STUDI SULL'ATEISMO SCIENTIFICO


Scienza e religione

I - II - III

Flavia Zucco

Scienza e religione sono in conflitto

Questa posizione è quella che si è manifestata più platealmente negli scorsi mesi. Essa è emersa soprattutto nel confronto aspro tra creazionismo (con la sua forma più sottile ed avanzata: quella del "disegno intelligente") e la teoria dell'evoluzione. La Chiesa è stata da sempre nemica di Darwin e della sua teoria, negandole valore oggettivo in quanto non dimostrabile (su questo aspetto si sono accumulate abbondanti smentite scientifiche).

Nell'ambito scientifico, sono in molti a difendere l'evoluzione in quanto ineccepibile teoria scientifica, ma la loro posizione è spesso estesa a tutta la scienza: essi infatti vedono nell'attacco alla teoria dell'evoluzione un attacco alla scienza stessa. Quella scienza prodotto dell'illuminismo e fondata sulla ragione che il relativismo moderno tende a privare di autorità, riducendola ad uno dei tanti costrutti sociali prodotti dalla cultura nel corso dei secoli.

Richard Dawkins è il maggior portavoce di questo filone di pensiero [A Devil's Chaplain]. Egli è un fiero scientista e un ateo convinto, fautore della razionalità. Per questo, non esita ad attaccare le religioni come un'insidia al pensiero razionale dell'Homo Sapiens: queste (ma anche tutte le filosofie new-age), secondo lui, rappresentano un inganno e una fonte di debolezza per l'umanità, dando spazio a forme di illusioni e miti, che sono spesso all'origine di conflitti irriducibili.

Paradossalmente la battaglia al relativismo, trova la chiesa di papa Ratzinger e scienziati come Dawkins, alleati.

Michael Ruse ci fa capire meglio la ragione di questa apparente incongruenza. Egli mette in luce nel suo libro The Evolution-Creation Struggle come un confronto improprio, quale è quello tra scienza e religione, sia di fatto slittato ad un confronto tra due religioni.

Il conflitto è nato proprio laddove l'evoluzione si è trasformata in evoluzionismo, una sorta di visione metafisico/naturalistica del mondo, imbevuta di valori. In altre parole l'evoluzionismo si è spinto al di là di una spiegazione della storia delle specie viventi nel mondo, fino a voler fornire seducenti immagini del progresso e a estendere il metodo di indagine naturalistico alla sfera del significato della esistenza umana sulla Terra. Questa tendenza è favorita dal fatto che la teoria darwiniana fornisce una storia delle origini, afferma la centralità delle specie umana, delinea la direzione del progresso e in qualche modo suggerisce implicitamente la possibilità di una fine della specie.

Molti dei difensori d'evoluzionismo, da Erasmus Darwin fino al nostro contemporaneo Richard Dawkins, sono caduti nell'errore, di aver rifiutato la religione cattolica per rimpiazzarla con una sorte di nuova fede che dà ragione di tutto. Nel confrontarsi con le religioni, suggerisce Ruse, bisogna stare attenti a non fare dell'evoluzione un'altra religione, cercando di evitare argomenti e forme propri di un naturalismo dogmatico.

Ma le posizioni si evolvono. La Chiesa, avvertendo la debolezza di una pura tesi creazionista, ha ammesso, con Papa Giovanni Paolo II, che "l'evoluzione è qualche cosa di più che un'ipotesi". Il vescovo di Oxford, Richard Harris ha firmato proprio con Richard Dawkins un articolo contro la promozione dello creazionismo nelle scuole, pubblicato nel 2005 sul Times. Il creazionismo viene, considerato obsoleto dai due contendenti, Chiesa e scienza, e dunque il conflitto sembrerebbe chiuso, ma non è così.

Esso riappare in una forma più complessa ed elaborata: quella del "disegno intelligente".

L'idea è nata in un circolo di studenti alla George Mason University in Virginia. Salvador Cordoba, tre lauree di cui una in matematica, vi ha fondato nel 1999 il club IDEA (Intelligent Design and Evolution Awareness). Un disegno superiore si rintraccerebbe proprio nel percorso dell'evoluzione: la selezione naturale non appare sufficiente a spiegare alcuni aspetti della stessa. La tesi non è altro, in buona sostanza, che una rielaborazione della famosa parabola del costruttore e dell'orologio immaginata dall'arcivescovo Paley a fine Settecento. Ovviamente, per gli oppositori questa è un sortita banale e pericolosa. Bruce Albert, presidente della National Academy of Sciences si esprime così: sarebbe come dire che la nostra conoscenza del mondo è incompleta (cosa, peraltro, vera), e che l'unica maniera per risolvere il problema non è procedere con la scienza, ma chiamare in causa un agente intelligente. Sorprendentemente vi sono critici anche tra i teologi che pensano che, secondo questa teoria, l'azione di Dio nel mondo viene occultata, così come viene negato il senso della sua immanenza nel darsi della vita (la questione dell'anima, della redenzione col Cristo e così via).

In realtà, Cordoba sostiene che nel concetto di disegno intelligente non vi sia alcuna implicazione teologica: tuttavia, sta di fatto che i creazionisti usano questo concetto per ripartire con la loro rivendicazione di insegnamento nelle scuole e nelle università.

Il problema è che questo insegnamento viene proposto nei corsi scientifici e non in quelli storico/umanistici, come sarebbe più appropriato. Coloro tra gli educatori che si muovono nel rispetto delle credenze personali degli individui, ammettono che si possa discutere delle non-risposte che dà la scienza, ma chiedono che ciò non avvenga a discapito della formazione scientifica in specifiche discipline. Proprio per questo motivo, negli USA ci sono stati alcuni casi di impedimento ad esercitare attività accademiche che hanno suscitato notevole scalpore: questi purtroppo, però, sono diventati casi politici e hanno contribuito a rafforzare le schiere degli anti-evoluzionisti. Un caso per tutti, quello di un valente astronomo Guillermo Gonzales, che ha fatto importanti scoperte nel settore dei pianeti extrasolari e ha pubblicato su riviste altamente qualificate, ma si è visto negare il posto di professore all'Università dello Iowa, perché sostenitore della teoria del Disegno Intelligente. La sua tesi, illustrata in un libro dal titolo The Privileged Planet è che l'universo è stato concepito da una mente superiore, proprio per essere scientificamente descritto.

Vale la pena citare l'obiezione di Dawkins al Disegno Intelligente: se c'è un disegnatore, ci deve essere anche un super-disegnatore che ha pensato al disegnatore è così via, e la polemica continua.

Assenza di conflitto tra scienza e religione, in quanto sfere del pensiero umano completamente separate

Stephen J. Gould è forse il rappresentante più autorevole e conosciuto di questa linea di pensiero che difende i territori della scienza e della religione come degni di rispetto, ma completamente indipendenti l'uno dall'altro [Rocks of Ages: science and religion in the Fullness of Life].

Egli fa riferimento alla "sublime indifferenza" della natura, in cui desideri, emozioni e passioni dell'Homo sapiens non trovano posto. La scienza dà ragione dei dati empirici del mondo naturale e ne deriva delle teorie: il resto (senso della vita, valori etici e così via) appartengono ad altre istituzioni chiamate religioni. Il pensiero di Gould è racchiuso in un acronimo NOMA (Non-Overlapping Magisteria) che rappresenta al tempo stesso un principio prescrittivo e una rappresentazione storica: da un lato scienza e religione non devono interferire l'una con l'altra, dall'altro questa non interferenza è anche un dato storico. Infatti i conflitti riportati nella storia sono il risultato di forzature politiche, da parte di questo o quel potere, più che un confronto genuino tra scienza e religione.

Gould è animato dalla preoccupazione di difendere la scienza da invasioni improprie e la sua posizione può essere giudicata in qualche modo semplicistica, sia da quegli storici sia da quei filosofi che hanno studiato le relazioni tra scienza e religioni (non solo quella giudaico–cristiana a cui Gould fa riferimento). Tuttavia, le sue argomentazioni sono assolutamente ragionevoli e la sua posizione risulta essere sostenibile anche alla luce del semplice buon senso. D'altra parte, Gould ripropone un'asserzione fatta, sin dal 1981, dalla National Academy of Sciences, secondo cui "religione e scienza sono due ambiti separati e mutuamente esclusivi del pensiero umano".

I conti con la post-modernità

Ora veniamo al contesto storico attuale. Dei profondi cambiamenti in corso in questa epoca abbiamo già estesamente parlato, ma alcuni elementi ci tornano utili per capire l'asserzione iniziale di questo testo che può essere così sintetizzata: Dio non è morto (anzi è tornato, se vogliamo citare un editoriale del Times di qualche settimana fa).

Le ragioni di questo ritorno sono rintracciabili proprio in quella solitudine dell'individuo prodottasi in un'epoca caratterizzata da profonde trasformazioni tecnologiche e sociali. La scienza ha perso la sua innocenza, non fornisce più certezze, però ci dota, attraverso una sorta di autoritarismo tecnocratico, di strumenti tramite i quali l'interazione con gli altri avviene in sedi virtuali, senza tempo e luogo. Il corpo è come cancellato nelle relazioni umane, e l'identità del singolo diventa evanescente. Su un altro versante, le democrazie consolidate producono soggetti stanchi, passivi, in gran parte garantiti e quindi estranei all'esercizio di una cittadinanza fatta di impegni, relazioni, responsabilità.

Questo grande trasformazione, come già detto, ci condanna ad un surfacing (Baumann) che non offre, per il momento, paletti di riferimento o sponde a cui possibilmente approdare. E, allora, che cosa succede in una società che pure si trova a fare i conti con le sue istituzioni, le sue reti di relazioni sociali? Emergono istinti primitivi e pulsioni tribali o ricerche di rifugi alternativi. D'altra parte, è proprio la post-modernità che ha dato spazio alla pluralità di soggetti ed esperienze, che ha abbattuto gli assoluti, che ha affermato al contempo la rilevanza del singolo e la globalizzazione come contesto, una situazione questa che apparentemente rende impossibile la conciliazione dell'io con il mondo in cui deve vivere.

Se la mettiamo così, non appare più tanto strano che grandi istituzioni presenti nella storia, come la religione e la scienza siano alleate contro la post-modernità, ma al tempo stesso si contendano gli spazi che in essa si aprono per ansie e bisogni non-materiali dell'essere umano.

Da qui gli attacchi della chiesa al riduzionismo scientifico e il richiamo alla spiritualità, così svilita e negletta dal primato della logica positivista.

Questo è proprio il punto su cui la scienza non sa dare risposte, ed è anzi in difetto. Alle critiche che le sono state rivolte, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, dai movimenti ecologisti e femministi, ma anche da autorevoli rappresentati del pensiero umanistico (sociologi, storici e filosofi della scienza), la comunità scientifica ha saputo rispondere con l'arroganza di chi si ritiene nel giusto. Ha bollato come antiscientifiche tutte le posizioni critiche, facendo un unico fascio delle riflessioni più responsabili e fondate fino alle derive più folkloristiche (il grande magma delle cosiddette alternative: credenze in maghi, UFO, medicine miracolose e così via). Si consultino a questo proposito il libri di Gerald Holton Science and antiscience e di Paul R. Gross & Norman Levitt Higer Supertition. The academic left and its quarrels with science, seguito, per gli stessi autori, dal più famoso The flight from Science and Reason.

L'attacco difensivo della scienza è dunque a tutto raggio, con pesanti accuse alla sinistra per le sue simpatie nei confronti dei movimenti nati nel mitico '68. Questo è un grave errore, primo perché la comunità scientifica dovrebbe sapere che è proprio dalle sollecitazioni non ortodosse e dal dubbio (che è parte intrinseca dello statuto della scienza) che nascono nuove percorsi di riflessione e si aprono nuovi ambiti per la creatività del pensiero umano; secondo, perché la stessa sembra avere deciso di non riconoscere la necessità di affrontare gli aspetti più intriganti dell'esperienza umana come quelli delle relazioni, emozioni, sogni, paure. Non scriveva forse François Jacob (premio Nobel per la medicina) ne Il gioco dei possibili (Mondadori, 1983):

Il XVII secolo ha avuto la saggezza di considerare la ragione come uno strumento necessario per trattare le cose umane. I lumi ed il XIX secolo ebbero la follia di pensare che ciò non era solo necessario, ma anche sufficiente per risolvere ogni problema…
Non va dimenticato che l'essere umano ha probabilmente bisogno sia di realtà che di sogno. È la speranza che dà senso alla vita.

La neuropsicologia promette di studiare i meccanismi del cervello (ma la mente è altra cosa) affidandosi di nuovo a possibili spiegazioni meccanicistiche, che certo non soddisfano l'ansia di senso che agita l'umanità contemporanea. Senza citare il fatto che il rafforzamento del determinismo biologico apre la porta a una revisione del concetto di libertà ed autonomia individuali e quindi all'esenzione da responsabilità pubbliche e private.

Quale dunque la via da seguire? La religione o (essendo nel post-moderno, dove tutto trova cittadinanza) le religioni?

Non necessariamente: la cultura occidentale ha dato origine a un autorevole pensiero filosofico che è stato particolarmente messo in ombra dalla scienza negli ultimi decenni: alcuni filosofi contemporanei invitano al recupero del concetto di phronesis (inteso come venire a patti con la realtà) elaborato da Aristotele; o dell'estetica Kantiana che esplora la sintesi tra ragione ed emozioni. Se rileggiamo quanto scritto in precedenza sulla post modernità, Gadamer e Gehlen, filosofi più vicini a noi, ci possono aiutare, con l'invito a riusare la filosofia per elaborare nuovi concetti e linguaggi adeguati ad esprimerli e a coltivare i territori periferici dell'esistenza, quelli dove i confini dell'io incontrano la relazione con l'altro.

Proprio sul tema della relazione con l'altro, come luogo di origine della responsabilità, può nascere un nuovo senso dell'essere e della vita. Questo tema è affrontato in profondità da Elena Pulcini nel suo libro: L'individuo senza passioni-individualismo moderno e perdita del legame sociale [Bollati Borighieri 2008]. Non sono pochi coloro, che come lei, cominciano a pensare che la rottura della solitudine e l'individuazione del senso della vita sia nelle mani e nella testa delle donne, per la loro capacità indiscussa di tenere insieme ragione ed emozioni: "[…] Non si può, a questo punto, non rilevare una convergenza tra la forma di responsabilità concreta e contestuale come cura dell'altro delineata da Carol Gilligan a partire dalla valorizzazione della differenza femminile".

Se al pensiero filosofico fosse riconosciuto il ruolo di guidare legittimamente la riflessione sul percorso scientifico-tecnologico e sulle sue ricadute sulla vita umana, forse si potrebbe recuperare il senso delle cose. Molte domande verrebbero meno, di altre si accetterebbe l'irresolubilità, ad altre si troverebbero risposte pacificanti. L'individuo, invece che nella ricerca di un Dio, troverebbe il senso delle cose in un pensiero laico che offre, qui ed ora, possibilità di riscatto, speranza e fiducia nei legami con l'altro da sè [Agnes Heller, La bellezza della persona buona, Diabasis, 2009].

Indicazioni bibliografiche

Fonte: www.steppa.net

Flavia Zucco è biologa, dirigente di ricerca presso l'Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche.


Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria - Ateismo
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Aggiornamento: 10/09/2014