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IL VALORE DELL'ATEISMO
Et si daretur non esse deum. Omaggio a Ugo Grozio
A)
Sono stati persino degli intellettuali a sostenere che la grande sofferenza
nel mondo esclude l'idea che possa esistere un dio onnipotente.
Con grande superficialità si vorrebbe che il bene fosse frutto non della
libertà dell'uomo ma della volontà di un dio, cioè proprio mentre si vuole
negare a dio una qualunque esistenza, la si nega all'uomo, privandolo di ciò che
meglio lo rende umano: la libertà.
E siccome nel mondo il bene non trionfa, se ne deduce che dio non può
esistere. Quale mirabile sillogismo! Anche i credenti più sprovveduti sorridono
di fronte ad argomentazioni del genere.
Forse sarebbe stato meglio fare il ragionamento opposto, che, per quanto
nulla aggiunga alle verità dell'ateismo, induce almeno il credente a riflettere
un po'.
Se la sofferenza, il dolore, le assurdità di questo mondo contrastano con l'idea
di un dio buono e onnipotente, allora il credente farebbe meglio a sostenere
l'idea di un dio "totalmente altro", come esattamente diceva l'Areopagita, che
certo ateo non era: "dio è l'assoluta tenebra".
Cioè "dio non è", puramente e semplicemente. Tutto quanto può essere
considerato "non essere" forse è "dio", per quanto il "non essere", agli occhi
dell'uomo, coincida col "nulla". Il "non essere" è la possibilità di un "essere"
diverso, al momento inconoscibile.
Se un credente volesse davvero salvaguardare la purezza dell'assoluto,
dovrebbe affermare la sua totale alterità rispetto alle vicende di questo mondo,
e quindi l'assoluta impossibilità, da parte dell'uomo, di farne esperienza, di
conoscerlo. L'unica esperienza possibile è appunto quella della consapevolezza
del "non essere", cioè dell'inconoscibile, del noumeno kantiano.
Chi dice di vivere un'esperienza "divina" non dovrebbe essere considerato più
credibile di uno psicopatico. Dio, se esiste, non è alla portata dell'uomo,
proprio perché "totalmente altro".
La conseguenza più immediata di questo ragionamento è che l'uomo deve
interessarsi unicamente delle vicende terrene, cercando di renderle il più
possibile conformi al senso di umanità che alberga nel suo cuore, non foss'altro
che per colmare, almeno un po', il grande l'abisso che, a causa del male, lo
separa dal "totalmente altro".
A queste considerazioni -come noto- i credenti obiettano che il Cristo è
mediatore tra l'uomo e dio e, come prova di ciò, usano quella della resurrezione
(al pari di Paolo duemila anni fa).
Ma oggi sappiamo che tutti i racconti di apparizione del Cristo sono stati
inventati e che l'unica esperienza che gli apostoli ebbero fu quella,
inspiegabile, della tomba vuota. E sappiamo anche che in vita il Cristo non
cercò mai di dimostrare di essere più di un semplice uomo.
Esiste però un secondo ragionamento, correlato al primo. Se un dio
onnisciente esiste, questo dio non può non avere coscienza delle infinite
possibilità del male. In altre parole è assurdo pensare che l'uomo sia in grado
d'inventarsi delle forme di malvagità che un dio non possa prevedere.
Ora, se esiste un dio del genere, e il male ovviamente non alberga in lui al
pari del bene (come esperienza di vita, come forma dell'essere), allora
significa che questo dio è totalmente imperturbabile a tutte le forme del male,
da chiunque esse siano prodotte.
Se l'uomo potesse essere totalmente imperturbabile alle influenze del male,
non avrebbe bisogno di credere in un dio. Quindi l'esperienza di questo dio è
impossibile all'uomo.
La storia è proprio il frutto del male. Se l'uomo non avesse rifiutato la
storia naturale, non sarebbe nata la storia innaturale.
Se non si fosse opposto al comunismo primitivo, in cui la libertà era vissuta
spontaneamente, in cui l'identità di uomo e natura era molto stretta, non ci
sarebbero state tutte quelle forme di esperienze negative della libertà, che poi
hanno fatto la storia: schiavismo, servaggio, capitalismo, socialismo
amministrato.
L'uomo deve addebitare solo a se stesso le conseguenze dello sviluppo
storico, e deve quindi cercare solo in se stesso le modalità per porvi rimedio.
Su questa terra e nell'intero universo esistono solo due cose: l'uomo e la
natura. L'uomo è un essere di natura con capacità sovrannaturali, in quanto la
libertà di cui dispone è facoltà ignota a qualunque altro essere animale.
Perché l'uomo abbia questa capacità non ci è dato di sapere. Ma che debba
usarla in modo da poter vivere in armonia con le leggi di natura, questo è
certo, pena il rischio dell'autodistruzione.
La natura si ribella alla violenza su di sé. E gli stessi uomini non possono
sopportare oltre un certo limite le sofferenze inflitte da altri uomini come
loro.
B)
Dunque il nostro destino è quello di vivere come uomini che possono vivere
senza dio, dobbiamo vivere come se dio non esistesse.
L'uomo ormai ha raggiunto una tale maturità sociale, culturale e politica che
solo a se stesso può e deve attribuire i meriti delle sue vittorie e i difetti
delle sue sconfitte. E' finito il tempo in cui dei mediatori tra uomo e dio si
assumevano l'onere di giudicare le conquiste o le disfatte dell'umanità.
L'uomo è divenuto mediatore di se stesso e tutte le mediazioni ch'egli si può
dare sono soltanto per se stesso; si badi, non nel senso che ognuno ha
finalmente acquisito il potere di fare ciò che vuole e di giudicare le cose
secondo il suo arbitrio, ma nel senso che, una volta scoperte le leggi obiettive
della natura e della convivenza civile e sociale, l'uomo è in grado di procedere
autonomamente secondo la dinamica del vero umanesimo.
Che dio non esista non significa che all'uomo sia tutto permesso -come vuole
Dostojevsky. Il compito dell'uomo è quello di rispettare delle leggi oggettive,
indipendenti dalla sua volontà soggettiva. Si può anzi dire, in tal senso, che
l'idea di un dio perfetto e onnipotente oggi è stata sostituita dall'idea di una
società il cui sviluppo è regolato da leggi oggettive la cui conoscenza è
scientifica.
La pianificazione economica ha sostituito le suppliche che gli uomini
rivolgevano a dio nei momenti critici della loro esistenza. Se ciò non è
possibile, il motivo va cercato unicamente nel modello di società che gli uomini
si danno e non nel fatto che "l'uomo è molto imperfetto", "le leggi non si
conoscono"... Queste sono considerazioni che non solo giustificano gli abusi che
si compiono nelle società basate sull'antagonismo, ma alimentano anche illusioni
di tipo religioso.
Vivere come se dio non esistesse significa porre in primo piano le questioni
di carattere sociale ed economico. E' infatti realizzando la socializzazione dei
mezzi produttivi che l'uomo perde il motivo di credere in una speranza
ultraterrena.
Al socialismo non interessa il problema di dio perché non interessa dio come
problema. Al socialismo interessa unicamente la storia e l'uomo che fa la
storia. Da questo punto di vista la religione altro non è che un fenomeno
storico da studiarsi scientificamente.
Anche ammettendo la possibilità ch'esista un "totalmente altro" da noi, cioè
un'esistenza "extraterrestre", o addirittura la possibilità di una tale
trasformazione della materia che per ogni individuo della storia sia possibile
continuare a vivere la propria vita in altre forme e modi, il socialismo non
potrebbe certo per questo rinnegare l'esigenza di vivere su questa terra una
vita libera dalle contraddizioni antagonistiche: è assurdo pensare che la verità
della socializzazione dei mezzi produttivi possa essere smentita solo perché
-secondo alcuni- esiste un aldilà. Se il socialismo è vero, lo sarà anche
nell'aldilà...
C)
L'ateismo, in questo senso, è l'equivalente sovrastrutturale dell'abolizione
della proprietà privata. Tuttavia, come tale abolizione non implica di per sé un
diverso costume di vita, in quanto l'uso democratico della proprietà collettiva
lo si acquisisce solo col passare del tempo, così non è detto che la pura e
semplice socializzazione dei mezzi produttivi comporti, da subito, la fine
dell'ateismo oltre che della religione. Anche qui, come sul piano
socio-economico, occorre una paziente opera di educazione al valore umano che
coinvolga la stragrande maggioranza dei cittadini.
Il compito umanistico si pone dunque a un duplice livello: uno di
contrapposizione democratica al clericalismo e alla superstizione; l'altro di
autoposizione, come esperienza positiva e autonoma del valore umano o della
morale socialista. Autoposizione o automovimento significa che la morale
socialista si pone come forma immediatamente riflessa dell'organizzazione
socialista del lavoro e dei rapporti umani.
In una società socialista la laicità affermata a livello istituzionale col
regime di separazione (che è una forma di contrapposizione) deve
progressivamente, senza forzature di alcun tipo, essere riconosciuta dai
cittadini a livello personale, altrimenti tutto è inutile.
Ateismo non significa "lottare contro dio": gli atei non possono lottare
contro ciò che per loro non esiste o non è oggetto di esperienza. Ateismo
significa semplicemente umanesimo integrale, totale, globale, senza altre
aggiunte. E quindi significa lotta democratica, civile, contro tutto ciò che si
oppone alla realizzazione e valorizzazione dell'identità umana.
Fonti
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-
Necessità e libertà. L'ateismo oltre il materialismo
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Dio non esiste. La realtà e l'evoluzione cosmica tra caso e necessità
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-
La filosofia e la teologia filosofale. La conoscenza della realtà e la
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-
Vita morte evoluzione. Dal batterio all'homo sapiens
Tamagnone Carlo, Clinamen 2011
-
Dal nulla al divenire della pluralità. Il pluralismo ontofisico tra energia,
informazione, complessità, caso e necessità
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-
Il diavolo nei dettagli. Saggi sull'agnosticismo
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-
Ateismo nel Cristianesimo. Per la religione dell'Esodo e del Regno. «Chi
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Volti dell'ateismo. Mancuso, Augias, Odifreddi. Alla ricerca della ragione
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L'ateismo impossibile. Ritratto di Nietzsche in trasparenza
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