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“RATZINGER O FRA' DOLCINO?”
l’effetto di sdoppiamento nella religione occidentale
Roberto Sidoli, Massimo Leoni,
Daniele Burgio
Prefazione
Gesù di Nazareth, il “primo socialista”.
Le comunità politico-religiose degli esseni e di Qumran,
basate entrambe su un modo di vita e produzione collettivistico.
Amos e Isaia, profeti “rossi” dell’Antico Testamento.
Fra Dolcino e T. Muntzer, rivoluzionari comunisti e
cristiani.
Le organizzazioni “eretiche” cristiane, dagli eroici
marcioniti agli anabattisti rivoluzionari della Comune di Munster, con la loro
scelta di campo allo stesso tempo comunista e religiosa.
I cristiani per il socialismo, il cristiano-marxista Chavez.
Boff e la teologia della liberazione, il socialismo indigeno di Evo Morales,
ecc.
Pratiche plurimillenarie e proteiformi, concrete ed
innegabili, su cui il materialismo storico “classico” si è confrontato e
rapportato solo di sfuggita e con un certo imbarazzo, mentre invece richiedono
sia un processo accurato di analisi che un criterio generale d’interpretazione
e di comprensione, in grado di spiegare perché – a determinate condizioni – la
religione si sia potuta e si possa tuttora trasformare in positiva, liberatoria
e sovversiva “anfetamina dei popoli”.
Anche Engels, nella sua notevole opera “La guerra dei
contadini in Germania”, riconobbe che l’azione del religioso, credente
cristiano e rivoluzionario Thomas Muntzer era ispirato da principi-guida che
come minimo si avvicinavano al comunismo, ma purtroppo da tale fatto
innegabile, indiscutibile e testardo non derivò le necessarie conseguenze
teoriche.
Risulta ormai necessario modificare una parte consistente dell’ormai
consolidata analisi marxista sulla pratica religiosa, presa nella globalità: del
resto “il vero è l’intero”, rilevava Hegel nella sua
geniale Fenomenologia dello Spirito.[1]
Riteniamo ancora valido il nucleo fondamentale della valutazione
espressa dal marxismo “classico” sia rispetto alla genesi della religione, da
intendersi come il prodotto dell’azione umana (l’uomo ha creato le divinità, e
non viceversa), che soprattutto per quanto riguarda la funzione concreta di
“oppio dei popoli” svolta via via dalla religione in una sua particolare
versione, quella fornita dagli apparati ecclesiastici collegati
strettamente al potere politico e agli organi statali, a partire dalla
teocrazia sumera (3700 a.C.) fino ad arrivare all’attuale gerarchia vaticana.
Ma il nucleo non è tutto e già nell’introduzione alla
sua Critica della filosofia del diritto di Hegel Marx scrisse
giustamente che “l’uomo crea la religione e non la religione l’uomo”, rilevando
anche che la religione “è l’oppio dei popoli”, aggiunse anche che essa
rappresenta “l’espressione della miseria effettiva e la protesta contro questa
miseria effettiva”, e cioè il “sospiro della creatura oppressa”.
Oppio dei popoli, e allo stesso tempo “protesta contro la
miseria”: una polarità di opposti molto interessante, ma poco studiata e
compresa.
Della tradizionale concezione materialista rispetto alla
religione molto bisogna conservare, a nostro avviso, ma quasi altrettanto
bisogna modificare: per tanto si propongono quattordici tesi generali su questo
tema, che formano l’ossatura fondamentale di questo libro.
- Nella sua accezione più
ampia, le concezioni e le pratiche umane religiose esistono ormai da almeno centomila anni
ed a partire dal comunismo primitivo del medio paleolitico, molto prima cioè
della comparsa delle società di classe; esse inoltre sussistevano dopo il 1917
e si riproducono tuttora nel socialismo industriale/post-industriale, e
continueranno a riprodursi con tutta probabilità anche nel futuro comunismo
sviluppato (“a ciascuno secondo i suoi bisogni”) almeno per un lungo periodo.
L’organo principale del partito comunista cinese, "Il
Quotidiano del Popolo", a questo proposito ha notato lucidamente nel giugno 2011
che la “religione può anche esistere per un lungo periodo all’interno di una
società socialista”, invitando inoltre i marxisti cinesi a rispettare e
riconoscere “tale esistenza oggettiva” della pratica religiosa.[2]
- Come fenomeno di massa, la
ragione della vitalità passata, presente e futura della pratica religiosa è che
essa risponde nella sua matrice originaria (parzialmente modificatasi nel corso
degli ultimi 100.000 anni) ad un bisogno collettivo e profondo del genere umano,
quella di dare un senso e una risposta al problema della morte. A nostro avviso
nel futuro la religione scomparirà come fenomeno di massa solo se gli
esseri umani riusciranno a diventare potenzialmente immortali, con la creazione
di una super-genetica ed un processo di autotrasformazione oggi quasi
inimmaginabile.
- Le prime divinità create
dall’uomo, a partire almeno da 30.000 anni fa, erano di natura femminile e
risultarono perfettamente compatibili con i rapporti di produzione
collettivistici, egemoni nel medio paleolitico: la religione connessa alla
divinità nasce pertanto “rossa” (sul piano sociopolitico) e “donna”,
mantenendo tale matrice per più di 20.000 anni.
- La pratica religiosa rimase
una “bella signora in rosso” anche durante gran parte del periodo neolitico e
calcolitico (9000/3900 a.C.), segnato dalla nascita dell’agricoltura,
allevamento, artigianato specializzato, dei primi centri urbani e della fusione
del rame: le religioni del neolitico rimasero quasi sempre di matrice femminile
(Gerico, Catal Hujuk, Ubaid, ecc) e perfettamente inserite/compatibili con
rapporti di produzione collettivistici, ancora dominanti nella netta
maggioranza delle società umane di quella lunga fase storica.
- Tuttavia, proprio nel
periodo neolitico-calcolitico, tra le popolazioni nomado-pastorizie si affermò
una diversa forma di religione, patriarcale-classista, basata
principalmente su divinità maschili e sul culto della violenza, compatibile a
sua volta con nuove società protoclassiste fondate sullo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo. Dopo il 9000 a.C., la religione si “sdoppiò” come sottoprodotto
di notevole peso dell’effetto di sdoppiamento, su cui si ritornerà in
seguito.
- Anche dopo la progressiva
affermazione della società classista, prima in Eurasia ed in seguito nel resto
del pianeta, i testi sacri delle principali religioni mondiali sorte dopo il 1000 a.C. rimasero “sdoppiati” al loro interno. Essi infatti contenevano una parte, più o meno
centrale a seconda dei casi, di matrice classista (o interpretabile facilmente
in tal senso) e tesa a difendere i rapporti di produzione classisti vigenti ed
egemoni nelle loro zone di origine, ma allo stesso tempo anche un’altra ed
alternativa sezione, che sosteneva invece la giustizia sociale ed era
impregnata di un’ostilità più o meno aperto verso i ricchi, manifestando
simultaneamente una preferenza per relazioni di produzione/distribuzione
fraterne, cooperative e di tipo collettivistico.
Come aveva notato giustamente Ernst Bloch, “la Bibbia è
insieme il testo dei sacerdoti e di quelli che si sono sempre opposti a loro”,
mentre l’insofferenza (“mormorazione”) contro ogni schiavitù e
oppressione è il filo rosso segreto che l’attraversa tutta, nonostante le
manipolazioni e le contraffazioni”.
Nel 1968 il grande Ernst Bloch, nel suo splendido libro
intitolato Ateismo nel cristianesimo, sottolineò il “mormorare” sovversivo
anticlassista e antiteocratico contenuto in molti passi della Bibbia,
contrapposti a tanti altri in cui in essa invece si “scodinzola” e si esaltano
le strutture classiste, le guerre e la violenza, notando che “nella Bibbia si
trovano già adombrate due tipologie: c’è la plasticità di chi non fa altro che
scodinzolare verso l’alto e c’è, invece la fierezza di chi recalcitra sotto il
pungolo quasi sapesse che esso non ha ragion d’essere e tanto meno di
continuare ad essere, senza dubbio il mormorare può anche risultare arrogante e
stupido, ma in ogni caso è sempre più umano dello scodinzolare. E tanto più
spesso tale mormorazione ha avuto ragione dell’impulso, tanto meno stupida è
risultata di quanto non possa essere gradita ai signori”.[3]
- Proprio la parte “rossa” e filocollettivistica dei testi sacri ha costituito la fonte di legittimazione
principale, dal 1000 a.C. fino ai nostri giorni, per tutta una serie variegata
di eresie e di movimenti politico-sociali scontratisi via via in
Occidente (e non solo) con i rapporti di produzione/distribuzione (e politici)
classisti, dominanti ed egemoni in gran parte del globo durante gli ultimi
millenni di storia del genere umano.
Abbastanza frequentemente, negli ultimi tremila anni e fino
al nostro terzo millennio (Hugo Chavez, Evo Morales, ecc), la religione ed il
messaggio religioso dei testi sacri – utilizzato in modo selettivo – ha
costituito “l’anfetamina dei popoli” ed una fonte carsica di ribellione
collettiva contro le ingiustizie sociali e politiche, tipiche delle società
classiste.
- Tutta una serie di
organizzazioni di matrice religiosa, anche dopo il 3700 a.C., ha via via creato delle comunità socioproduttive alternative, al cui interno vigevano
principalmente dei rapporti di produzione/distribuzione collettivistici
(nazirei/esseni, prime comunità benedettine, comune di Tabor nella zona ceca
del 1420/1430, comunità anabattiste in Europa e Stati Uniti, ecc.): una “linea
rossa” collocata agli antipodi del processo di accumulazione di ricchezze (ivi
compresi schiavi e servi della gleba) portato avanti negli ultimi millenni
dalle religioni dominanti nelle società classiste.
- Gli apparati burocratico-religiosi ed i vertici politico-religiosi delle principali
organizzazioni ecclesiastiche occidentali, a partire dal Vaticano e dalla
gerarchia cattolica dopo il 311/313 d.C., hanno a loro volta utilizzato in modo
mirato i loro testi sacri selezionandone e utilizzandone essenzialmente la
parte “nera” e filoclassista, mettendo invece sotto silenzio la parte
“sovversiva”, per sostenere più o meno direttamente i rapporti di produzione
classisti (asiatici o schiavistici, feudali o capitalistici) e le
ricchezze/proprietà via via accumulate anche dalla casta religiosa nelle
società di classe. Trasformando pertanto la religione nell’“oppio dei popoli” descritto
da Marx, in modo assolutamente corretto rispetto ad
una particolare forma storica di pratica religiosa, risultata egemone
in Occidente durante gli ultimi millenni.
- L’interconnessione e la lotta tra la “linea
nera” e quella “rossa” ha costituito un segmento significativo
dell’esperienza religiosa in terra occidentale, sia sul piano culturale che
sotto l’aspetto pratico (roghi di eretici, Inquisizione, libri proibiti,
scomuniche papali, ecc).
- Il fenomeno religioso risulta
pertanto elastico e plasmabile nei suoi mutevoli rapporti con le due
principali forme di relazioni socioproduttive, e cioè
potenzialmente/concretamente compatibile sia con rapporti di
produzione collettivistici che classisti, sia con movimenti comunisti che con forze
politico-sociali filo classiste: rappresenta una sorta di “strumento multiuso”,
sia nella sfera politica che in quella economico-sociale, di pratica
intermodale che convive ed attraversa modi di produzione diversi (comunismo
primitivo, schiavismo ecc).
- La religione rappresenta allo stesso tempo un
elemento strutturale dell’Homo Sapiens, e più precisamente della sua
“sottostruttura” descritta da S. Timpanaro, in quanto risponde ai suoi bisogni
profondi (relazione con la morte, innanzitutto), ma anche ed allo stesso tempo
una sovrastruttura, in quanto si modifica profondamente con la trasformazione
delle forze produttive e dei rapporti di produzione, con l’atteggiamento
espresso in materia religiosa dalle diverse classi sociali (dopo il 3700 a.C.), ecc.
- Anche la storia
dello scetticismo in campo religioso (ateismo/deismo/agnosticismo)
dimostra come esso a sua volta si sia ugualmente “sdoppiato” e diviso al suo
interno rispetto alle scelte di campo di tipo socioproduttivo e politico.
A fianco di un egemone ateismo comunista e filo
collettivistico, si è infatti riprodotto anche un ateismo
classista (filo-feudale e filo-borghese) ed una forte “linea nera”
all’interno del pensiero laico-scettico. Da Teodoro di Cirene (quarto secolo
a.C.) fino ad arrivare a Nietzsche ed ai suoi emuli, si è sviluppata anche una
particolare forma di ateismo che, più o meno apertamente, ha sostenuto i
rapporti di produzione e distribuzione basati sullo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo, affiancandosi a modo suo sotto questo aspetto decisivo all’azione
filo classista svolta parallelamente dagli apparati e vertici
ecclesiastici.[4]
- Seppur per motivi perfettamente comprensibili
(l’ateismo dei “padri fondatori” Marx ed Engels, il giustificato disprezzo per
il costoso e parassitario apparato ecclesiastico “cristiano”, l’iperlegittima
ostilità per la scelta di campo filo classista compiuta dai vertici
“cristiani”, da Costantino fino ai nostri giorni, ecc.), il movimento comunista
con la sua settaria e non selettiva scelta ateista ha fatto un grande, inutile
regalo alla borghesia mondiale.
Prima di passare al tentativo di mostrare la validità delle
“quattordici tesi”, alcune premesse indispensabili. Chi scrive sono atei non
praticanti, che riconoscono l’importanza della pratica religiosa per gran parte
del genere umano passato (dal 100.000 a.C., come minimo) e presente, oltre al
peso e rilevanza che assume anche per gran parte degli atei la dura
“contraddizione-morte”; ovviamente simpatizziamo con la “linea rossa”
all’interno del fenomeno religioso a partire da Mosè della fuga degli schiavi
ebrei, da Amos e Isaia fino ad arrivare alla contemporanea Teologia della
Liberazione, al bolivarismo cristiano di Chavez in Venezuela e di Morales in
Bolivia, ecc.
In seconda battuta va sottolineato come il “pianeta
religione” sia troppo esteso per essere analizzato nel suo insieme: pertanto ci
si limiterà al solo esame del solo occidente, America post-colombiana inclusa,
comprendendo al suo interno l’esperienza religiosa di matrice ebraica sia per
il suo indiscutibile collegamento con il mondo/pensiero cristiano che per la
presenza di comunità ebraiche nel mondo occidentale, durante gli ultimi 2500
anni.
Per un processo di selezione inevitabile, l’esperienza
religiosa via via sviluppatasi in Russia e nel Caucaso nell’ultimo millennio
non verrà inserita nel presente libro, come del resto quelle (estremamente
interessanti ed illuminanti) formatesi nel mondo arabo-islamico, in India e nel
sub-continente cinese, in Africa e nell’America pre-colombiana.
Aree geopolitiche nelle quali in ogni caso la “linea rossa”
dimostrò carsicamente una notevole validità.
Basti pensare che uno dei grandi “veleni” della vita,
secondo quasi tutte le scuole buddiste, consiste proprio nell’avidità e nella
ricerca di beni materiali; oppure che Lao-Tzu, grande pensatore di quel Taoismo
cinese che dopo alcuni secoli aggiunse una matrice religiosa a quella
originaria, di tipo filosofica, esaltò sia la condizione della pace perenne che
un utopica condizione umana originaria, e contraddistinta dall’assenza di
stato/autorità e dall’eguaglianza totale tra tutti gli uomini.
Per quanto riguarda i criteri fondamentali utilizzabili al
fine di individuare la “linea rossa” in campo religioso, essa si è rivelata nel
corso degli ultimi tre millenni principalmente attraverso il bisogno di
fraternità, uguaglianza e cooperazione multilaterale fra gli esseri umani, in
una parola attraverso il desiderio di comunismo, quasi sempre di
matrice ascetica e livellatrice, espresso sia dai principali esponenti della
“linea rossa” che dall’insieme dei loro seguaci/fedeli.
Le forme di pratica socioproduttiva che ha assunto in
Occidente questo sogno collettivo di “amore ed uguaglianza” sono state
molteplici e differenziate, a secondo delle diverse situazioni storiche e fasi
temporali. Tra di esse le principali risultano:
- l’attesa collettiva di un apocalisse divina, di un intervento liberatorio della
divinità capace di distruggere l’ingiustizia sociale ed i rapporti di
produzione classisti, creando parallelamente un nuovo modo di vivere e nuove,
splendide e fraterne relazioni tra gli esseri umani
- il ripudio individuale/collettivo del processo di accumulazione di ricchezze,
attraverso la messa in comune dei beni all’interno delle comunità religiose di
appartenenza ed una scelta ascetica-egualitaria
- l’azione rivoluzionaria di massa di matrice allo stesso tempo collettivistica e
religiosa (comunità di Qumran, Dolcino, ecc)
- la creazione di comunità socioproduttive allo stesso tempo collettivistiche e
religiose (esseni, Moravi, ecc)
- la combinazione, mutevole e variegata a secondo delle condizioni storiche, delle
quattro tipologie di praxis religiosa-alternativa sopra indicate.
Una “linea rossa” socioreligiosa mutevole e proteiforme, con
grandi lati positivi ma non priva di seri limiti, soggettivi ed oggettivi.
Oltre all’ascetismo egualitario ed al rigetto della
sessualità che la contraddistinse quasi sempre, almeno dal 1000 a.C. fino al 1880/1890, la tendenza collettivistica di matrice religiosa ha costituito quasi
sempre nei tre millenni in via di esame una forma minoritaria (molto
spesso iperminoritaria, a causa delle persecuzioni a cui è andata via via
incontro) sul piano quantitativo e rispetto alla globalità dei credenti nel
mondo occidentale, anche comprendendo al suo interno pensatori e teologi che
(come il vescovo Ambrogio di Milano, Giovanni Crisostomo, ecc) coniugarono
simultaneamente nella loro elaborazione teorica elementi e spunti tipici sia
della “linea rossa” che di quella “nera”.
In secondo luogo va sottolineato come non vi fu una seria
forma di contaminazione tra marxismo e “linea rossa” religiosa. Come ha notato
E. Hobsbawm, il comunismo di matrice religiosa non risulta certo una delle
fonti, neanche secondarie, di ispirazione del pensiero marxiano: ma questa
verità indiscutibile ed elementare va in ogni caso collegata ad un secondo e
non irrilevante spunto analitico, e cioè che “i numerosi esempi storici di
comunità cristiane comuniste” confermavano almeno “un’aspirazione al comunismo
già esistente” (Hobsbawm) molto prima di Marx e del moderno socialismo
scientifico.
“Nemmeno i numerosi esempi storici di comunità cristiane
comuniste – indipendentemente dai diversi gradi di conoscenza che di esse si
aveva – possono essere indicati tra gli ispiratori delle moderne idee
socialiste e comuniste. Non è chiaro in quale misura le più antiche fra esse
(come i discendenti degli anabattisti del secolo XVI) fossero note ai più. E’
certo comunque che il giovane Engels, menzionando diverse comunità di questo
tipo per dimostrare la praticabilità del comunismo, si limitò a esempi
relativamente recenti: gli shakers (che egli considerava “le prime persone che
in America e nel mondo in generale hanno fatto nascere una società sulla base
della comunità dei beni”), i “rappiti” e i “separatisti”. Nella misura in cui
essi erano conosciuti, confermavano soprattutto un’aspirazione al comunismo già
esistente, piuttosto che essere alle origini di simili ideali”.[5]
Va infine rilevato come “l’effetto di sdoppiamento” via via
sviluppatosi in campo religioso, all’interno del campo occidentale e più in
generale su scala planetaria, costituisca “solo” uno dei numerosi sottoprodotti
e ricadute concrete della plurimillenaria dinamica socioproduttiva (e
sociopolitica) sviluppatasi dopo il 9000 a.C., con la genesi concreta dell’”era del surplus” (costante ed accumulabile) apertasi dopo il 9000 a.C. in Eurasia (area siro-palestinese ed anatolica, Gerico dell’8500 a.C., ecc) e l’inizio di
un mega-trend socioproduttivo che si è cercato di sintetizzare e comprendere
attraverso la teoria dell’effetto di sdoppiamento.
Fermo restando che il tema è già stato sviluppato nel libro
“I rapporti di forza”, a cui si rimanda (cap. 6/7/8), qualche osservazione
preliminare sullo schema teorico che sorregge questo libro.[6]
Secondo la concezione tradizionale ed “ortodossa” del
materialismo storico rispetto alla storia universale, quest’ultima può essere
paragonata ad una grande e lunga strada a senso unico, anche se composta da
alcune diramazioni secondarie che in seguito si ricollegano al sentiero
principale, oltre che da una serie di vicoli ciechi che vengono abbandonati,
più o meno rapidamente.
In questa prospettiva storica, la “grande strada” è formata
nella sua essenza da vari segmenti interconnessi, seppur ben distinti tra loro
(comunismo primitivo/comunitarismo del paleolitico, nella preistoria della
nostra specie; fase del modo di produzione asiatico; periodo schiavistico; fase
feudale; epoca capitalistica e, infine, socialismo/comunismo), ma essa era ed è
considerata tuttora un tracciato predeterminato, almeno in ultima
istanza: qualunque “viaggiatore” e società potevano/possono anche prendere
delle “scorciatoie” ma alla fine, volenti o nolenti, erano /sono costretti a
rientrare nel sentiero di marcia principale e nelle sue variegate, ma obbligate
tappe di percorso.
In base ai dati storici allora a conoscenza di Marx ed
Engels, fino al 1883/95, questa era probabilmente l’unica visione complessiva
del processo di sviluppo della storia universale che poteva essere
(genialmente) elaborata a quel tempo ma, proprio dopo il 1883/95, tutta una
serie di nuove scoperte ed avvenimenti storici portano a preferire una diversa
concezione generale della dinamica del genere umano.
Immaginiamoci una “grande strada” che, dopo un lunghissimo
segmento (fase paleolitica e mesolitica) di scorrimento, si trovi di fronte
improvvisamente ad un “grande bivio” ed a una gigantesca biforcazione: da tale
bivio partono e si diramano due diverse ed alternative strade, che conducono a
mete assai dissimili, senza alcun obbligo a priori per i “viaggiatori” (a causa
del Fato/forze produttive) di scegliere l’una o l’altra.
Ma non basta. Non solo non vi è più una sola strada
obbligata di percorso, ma – a determinate condizioni e pagando determinati
“pedaggi”- qualunque “viaggiatore” e qualunque società umana possono
trasferirsi nell’altro tracciato, alternativo a quello selezionato in
precedenza, cambiando pertanto radicalmente le proprie condizioni materiali di “viaggio”
nell’autobus che stanno utilizzando con altri passeggeri: la scelta iniziale di
partenza “al bivio”, giusta o sbagliata, risulta sempre reversibile in tutte e
due le direzioni di marcia, in meglio o anche in peggio.
Fuor di metafora, la concezione che proponiamo ritiene che
subito dopo il 9000 a.C., ben undici millenni fa nell’Eurasia del periodo
neolitico, con la scoperta dell’agricoltura, allevamento e artigianato
specializzato, si sia creato e riprodotto costantemente fino ai nostri giorni
un “grande bivio”, da cui si sono diramate due “strade”, due linee e due
tendenze socioproduttive di matrice alternativa, l’una di tipo
comunitario-collettivistico e l’altra di natura classista, fondata invece sullo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Pertanto dopo il 9000 a.C. e fino ai nostri giorni, nell’era del surplus, non sussiste alcun determinismo storico, ma altresì un campo di
potenzialità oggettive (sviluppo delle forze produttive e
creazione/riproduzione ininterrotta di un plusprodotto accumulabile… l’era del
surplus) su cui si possono innestare, e si innestano poi concretamente e
realmente delle prassi sociali contrapposte, volte a condividere in modo
fraterno mezzi di produzione/ricchezza/surplus o, viceversa, a fare in modo che
essi vadano sotto il controllo e possesso di una minoranza del genere umano, in
entrambi i casi con immediate ricadute anche sulla sfera politico-sociale delle
diverse società.
Detto in altri termini, a parità di sviluppo qualitativo
delle forze produttive e già formatisi elementi cardine quali
agricoltura/allevamento/surplus costante, fin dal 9000 a.C. per arrivare ai nostri giorni era possibile che si sviluppasse sia l’egemonia di rapporti
di produzione collettivistici, che quella alternativa di matrice classista: un
effetto di sdoppiamento nel quale nulla era/è tuttora scritto a priori, nei
libri mastri della Storia.
Situazione di “sdoppiamento”, potenziale/reale, valida nel
9000 avanti Cristo ma anche nel 2010 della nostra era, valida nell’8999 a.C.,
ma anche nel prossimo anno e nei prossimi decenni: uno stato di sdoppiamento ed
un’alternativa radicale nei rapporti di produzione possibili e praticabili sul
piano storico, che da undici millenni esclude a priori qualunque forma di
determinismo storico e di metafisica basata sul “progresso inevitabile” del
genere umano.
Certo, qualunque regressione ad uno stadio paleolitico
basato sulla caccia/raccolta di cibo era ed è tuttora impedita proprio da quel
processo di sviluppo qualitativo delle forze produttive, da quell’“era del
surplus” costante/accumulabile che determina il sorgere e la riproduzione
ininterrotta dell’effetto di sdoppiamento. Ma a parte questo “dettaglio” non
trascurabile, negli ultimi undici millenni il corso della storia universale è
diventato decisamente multilineare, composto com’è dal “bivio”e dalle due
“strade” alternative in campo socioproduttivo e politico, la cui logica ed
essenza più profonda risultano essere l’antideterminismo e l’emersione costante
di un campo di potenzialità alternative, nel quale la pratica collettiva degli
uomini del passato, presente (noi stessi…) e del futuro assume un ruolo
decisivo, sotto tutti gli aspetti.[7]
Prima di esaminare la storia contraddittoria delle religioni
formatesi nel mondo occidentale dal 1000 a.C. fino ai nostri giorni, tema centrale del saggio in via d’esposizione, serve e diventa indispensabile aprire un
processo preliminare di focalizzazione sia sulla genesi ed evoluzione del
rapporto creatosi tra genere umano e “sfera sacra” che sull’effetto di
sdoppiamento.
Note
[1] G. W. F. Hegel, “Fenomenologia dello Spirito”, pag.
35, ed. Einaudi
[2] “Why CPC can unite religious believers”, in
english.people.com.cn/90001/90780/91342/7403951.html, 8
giugno 2011
[3] E. Bloch, “Ateismo nel cristianesimo”, pag. 66, ed. Feltrinelli
[4] G. Minois, “Storia dell’ateismo”, pag.45/46, Editori Riuniti
[5] E. Hobsbawm, in “Storia del marxismo”, vol. primo, pag 6, ed. Einaudi
[6] R. Sidoli, “I rapporti di forza”, capag.6/7/8, in
www.robertosidoli.net
[7] C. Preve e R. Sidoli, “Logica della storia e comunismo novecentesco”, pag.
9/10, ed. Petite Plaisance
Fonte: www.robertosidoli.net/?page_id=227
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