Che cos'è il caso?

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CHE COS'E' IL CASO?

Il caso non è che l'espressione di una libertà universale. E' un gioco delle probabilità, una scommessa col destino.

Lawrence d'Arabia si riteneva imprendibile nel deserto, ma mentre s'aggirava, con fare spionistico, in una cittadina turca, fu casualmente arrestato e pagò il suo rischio mal calcolato a caro prezzo. Esempi come questi se ne potrebbero fare a migliaia.

Quante cose accadono per caso? Probabilmente tantissimi incidenti stradali, almeno tutte le volte che non andiamo a cercarceli a causa della nostra imprudenza.

Tuttavia gli atei usano il caso come categoria ontologica, proprio per togliere all'universo un qualunque finalismo o per negare che possa esistere una originaria causa efficiente che abbia dato il via a tutte le cose. Se tutto dipende dal caso, dio non esiste, dicono gli atei.

Che significa questo? che forse, solo per questo, dovremmo sostenere che il caso deve per forza prevalere su una causa specifica? ovvero che ogni cosa nell'universo si è prodotta senza una ragione specifica?

Nel mondo della natura vi sono leggi ferree che producono eventi necessari. Questo ovviamente non vuol dire ch'esista un dio, né che nell'ambito di queste leggi non si possano produrre eventi casuali. Semplicemente dovremmo ammettere che la casualità trova la sua ragion d'essere nell'ambito della libertà, che è infinita nelle sue espressioni, eterna nella sua durata, universale nella sua estensione: e che tale rimane anche quando gli uomini sanno creare situazioni che solo apparentemente sembrano casuali.

Se fosse il caso a dominare, bisognerebbe arrivare a dire che anche la libertà potrebbe un giorno scomparire. Ma noi ce la sentiremmo davvero di dire che la nostra libertà di coscienza è un mero prodotto del caso e che non c'importerebbe nulla di perderla?

Lo sanno gli atei deterministici che se scompare la libertà, il caso diventa una "necessità", e che quindi smetterebbe d'essere se stesso, cioè appunto "casuale"? Il caso trova la sua ragion d'essere nel fatto che rappresenta un'eccezione che conferma la regola. La sua funzione è proprio quella di dirci che non dobbiamo sentirci troppo sicuri di noi. Se ne accorse anche Lenin quando, appena finito uno dei suoi discorsi a Mosca, la Kaplan gli sparò due pallottole avvelenate, che solo per caso non l'uccisero.

La regola ha una ragione che il caso non può conoscere, appunto perché esso mira a sostenere che, in ultima istanza, non vi sono ragioni, ma solo delle casualità, degli eventi fortuiti, per i quali non val la pena darsi delle regole.

Noi umani accettiamo il caso, ma come conferma del fatto che esiste una libertà immensa, che è la condizione, per eccellenza, perché tutte le regole abbiano un senso. E non a caso, quanto meno questa libertà riesce ad esprimersi, tanto più siamo indotti a credere che tutto sia strettamente necessario, voluto da un destino avverso. Vediamo il caso come un aspetto che conferma una nostra concezione negativa della vita. Affidiamo al caso le ragioni delle nostre sconfitte. E pensare che neppure il cinico Machiavelli era così pessimista: infatti al massimo attribuiva al caso il 50% delle nostre disgrazie o fortune, il resto era virtù.

Una volta il cerimoniale cattolico del matrimonio conteneva l'espressione: "Amatevi nella buona e nella cattiva sorte". Poi siccome la parola "sorte" sembrava troppo affine alla parola pagana "destino", si preferii sostituirla con la parola "salute", togliendo così pregnanza esistenziale a quell'antica espressione, che doveva vincolare i coniugi a un amore indissolubile, a prescindere dalle condizioni sociali in cui l'avrebbero vissuto (un modo di vedere tipico dell'astratto idealismo religioso).

La "salute" invece sembra riguardare qualcosa di "fisiologico" e quindi inevitabilmente si riferisce a una condizione individuale, che, senza dubbio, col passare degli anni, tende sempre più a peggiorare. Bisogna amarsi anche quando si è malati.

In realtà sarebbe bastato dire: "Amatevi sempre, perché nulla è più grande dell'amore". Detto però da una chiesa misogina e maschilista come quella cattolica, che ha fatto del celibato del clero un motivo di elezione sociale, sarebbe stato - bisogna ammetterlo - molto difficile.

CASO E NECESSITA'

Nella vita - scriveva il giovane Nietzsche, nel 1868, contro la terza Critica di Kant - possiamo comprendere al massimo le forme, che sono innumerevoli e casuali, ma la vita resta incomprensibile. Ogni forma è conforme a un fine, ma "la vita non può essere pensata in quanto fine, dal momento ch'essa viene presupposta per agire secondo fini" (La teleologia a partire da Kant, ed. Mimesis, Milano 1998, p. 99).

La vita non può essere "spiegata", perché non è univoca, ma fonte d'infinite possibilità concrete. La vita non può essere compresa analizzando le sue forme. Studiando le forme possiamo capire come una cosa vive, non perché sia vivente. La stessa conformità a determinati fini di una determinata forma non è affatto assoluta, ma relativa alle circostanze di spazio e tempo.

Ora, come si può facilmente notare, l'ateismo di Nietzsche è superiore all'agnosticismo kantiano, perché questo, accettando l'idea di una causa intelligente delle cose, cioè di una ragione superiore che dà significato alle singole parti di un tutto, finiva sempre col concedere troppo alla metafisica religiosa.

Tuttavia non dobbiamo essere atei per forza, temendo di dire cose che all'ateismo tradizionale potrebbero dispiacere. Per essere atei è sufficiente negare che esiste un dio diverso dall'uomo, non è necessario sostenere che l'uomo sia il frutto di un puro caso. Non esiste "caso" senza "necessità". Il caso è soltanto un'eccezione che conferma la regola e la regola è l'uomo secondo natura.

E non possiamo neanche dire che l'unica vera regola necessaria è la natura e che l'uomo è un suo prodotto casuale, proprio perché l'uomo non è un prodotto della natura più di quanto la natura non sia un prodotto dell'uomo. Essi sono reciprocamente causa ed effetto, l'uno dell'altra. E' solo in apparenza che a noi sembra che l'uomo provenga dalla natura. Di fatto l'uomo è l'intelligenza della natura, non un suo mero prodotto derivato, come p. es. lo è tutto il mondo animale; con la differenza che quando l'uomo non rispetta l'essenza della natura, finisce per negare anche se stesso. All'animale non è dato neppure di pensare di poter violare delle leggi naturali, e quando lo fa è solo per colpa dell'uomo.

E' questo il vincolo che ci lega alla natura. Sulla terra noi viviamo, in una forma di corpo, per una forma determinata di natura: le cose sono strettamente interconnesse. Solo se sapremo rispettare i patti dell'interconnessione, erediteremo l'universo, cioè il diritto di popolarlo. La natura sta cercando sulla terra la miglior forma di "essere umano", quella più idonea, per riprodurre se stessa e, con essa, la stessa umanità nell'universo infinito. La terra è solo un banco di prova, un esperimento da laboratorio.

Quando si arriva a dire che la vita in sé è incomprensibile e che in essa non vi è alcun finalismo, alcuna necessità, non si può fare del caso il proprio dio, poiché ciò tradisce un odio per l'esistenza, ovvero l'incapacità di viverla come si vorrebbe. Se è vero che oltre l'umano e il naturale non possiamo andare, allora l'umano e il naturale dobbiamo per forza considerarli un assoluto e che il caso può esistere solo dentro questa necessità.

Il caso è solo l'espressione di una libertà infinita dentro una determinata necessità. Può apparire paradossale che si qualifichi come "infinita" una libertà che si muove entro una necessità "determinata". Ma la determinatezza di questa necessità è essa stessa "infinita", per quanto uomo e natura ci appaiano circoscritti in uno spazio e in un tempo. Il fatto è che la misura di spazio e di tempo che noi abbiamo è puramente o prevalentemente terrena, ma questa è solo una dimensione. Se lo spazio e il tempo li pensiamo nell'universo, come fece Einstein, ecco che la loro limitatezza scompare e, con essa, quella dell'uomo e della natura.

Sulla terra stiamo vivendo una forma particolare di essere umano e naturale, certamente non l'unica. Se noi cercassimo di riconoscerci guardando soltanto l'aspetto che avevamo nel ventre di nostra madre, non vi riusciremmo, proprio perché le forme sono completamente diverse. Se a un estraneo dessimo in mano 20 fotografie di 20 bambini diversi, molto piccoli, e gli dicessimo di indicare quale foto ci rappresenta, troverebbe non poche difficoltà a farlo.

Le forme cambiano continuamente: non c'è nulla di statico. Questo però non comporta affatto che la necessità sia qualcosa di casuale. Non si può sostenere che, siccome tutto è soggetto a movimento, allora tutto è relativo e quindi casuale. Noi siamo l'intelligenza delle cose e abbiamo il compito di trovare delle leggi necessarie nell'apparente fluire casuale delle cose, degli eventi, dei fenomeni. Se tutte le cose fossero attribuibili al caso, non potrebbero essere interpretate, se non appunto ribadendo la loro casualità, ma in tal modo saremmo costretti a vederle separatamente le une dalle altre, senza alcun legame organico: che è cosa che fanno le persone ciniche, indifferenti a una visione di insieme, legate solo al particolare. L'unica costante, nella vita di queste persone, è appunto il loro individualismo, per il quale qualunque cosa è lecita, a meno che non venga impedita da una forza superiore.

Nietzsche non s'è mai reso ben conto che se neghiamo dio, non possiamo negare l'uomo, anche perché, se lo facciamo, siamo poi costretti a darci un surrogato con cui sostituirlo, che nel suo caso è diventato una specie di dio: il superuomo. Noi non abbiamo bisogno che l'uomo vada oltre se stesso, per essere quel che è, per diventare quel che deve diventare. Non possiamo fare dell'ateismo una nuova religione. Chiunque ponga il caso a regola universale, finisce con l'attribuire alla forza la regola per giustificarlo.

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Se tutto è basato sul caso è un caso che noi si sappia che tutto è basato sul caso. Se tutto fosse basato sul caso non si spiegherebbe neppure l'esigenza di dover cambiare la realtà. Dovremmo prendere le cose come vengono, anche quelle che ci appaiono a prima vista, più assurde o più ingiuste.

Il caso nega che esistano delle leggi universali da rispettare rigorosamente. Se queste leggi vi sono, nell'universo vi è anche un fine, che quello appunto di conservarle.

Il caso esiste perché esiste la libertà e l'imponderabilità. L'uomo infatti non è il creatore della natura, ma appartiene alla natura, la quale può agire indipendentemente dalla volontà umana. Infatti definiamo casuali le azioni esterne che interferiscono con la nostra volontà e ci ricordano che non siamo onnipotenti.

La natura può permettere all'uomo di agire come meglio crede, ma non fino al punto da minacciare l'esistenza di se stessa; anche perché, s'egli lo facesse, la stessa esistenza umana sarebbe in pericolo, in quanto tra uomo e natura esiste un rapporto di stretta interconnessione.

L'uomo ha la straordinaria abilità di modificare le cose e di darsi sempre nuove regole con cui usarle, ma ha l'obbligo morale di non andare oltre certi limiti, che sono quelli stessi che garantiscono a lui deve essere umano e alla natura di riprodursi agevolmente. Quando supera questi limiti, inevitabilmente si autodistrugge, obbligando se stesso a ricominciare tutto da capo.

La vita non è altro che un costante apprendimento del miglior uso della libertà, che è libertà di scelta, di modificazione della realtà, di un uso delle cose, di creatività... Siamo fatti per produrre e riprodurre le cose in forme sempre diverse.

L'uomo non è che la natura divenuta cosciente di sé, delle sue possibilità, ma non è l'uomo che dà alla natura le leggi che le permettono di esistere e di riprodursi: queste leggi esistono già in natura; l'uomo deve soltanto scoprirle e rispettarle. La prima delle quali è quella di assicurare una pacifica coesistenza tra elementi opposti, che si attraggono e si respingono.

Le leggi della natura sono necessarie, e anche se possono produrre eventi casuali, tale casualità non può mai prescindere dalle suddette leggi, non può mai andare al di là di esse. Il caso è relativo, non assoluto, proprio perché l'essere umano deve apprendere il significato della responsabilità personale. Cosa che è possibile fare solo se non si viene gestiti da forze o entità a noi esterne, come possono essere gli Stati e i mercati.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018