà socialista prevede la scomparsa e dello Stato e delle chiese, per l'auto-amministrazione pianificata dell'intera società, che può anche essere suddivisa in piccole comunità autogestite, in rapporto tra loro, la cui principale produzione è quella per l'autoconsumo. La pianificazione deve servire per organizzare al meglio la produzione, per distribuire equamente le risorse, per perequare le differenze, in modo che ogni comunità possa svilupparsi senza dover assumere atteggiamenti irresponsabili.

Se, col passare del tempo, la religione scomparirà dalla società socialista, ciò non sarà dipeso dalla separazione in sé fra Stato e chiesa, che altro non è se non un'espressione giuridica di una democrazia politica, ma sarà dipeso dal fatto che gli uomini avranno acquisito un'adeguata emancipazione personale e sociale. Non è per legge che si può superare la fede religiosa, ma solo per convinzione. I cittadini dovranno arrivare al punto da non aver più bisogno dello Stato per impedire alla religione di clericalizzarsi.

E' probabile che l'ideologia socialista perderà praticamente anche il suo connotato "ateistico", in quanto non vi saranno più delle concezioni religiose da combattere. Diventerà soltanto - come diceva Marx - un "positivo umanismo", un umanesimo scientifico e naturale, e null'altro. La separazione tra religione e ateismo diventerà sempre più un fenomeno della coscienza, che non avrà bisogno d'essere tutelata dallo Stato.

Così infatti scrive nei Manoscritti economico-filosofici: "l'ateismo è sì una negazione di Dio e pone attraverso questa negazione l'esistenza dell'uomo, ma il socialismo in quanto tale non ha più bisogno di questa mediazione... Esso è l'autocoscienza positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della religione, allo stesso modo che la vita reale è la realtà positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della proprietà privata". Ciò naturalmente a condizione che s'intenda con la parola "socialismo" non la semplice transizione dal capitalismo, ma l'edificazione del comunismo sulle basi materiali e culturali del socialismo.

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Fonti


Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani (sezione Natura/Fiori)

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria - Ateismo
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Aggiornamento: 10/09/2014